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Spirito

Sermone del patriarca Kirill: i ricchi devono condividere o percorreranno la strada per l’inferno

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Renovatio 21 pubblica il sermone di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ Cirillo tenuto il 4 settembre 2022, domenica XII dopo la Pentecoste dopo aver celebrato la Divina Liturgia presso la Cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca

 

 

 

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del Santo Spirito!

 

Il Vangelo di oggi (Mt 19,16-26) contiene la storia del giovane ricco.

 

Un giovane ricco si avvicina a Cristo e gli chiede: «Maestro, cosa devo fare per essere salvato?» Il Signore gli elenca i comandamenti, a cui il giovane replica: «Faccio tutto questo fin dalla mia giovinezza, vivo secondo questi comandament». E poi, sapendo che il giovane è ricco, il Signore gli dice: «Se vuoi essere perfetto, non solo essere salvato, ma essere perfetto (e il giovane pensava a questa perfezione quando chiese al Salvatore cos’altro bisogna fare), va’, vendi i tuoi averi, da’ tutto ai poveri e vieni con me; e avrai un tesoro nel cielo».

 

E il giovane si allontanò addolorato, rendendosi conto che non riusciva a sbarazzarsi del patrimonio, che probabilmente aveva ricevuto dai suoi ricchi genitori e in cui lui stesso, forse, aveva investito per accrescerlo. Come sarebbe possibile andare a darlo ai poveri?! E non poteva, dunque, né comprendere appieno le parole del Salvatore, né tantomeno agire secondo esse.

 

Ma questa storia del giovane ricco non è solo legata ai ricchi. La ricchezza è un concetto relativo. Ciò che è ricchezza per la maggior parte di noi, non è ricchezza per i ricchi, ed è addirittura povertà per i super ricchi.

 

La situazione finanziaria di una persona è sempre relativa, perché è determinata non solo dalla disponibilità di risorse materiali, ma anche da molte altre circostanze. E perciò, a volte, è difficile per un ricco capire se lo sia o meno, perché il vicino che sta dietro la staccionata è magari ancora più ricco; e la ricchezza del prossimo può opprimere una persona peggio di ogni povertà.

 

Da ciò ne consegue che la ricchezza in sé non è una garanzia della felicità umana; ed è per questo che il Signore ha detto: «Se vuoi essere perfetto (cioè non solo ottenere la salvezza, ma anche raggiungere personalmente le altezze spirituali), allora in relazione a te, giovane ricco, devi fare la cosa più importante: va’ e regala la tua proprietà; e allora sarai perfetto».

 

In questo racconto evangelico vengono trattati due problemi che l’uomo incontra molto spesso. In primo luogo, qui, indubbiamente, anche se implicitamente, viene toccato il tema dell’atteggiamento della persona nei confronti della vita.

 

Se una persona guarda il mondo intorno a sé attraverso il desiderio di ottenere forza e potere (dopotutto, la ricchezza dà una certa forza e la super-ricchezza dà potere), se crede che la vera felicità stia nell’essere al di sopra degli altri, nell’essere diverso da tutti, allora non rinuncerà mai alla ricchezza e, in generale, a qualsiasi opportunità di elevarsi al di sopra degli altri.

 

E quindi, con queste parole, in questo racconto evangelico, il Signore condanna ogni umano che aspira al potere, se questa forza non è altro che un desiderio di essere più alto e più forte degli altri.

 

Ma, oltre a questo, c’è un altro insegnamento dietro questo racconto. Molto spesso, una persona che non ha ciò che vorrebbe avere, prova invidia per gli altri. Per questo dice il Signore: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli».

 

«La cruna dell’ago» era una stretta porta per i pellegrini nelle mura di Gerusalemme, che anche un uomo riusciva a malapena ad attraversare, figurarsi un cammello!

 

E questa immagine era del tutto comprensibile a coloro che ascoltavano il Salvatore: è più facile per un cammello passare attraverso un tale varco nel muro, che per un ricco entrare nel Regno di Dio.

 

Innanzitutto perché i ricchi si mettono al di sopra degli altri e perché i ricchi associano una parte significativa della loro speranza proprio alla ricchezza. E il Signore insegna che la ricchezza è fugace, può scomparire in qualsiasi momento; e allora cosa rimarrà a quella persona?

 

La maggior parte di noi non è così ricca, ma molte persone vogliono diventare ricche e la moderna filosofia della vita economica implica l’accumulo di ricchezza.

 

Molti credono che la ricchezza sia necessariamente benefica e che la ricerca della ricchezza sia il giusto corso della vita. Forse lo potrebbe essere, se solo i ricchi sapessero fare ciò che il ragazzo ricco non è riuscito a fare.

 

Se i ricchi sono in grado di donare una parte significativa dei loro mezzi a chi è nel bisogno, a chi soffre, allora la ricchezza diventa giustificata. E una persona che ha imparato a donare una parte significativa della sua ricchezza a chi è nel bisogno, ricostituirà la sua fortuna, perché il Signore lo aiuterà affinché le sue capacità materiali aiutino altre persone, specialmente quelle che si trovano in una situazione di vita critica.

 

Sappiamo che ci sono persone così ricche, e mi è capitato di incontrarle, che dalla loro ricchezza danno così tanto agli altri, che spesso da essa dipendono la salute e la vita di questi ultimi. Voglia Iddio che i nostri ricchi, nati in un Paese ortodosso e in un modo o nell’altro legati alla Chiesa, ricordino sempre che la giustificazione della ricchezza qui sulla terra si ha quando gli altri smettono di invidiarti, smettono di considerarti un nemico, e questa ricchezza può diventare un bene nella vita futura, solo se adesso serve per il bene di altre persone.

 

Ma questo non vale solo per i ricchi. Ognuno ha qualche mezzo materiale, e anche la più piccola carità verso chi ha un bisogno critico di assistenza materiale può essere comparata al dono della persona più ricca.

 

Perché non si tratta della quantità con cui si dà assistenza, ma del fatto stesso di condividere le proprie risorse con altre persone, che la salute e la vita di questi ultimi spesso dipendono da questo.

 

Dio non voglia che i nostri ricchi, nati in un Paese ortodosso e in un modo o nell’altro legati alla Chiesa, ricordino sempre che la giustificazione della ricchezza qui sulla terra si esprime nel fatto che smettono di invidiarti, smettono di considerarti un nemico, e nel prossimo secolo questa ricchezza può essere trasformata in bene se serve il bene di altre persone. Ma questo non vale solo per i ricchi.

 

Ognuno ha una sorta di mezzo materiale, e anche la più piccola carità verso qualcuno che ha un bisogno critico di assistenza materiale può essere commisurata al dono della persona più ricca. Perché non si tratta della quantità di assistenza, ma del fatto stesso di condividere le proprie risorse con altre persone e la salute e la vita di questi ultimi spesso dipendono da questo.

 

Ma questo non vale solo per i ricchi. Ognuno ha una sorta di mezzo materiale, e anche la più piccola carità verso qualcuno che ha un bisogno critico di assistenza materiale può essere commisurata al dono della persona più ricca. Perché non si tratta della quantità di assistenza, ma del fatto stesso di condividere le proprie risorse con altre persone.

 

Questo è ciò che ci insegna questa storia del giovane ricco che non era in grado di rinunciare al suo modo di vivere, alla sua ricchezza, per seguire Cristo.

 

Il giovane credeva nel Signore, perché altrimenti non si sarebbe rivolto a Lui, voleva seguirlo, ma la principale richiesta che il Salvatore gli rivolgeva – devolvere i suoi beni e seguire un altro percorso di vita – si rivelò impossibile per lui.

 

Ancora una volta, traducendo questo racconto evangelico nel linguaggio della nostra quotidianità, vorrei dire che non tutti hanno molto denaro, ma il problema non sta tanto nella disponibilità di denaro, né nella sua quantità, ma nel rapporto che abbiamo con questo. Se una persona non è in grado di aiutare gli altri pur avendo una grande quantità di denaro, questa per lui è la strada per l’inferno e non c’è null’altro da dire.

 

Se un ricco non vede il dolore del prossimo, non lo aiuta, allora questa è la via che allontana da Dio, da Cristo e dal suo Regno.

 

Spesso persone così ricche sono circondate sia dall’invidia che dalla malizia: è sufficiente ricordare gli eventi rivoluzionari nel nostro Paese.

 

Una tale persona non sarà circondata dal rispetto, per non parlare dell’amore, in questo mondo, e nell’altro sarà punita dal Signore. Pertanto, la disponibilità di risorse materiali è anche una responsabilità per una persona ricca durante la sua vita terrena, che, naturalmente, è collegata alla vita eterna.

 

È difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio, è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago. E poiché il benessere materiale aumenta in molti Paesi, anche a poco a poco, e nel nostro Paese molto sta cambiando davanti ai nostri occhi, ogni persona che inizia a ricevere più denaro di quello che ha ricevuto prima, e più di quello di cui ha bisogno per sé stesso, deve ricordare queste parole del Vangelo.

 

Dopotutto, la cosa più importante è guadagnare il Regno di Dio, e voglia Iddio che coloro che posseggono i mezzi materiali si ricordino della lettura evangelica di oggi, e compiano buone azioni!

 

Ci tengo a sottolineare ancora una volta: non stiamo parlando solo di ricchi, ma anche di ciascuno di noi.

 

Ognuno è obbligato ad aiutare un altro quando questi si trova in circostanze di vita difficili. Questo è il testamento di Dio, questo è il comandamento di Dio, questa è la condizione della nostra salvezza.

 

Questo è ciò che la Santa Chiesa ci insegna oggi, e Dio conceda a tutti noi di accogliere questa chiamata della Chiesa, queste meravigliose parole salvifiche della legge di Dio, del Vangelo di Cristo, per trovare pace, tranquillità, gioia in questa vita, e il Regno dei Cieli nella vita eterna.

 

Amen.

 

 

Cirillo I

XVI Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, capo della Chiesa ortodossa russa

 

 

Traduzione dal russo di Nicolò Ghigi

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.

 

Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.

 

Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.

 

Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.

 

Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.

 

La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.

 

Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.

 

Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.

 

D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.

 

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.

 

Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.

 

L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.

 

 

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.

 

Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.

 

Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.

 

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.

 

Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.

 

Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.

 

Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.

 

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.

 

Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…

 

L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).

 

Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.

 

Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.

 

Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.

 

Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.

 

E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.

 

Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.

 

Roberto Dal Bosco

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Spirito

Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.      

Israël es tu Rex

Omelia nella festa di Cristo Re

     

Israël es tu Rex, davidis et inclyta proles; nomine qui in Domini, Rex benedicte, venis.

D’Israele Tu sei il Re, di David la nobile prole; Tu che vieni, Re benedetto, nel Nome del Signore.

Teodolfo di Orléans, Inno Gloria laus et honor.

 

Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.

 

La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.

 

Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.

 

L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.

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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.

 

Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.

 

Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.

 

Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.

 

La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.

 

Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.

 

Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.

 

Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.

 

Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.

 

Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.

 

Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.

 

Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.

 

E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.

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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:

 

O Christe, Princeps Pacifer, Mentes rebelles subjice: Tuoque amore devios, Ovile in unum congrega.

 

O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

26 Ottobre MMXXV D.N.J.C. Regis Dominica XX post Pent., ultima Octobris

    NOTE 1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965. 2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972. 3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.

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Fraternità San Pio X: ingressi al Seminario 2025

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L’ingresso al seminario della Fraternità inizia a settembre nell’emisfero settentrionale, mentre nell’emisfero meridionale, presso il Seminario Nuestra Señora Corredentora situato a La Reja, in Argentina, ha luogo all’inizio di marzo. Un articolo recente è già stato dedicato all’ingresso a Flavigny.

 

Il Seminario Herz Jesu – Seminario del Sacro Cuore – è lieto di accogliere nove nuovi seminaristi. Dopo aver trascorso una settimana a Jaidhof, in Austria, per il ritiro di rientro, i seminaristi sono finalmente arrivati. Sono stati accolti con la celebrazione della Solennità di San Pio X, come ogni anno.

 

Per quanto riguarda la provenienza dei nuovi arrivati, i paesi di lingua tedesca possono rallegrarsi. Mentre l’anno scorso a Zaitzkofen non erano arrivati ​​tedeschi, quest’anno ce ne sono quattro. Con due svizzeri, il seminario ha di nuovo tra le sue fila dei cittadini della Confederazione. Due polacchi e uno sloveno completano questo nuovo anno di spiritualità.

 

All’inizio di quest’anno accademico, il seminario conta un totale di 54 seminaristi, superando di uno il record dell’anno scorso. Con un’età media di soli 21,9 anni, il primo anno contribuirà a un notevole ringiovanimento della comunità seminaristica.

 

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