Storia
Quegli americani che si sono opposti alla NATO
È un errore pensare che la NATO abbia trovato sempre d’accordo tutti gli americani – a partire da grandi figure della politica e dell’amministrazione degli Stati Uniti.
Donald Trump, come noto, ebbe un rapporto duro con l’Alleanza Atlantica, trattando non sempre benissimo il suo segretario Stoltenberg e arrivando, già prima di essere eletto presidente, a fare una domanda semplice quanto inaudita a Washington: a cosa serve la NATO oggi? Perché gli USA la finanziano? Perché gli altri Stati alleati non pagano altrettanto?
Queste semplici domande, a cui in pochi in realtà avevano mai pensato, gli costarono l’odio assoluto da parte dello Stato profondo americano. Come ha detto Tucker Carlson – che ha con onestà riconosciuto di non essersi posto nemmeno lui la questione prima che lo svegliassero le uscite elettorali del futuro presidente – le conversazioni riguardo il sostegno al candidato Trump, perfino tra repubblicani, divennero impossibili dal momento in cui The Donald toccò la NATO. Carlson osserva che chi cominciò a mostrare disprezzo cieco per Trump tuttavia non rispondeva mai alle domande di cui sopra: perché la NATO, oggi?
In realtà, vi furono grandi figure politiche americane che rifiutarono la NATO prima ancora che nascesse. Uno è George Frost Kennan (1904-2005), ex ambasciatore USA in URSS, lucido, geniale politologo capofila della scuola «realista» delle Relazioni Estere (quella oggi portata avanti dall’accademico John Mearsheimer) e funzionario di governo considerato «il padre della guerra fredda».
Kennan si oppose alla NATO sin dalla sua creazione: la sua idea di contenimento dell’URSS non prevedeva mezzi militari – in quanto, ripeteva, non aveva la sensazione che Mosca volesse invadere militarmente l’Europa occidentale – non si basava su soldati ed armi ma su fattori politici, ideologici, economici e se vogliamo pure spionistici.
Approfondì la sua idiosincrasia per il Patto Atlantico decenni dopo in un celeberrimo editoriale sul tema dell’allargamento della NATO pubblicato dal New York Times nel 1997: «è in gioco qualcosa della massima importanza. E forse non è troppo tardi per avanzare un punto di vista che, credo, non è solo mio, ma è condiviso da un certo numero di altri con una vasta e nella maggior parte dei casi più recente esperienza nelle questioni russe» scriveva Kennan oramai 93enne. «L’opinione, dichiarata senza mezzi termini, è che l’espansione della NATO sarebbe l’errore più fatale della politica americana nell’intera era post-guerra fredda».
Sono parole che oggi suonano tragicamente profetiche: con il rischio della guerra termonucleare alle porte – e i politologi russi che davvero cominciano a discuterne, potrebbe proprio essere così, allargare la NATO a Est potrebbe portare all’annientamento stesso degli Stati Uniti.
Vogliamo tuttavia qui ricordare anche il senatore americano Robert Taft (1889-1953). Repubblicano dell’Ohio, Taft fu uno dei soggetti descritto nel libro di John Kennedy Ritratti del coraggio (1955), dove JFK lo descrive come uno dei cinque più importanti senatori nella storia degli Stati Uniti d’America.
Il 26 luglio 1949 il senatore di Cincinnati fece questo discorso in opposizione al Trattato del Nord Atlantico:
«Perché ho votato contro il Patto Atlantico? Volevo votare a favore, almeno volevo votare per far sapere alla Russia che se avesse attaccato l’Europa occidentale, gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra. Credo che sarebbe un deterrente alla guerra».
«Abbiamo emesso proprio questo avvertimento nella Dottrina Monroe [l’idea della supremazia degli Stati Uniti nel continente americano, ndr], e sebbene fossimo una nazione molto meno potente, ha impedito l’aggressione contro l’America centrale e meridionale. Quello era solo un messaggio del presidente al Congresso, e non c’erano obblighi di trattato e armi per altre Nazioni. Ma è stata una delle misure di pace più efficaci nella storia del mondo. Preferirei una Dottrina Monroe per l’Europa occidentale. Ma il Patto Atlantico va ben oltre. Ci obbliga ad andare in guerra se in qualsiasi momento durante i prossimi 20 anni qualcuno effettua un attacco armato contro una qualsiasi delle 12 Nazioni».
«Sotto la Dottrina Monroe potremmo cambiare la nostra politica in qualsiasi momento. Potremmo giudicare se forse uno dei Paesi avesse dato la causa dell’attacco. Solo il Congresso poteva dichiarare guerra in virtù della dottrina. Con il nuovo patto il presidente può portarci in guerra senza il Congresso. Ma, soprattutto, il trattato fa parte di un programma molto più ampio con il quale armiamo tutte queste Nazioni contro la Russia».
Come Kennan, Taft non vedeva la forza militare come principale strumento per la politica estera americana. Anche lui, temeva l’errore fatale di una prossima guerra ultradistruttiva.
«È già stato fatto un programma militare congiunto (…) Diventa così un’alleanza militare offensiva e difensiva contro la Russia. Credo che la nostra politica estera debba mirare principalmente alla sicurezza e alla pace, e credo che una tale alleanza abbia più probabilità di produrre la guerra che la pace. Una terza guerra mondiale sarebbe la più grande tragedia che il mondo abbia mai sofferto. Anche se vincessimo la guerra, questa volta probabilmente subiremmo un’enorme distruzione, il nostro sistema economico verrebbe paralizzato e perderemmo le nostre libertà e il nostro sistema libero proprio come la seconda guerra mondiale ha distrutto i sistemi liberi dell’Europa. Potrebbe facilmente distruggere la civiltà su questa terra».
Il senatore già 70 anni fa vedeva il pericolo di quello che era ed è, de facto, un accerchiamento malevolo della Russia da parte degli USA e dei loro alleati, ancora oggi pienamente visibile nei documenti della RAND Corporation, il controverso think tank che crea la politica militare americana – oggi più che mai.
«C’è un’altra considerazione. Se ci impegniamo ad armare tutte le Nazioni intorno alla Russia, dalla Norvegia a nord alla Turchia a sud, e la Russia si vede circondata gradualmente dalle cosiddette armi difensive dalla Norvegia e dalla Danimarca alla Turchia e alla Grecia, potrebbe formarsi un’opinione diversa. Può decidere che l’armamento dell’Europa occidentale, indipendentemente dal suo scopo attuale, preveda un attacco alla Russia. Il suo punto di vista può essere irragionevole, e penso che lo sia. Ma dal punto di vista russo potrebbe non sembrare irragionevole. Potrebbero benissimo decidere che se la guerra è il risultato certo, è meglio che la guerra avvenga ora piuttosto che dopo che l’armamento dell’Europa sarà completato».
Con estrema chiarezza, Taft prevedeva la crisi di missili di Cuba.
«Come ci sentiremmo se la Russia si impegnasse ad armare un paese al nostro confine; Il Messico, per esempio? (…), infine, credo che ci sia solo una vera speranza di pace nel mondo a venire: un’associazione di Nazioni che si obblighi a rispettare una legge che governi le nazioni e sia amministrata da una corte di giustizia legale. Tale risultato giudiziario non deve essere soggetto al veto di nessuna Nazione e deve esserci una forza internazionale per far rispettare il decreto del tribunale. Un tale piano può avere successo solo se l’opinione pubblica mondiale è educata a insistere sull’applicazione della giustizia».
Anche le parole di Taft, come quelle di Kennan e pure di Trump, sono oggi davvero di attualità estrema.
Immagine di George Kennan di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; modificata con AI
Intelligence
La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
Nonostante il successo nelle fasi finali del conflitto, il dilettantismo statunitense nel mondo dell’Intelligence globale rimase un tratto dominante dall’entrata in guerra fino a tutta la prima parte del dopoguerra. La volontà di volersi avvicinare all’esperienza del MI6 inglese o della struttura messa in piedi ancora da Pietro il grande e utilizzata in seguito dai sovietici, si accompagnò alla enorme quantità di denaro a disposizione durante e soprattutto dopo il conflitto.
Nella foga di dimostrare al pianeta che la repubblica del nuovo mondo avesse finalmente raggiunto il tavolo di chi conta entrando dalla porta principale, venne trascurata non poca cautela. Caratteristica di quel periodo fu proprio la fretta e l’esuberanza nel voler arrivare il prima possibile a un risultato saltando livelli necessari di precauzione. Sia il mondo dell’intelligence americano appena nato con l’OSS e soprattutto in seguito con la CIA, per la frenesia di trovare informatori, trascurò le più necessarie pratiche di controspionaggio, con il risultato di riempire l’America di agenti doppi sovietici.
Uno dei casi più eclatanti, descritto bene nell’opera di Joseph Trento The Secret History of the CIA, fu quello di Igor Orlov, nome in codice «Sasha», per la vera identità di Aleksander Ivanovich Navratilov (1918-1982). Figlio di un importante famiglia russa, discendente diretta della aristocrazia, divenne fondamentale in un momento in cui Lavrentij Berija (1899-1953) zelante e potentissimo direttore della polizia segreta sotto il georgiano Iosif Stalin (1878-1953) stava percependo di perdere la fiducia del dittatore cosa che avrebbe significato morte certa, non solo politica.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Fino a quel momento, gli agenti scelti per le missioni speciali venivano per lo più dall’Ucraina o dalla Georgia per la mancanza di fiducia di Stalin verso i Russi. Di questo «vezzo» erano a conoscenza anche i servizi tedeschi, che utilizzavano questo schema per stanarli con maggiore, relativa, facilità. Berija, dunque, mostrò a Stalin un fascicolo con la scheda di tal Aleksander Grigoryevich Kopatzky. Nome fittizio di chiaro stampo non russo bensì polacco, donato a Navratilov per riuscire a passare sotto il controllo del georgiano e accedere al livello successivo.
Aleksander spiccò tra tanti altri agenti guadagnandosi la sua occasione attraverso un atto considerato da Berija eccezionale per il ruolo che avrebbe dovuto interpretare. Suo padre, Ivan, aveva scalato le gerarchie ottenendo una posizione di tutto rilievo nella Ceka, la polizia segreta sovietica. La sua famiglia conosceva talmente bene il modus operandi degli ufficiali di Berija durante le purghe che quando due ufficiali bussarono alla porta di casa in piena notte, avevano già capito a cosa sarebbero dovuti andare incontro.
La moglie Anna, chiese immediatamente chi l’avesse denunciato. La risposta sconvolse i due genitori in quanto la denuncia era arrivata dal figlio Aleksander che sottolineò subito di averlo sentito chiamare Stalin un traditore. Era esattamente questo tipo di lucida follia di cui aveva bisogno Berija per portare a termine lo spregiudicato progetto in rampa di lancio.
Il suo compito, ben oltre il limite del suicidio, sarebbe stato quello di farsi paracadutare oltre le linee per guadagnarsi la fiducia dei nazisti come disertore. L’obiettivo, oltre a creare una nuova rete di spionaggio, avendo Stalin purgato quella eccezionale realtà costruita da Pietro il Grande una volta conosciuta come i migliori servizi segreti del mondo, era quello di avvicinare l’armata disertrice dell’ex generale dell’armata rossa, passato dall’altro lato del fronte, Andreevič Vlasov (1901-1946).
Stalin, che avrebbe potuto conoscere in anticipo le volontà d’invasione tedesche se, paradossalmente, non avesse azzerato l’Intelligence con le purghe, temeva l’utilizzo dell’armata di Vlasov composta da oltre cento cinquantamila elementi visceralmente anti sovietici. Riuscire a sapere prima del tempo dove sarebbe stata impiegata avrebbe aiutato enormemente la logistica sovietica durante l’operazione Barbarossa.
Aleksander venne mandato in aereo nella regione polacca occupata dai nazisti vicino alla posizione di Vlasov. Nel volo uccise i piloti come prova della sua diserzione. Nel salto con il paracadute dovette sperare di non venir ferito mortalmente e di riuscire ad arrivare in ospedale senza morire dissanguato. La parte da recitare ai tedeschi l’aveva ripetuta un milione di volte e anche se ferito da tre proiettili riuscì a mantenere il ruolo fino ad arrivare ancora vivo anche se in stato d’incoscienza.
Una volta dentro la clinica riuscì a convincere gli ufficiali nazisti della sua lealtà denunciando varie talpe russe infiltrate da tempo all’interno degli apparati tedeschi. Questi agenti sovietici facevano comunque parte della lunga lista della purga di Stalin e dunque erano tutte carte che avrebbe dovuto giocarsi a sua discrezione.
L’operato di «Sasha» fu talmente eccezionale che si guadagnò completamente la fiducia nazista e divenne l’informatore principale dei tedeschi. Per non farsi scoprire anche dalle altre spie sovietiche in terra tedesca dovette iniziare un terribile doppio gioco volto a creare dei nuovi agenti solamente per poterli sacrificare alla bisogna.
Sostieni Renovatio 21
La sua consegna costante di agenti sovietici presenti nell’armata di Vlasov, contribuì a rendere la stessa armata inutilizzabile. I nazisti per via delle continue denunce di nuove spie da parte di Sasha, non impiegarono mai l’armata nell’Operazione Barbarossa, contribuendo in questo modo alla disfatta nazista.
Con la gara verso Berlino dei sovietici in corsa sul tempo contro con gli alleati, Orlov riuscì sempre a restare a galla nel suo prezioso ruolo di informatore. Inizialmente riuscì a ingraziarsi Reinard Gehlen (1902-1979), la super spia nazista, in carico dell’armata di Vlasov prima e in seguito dell’intelligence nazista dalla Repubblica di Weimar alla corte statunitense. Successivamente, sfruttò la ricerca furiosa degli yankee di nuove informazioni sui russi, attraverso l’ingorda, e spesso dozzinale, presa delle risorse tedesche, tra cui buona parte dell’Intelligence nazista di Gehlen. In breve Sasha, divenne uno dei principali e longevi agenti dell’agenzia americana, prima a Monaco di Baviera e in seguito nella fondamentale base operativa di Berlino.
L’ufficio di Berlino venne preso in mano da Allen Dulles proprio nel finire della guerra e lo tenne fino al 1945, ritornandosene a New York quando venne a sapere che l’OSS non sarebbe stato portato avanti. L’ufficio passò di mano per qualche anno e venne abbandonato dal governo americano che ne taglio i fondi e ne limitò l’operato. In questa condizione di disuso Orlov potè sguazzare rimanendone appiccicato grazie alla nomea di miglior agente in mano agli americani. Questa nomea rimase indisturbata per i molti anni successivi.
La sua mansione principale era quella di gestire i bordelli aperti dalla CIA a Karlshorst, la piccola Mosca di Berlino, il principale centro di tutte le operazioni fuori dall’Unione Sovietica. Secondo la logica americana, Orlov avrebbe potuto, attraverso fotografie compromettenti, ricattare gli agenti dell’Unione e creare nuovi elementi utili per la causa a stelle e strisce. Quello che gli americani non avevano considerato era che quelle foto per gli agenti russi non avrebbero creato nessun fastidio, ma questo chiaramente Sasha, non lo confidò mai. In questo ruolo potè convivere tranquillamente per anni a Berlino, mantenere i contatti con la madre patria e scalare le gerarchie militari dell’intelligence sovietica.
Nei primi anni Sessanta Anatoliy Golitsyn (1926-2008) uno dei più importanti disertori russi in suolo americano confidò a James Jesus Angleton (1917-1987) il potentissimo capo del controspionaggio americano che nelle precedenti decadi aveva sentito parlare di un agente infiltrato ad altissimi livelli a Washington. Le uniche cose che ricordava erano il nome in codice Sasha e il fatto che avesse un cognome polacco che iniziasse con la K e terminasse con ski. Angleton, dal dopo guerra in avanti, tormentato come fu dalle sue paranoie antisovietiche per tutta la sua carriera, si chiuse in stanza con il disertore per oltre tre mesi, controllando l’intero archivio della CIA.
Vennero formulate diverse ipotesi su chi potesse essere il fantomatico Sasha. Vennero colpiti in molti e non tutti i sospettati ritornarono a lavorare per la CIA. Infine nel 1964 arrivarono a identificare Orlov come Aleksandr Kopatskyi. Sasha infatti dopo aver ricevuto nel 1958 un addestramento negli Stati Uniti ed essere stato palleggiato un altra volta dalla Germania all’America venne fatto atterrare con tutta la famiglia definitivamente negli States. Gli venne offerto un risarcimento per l’importante cifra per l’epoca di 2500 dollari per ogni anno passato nella CIA.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Sasha, venendo rimbalzato da ogni richiesta di nuovo incarico nell’intelligence americana, non volle darsi per vinto e rifiutò il premio alla carriera, accettando un lavoro da conducente del camion dei giornali per 60 dollari alla settimana. In qualche anno di grandi sacrifici assieme alla moglie Eleanor, riuscirono ad aprire un negozio di cornici e a crescere i loro due figli in America.
Nonostante le pressioni di Angleton, le accuse di Golitsyn, non riuscirono mai a trovare la smoking gun che Orlov/Kopatskyi/Navratilov fosse Sasha. Orlov, durante tutti gli anni del suo incarico, sempre in contatto con la madre patria, chiedeva notizie sulla madre e provava a capire se potesse un giorno arrivare il momento del ritorno a casa. Quel momento, per via anche della sua abilità come spia, non arrivò mai, ma venne sempre rimandato in nome di un bene più grande.
Nonostante la sua morte nel 1982 per cancro, l’FBI continuò a mettere pressione alla sua famiglia. Lo si può leggere in un articolo pubblicato nel 1989 dal Washington Post sempre di Joseph Trento con sua moglie Susan.
Un altro supposto disertore, Yurchenko, proprio come Golitsyn e Kitty Hawk, ebbe a modo di spendere molte energie su Orlov e tra le varie anche che avesse reclutato i suoi figli perché continuassero la tradizione «Sasha» di famiglia. George Orlov, si vedeva pedinato nelle sue corse pomeridiane a Princeton mentre seguiva i corsi di fisica nucleare. Eleanor dovette sottoporsi a diverse prove della macchina della verità, passandole tutte, e pregando che l’ultima fosse davvero l’ultima.
Marco Dolcetta Capuzzo
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Intelligence
Le origini della CIA e la nascita delle operazioni coperte
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Storia
Milei pubblica i documenti segreti di Adolfo Eichmann
All’inizio del 2025 il presidente argentino Javier Milei ha declassificato e reso pubblici oltre 1.850 fascicoli (migliaia di pagine) che documentano gli sforzi dell’Argentina per individuare e monitorare migliaia di criminali nazisti rifugiatisi in Sud America dopo la Seconda guerra mondiale. L’iniziativa è partita su pressione del senatore repubblicano statunitense Chuck Grassley e del Simon Wiesenthal Center.
Come riportato da Renovatio 21, la pubblicazione dei file nazisti era stata annunziata dalle autorità argentine ad inizio anno.
I documenti, digitalizzati e caricati sul sito dell’Archivio generale della nazione, coprono soprattutto gli anni tra la fine dei Cinquanta e gli Ottanta e includono decreti presidenziali segreti dal 1957 al 2005. Sono organizzati in sette grandi sezioni dedicate ai principali ricercati: Adolf Eichmann (catturato a Buenos Aires nel 1960 dal Mossad sotto il falso nome di Ricardo Klement), con prove che il governo peronista sapeva della sua presenza e in alcuni casi lo protesse; Josef Mengele, il medico di Auschwitz che visse per anni in Argentina prima di riparare in Paraguay e Brasile; Martin Bormann, Ante Pavelić, Rudolf Höss e Klaus Barbie.
Harley Lippman, membro della Commissione statunitense per il patrimonio americano all’estero e del board dell’Associazione Ebraica Europea, ha sottolineato l’importanza storica della pubblicazione: «Da un lato è vergognoso che l’Argentina abbia tenuto nascosti questi documenti per decenni; dall’altro va riconosciuto il coraggio dell’attuale governo nel renderli accessibili. Più che per gli ebrei, è fondamentale che gli argentini stessi facciano i conti con il proprio passato».
Sostieni Renovatio 21
A maggio 2025, durante il trasferimento degli archivi della Corte Suprema, sono state scoperte nel seminterrato 83 casse sigillate dal 1941: contenevano materiale di propaganda nazista intercettato alla dogana argentina su una nave giapponese diretta all’ambasciata tedesca di Buenos Aires. Il governo Milei ha annunciato che anche questi documenti saranno digitalizzati e declassificati.
Il capo di gabinetto Guillermo Francos ha spiegato la decisione di Milei: «Non esiste più alcun motivo per continuare a nascondere queste informazioni; non è nell’interesse della Repubblica Argentina mantenere tali segreti».
Lippman ha collegato la declassificazione al ritorno dell’antisemitismo globale: «Dopo l’“età dell’oro” di circa 80 anni in cui l’odio antiebraico sembrava sopito, il 7 ottobre 2023 e la successiva narrazione che dipinge israeliani ed ebrei come “genocidi” hanno riaperto vecchie ferite. Molti giovani sotto i 30 anni ignorano l’Olocausto o ne sottovalutano la portata: questi documenti possono ricordare che lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei è avvenuto appena 80 anni fa».
I fascicoli, ha aggiunto Lippman, potrebbero anche fare luce sul ruolo delle banche svizzere e argentine nel riciclaggio dell’oro e dei beni sottratti agli ebrei, nonché sul destino degli U-Boot carichi di valori nazisti arrivati in Argentina e sulle cosiddette «ratlines» che, con la complicità di alcuni governi locali, permisero a migliaia di criminali di guerra di rifarsi una vita in Sud America.
Come riportato da Renovatio 21, della conversione al giudaismo di Javier Milei si parla da tanto tempo, e abbondano immagini e video in cui il personaggio sventola in pubblico grandi bandiere israeliane, invita l’ambasciatore dello Stato Ebraico alle riunioni emergenziali di gabinetto, piange copiosamente sul muro del Pianto, rituale inflitto a tutti i politici nordamericani ed ora pure sudamericani. Vari giornali argentini hanno ricostruito i rapporti di Milei con rabbini influenti e con oligarchi ebrei legati a Giorgio Soros.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa primavera documenti CIA hanno rivelato la ricerca segreta di Hitler negli anni Cinquanta.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
-



Bioetica2 settimane faMons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto
-



Morte cerebrale2 settimane faLe ridefinizioni della morte da parte dell’industria della donazione di organi minacciano le persone viventi
-



Vaccini2 settimane faUn nuovo sondaggio rivela che 1 adulto su 10 è rimasto vittima di un grave danno da vaccino COVID
-



Salute2 settimane faI malori della 48ª settimana 2025
-



Spirito1 settimana fa«Rimarrà solo la Chiesa Trionfante su Satana»: omelia di mons. Viganò
-



Politica1 settimana faIl «Nuovo Movimento Repubblicano» minaccia i politici irlandesi per l’immigrazione e la sessualizzazione dei bambini
-



Persecuzioni1 settimana faFamosa suora croata accoltellata: possibile attacco a sfondo religioso
-



Pensiero2 settimane faTrump e la potenza del tacchino espiatorio














