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Geopolitica

378° giorno di guerra

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– Attacco missilistico: colpiti impianti energetici nelle regioni di Kiev, Nikolaev, Kharkov, Zaporozhye, Odessa, Dnipropetrovsk e Zhytomyr. Lo riferisce il ministero dell’energia ucraino.

 

– Ministero della sicurezza della repubblica di Transnistria: É stato sventato un attentato al presidente della repubblica Krasnoselsky, i sospettati sono arrestati. L’attentato a Krasnoselsky è stato pianificato dalla SBU (Servizio di sicurezza ucraino).

 

– Prigozhin: Le unità Wagner occupano l’intera parte orientale di Artyomovsk (Bakhmut). In particolare, l’intero territorio a est del fiume Bakhmutka è sotto il loro controllo.

 

– Kadyrov dice che le forze cecene impegnate in Ucraina hanno sviluppato un proprio modello di drone kamikaze.

 

– Combattimenti a Ugledar

 

– Il disegno di legge sugli agenti stranieri che ha provocato proteste in Georgia è stato ritirato dal Parlamento.

 

– Il ministro della Difesa polacco Blaszczak ha annunciato l’arrivo dei sistemi di difesa aerea Patriot in Ucraina

 

– Immagini dell’artiglieria russa fuori di Krasnogorovka, a nord di Avdiika

 

– Il governo dell’Ucraina alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha chiesto agli Stati Uniti bombe a grappolo. Secondo Reuters non è ancora noto se la richiesta verrà accolta dalla Casa Bianca.

 

Die Zeit: gli investigatori tedeschi avrebbero una pista nelle indagini sui responsabili del sabotaggio al Nord Stream: sei persone che avrebbero agito noleggiando uno yacht nella città di Rostock a nome di una società polacca intestata a due ucraini.

 

Reuters: gli accordi russo cinesi in base ai quali il petrolio russo viene scambiato nelle valute nazionali colpisce il predominio del dollaro come mezzo di scambio internazionale.

 

– I ministri della difesa e degli esteri tedesco, in relazione allo «scoop» del NYT sul Nord Stream, dicono che è presto per commenti, bisogna aspettare la fine delle indagini e (Pistorius) anche se gli autori del sabotaggio fossero ucraini poterebbe essere una false flag russa.

 

– Centinaia di grandi clienti cinesi hanno smesso di tenere i loro soldi nelle banche svizzere dopo che la Svizzera ha rinunciato alla sua neutralità e ha imposto sanzioni contro la Russia. Gli uomini d’affari temono semplicemente per la sicurezza dei loro beni. «Siamo rimasti non solo sorpresi, ma scioccati dal fatto che la Svizzera abbia abbandonato il suo status neutrale», ha detto a FT uno dei dirigenti che sovrintende alle operazioni asiatiche della sua banca.

 

– Combattenti Wagner nel villaggio di Dubovo-Vasilvka, direzione Bakhmut.

 

– Ursula Von der Leyen ha affermato che l’Unione europea ha superato la dipendenza dal gas e dal petrolio russi. «La dipendenza dell’Europa dalle forniture russe di petrolio e gas è ormai nel passato», ha affermato durante una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. In otto mesi la Russia ha ridotto le esportazioni di gas verso l’Europa dell’80 per cento. Tuttavia, l’UE è stata in grado di compensare questo «grazie a un duro lavoro». La Von der Leyen ha detto che gli alleati hanno aiutato l’Europa. «Naturalmente, buoni amici, come gli Stati Uniti e la Norvegia, ci hanno aiutato, che ci hanno sostenuto con forniture di gas liquefatto».

 

– Sky News: L’Iran avrebbe fornito segretamente munizioni alla Russia. La fonte afferma che due navi mercantili battenti bandiera russa lasciarono un porto iraniano a gennaio, dirette in Russia attraverso il Mar Caspio, trasportando circa 100 milioni di proiettili e circa 300.000 granate.

 

– EurActiv: i ministri della difesa della UE in una riunione mercoledì a Stoccolma intendono discutere informalmente i piani per l’acquisto congiunto di munizioni. Il piano prevede l’uso di fondi comuni per un miliardo di euro per fornire immediatamente proiettili di artiglieria da 155 mm all’Ucraina. Si propone inoltre di concludere un accordo congiunto sull’acquisto di munizioni da 155 millimetri da parte dei dipartimenti della difesa. I funzionari della UE stimano che le truppe ucraine utilizzino fino a 7.000 proiettili al giorno, mentre la Russia ne spara circa 50.000. Il piano, a cura di Josep Borrel, dovrebbe essere approvato questo mese.

 

– Xi Jinping al Congresso Nazionale del Popolo cinese a Pechino: «i Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno usato una politica di accerchiamento, contenimento e repressione contro di noi, creando sfide senza precedenti per lo sviluppo del nostro Paese». Forse è una delle dichiarazioni anti-occidentali più dure e schiette da parte della leadership politica cinese in molti decenni, data la sua tradizionale cautela e prudenza.

 

– Impianto termoelettrico di Kiev in fumo

 

– L’Ucraina sta già utilizzando bombe di precisione americane JDAM-ER, scrive The War Zone citando il comandante dell’aeronautica americana in Europa e in Africa, James Hecker. Secondo Hecker, il trasferimento delle munizioni è avvenuto, probabilmente, nelle ultime tre settimane.

 

The Economist: l’Ucraina si sta chiaramente preparando per una grande offensiva. Il flusso di armi occidentali verso l’Ucraina si è trasformato da rivoletto in fiume. Di tutti gli aiuti militari promessi dal Pentagono dall’inizio della guerra, il 40% —più di 8 miliardi di dollari— è arrivato negli ultimi tre mesi. Le consegne di armi, concordate in Germania solo nel gennaio 2023, rappresentano i due terzi del totale inviato in Ucraina in tutto il 2022. Invece di gettare riserve significative a Bakhmut per salvare la città, che ha un significato molto più simbolico che militare, Zaluzhny ha inviato truppe all’estero per addestramento.

 

– Lukashenko ha annunciato l’arresto in Bielorussia di un agente dei servizi speciali ucraini e dei suoi complici coinvolti in un tentativo di sabotare l’aereo A-50 all’aeroporto di Machulishchi. «Il terrorista era preparato. È russo, con passaporto russo, ha anche il passaporto ucraino. Nato a Krivoy Rog, vissuto in Crimea. È stato reclutato dai servizi speciali dell’Ucraina nel 2014».

 

– Il governo del Kazakistan ha trasferito le quote nelle tre imprese di uranio alla Uranium One Group, che fa parte della società statale russa Rosatom. Al termine dell’operazione, la Russia diventerà il più grande fornitore di uranio al mondo.

 

– Video dei combattimenti dei paracadutisti russi

 

 

 

 

 

Rassegna tratta dal canale Telegram La mia Russia e Intel Slava Z.

 

 

 

 

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Geopolitica

Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

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Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.

 

In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».

 

Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.

 

Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.

 

L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.

 

«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».

 

Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».

 

Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.

 

«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato

 

Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.

 

L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.

 

Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.

 

Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

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Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.   Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.   Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».   La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.   Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.   Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.   The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».   Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.   La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.   Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.   Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.

 

Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.

 

«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.

 

Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.

 

L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.

 

La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.

 

Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.

 

Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.

 

Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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