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New York, bambini uccisi poco prima di nascere? Ecco la verità

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Dalla stampa si è appreso che a New York da oggi si può abortire fino al nono mese. Qualcuno, non sapendo minimamente di cosa parla, ha tentato di bollare la notizia come una «bufala».

 

Renovatio 21 offre ai propri lettori un quadro dettagliato della barbarie appena firmata nello Stato di New York, intervistando l’Avv. Monica Boccardi, cassazionista e giurista. L’avvocato Boccardi, riminsese, ha fatto parte, fra le altre cose, del pool difensivo italiano di Alfie Evans, il bambino inglese ucciso meno di un anno fa per mano dello Stato sanitario.

 

Avvocato Boccardi,  il Governatore dello Stato di New York Andrew M. Cuomo ha da poco firmato un documento che legalizza l’aborto fino alla nascita. Molti hanno parlato di fake news. Chiariamo intanto questo punto: la notizia corrisponde al vero o è una bufala, come alcuni siti e continuano a dire?

Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata: per la prima volta in vita mia ho visto definire l’aborto come «diritto fondamentale».

«Non è assolutamente una bufala. Anzi, la situazione è ancora più grave di come viene presentata»

 

Può spiegarci allora cosa è successo a New York?

La normativa appena varata è molto chiara: è stato eliminato il divieto di abortire oltre il limite delle 24 settimane di gravidanza, prima esistente, senza aggiungerne un altro, magari differente e più avanzato. Quindi l’aborto può essere praticato in qualunque momento, anche il giorno prima del parto. Inoltre, i presupposti per abortire sono decisamente inconsistenti e, nella pratica, facilmente affermabili, cosicché si può ritenere che al momento a New York sia sempre possibile abortire a semplice richiesta della donna.

 

La legge dello Stato di New York appena varata stabilisce che «ogni individuo che rimane incinta ha il diritto fondamentale di scegliere di portare a termine la gravidanza, per dare alla luce un bambino, o di avere un aborto, ai sensi del presente articolo.

 

Poi aggiunge che «un operatore sanitario con licenza, certificato, o autorizzazione ai sensi del titolo otto della legge dell’educazione, che agisce nel suo ambito di applicazione legale, può eseguire un aborto quando,  secondo il giudizio professionale ragionevole e in buona fede del professionista basato sui fatti del caso del paziente: il paziente è entro ventiquattro settimane dall’inizio della gravidanza , oppure c’è una assenza di vitalità fetale, oppure l’aborto è necessario per proteggere la vita oppure la salute della paziente».


In parole povere, prima delle 24 settimane di gravidanza l’aborto è un diritto esercitabile senza giustificazione alcuna e senza presupposti necessari ad autorizzarlo.

 

In alternativa a ciò, (come indica la disgiuntiva «or” corrispondente a “oppure“), dopo la 24° settimana di gravidanza (e fino al suo termine naturale in assenza di limiti previsti esplicitamente) è possibile abortire in tre casi distinti: 1) l’essere il feto non vitale, 2) l’aborto è necessario per proteggere la vita della paziente, 3) l’aborto è necessario per proteggere la salute della paziente.

 

Apparentemente dovrebbero dunque essere necessari dei presupposti ben precisi, utili a limitare l’accesso alla procedura abortiva a casi estremi, ma in realtà non è affatto così.

 

Vi sono, infatti, alcune circostanze che vanno considerate insieme alla lettera della legge.

 

Il primo è rappresentato dalla definizione di salute, che si può leggere sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla quale ormai fanno riferimento tutti coloro che tentano di modificare in senso ideologico la pratica medica, soprattutto negli Stati Uniti: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Il godimento del più alto livello di salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizione economica o sociale».

 

Secondo tale definizione, la salute della paziente può essere compromessa anche in assenza di malattie o infermità, dalla semplice mancanza di benessere fisico, mentale e sociale: il che significa che è sufficiente che la paziente affermi di voler abortire perché la gravidanza e la nascita del figlio la privano del suo benessere fisico, mentale e sociale.

 

Questa definizione è stata sostanzialmente ripresa dalla Suprema Corte statunitense nella sentenza Doe v. Bolton del 22 gennaio 1973, emessa insieme alla capostipite prochoice Roe v. Wade. In essa si legge che la definizione di salute include «il giudizio medico può essere esercitato alla luce di tutti i fattori – fisici, emotivi, psicologici, familiari e dell’età della donna – rilevanti per il benessere del paziente. Tutti questi fattori possono riguardare la salute». E appare evidente come sia andata ben al di là della medicina vera e propria allargando la definizione di salute ricomprendendovi aspetti non medici ed estremamente soggettivi.

 

Il secondo, ancora più grave è che con questa stessa legge lo Stato di New York ha abrogato l’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica. In questo articolo si prescriveva quanto segue: “1.Quando un aborto deve essere eseguito dopo la dodicesima settimana di gravidanza, deve essere eseguito solo in ospedale e solo in regime di ricovero. Quando un aborto deve essere eseguito dopo la ventesima settimana di gravidanza, deve essere presente un medico diverso dal medico che esegue l’aborto per assumere il controllo e fornire cure mediche immediate per qualsiasi parto vivo che sia il risultato dell’aborto. Il commissario per la salute è autorizzato a promulgare norme e regolamenti per assicurare la salute e la sicurezza della madre e del bambino vitale, in tali casi. 2. A tali bambini sarà riconosciuta la protezione legale immediata ai sensi delle leggi dello stato di New York, incluse, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, le disposizioni applicabili della legge sui servizi sociali, l’articolo 5 della legge sui diritti civili e la legge penale. 3. Le cartelle cliniche di tutti gli sforzi di sostentamento alla vita fatti per un parto abortito vivo, il loro fallimento o successo, devono essere conservati dal medico curante. Tutti gli altri requisiti delle statistiche vitali nella legge sulla salute pubblica devono essere rispettati in relazione a tale bambino abortito. 4. In caso di morte successiva del figlio abortito, lo smaltimento del cadavere deve essere conforme ai requisiti del presente capitolo.

 

Questa norma sostanzialmente poneva un punto fermo nella valutazione della vitalità fetale: dopo la 20° settimana di gestazione era per legge considerato tale, per garantirgli le più alte possibilità di sopravvivenza.

In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza

 

In pratica è stata abrogata l’obbligatorietà, dopo la ventesima settimana, di fornire assistenza e cura al feto vitale per assicurarne la sopravvivenza (come invece prevede l’art. 7 della L. 194/78 italiana), impedendogli di passare dallo stato di «feto vitale» a quello di «nato vivo» e dunque di «persona», anche ai sensi dell’applicazione della legge sull’omicidio.

 

Questo significa che a New York il feto vitale può essere lasciato morire, senza assisterlo, poiché non vi è più alcun obbligo di cura nei suoi confronti, per i medici che praticano l’aborto. Anche perché la definizione di persona in relazione al reato di omicidio, contenuta nel codice penale dello stato di New York esclude dal novero il feto solo vitale, in quanto carente della duplice caratteristica di «nato» e «vivo», vanificando di fatto il Born-Alive Infants Protection Act del2001.

 

Infine, la stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.

La stessa legge di cui parliamo, ha anche abrogato completamente ogni ipotesi di reato di aborto dal codice penale, lasciando del tutto privi di tutela sia la madre sia il figlio, addirittura anche, ad esempio, in caso di aborto conseguente all’aggressione ad una donna incinta, che perda il bimbo a causa delle percosse.

 

In tal modo, inoltre, anche quando l’aborto fosse eseguito dopo la 24° settimana di gravidanza e al di fuori dei presupposti di legge sopra elencati, nessuno sarebbe punibile per aver procurato un aborto illegale, dato che nessuna condotta che comporti l’aborto con morte del feto (sia essa colposa, volontaria o preterintenzionale) è più punibile penalmente.

 

L’aborto è dunque divenuto un diritto esercitabile ad nutum, a semplice richiesta, in ogni momento della gravidanza e il bambino nel grembo materno è stato privato di ogni tutela, ridotto ad un nulla.

 

Peraltro qualunque ostetrico potrebbe spiegare che l’aborto difficilmente è praticabile per salvare la vita e/o la salute della madre nei casi di emergenza. Infatti quando il pericolo è imminente si pratica un parto cesareo (che richiede una procedura della durata di una ventina di minuti), non un aborto che invece richiede una procedura della durata di circa 3 giorni.

 

Ci sta dicendo che un bambino può essere ucciso anche mentre sta per nascere?

È esattamente così. Se la gestante lo domanda adducendo problemi di salute, anche il giorno della scadenza del termine, ha «diritto» che sia praticato l’aborto. E dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.

Dopo l’abrogazione dell’obbligo di cure per il feto vitale, la parola aborto ha un solo significato: uccisione del bambino.

 

Qualcuno sostiene che questo era già permesso in tanti altri Paesi, e che dunque a New York non si compie nulla di nuovo. Le cose stanno veramente così?

Negli USA era già possibile abortire oltre le 20 settimane di gravidanza, e senza limiti, in New Mexico, Colorado, Ohio, California e Maryland. L’aborto fino al nono mese è consentito anche in Canada e in Cina.

 

Nella maggior parte degli Stati del mondo, l’accesso all’aborto è limitato ai casi di tutela della salute della gestante, o ai casi di malformazione del feto, o alle gravidanze derivate da stupro.

 

Ma, anche dove è consentito l’aborto a semplice richiesta, è previsto un limite temporale, che varia dalle 12 alle 28 settimane di gestazione, per la sua esecuzioneInoltre, in molti casi, come in Italia, è previsto l’obbligo di cura per la sopravvivenza del feto abortito vitale.

 

Parliamo dell’Italia. La L. 194/78, all’articolo 6, dice testualmente:

«L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»

Ci sono delle similitudini, dettate dall’ambiguità, con la legge newyorkese?

In primo luogo, va precisata la differenza semantica tra «aborto» e «interruzione di gravidanza»: la parola aborto non compare mai nella legge 194/78.

 

Nonostante l’uso di queste parole sia, in generale, una forma di ipocrisia morale, tale differenza nel significato si fa fondamentale allo scadere del termine a partire dal quale il feto è considerato vitale, cioè ha possibilità di sopravvivenza, anche minime.

 

L’aborto consiste nell’uccisione del bimbo nella pancia della mamma (e ciò avviene sempre nel primo trimestre), mentre l’interruzione di gravidanza può anche non sfociare in un vero e proprio aborto, ma consistere in un parto molto anticipato, al punto da consentire al bimbo di sopravvivere se curato tempestivamente.

 

La legislazione italiana prevede (art. 7 L. 194/78) che «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto», imponendo dunque di salvaguardare la sopravvivenza del bimbo abortito. Ciò trasforma la procedura in un parto molto anticipato, con grave rischio per la vita del piccolo, ma senza la certezza della sua morte.

 

Nella nuova legislazione newyorkese, come abbiamo già visto, questa tutela è stata del tutto eliminata, cosicché l’aborto si conclude sempre con la morte del bambino, anche se sano, vivo e perfettamente in grado di sopravvivere ad un parto prematuro.

 

Le similitudini tra la situazione di New York e quella italiana sono soprattutto derivate dalla prassi, invalsa, di considerare l’aborto come un diritto, cosicché anche in Italia molto raramente viene davvero data una piena attuazione alla legge 194/78 che prevede tutta una serie di accorgimenti al fine di scongiurare il ricorso all’aborto.

 

Ci spieghi le differenze in termini di legge…

Oltre a quanto già detto sopra in relazione all’esito mortale anche in caso di feto vitale, una delle differenze formali tra l’una e l’altra legislazione consiste nella previsione, da parte di quella italiana delle potenziali malformazioni del feto (che però provochi rischi per la salute della madre) come presupposto per autorizzare l’aborto nel secondo trimestre.

 

La normativa statunitense non ne parla, limitandosi a considerare rilevante la mancanza di vitalità, cioè l’apparente o probabile morte in utero del bimbo. Però, nella pratica, la differenza è solo formale e non sostanziale, perché la gestante in USA può sicuramente chiedere un aborto tardivo, in caso di malformazioni del feto, sostenendo che la situazione le crea problemi di salute (nel senso lato che abbiamo già descritto) per ottenere l’aborto.

 

Un’altra differenza fondamentale (ulteriormente ampliata con l’abrogazione dell’art. 4164 della legge sulla salute pubblica), consiste nel fatto che in Italia a certificare i presupposti per l’accesso alla IVG è sempre un medico, mentre a New York può essere un qualunque operatore sanitario autorizzato ad eseguire l’aborto, quindi anche un non medico.

 

Quanto alla protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.

La protezione della vita della paziente, che viene in considerazione solo in casi particolari, vere e proprie emergenze, l’aborto tardivo non è assolutamente la procedura adatta a scongiurare un decesso.

 

Infatti, i tempi per un aborto tardivo (sia con la procedura di induzione del decesso del feto e successiva espulsione del cadaverino, sia con la procedura detta «a nascita parziale», in cui viene indotto il parto ed ucciso il bimbo quando ancora non è stato completamente espulso) sono molto lunghi. Si parla di giorni, due o tre come minimo per ottenere l’effetto desiderato.

 

Mentre invece con un parto cesareo si ottiene la nascita del bimbo, e la conseguenze cessazione della gravidanza, di solito entro 20 minuti mezz’ora al massimo. Per non dire che se il pericolo consiste nel parto, l’aborto tardivo è decisamente sconsigliabile, dato che comunque consiste in un parto indotto (quindi anche più violento, perché gli ormoni somministrati per far partire il travaglio amplificano le doglie), con tutto ciò che ne consegue.

 

Si parla di «salute psichica» sia nella 194 che nella legge appena firmata a New York. Questo vuol forse dire che basta il rischio che la donna si deprima per uccidere il bambino poco prima della nascita?

In realtà, nella legge appena varata a New York, si parla solamente di «health», senza alcuna specificazione. E, come già detto, si può ritenere che il concetto in tale ambito venga interpretato secondo la definizione che ne ha fornito l’OMS e che la sentenza sentenza Doe v. Bolton ha reso giuridicamente rilevante in relazione all’aborto. Ciò significa che la protezione della salute non è limitata allo scongiurare l’insorgenza di vere e proprie patologie o infermità, o a farle cessare se presenti, ma si amplia notevolmente giungendo ad abbracciare, addirittura, anche il benessere sociale, cioè la possibilità, che ne so, di continuare ad uscire con gli amici senza doversi preoccupare di un neonato che va allattato…

 

In Italia, invece, il concetto di salute è formalmente definito dalla legge stessa nei suoi confini e limitato ai gravi rischi per la salute fisica o psichica della gestante.

 

Indubbiamente, in che cosa consistano tali gravi rischi per la salute psichica è valutazione di fondamentale importanza. Di fatto, però, nella prassi e nel pensiero comune, tale concetto è talmente sfumato, che, ad esempio, la giurisprudenza difficilmente lo prende in considerazione, quando deve valutare se risarcire una donna che non abbia potuto abortire per omessa diagnosi di malformazioni fetali. Per spiegarmi meglio: sono praticamente inesistenti sentenze che neghino il risarcimento per il mancato aborto sul presupposto che, all’epoca dei fatti, non vi era un rischio dimostrato per la salute psichica della donna.

 

E ciò accade anche se, nella maggior parte di questi casi, quando domandano il risarcimento, le donne non hanno problemi psichici rilevanti, addirittura spesso amano i loro figli malati, ed è dunque possibile dire a posteriori che difficilmente avrebbero potuto presentare un vero e proprio «grave rischio per la salute psichica» derivante dalla malformazione conosciuta nel bambino.

 

Anzi, al contrario, la letteratura medica sta scoperchiando il vaso di Pandora delle conseguenze devastanti per la psiche delle donne, derivate dall’aborto. Rischio di suicidio gravemente aumentato, depressione diffusa a livelli altissimi, modificazioni dell’umore, che colpiscono anche i familiari ecc.

 

Ci troviamo davanti ad un nuovo passo verso quella cultura della morte che sembra non volersi arrestare?

Sicuramente è così. Non vi è altra spiegazione possibile, per citare solo uno dei segnali più evidenti, per la totale abrogazione dell’articolo 4164 della legge sulla salute pubblica newyorkese, che prevedeva l’assistenza e la cura del feto vitale abortito. Con questo colpo di accetta si è preclusa la possibilità di salvezza di tutti quei bambini giunti oltre la ventiduesima settimana di gravidanza, che avrebbero potuto vivere, magari per essere adottati da qualcun altro, in caso di rifiuto da parte della madre, addirittura perfettamente sani.

 

Ma non bisogna disperare. Proprio quando tutto sembra apparentemente perduto, la Provvidenza interviene per salvarci… e, per rimanere in argomento, negli USA in questo momento il vertice di governo è decisamente pro-life, la Corte Suprema è sbilanciata in modo positivo verso la tutela della vita, cosicché non è escluso che una legislazione a livello federale possa cambiare la situazione, salvando tante vite.

 

 

Cristiano Lugli

 

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Mons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha lodato il principe Alberto di Monaco che nel principato dove è regnante ha rifiutato di firmare la legge per legalizzare l’aborto.

 

«Il Principe Alberto di Monaco, coerentemente con la Fede che egli professa e con l’autorità sacra che legittima la sua funzione di sovrano del Principato di Monaco, non ratifica la proposta di legge per la depenalizzazione dell’aborto, crimine esecrando» scrive Sua Eccellenza in un post sul social media X. «Nel 1990 fa il Re Baldovino del Belgio abdicò, piuttosto di dare la propria approvazione all’odiosa legge sull’aborto: anch’egli fu un Monarca veramente cattolico».

 

«Suscita sconcerto il silenzio del Vaticano dinanzi a questa testimonianza di Fede, che dovrebbe essere additata ad esempio: un silenzio che diventa assordante quando tace davanti all’uccisione di milioni di innocenti massacrati nel ventre materno. Un silenzio che è riecheggiato quando Joe Biden finanziava l’industria dell’aborto e lo autorizzava fino al momento del parto» continua monsignore.
«La “chiesa sinodale” presta ascolto al “grido della Terra”, mentre finge di non udire il gemito dei bambini sterminati. Essa è troppo impegnata a propagandare gli “obiettivi sostenibili” dell’Agenda 2030 (tra cui figura anche l’aborto, definito ipocritamente “salute riproduttiva”) per denunciare i sacrifici umani di questa società antiumana e anticristica. Troppo occupata a lucrare sul traffico di clandestini che dovrebbe invece denunciare come strumento di islamizzazione dell’Europa un tempo cristiana» tuona l’arcivescovo già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America.

 

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Come riportato da Renovatio 21, in passato il prelato lombardo ha definito l’aborto come «il sacramento di Satana».

 

«Morte. Solo morte. Morte prima di nascere. Morte durante la vita. Morte prima di morire naturalmente. Significativamente, chi è favorevole alla morte degli innocenti – bambini, malati, anziani – è contrario alla pena di morte. Si può essere trovati indegni di vivere perché poveri, perché vecchi, perché non voluti da chi ci ha concepito; ma se si massacrano persone o si compiono delitti orrendi, la pena capitale è considerata una barbarie» aveva scritto monsignore in un testo di due anni fa.

 

«Dovremmo iniziare a comprendere che i teorizzatori di questa immane strage che si perpetua da decenni e ci ripiomba nella barbarie del peggior paganesimo non si considerano parte dello sterminio: nessuno di loro è stato abortito; nessuno di loro è stato lasciato morire senza cure; a nessuno di loro è stata imposta la morte per ordine di un tribunale. Siamo noi, siete voi e i vostri figli, i vostri genitori, i vostri nonni che dovete morire, e che vi dovete sentire in colpa perché siete vivi, perché esistete e producete CO2».

 

«L’aborto è un atto di culto a Satana. È un sacrificio umano offerto ai demoni, e questo lo affermano orgogliosamente gli stessi adepti della «chiesa di Satana», che negli Stati Americani in cui l’aborto è vietato rivendicano di poter usare i feti abortiti nei loro riti infernali. D’altra parte, in nome della laicità si abbattono le Croci e le statue della Madonna e dei Santi, ma al loro posto iniziano a comparire immagini raccapriccianti di Bafometto» ha detto monsignore.

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«L’aborto è un crimine orrendo perché oltre alla vita terrena priva il bambino della visione beatifica, destinandolo al limbo perché sprovvisto della Grazia battesimale. L’aborto è un crimine orrendo perché cerca di strappare a Dio delle anime che Egli ha voluto, ha creato, ha amato e per le quali ha offerto la propria vita sulla Croce. L’aborto è un crimine orrendo perché fa credere alla madre che sia lecito uccidere la creatura che più di tutte, e a costo della sua stessa vita, ella dovrebbe difendere. E con tale crimine quella madre si rende assassina e se non si pente si condanna alla dannazione eterna, vivendo molto spesso anche nella vita quotidiana il rimorso più lancinante. L’aborto è un crimine orrendo perché si accanisce sull’innocente proprio a causa della sua innocenza, rievocando gli omicidi rituali dei bambini commessi nelle sette di ieri e di oggi. Sappiamo bene che la cabala globalista è legata dal pactum sceleris della pedofilia e di altri crimini orrendi, e che a quel patto sono vincolati esponenti del potere, dell’alta finanza, dello spettacolo e dell’informazione».

 

«Rifiutiamo l’aborto e avremo milioni di anime che potranno amare ed essere amate, compiere grandi cose, diventare sante, combattere al nostro fianco, meritare il Cielo».

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Nuovo libro per bambini insegna ai bambini di 5 anni che l’aborto è un «superpotere»

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Amelia Bonow, fondatrice del movimento social Shout Your Abortion («grida il tuo aborto») e tra le attiviste pro-aborto più note negli Stati Uniti, ha pubblicato un libro per bambini intitolato Abortion is Everything («L’aborto è tutto»), destinato a lettori dai 5 agli 8 anni. Lo riporta LifeSite.   Annunciato sui canali ufficiali di Shout Your Abortion, il volume – scritto insieme a Rachel Kessler e illustrato da Emily Nokes – presenta l’aborto in termini esclusivamente positivi e accessibili, definendolo un «superpotere unicamente umano»: la capacità di «immaginare il futuro e fare scelte che ci portino alla vita che desideriamo».   Nei post promozionali su Instagram e altri social si legge: «Genitori, educatori e operatori sanitari cercavano da tempo uno strumento per parlare ai bambini dell’aborto, soprattutto con tutto il rumore politico che lo circonda». Il libro, spiegano, «parla direttamente ai bambini di cos’è l’aborto, di come ci si sente e del perché lo si sceglie», omettendo completamente che l’aborto termina la vita di un essere umano.

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Un post descrive l’aborto come «uno strumento che permette agli esseri umani di plasmare il proprio destino e che ha plasmato il mondo intero che ci circonda». Il messaggio si chiude affermando che il libro serve a «riscrivere fin dalle basi i nostri copioni culturali sull’aborto».   I commenti sotto i post sono entusiastici: «Lo adoro. Parlo di aborto ai miei figli da quando erano piccoli ed è bellissimo sentire una bimba dire: “Non devi restare incinta se non vuoi”». Un’altra utente: «Lo compro oggi per la mia futura prole!!».   Molti degli stessi che celebrano questo libro per l’infanzia accusano invece Meet Baby Olivia – un video educativo che mostra semplicemente lo sviluppo prenatale umano, senza menzionare l’aborto – di essere «propaganda» e «lavaggio del cervello» ai bambini piccoli, solo perché si basa su fatti scientifici.     La Bonow non è nuova a iniziative di questo tipo. Nel 2019 era apparsa nella serie YouTube «Kids Meet» con l’episodio «I bambini incontrano una persona che ha abortito», dove aveva già annunciato l’imminente uscita di un libro per bambini sull’argomento. Il video originale è stato rimosso dalla piattaforma ufficiale, ma è ancora disponibile altrove.   Il libro rappresenta l’ultimo capitolo di una lunga tradizione di materiale pro-aborto rivolto a bambini e adolescenti, spesso finanziato anche con fondi pubblici.  

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Nel video della serie «Kids Meet», Amelia Bonow racconta ai bambini (soprattutto preadolescenti e adolescenti) di essere rimasta incinta dopo un rapporto non protetto con il fidanzato, ma ha negato di essere stata irresponsabile e ha precisato che il compagno aveva appoggiato la decisione di abortire.   La maggior parte dei piccoli intervistati rimane impassibile alle sue parole; solo un ragazzo manifesta disagio ed è stato subito rimproverato dalla Bonow, che descrive l’intervento figlicida con termini volutamente disumanizzanti e imprecisi: «l’abortista ha semplicemente succhiato via la gravidanza», evitando di parlare di bambino o anche solo di feto. I bambini presto adottano lo stesso linguaggio riduttivo.   Un ragazzo più grande paragona il feto a un «cetriolo di mare», ridendo: «Non pensa, sta solo vivendo. È come il tuo braccio: non ha pensieri complessi. E nemmeno un bambino nel grembo». Bonow scoppia a ridere e ha replicato: «Mi piace la tua opinione».   Quando una bambina dice che «a volte l’aborto può essere sbagliato», la Bonow la interrompe bruscamente: «non lo so, non sono d’accordo. Vogliamo davvero che la gente faccia tutti quei bambini?». La donna poi scredita l’adozione, insinuando che far crescere il proprio figlio in un’altra famiglia sia peggio che eliminarlo con un aborto.   La Bonowa ha anche attaccato i pro-life: «non li chiamo pro-life, li chiamo anti-scelta. Quelli che si dicono pro-life non si curano delle persone che hanno figli che non possono mantenere e finiscono in povertà assoluta. Vogliono negare l’accesso all’assistenza sanitaria. Io dico: voi non siete pro-life. Io sì che sono pro-life».   Resta da capire contro quale «scelta» siano gli anti-scelta e a favore della vita di chi si dichiari «pro-life» mentre difende l’uccisione intenzionale di un essere umano – che, tra le altre cose, viene privato per sempre anche dell’«accesso all’assistenza sanitaria».   Un’altra attivista pro-aborto, Mary Walling Blackburn, aveva già pubblicato un libro per l’infanzia in cui i bambini abortiti venivano presentati come «fantasmi felici».

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«Estrema irrazionalità bioetica al servizio della biopolitica»: vescovo spagnolo denuncia la «tragedia dei 73 milioni di aborti» all’anno

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Il presidente della Conferenza episcopale spagnola ha denunciato la «tragedia dei 73 milioni di aborti» praticati ogni anno in tutto il mondo. Lo riporta LifeSite.

 

Nel suo discorso alla 128ª Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli a Madrid, Luis Javier Argüello García, arcivescovo di Valladolid, ha parlato di come l’aborto venga messo a tacere dalla società secolarizzata e i sostenitori della vita vengano emarginati.

 

«Chiunque dichiari pubblicamente che l’aborto è oggettivamente immorale perché pone fine alla vita di un essere umano diverso dai genitori rischia una dura condanna personale, sociale e politica: “Mettere in discussione questa conquista? Dubitare di questo diritto? Questo è il culmine del pensiero fascista e autoritario e merita di essere immediatamente etichettato come estremismo di destra”», ha affermato monsignor Argüello.

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«Fornire informazioni alle donne incinte è considerato un abuso, e pregare fuori da una clinica per l’aborto è considerato una minaccia». «Perché questo rifiuto di pensare razionalmente e di lasciare che la scienza – DNA, genomica, ultrasuoni, ecc. – parli, informi e ci permetta di riconoscere la verità?» ha chiesto.

 

L’arcivescovo ha affermato che l’essere umano è «un organismo vivente della specie Homo Sapiens».

 

«Secondo questa definizione, il fatto che un feto o un embrione sia un essere umano è semplicemente un fatto biologico», ha osservato. «Basta dare un’occhiata a qualsiasi libro di testo di embriologia medica per vedere che gli scienziati confermano all’unanimità che, dal momento della fecondazione, nel corpo della madre si crea un organismo umano vivente e indipendente, con un proprio patrimonio genetico».

 

«Per questo non c’è bisogno di consultare la Bibbia, anche se essa ci insegna che la sua dignità è sacra e che è dotata di un’anima immortale», ha aggiunto il presule.

 

«La società occidentale ha completamente soppresso la questione dell’aborto», ha affermato Argüello. «La tragedia di 73 milioni di aborti in tutto il mondo ogni anno, di cui 100.000 in Spagna, è diventata la normalità. Siamo arrivati ​​a un punto di estrema irrazionalità nella bioetica, che è al servizio della biopolitica».

 

«Nello stesso ospedale, un gruppo di medici può essere determinato a salvare un feto di cinque mesi e mezzo, mentre un altro gruppo nella stanza accanto uccide deliberatamente un bambino della stessa età», ha affermato, sottolineando l’ipocrisia e l’incoerenza della posizione pro-aborto.

 

«Questo è del tutto legale. Allo stesso modo, la legge può punire la distruzione di un nido d’aquila con una multa di 15.000 euro e fino a due anni di carcere, ma garantisce il diritto di uccidere un bambino con sindrome di Down fino al termine della gravidanza».

 

«Tuttavia, una prospettiva cattolica non può limitarsi ad affermare la protezione della vita nascente e a lottare contro l’aborto», ha sottolineato l’arcivescovo. «Deve tenere conto della madre, del padre e delle circostanze ambientali, sociali ed economiche che accompagnano la gravidanza, il parto e i primi anni di vita».

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Monsignor Argüello ha sottolineato l’importanza di sostenere le madri in situazioni difficili prima e dopo il parto, un compito che molte organizzazioni e individui pro-life intraprendono regolarmente.

 

«Vorrei esprimere la mia solidarietà a tutte le donne incinte e incoraggiarle a non esitare a chiedere aiuto quando si trovano ad affrontare lo stress di una gravidanza potenzialmente indesiderata», ha affermato. «La soluzione a una situazione così spesso difficile da sopportare da soli non dovrebbe essere l’interruzione della vita non ancora nata. Ribadisco l’impegno della Chiesa e di tante donne e uomini ragionevoli di buona volontà ad aiutare in questa situazione».

 

«La presunta soluzione ai problemi che richiedono politiche a favore della famiglia e della vita è un sintomo dell’indebolimento morale della nostra democrazia», ha concluso.

 

Come riportato da Renovatio 21, monsignor Arguello ha rilanciato lo scorso anno la causa di beatificazione della monarca spagnuola Isabella di Castiglia detta Isabella la Cattolica (1451-1504), tuttavia il Dicastero per le Cause dei Santi ha appena annunciato che, dato il contesto attuale, è «quasi impossibile» portare a termine il processo.

 

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Immagine di Iglesia en Valladolid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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