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Il Silmarillion di J.R.R. Tolkien
John Ronald Tolkien è ormai un classico della Letteratura del ‘900, e Il Signore degli Anelli è il suo capolavoro che da quasi 70 anni ha conquista il cuore di generazioni di lettori.
Tuttavia, c’è un’altra opera di Tolkien che non può non essere conosciuta da coloro che si sono appassionati alle vicende degli Hobbit e del conflitto con Sauron: Il Silmarillion (Bompiani 2004). Un’opera apparsa soltanto dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel 1973.
Fu il figlio Christopher a dare una veste editoriale a quei racconti a cui Tolkien aveva lavorato per tutta la vita, pubblicati col titolo Il Silmarillion. Considerata dal figlio dell’autore Christopher Tolkien l’opera primaria, fondamentale e centrale del padre, è stata forse anche quella più amata dal suo autore; rappresenta un vero e proprio corpus mitologico, o legendarium, ideato come cuore dell’universo tolkieniano.
Il libro è strutturato in cinque parti. La prima, «Ainulindalë» (la Musica degli Ainur), riferisce della creazione di Eä, il «Mondo che è».
La seconda parte, «Valaquenta», riporta la descrizione dei Valar, le «Potenze del Mondo», e dei Maiar.
La terza sezione, «Quenta Silmarillion», riguarda gli eventi prima e nel corso della Prima Era, incluse le guerre per i Silmaril, che sono dei gioielli che danno il nome all’opera stessa. Erano degli oggetti dall’immensa bellezza e perfezione creati quando il mondo era giovane e non ancora rovinato dalla corruzione. In essi era racchiusa la luce dei due Alberi di Valinor, il luogo dove risiedevano le prime creature angeliche uscite dalla potenza creativa divina.
La quarta parte, «Akallabêth», concerne gli avvenimenti legati alla Caduta di Númenor e del suo popolo durante la Seconda Era.
L’opera si chiude con una parte intitolata «Degli Anelli del Potere e della Terza Era», in cui vengono riassunti gli eventi della Seconda e Terza Era dei quali sono protagonisti gli Anelli del Potere: questo racconto narra gli avvenimenti accaduti prima dello Hobbit.
Il Silmarillion è dunque la storia delle prime ere del mondo, fino alle vicende della Guerra dell’Anello, e il lettore troverà una serie di spiegazioni a quanto già incontrato nelle opere più celebri di Tolkien, ma non solo: si imbatterà in una serie di narrazioni dal grande respiro epico, una guerra iniziata agli albori del tempo.
Per chi incredibilmente non avesse colto nel Signore degli Anelli lo straordinario spessore religioso del suo autore, davanti agli scenari del Silmarillion non potranno più esserci dubbi. Questa è infatti l’opera di un uomo profondamente religioso, e dove sono presenti, profondamente meditate, problematiche di tipo sacro.
Non c’è un Dio palesemente cristiano, certo, ma l’universo di Tolkien è volutamente pre-cristiano, e Dio è un dio nascosto. Egli ha creato il mondo, lo ha riempito di creature, e quindi è rimasto celato. Non c’è la Rivelazione e questo determina l’atmosfera dei racconti che è essenzialmente di nostalgia: gli Elfi, i primogeniti di Dio, sono le creature che più profondamente avvertono questo desiderio di ritorno alle origini, alla Terra oltre l’estremo occidente da cui sanno di provenire. Dio non è adorato, nei racconti tolkieniani, non gli è reso omaggio, non è oggetto di culto, ma è ricercato, bramato con un sentimento struggente e malinconico.
All’Origine tendono gli Elfi, creature immortali, all’Origine tendono gli uomini dei regni numenoreani. Chi per sfuggire alla propria inevitabile sorte, chi per riassaporare la bellezza e la perfezione primordiale.
Sul cammino di questa ricerca c’è – inesorabilmente – il male, ossia la menzogna, l’invidia, la divisione. Satana – colui che separa – è il tentatore nelle vesti di Melkor o di Sauron, suo servitore. Il male in Tolkien, che è ben lontano da una visione manichea della realtà, è assenza di bene, è l’ombra, la mancanza di luce. Mordor era stata definita la «terra nera», dominata dall’oscurità dei colori, dove domina l’ombra tenebrosa.
Tolkien usa frequentemente la parola shadow, ombra, appunto. Nel Signore degli Anelli si fa frequentemente riferimento all’ombra, tanto che Sauron stesso viene definito in tale modo.
Nel Silmarillion invece la negazione, l’assenza del bene, l’iniquità sono l’espressione – resa con impareggiabile maestria – del tema della Caduta, un dramma che colpisce il mondo degli uomini.
Il Silmarillion è la storia del mondo fin dagli inizi, e si apre con una vera e propria Genesi, dove Dio, chiamato Ilùvatar, che significa «il padre di tutto», da inizio alla Creazione, come realtà buona. Ma poi si fa strada il male, rappresentato dalla potenza luciferina di Melkor, che non è una divinità malvagia, ma un angelo ribelle, inferiore in tutto al suo creatore, Iluvatar. Egli non può creare, perché questa è una prerogativa esclusiva di Dio, ma può sforzarsi di corrompere, di pervertire, di distruggere ciò che Dio ha creato, e ciò che Egli ama, poiché è divorato e mosso all’azione da un’invidia radicale per Dio.
Inizia così un lungo tempo di conflitti, di ascese di regni e di cadute di altri, che vedono come protagonisti creature fantastiche, ma anche semplici esseri umani, come l’eroe Beren, modello per le virtù degli eroi tolkieniani delle altre saghe, come quella dell’Anello, e gli elfi.
Dietro a queste storie, dietro all’amore dell’elficità, traspare la concezione tolkieniana della bellezza, che è segno visibile della grazia, a sua volta riflesso di una più grande Grazia.
Nel mondo non c’è solo il male, la paura, l’orrore: ci sono anche la bellezza e il bene, che trovano la loro origine e la loro consistenza in Dio.
Il Silmarillion è dunque una narrazione esemplare, la storia di tutte le storie. Un affresco straordinario della condizione umana.
Paolo Gulisano
Articolo previamente apparso su Ricognizioni
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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix
Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.
Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».
«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.
Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.
Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA
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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa
La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.
L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.
È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.
Amazon had digitally removed all of the guns from James Bond movie art.
Next … they will probably eliminate any scenes from the movies with guns.
Ridiculous. pic.twitter.com/PdMgKIKY2e
— Wall Street Mav (@WallStreetMav) October 3, 2025
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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).
Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.
Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.
Notice in these Amazon #JamesBond digital posters they’ve removed all the guns and given awkward poses?
Welcome to a world where promoting James Bond 007 needs to be done without his sidearm. pic.twitter.com/3NGkxXShcn
— Chris (@GelNerd) October 2, 2025
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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.
Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.
La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.
In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della serie, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.
No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.
La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.
Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.
Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.
Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.
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Immagine da Twitter
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