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Economia

Proposta di separazione bancaria in Italia: ne abbiamo bisogno

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Il capogruppo parlamentare di Fratelli d’Italia Tommaso Foti ha depositato un disegno di legge per istituire una separazione bancaria di tipo Glass-Steagall.

 

La legge americana chiamata Glass-Steagall Act (dai nomi dei senatori che la presentarono) fu introdotta nel 1932, dopo il grande crack del 1929 che causò la Grande Depressione in USA e nel mondo, per separare le banche commerciali e di investimento, tenendo così di fatto i danari dei risparmiatori lontani dalle speculazioni finanziarie.

 

Il DDL è co-patrocinato da Foti e da 14 deputati di FdI, tra cui l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Tremonti aveva patrocinato disegni di legge simile in passato.

 

Si tratta di una proposta che ciclicamente torna, senza mai trovare realizzazione. Tuttavia, bisogna sottolineare che si tratterebbe di una riforma fondamentale, un atto necessario per mettere i cittadini al riparo dalla rapace speculazione bancario-finanziaria che ha disintegrato i risparmi di tantissimi, come si è visto nei vari crack delle popolari.

 

Il quadro politico non è chiarissimo. Foti parrebbe aver agito indipendentemente dalla sua compagna di partito e premier del Paese Giorgia Meloni, sebbene la stessa Meloni avesse anche sponsorizzato un disegno di legge sulla separazione bancaria nel 2018.

 

«Le iniziative parlamentari sono distinte da quelle del governo», ha detto Foti all’agenzia Reuters, secondo cui il disegno di legge darebbe alle banche 12 mesi per riorganizzare le loro operazioni e scegliere tra attività di investimento commerciale e finanziario.

 

Il disegno di legge di Foti dovrebbe costituire una modifica dell’art. 10 del Testo Unico Bancario e del Credito, il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, per la separazione tra banche commerciali e banche di investimento (1016).

 

Il Testo Unico del 1993 è il famigerato decreto Draghi-Amato, che ha eliminato la regolamentazione bancaria italiana stabilita nel 1936, non diversamente dal Glass-Steagall Act statunitense del 1933.

 

La Camera dei Deputati non ha ancora reso disponibile il testo definitivo del disegno di legge, ma secondo indiscrezioni di stampa è simile a quelli proposti in precedenza.

 

Nel frattempo, di introduzione del Glass-Steagall si parla anche in Svizzera e in Germania, Paesi martoriati dalle ramificazioni del crack della Silicon Vally Bank.

 

Il giornale tedesco Handelsblatt ha sottolineato questa settimana che in base al sistema di separazione bancaria, basato sull’originale Glass-Steagall Act degli Stati Uniti, le banche di investimento sarebbero separate dalle banche commerciali e quindi non avrebbero più accesso ai depositi con cui speculare. Il quotidiano rileva che i critici della crisi finanziaria globale del 2008 incolpano l’abrogazione di Glass-Steagall nel 1999.

 

Il 27 marzo, anche il quotidiano zurighese Neue Zürcher Zeitung si è lanciato contro la separazione, però ammettendo che «la soluzione più ovvia, che ora viene nuovamente spinta dalla sinistra, ma sta guadagnando sostenitori anche tra la borghesia, è quella di dividere le grandi banche. Una parte ospiterebbe l’investment banking “rischioso”, come il commercio di azioni, obbligazioni e derivati. L’altra parte si concentrerebbe sulle “noiose” attività di deposito e credito, come le banche cantonali o le banche Raiffeisen [il terzo Gruppo bancario in Svizzera leader nel settore delle banche retail, ndr]».

 

«Tale ordine ha un modello storico: il cosiddetto sistema di separazione bancaria è stato introdotto negli Stati Uniti nel 1933, e quindi, pochi anni dopo la Grande Depressione, con il Glass-Steagall Act, ma è stato abrogato nel 1999 sotto il presidente Bill Clinton» scrive il giornale elvetico.

 

L’Italia, e il mondo intero, oggi più che mai hanno bisogno del Glass-Steagall. Sarebbe una cosa buona che, finalmente, viene dal nostro governo.

 

Si respira però un certo scetticismo generale.

 

«Di solito presentare proposte di legge non concordate non è il modo migliore per portarle a termine, ciononostante appoggerò senz’altro la proposta, storico punto di programma della Lega che già altre volte ha presentato proposte analoghe sulla base della Glass-Steagall» ha scritto su Twitter Claudio Borghi.

 

 

Quindi, mandano avanti la Glass-Steagall in Parlamento proprio per affossarla facendo finta di aver fatto qualcosa?

 

O possiamo sperare questa riforma necessaria per salvarci dagli squali internazionali pronti a piombare sul risparmio italiano?

 

 

 

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Cina

La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale

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Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.

 

Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.

 

Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.

 

«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».

 

Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.

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Economia

Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros

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Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.   L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.   L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.

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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».   Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.   La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.   Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.   Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».

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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.   L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.   Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.

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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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Economia

L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo

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Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.

 

A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.

 

Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.

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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.

 

Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.

 

Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.

 

Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».

 

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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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