Politica
CDU, la democrazia cristiana tedesca vuole togliere la parola «cristiana» dal suo nome. Come è naturale che sia

Il partito politico tedesco CDU – per esteso Christlich Demokratische Union Deutschland, «Unione Cristiano-Democratica di Germania» – sta valutando la possibilità di eliminare la parola «cristiano» dal suo nome per fare appello a una fascia demografica più diversificata.
Il partito democristiano tedesco, che è stato al potere per 16 anni prima delle elezioni dello scorso anno, è preoccupato che la parola gli impedisca di attirare membri non cristiani.
Ciò si basa sulle preoccupazioni relative al calo della fiducia nella Chiesa e allo scandalo dei pedofili cattolici, di cui un ultimo schizzo ha colpito pure papa Ratzinger.
Come riporta Summit News, una simile mossa non sarebbe senza precedenti in Europa, dato che il Partito Popolare Democratico Cristiano in Svizzera si chiama ora «Alleanza del Centro».
Il rebranding ateizzante del principale partito tedesco, al fine di inglobare immigrati musulmani e giovani che non hanno mai sentito parlare del Cristianesimo (neanche a scuola, anzi soprattutto non là), arriva quando la CDU già si è resa protagonista di attacchi a partiti esplicitamente cristianisti come l’ungherese Fidesz.
La CDU della Merkel in questi anni si è poi resa protagonista dell’apertura dei confini alle orde di immigrati che hanno travolto la Germania (con le conseguenze che conosciamo, come ad esempio, le molestie al capodanno di Colonia, ora replicatesi a Milano) e l’Europa.
Come riportato da Renovatio 21, un altro grande partito del Bundestag, i Verdi ora al governo con Olaf Scholz detto Scholzomat, l’anno passato hanno ragionato per togliere la parola «Germania» dal nome ufficiale.
«La politica verde dovrebbe essere basata sulla dignità umana e sulla libertà in un mondo globalizzato. E non sulla Germania» dissero al congresso.
Ora sono al governo in… Germania.
Il destino della CDU è quello di tutte le democrazie cristiane del mondo – in primis quella italiana. Il concetto di «democrazia cristiana» era praticamente inaudito, o non digeribile per le società europee, perché il cristianesimo cattolico del continente mai aveva sentito il bisogno di avvicinarsi alle idee delle democrazie liberali angloidi, le quali peraltro sono sorte e si sono evolute in odio ai principi della Chiesa di Roma.
Il concetto di «democrazia cristiana» che poi si sviluppò nel dopoguerra giunse in Italia negli anni del conflitto fu quello preparato dal filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973), il quale da anni viveva esiliato negli USA. È ipotizzabile che qualcuno, da quelle parti, possa aver investito nell’idea di Maritain per creare un partito e una cultura politica per tenere assieme la religione (che portava voti) e la fedeltà all’anglosfera (che si rifletteva, fino a prima della pandemia, nel mito della democrazia come cosa sacra: i diritti umani, la Costituzione, la libertà individuale, etc.)
Le idee di Maritain, contenute soprattutto nel libro-manifesto Umanesimo Integrale, attecchirono in Italia, ma non in Francia. Il risultato fu la Democrazia Cristiana italiana, automaticamente fedele, sia pur con qualche diffidenza, alla linea di Washington. Una grossa mano alla DC con probabilità la diede, durante le prime elezioni della storia della Repubblica, James Jesus Angleton (1917-1987), poeta italofono (era cresciuto a Milano) e agente plenipotenziario dei servizi americani considerato come la «madre» della CIA: Angleton aveva saldi contatti in Sicilia e in Vaticano, e soprattutto aveva un’idea chiarissima di dove doveva andare il Paese. Il referendum Monarchia-Repubblica è con probabilità passato sotto le sue attenzioni. Angleton, detto anche Kingfisher (il «martin pescatore»), appassionato ammiratore della poesia di Ezra Pound (che però teneva imprigionato… mentre gli scriveva lettere di ammirazione), sarebbe considerabile un vero padre della patria per l’Italia repubblicana, a cui bisognerebbe intitolare strade e piazze, tuttavia certe foglie di fico vanno tenute in piedi.
Il successo europeo della democrazia cristiana, che attecchì piuttosto bene anche in Germania, potrebbe aver avuto origine da decisioni prese da lungimiranti, lucidi potentati esteri. In Germania, le reti americane ebbero la via ancora più sgombra che in Italia.
La natura artificiale dello stesso concetto che reggeva la DC (la piena compatibilità tra ideali democratico-liberali angloidi e i millenni della tradizione cattolica) decretò infine la sua debolezza: come un virus di laboratorio, infestò a lungo il corpo della politica di molti Paesi del mondo (stranamente, non gli USA o il Regno Unito) per poi sparire di colpo.
Don Gianni Baget Bozzo, che alla democrazia cristiana dedicò il libro Tesi sulla DC, amava dire che la DC è come la schiuma della birra. La metafora, per quanto riguarda questo ultimo rivolo giallo in Germania è perfetta. La birra è finita.
In Italia, nel frattempo, una grande parte di quello che fu la DC è confluita in quello che ora si chiama PD, il partito erede diretto delle forze contro cui i democristiani erano stati bioingegnerizzati, cioè i comunisti.
Questo da solo fa capire che nella DC la democrazia, intesa come forma di commistione politica, interessava molto; il cristianesimo assai meno.
I partiti che si dicono religiosi ma non hanno nessuna radice nella vera fede non possono che divenire biodegradabili. E, nel processo, degradare anche il popolo e la Nazione.
Immagine di Secret Pilgrim via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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