Storia
La disgustosa incoronazione del re antiumano – con ringraziamenti per l’artiglieria ucraina
La pomposità dell’incoronazione di re Carlo III ha infastidito molti.
Vuoi perché una porzione della popolazione (e della stessa corte, a quanto si dice) sognava che vi fosse un’abdicazione a favore del principe Guglielmo, attualmente più, diciamo così, «fotogenico» (non ha mai preso buste della spesa con dentro milioni dalla famiglia Bin Laden, almeno non ancora, tanto per dirne una).
Vuoi perché la situazione economica in vaste parti del Regno ha portato una povertà di tipo dickensiano (con file fuori dalle mense dei poveri, generi alimentari divenuti carissimi, bollette non pagate, aumento del costo della vita oramai insostenibile, milioni di pasti saltati e un incremento esponenziale di donne che si prostituiscono).
Vuoi perché in molti si rendono conto che invece di Diana, come regina si ritrovano Camilla Parker-Bowles. E poi, già, come è morta Diana?
Tuttavia, bisogna fare attenzione ai dettagli: al carro d’oro, al diamante rubato – rubato, sì: perché il Sudafrica ha chiesto la restituzione del diamante tagliato a taglio più grande del mondo, chiamato la Grande Stella d’Africa, che è incastonato nello scettro reale tenuto dal re Carlo III, ed era stato donato dal governo coloniale sudafricano governo a re Edoardo VII per il suo 66° compleanno nel 1907. Un simbolo, è il caso di dire, un pochino coloniale.
Bisogna anche tenere a mente la mielosa, intollerabile esibizione di servilismo da parte dei leader nazionali e di gran parte della popolazione britannica, ha visto il Carlo – che come suo padre, e i suoi figli, porta avanti l’agenda antiumana dell’ambientalismo, della riduzione della popolazione con il controllo delle nascite, incoronato oggi a Londra.
L’incoronazione di un re, la dimostrazione della sua maestà, non è da considerarsi come una faccenda coreografica, buona per il gossip e le foto di rito. Un re incoronato trasmette come prima cosa la potenza di cui dispone.
Ecco che il vero carattere dell’evento è stato colto dal messaggio consegnato dal ministero della Difesa del presidente ucraino Zelens’kyj ai reali.
Il presidente comico, non ha partecipato, ma la sua versatile moglie sì.
Il ministero della Difesa ucraino ha quindi preparato un video celebrativo, montato sulle note di «London Calling», la canzone dei Clash, i quali, se sono morti tutti (non andiamo a controllare) si staranno rivoltando nella tomba. O forse no – sale la tristezza.
Il video mostra le armi britanniche dispiegate sul fronte ucraino e l’incontro del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj con re Carlo e l’enigmatico primo ministro indo-britannico Rishi Sunak, il leader laburista Keir Starmer (recentemente finito sui giornali per la polemica per cui il 100% delle donne non avrebbe il pene, o forse sì, lo avrebbero) e l’ex primo ministro Boris Johnson – quest’ultimo importante assai, perché, come sa il lettore di Renovatio 21, fu Johnson, planato a Kiev agli sgoccioli del suo premierato, a far sì che l’Ucraina mollasse accordi di pace praticamente già raggiunti con Mosca nell’aprile 2022.
On the eve of the historic coronation, we'd like to thank our British friends for your friendship. We are grateful for your unwavering support and partnership, especially in the past year! pic.twitter.com/bJgg4Qfsr5
— Defense of Ukraine (@DefenceU) May 5, 2023
«Alla vigilia della storica incoronazione, vorremmo ringraziare i nostri amici britannici per la vostra amicizia. Siamo grati per il vostro incrollabile supporto e collaborazione, soprattutto nell’ultimo anno!» recita tweet del ministero della Difesa del regime di Kiev.
Guardate voi stessi quanto dettagliati sono, questi complimenti. «Missili NLAW», «artiglieria», «veicoli corazzati», «sistemi di difesa aerea», «carrarmati Challenger II»… «hanno addestrato i nostri soldati».
Al nuovo re la Difesa della banda di Kiev offre una vera parata militare, targata Union Jack, in azione nella zona di guerra russo-ucraina. E del resto la clip in cui Carlo parla alle truppe ucraine dà proprio quell’effetto: un sovrano che parla ai propri soldati.
(Da notare come il video, in perfetto stile della inesausta mendicanza militare e finanziaria ucraina, si chiuda con la richiesta di una portaerei… ma è solo uno scherzo, chiaro. No?)
La testata londinese The Independent ha titolato «L’Ucraina guida il mondo in risposta all’incoronazione di re Carlo». Nel frattempo, il Palazzo ha definito il tappeto giallo e blu srotolato nell’abbazia di Westminster una «felice coincidenza».
Mentre la corona genocida e il regime di Kiev si corrispondevano in amorosi sensi, la polizia arrestava i leader di un gruppo repubblicano che si era riunito per protestare contro la monarchia con cartelli e canti: «Not our King», «Non è il nostro re!»
È incredibile, ma l’unica lucidità del Paese – come era stato per Alfie Evans, lasciato trucidare dallo Stato della regina e la sua famiglia, come Charlie, Archie e chissà quanti altri – la dimostrano gli ultras. Che non solo non si inginocchiano (a differenza dei nostri rappresentanti, incluso il vescovo di quei cattolici che furono perseguitati, torturati e sterminati dalla Corona di Albione), ma ricordano alla famiglia reale, come hanno fatto i tifosi del Liverpool pochi giorni fa, di «dare da mangiare ai poveri».
Ma i britannici poveri, che sono in aumento evidente da anni, non sono una priorità: la guerra contro la Russia invece lo è – e non vi stupite, perché è la continuazione di un conflitto che, in Centrasia, la corona inglese portava avanti contro lo Zar già quasi 200 anni fa.
Medvedev qualche giorno fa, in un momento di sincerità metastorica ha definito il Regno Unito come «nemico eterno» della Russia.
Noi pensiamo invece che la Corona – quella del padre del re che sognava di morire e reincarnarsi in una pandemia che uccidesse quante più persone possibili – sia nemica dell’umanità intera, e non sappiamo se sia davvero eterna.
È in giorni come questo che ci preme di ricordare Guido Fawkes, e come la storia che stiamo vivendo, dalle guerre dell’oppio cinesi al Donbass, dalla fame dell’Irlanda a quella dell’India, dallo sterminio dei boeri delle guerre di inizio Novecento al «Risorgimento» italiano, sarebbe stata diversa se la corona fosse tornata cattolica.
No, noi non abbiamo dimenticato. No, noi non possiamo dimenticare.
C’è un mondo che canta con gli ultras. «You can shove your coronation…»
Immagine di Katie Chan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Spirito
Turchia, scoperte pagnotte di 1.300 anni con l’immagine di Cristo Seminatore
Nel sito di Topraktepe, nella Turchia meridionale, un gruppo di ricercatori ha scoperto cinque pani carbonizzati recanti iscrizioni e immagini religiose. Uno raffigura Cristo che semina il grano, accompagnato da una dedica in greco, mentre gli altri recano croci maltesi.
La scoperta è avvenuta a Topraktepe, un sito identificato come l’antica città bizantina di Irenopolis, situata nell’attuale provincia turca di Karaman, in Anatolia. Gli archeologi hanno rinvenuto cinque pagnotte carbonizzate che, secondo gli esperti, potrebbero essere state utilizzate durante le celebrazioni liturgiche da una comunità cristiana rurale dedita principalmente all’agricoltura, risalenti al VII o VIII secolo.
«Questi pani, risalenti a oltre 1.300 anni fa, gettano nuova luce su un affascinante capitolo della vita bizantina. Dimostrano che la fede andava oltre preghiere e cerimonie, manifestandosi in oggetti che davano un significato spirituale a un bisogno umano fondamentale: il pane», ha spiegato uno dei membri del team di scavo.
I ricercatori hanno affermato che i pani si sono conservati dopo che un incendio, probabilmente domestico, li ha improvvisamente carbonizzati, preservandone la forma e la decorazione. I funzionari provinciali hanno definito la scoperta «uno degli esempi meglio conservati finora identificati in Anatolia», secondo il quotidiano Posta .
Il sito di Topraktepe aveva già portato alla luce resti di necropoli, camere scavate nella roccia e fortificazioni, ma pochi oggetti riflettevano così direttamente la devozione quotidiana dei suoi abitanti. «Questa scoperta è interpretata come prova del valore simbolico dell’abbondanza e del lavoro nella spiritualità dell’epoca», ha aggiunto una dichiarazione ufficiale citata da Star.
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Come sottolinea Anatolian Archaeology, queste scoperte «forniscono prove materiali dirette di pratiche cristiane provinciali, raramente accessibili al di fuori di fonti scritte. Questo risultato conferisce al sito un interesse molto speciale per lo studio dell’espressione locale e provinciale del cristianesimo bizantino».
Gli studiosi hanno sottolineato che queste testimonianze rurali differiscono dalle forme di culto urbane di Costantinopoli, dimostrando come la religiosità contadina rimanesse strettamente legata al ciclo agricolo. Irenopoli, situata lungo una rotta commerciale, viveva di agricoltura e pastorizia; pertanto, la raffigurazione di Cristo come seminatore rifletteva fedelmente la vita e lo spirito di questa comunità cristiana.
Secondo La Vanguardia, i ricercatori collegano l’iscrizione al brano del Vangelo di San Giovanni (6,35): «Io sono il pane della vita». Questa scoperta, quindi, introduce un nuovo contesto archeologico a una delle metafore più profonde della fede cristiana.
Il team di archeologi prevede di condurre analisi chimiche e botaniche per determinare quali tipi di cereali e lieviti siano stati utilizzati nella preparazione del pane. Stanno anche cercando di stabilire se si trattasse di pane eucaristico, utilizzato nelle celebrazioni liturgiche, o di pane benedetto distribuito ai fedeli.
Va ricordato che il cristianesimo orientale utilizza, per la maggior parte delle chiese o dei riti, pane lievitato, non pane azzimo. Ma va anche notato che il pane antidoron, benedetto, ma non consacrato, veniva distribuito ai fedeli alla fine della messa, come talvolta avviene ancora con il pane benedetto.
Inoltre, sperano di individuare una cappella vicina che sarebbe stata utilizzata per conservare i pani prima dell’uso. «La conservazione del pane liturgico del VII o VIII secolo è estremamente rara. I pani di Topraktepe offrono quindi una finestra unica sul culto cristiano primitivo», ha concluso il team di ricerca.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine screenshot da YouTube
Droga
La mafia ebraica, quella siciliana e il traffico di droga USA nel periodo interbellico
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Droga
Alla fonte dell’antico traffico mondiale dell’eroina
Alfred W. McCoy pubblicò nel 1972 The Politics of Heroin in Southeast Asia, un libro che diede scalpore e che venne ampiamente discusso alla sua uscita anche dalla stessa CIA, in cerca di potenziali errori al suo interno.
L’ultima edizione riveduta e ampliata risale al 2003 e venne rinominata, più accuratamente, The politics of heroin: CIA complicity in the global drug trade. McCoy storico accademico e autore, si specializzò inizialmente in storia delle Filippine per poi deviare verso la storia del traffico illecito di sostanze stupefacenti.
All’uscita del libro nel 1972, a 26 anni ancora dottorando a Yale in Storia del Sud-Est Asiatico, accusò e testimoniò di fronte a un comitato del Senato statunitense la complicità di un gruppo di persone per la produzione e la ridistribuzione della raffinazione del papavero da oppio.
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In una copia del Daytona Beach Morning Journal del primo giugno del 1972, possiamo trovare riassunti tutti i punti portati da McCoy davanti al comitato. Le accuse di McCoy comprendevano la più alte sfere militari laotiane, cambogiane, sud vietnamite e tailandesi. Alcuni intermediari come la mafia corsa di Marsiglia e la famiglia malavitosa di Santo Trafficante di Miami. Infine accusò ufficiali americani complici di aver condonato e addirittura cooperato per sostenere questo schema di tratta illegale di stupefacenti in seguito a vantaggi politici e militari.
La pronta risposta dalle istituzioni americane chiamate in causa non tardò ad arrivare commentando con fermezza che le accuse lanciate non avevano incontrato alcun riscontro e neppure alcuna prova di colpevolezza. Al contrario, sottolineavano, come se non fossero bastate già le accuse, che la collaborazione con le più alte sfere politiche e militari del Sud-Est asiatico non era mai stato così solida.
McCoy spiegava come il traffico di eroina e oppio in Vietnam del Sud era diviso tra le organizzazioni politiche del presidente Nguyen Van Thieu, il vice presidente Nguyen Cao Ky a il primo ministro Tran Van Khiem. Secondo l’autore, la sorella del generale Ky, la signora Nguyen The Ly, viaggiava una volta al mese a Vientiane, la capitale del Laos, per organizzare una spedizione di eroina verso Phnom Pehn o Pakse in Cambogia. Successivamente sarebbe stata presa in carico dalla quinta divisione aerea vietnamita in direzione Saigon.
Lo studioso descriveva come il primo fornitore della signora Ky fosse un malavitoso cinese chiamato Huu Tim Heng il quale a sua volta utilizzava la sua partecipazione nell’industria di imbottigliamento di Pepsi di Vientiane come copertura per l’importazione dei prodotti chimici necessari. Heng a sua volta comprava l’oppio dal generale Ouane Rattikone chief of staff del reale esercito del Laos.
Lo storico ricordava come il generale Rattikone aveva ammesso di controllare il commercio di oppio nel Laos settentrionale e ponentino fin dal 1962 ma oltre a questo anche i sistemi per la sua produzione. La somma delle due iniziative lo facevano risultare come il più grande fabbricante del paese. L’eroina prodotta da Rattikone era di tale qualità che veniva venduta direttamente anche alle truppe americane nel Vietnam del Sud.
McCoy spiega come la maggioranza del traffico di oppio nel Laos del nordest era controllato dal generale Vang Pao, comandante delle truppe mercenarie sostenute dalla CIA. Allo stesso modo il governo della Tailandia permetteva ai ribelli birmani, ai nazionalisti cinesi irregolari e alle bande armate di mercenari, di muovere enormi carovane di muli carichi con centinaia di tonnellate di oppio birmano attraverso i confini della Tailandia settentrionale. Secondo l’accusatore, alcuni tra i più vicini sostenitori del presidente Thieu all’interno dell’esercito vietnamita controllavano la distribuzione e la vendita dell’eroina ai soldati americani di stanza in Indocina.
L’autore racconta come Santo Trafficante, principale rappresentante della sua famiglia mafiosa, organizzò assieme ai più importanti membri della cosca corsa di Marsiglia un incontrò a Saigon per aprire sempre più le strade all’eroina del Sud-Est asiatico verso le terre americane.
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Le dichiarazioni dello studioso andavano anche verso il generale Dang Van Quang, consigliere militare del presidente Thieu, inquadrato come il più importante pusher di tutto il Vietnam meridionale. Secondo alcuni ufficiali americani, il generale Ugo Dzu, risultava come uno dei maggiori trafficanti di narcotici di tutto il Vietnam centrale. Secondo il libro, il generale, comandante della seconda armata, venne rimosso successivamente dal suo incarico per incompetenza militare.
McCoy, non risparmiando nessuno, continua accusando anche le ambasciate americane in Indocina di tentare di coprire il più possibile il ruolo dei degli ufficiali locali palesemente implicati nella tratta di eroina. Secondo lo storico, McMurtrie Godley, ambasciatore statunitense in Laos, fece del suo meglio per prevenire l’assegnazione di ufficiali del U.S. Bureau of Narcotics al Laos per via del suo interesse nel continuare a cooperare con il governo e i militari laotiani.
Per chiudere con uno degli esempi più famosi e ritratti anche da un celeberrimo film con Mel Gibson e Robert Downey jr., nel Laos del Nord, i velivoli e gli elicotteri della Air America affittati dalla CIA trasportavano regolarmente oppio coltivato dai mercenari al soldo dell’agenzia.
Nell’articolo apparso sul New York Times del 9 agosto del 1972 possiamo scoprire come Harper & Row, Inc., la casa editrice, decise comunque di pubblicare il testo del giovane studioso nonostante le forti lamentele provenienti dall’agenzia.
Lawrence D. Houston, responsabile legale della CIA, richiese una copia per sua personale lettura precedente alla pubblicazione. B. Brooks Thomas, vice presidente e responsabile legale della società editrice, rispose che le accuse arrivate in seguito al controllo del testo si erano rivelate generaliste e anche abbastanza deludenti.
In un intervista successiva McCoy sottolineò quanto fosse stupito dalla disparità intercorsa tra la iniziale roboante, militante critica della CIA sul libro e la lettera finale che si era rivelata essere molto debole al limite del patetico.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine di D Guisinger via Wikimedia pubblicata su licenza Creaative Commons Attribution 2.0 Generic
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