Economia
Il Pakistan tratta con i terroristi e con il Fondo monetario internazionale per evitare il default

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il nodo del debito per il governo Sharif. Continua però l’opposizione condotta con manifestazioni di piazza da parte dell’ex premier Imran Khan. In parallelo è stato firmato l’ennesimo cessate il fuoco con i talebani pakistani, che però non porterà a soluzioni di lungo termine.
Il governo pakistano non è in grado di assicurarsi finanziamenti tramite il mercato obbligazionario o le banche commerciali estere, ragione per cui risulta sempre più necessario trovare un accordo con il Fondo monetario internazionale (FMI).
Lo ha dichiarato il 28 maggio il ministro delle Finanze pakistano Miftah Ismail, aggiungendo che «l’Arabia Saudita e altri Paesi sono pronti a concedere prestiti» al Pakistan, ma solo se verrà prima siglata un’intesa con l’istituto di credito.
Secondo le stime del ministero delle Finanze, il Pakistan avrà bisogno di circa 37 miliardi di dollari per il nuovo anno fiscale a partire dal mese prossimo. L’ex ministro Imran Khan aveva ridotto e bloccato i prezzi del petrolio, andando contro le raccomandazioni del FMI, che di conseguenza aveva sospeso un finanziamento da 6 miliardi di dollari.
Il nuovo premier Shehbaz Sharif, entrato in carica ad aprile dopo una mozione di sfiducia nei confronti del precedente esecutivo, oltre ad aver aumentato i prezzi del carburante, ha vietato le importazioni di beni di lusso e alzato i tassi sui prestiti nel tentativo di compiacere i funzionari del FMI e rimpinguare di valuta estera le casse dello Stato per evitare una crisi economico-finanziaria simile a quella dello Sri Lanka.
Salvare il Paese dalla bancarotta resta quindi la principale preoccupazione per il governo ora guidato dalla Lega musulmana del Pakistan (PML-N, dove la «N» indica una delle tante scissioni interne al partito), insediatosi dopo che il mese scorso il Parlamento ha votato la sfiducia nei confronti dell’ex campione di cricket Imran Khan.
L’ex premier, che secondo alcuni analisti ha perso l’appoggio dell’esercito e dei servizi segreti pakistani – considerati i veri fautori della politica estera del Paese – non sembra però intenzionato a mollare la presa: dopo aver inscenato, prima del voto di sfiducia, una falsa congiura internazionale secondo cui erano gli Stati Uniti a volersi sbarazzare di lui, il leader del Movimento per la giustizia del Pakistan (PTI), ha fomentato la sua base elettorale chiedendo ai sostenitori di bloccare le strade e marciare contro il nuovo governo: il 25 maggio è quindi iniziata una «marcia per la libertà», chiamata anche «Azadi March» su ispirazione di quella condotta nel 2014 sempre dal PTI contro il PML-N.
Imran Khan ha lanciato un ultimatum al governo chiedendo elezioni generali entro sei giorni, ma dopo la marcia (durante la quale si sono registrati scontri con la polizia) Khan non ha continuato con il sit-in, previsto per lo stesso giorno: sorprendendo alleati e nemici, tutto d’un tratto ha messo fine alla manifestazione.
Secondo il quotidiano pakistano Dawn pare ci sia stata l’intermediazione da parte di personalità provenienti dai più alti ranghi del Paese per impedire che la situazione degenerasse: un ex presidente della Corte suprema, un importante uomo d’affari e un generale in pensione avrebbero convinto il leader del PTI a porre fine alle proteste assicurando in cambio che a giugno sarebbero state sciolte le assemblee provinciali e indette le elezioni.
La saga non è ancora terminata: Imran Khan nei giorni scorsi si è rivolto alla Corte suprema chiedendo il permesso per una nuova marcia verso Islamabad; non è ancora stata fissata una data, ma il campione di cricket diventato premier, nonostante lo scarso appoggio politico, sembra intenzionato a portare avanti la sua opposizione con le manifestazioni di piazza.
In parallelo sono continuate le trattative del governo con i talebani pakistani (noti con la sigla TTP) per l’ennesimo cessate fuoco che dovrebbe durare fino a metà giugno.
Nei giorni scorsi i «cugini afghani» hanno facilitato una serie di colloqui, che però gli esperti hanno ancora una volta definito fallimentari.
Il nodo da sciogliere resta sempre lo stesso: i TTP – il cui obiettivo è abbattere lo Stato pakistano come gli ex studenti coranici hanno fatto in Afghanistan conquistando Kabul – avanzano richieste che Islamabad non accoglierà mai, tra cui l’imposizione della shari’a (la legge islamica) in alcune aree del Paese, la scissione della regione del Khyber Pakhtunkhwa dalle aree tribali di amministrazione federale (FATA) e il conseguente ritiro delle truppe governative dalla regione.
Per il governo, fare concessioni in questo senso equivarrebbe a cedere i territori tribali al confine con l’Afghanistan ai talebani pakistani, che secondo le stime delle Nazioni unite solo quest’anno hanno condotto 40 attacchi contro lo Stato uccidendo quasi 80 persone.
Al momento, tuttavia, oltre ai ripetuti cessate il fuoco, non è ancora stata trovata un’altra soluzione a lungo termine per la pacificazione dell’area.
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Economia
Importatori indiani pagano petrolio russo in yuan

Le compagnie indiane importatrici di petrolio hanno iniziato a utilizzare lo yuan per pagare direttamente le forniture di greggio russo. Lo riporta The Cradle.
Secondo quanto riportato anche dall’agenzia Reuters, vi sono stati recenti pagamenti in yuan da parte dell’Indian Oil Corporation per «due o tre carichi di petrolio russo». In precedenza, i commercianti dovevano convertire i pagamenti in dirham (Emirati Arabi Uniti) o dollari in yuan, poiché questi ultimi possono essere convertiti direttamente in rubli per pagare i produttori russi.
Ora, secondo «fonti informate» citate da Reuters, si cerca di eliminare questo passaggio costoso. I pagamenti in yuan aumenteranno la disponibilità di petrolio russo per le raffinerie statali indiane, poiché alcuni commercianti russi rifiutavano altre valute.
I commercianti russi e la banca centrale russa si erano opposti all’accumulo di grandi saldi in rupie indiane, derivanti dagli elevati acquisti di petrolio, dato che le esportazioni indiane verso la Russia, pur in crescita in settori come ingegneria e farmaceutica, non bilanciavano le importazioni di greggio.
Questo passaggio ai pagamenti in yuan, di cui non è chiaro il periodo di attuazione, risulta vantaggioso sia per l’India che per la Russia, che necessita di yuan per il commercio con la Cina.
Dato il notevole deficit commerciale dell’India con Russia e Cina, è probabile che la sua Banca Centrale ottenga yuan attraverso una linea di swap con la Banca Popolare Cinese.
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Immagine di KeenHopper via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

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Economia
Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

Konstantin Ganich, noto anche come Kostya Kudo, trader di criptovalute e blogger ucraino di rilievo, è stato rinvenuto morto con una ferita d’arma da fuoco alla testa, in un caso che le autorità di Kiev stanno indagando come presunto suicidio sospetto.
Tra i suoi clienti, secondo la stampa locale, figurerebbero anche funzionari ucraini e «persone influenti».
Venerdì, i mercati globali delle criptovalute hanno registrato uno dei crolli più gravi del 2025, scatenato dall’annuncio del presidente statunitense Donald Trump su nuovi dazi del 100% sulle importazioni dalla Cina.
Sabato mattina, la polizia di Kiev ha trovato un corpo all’interno di un’automobile, con un’arma da fuoco intestata a Ganich, come riportato da vari organi di stampa ucraini. Sebbene le autorità abbiano indicato che la vittima era un «imprenditore e blogger legato al mondo delle criptovalute», non ne hanno divulgato pubblicamente l’identità.
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Le indagini puntano verso l’ipotesi del suicidio, con sospetti che l’uomo «avesse confidato ai familiari il suo stato depressivo causato da problemi finanziari poco prima del decesso, inviando loro un messaggio di addio», secondo quanto riferito dalla testata Unian.
Più tardi, sabato, sul canale Telegram di Ganich è comparso un post che confermava la scomparsa del trentaduenne.
Sempre secondo Unian, citando fonti anonime, durante l’ultimo tracollo del mercato crypto, Ganich avrebbe perso fino a 30 milioni di dollari tra investimenti gestiti e i suoi asset personali. L’agenzia ha inoltre indicato che tra i suoi clienti vi erano presunti funzionari ucraini e «figure influenti» non identificate e legami con l’Intelligence ucraina.
Tuttavia, Unian ha riportato anche il parere di altre fonti anonime che contestano l’ipotesi suicidaria. Alcune di esse sostengono che Ganich fosse stato recentemente vittima di estorsioni da parte delle forze dell’ordine.
Venerdì, Trump ha reso noto che gli Stati Uniti imporranno dazi del 100% sui prodotti cinesi a partire dal 1° novembre 2025, in aggiunta a quelli già esistenti. La misura è stata motivata dai nuovi «controlli aggressivi» imposti da Pechino sulle esportazioni di minerali strategici a duplice uso militare. L’annuncio ha provocato un crollo del mercato delle criptovalute, con perdite stimate dagli analisti in 19,33 miliardi di dollari in posizioni aperte.
Non si tratta del primo giovane investitore di criptovalute morto drammaticamente.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2021 fu trovato affogato al largo del Costa Rica Mircea Popescu, 41 anni, miliardario in Bitcoin. Due anni fa fu accoltellato a morte per strada a San Francisco Bob Lee, dirigente della società cripto MobileCoin.
Vi sono poi i casidi Gerald Cotten, fondatore di QuadrigaCX, deceduto in India in un ospedale indiano nel 2019 (dove gli erano stati diagnosticati shock settico, perforazione, peritonite e ostruzione intestinale) lasciando bloccati 250 milioni di dollari in Bitcoin, o Nikolai Mushegian, annegato nel 2022 dopo tweet su complotti CIA – un fatto che ha favorito le teorie del complotto sulla sua morte.
Nel 2022 sono morti in circostanze sospette iboss crypto Tiantian Kullander (deceduto nel sonno a 30 anni ) nel sonno e Vjacheslav Taran, 53 anni, co-fondatore della piattaforma di trading e investimenti Libertex, è morto dopo che il suo elicottero si è misteriosamente schiantato in una località turistica vicino a Monaco.
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