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Politica

Donald Trump è tornato e picchia come un fabbro

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Dopo essere stato lontano per settimane dai riflettori – anche e soprattutto a causa della censura subita sui social media – Donald Trump si è ripreso la scena con un infuocato discorso al CPAC, una conferenza politica annuale alla quale partecipano  attivisti conservatori e funzionari eletti da tutti gli Stati Uniti

 

«Joe Biden ha avuto il primo mese più disastroso di qualsiasi presidente nella storia moderna – ha detto Trump, definendo la nuova amministrazione – anti-lavoro, anti-famiglia, anti-confine, anti-energia, anti-donne e anti-scienza».

«Joe Biden ha avuto il primo mese più disastroso di qualsiasi presidente nella storia moderna:anti-lavoro, anti-famiglia, anti-confine, anti-energia, anti-donne e anti-scienza».

 

«Nello spazio di un mese siamo passati da America First ad America Last», cioè dallo slogan «Prima gli americani» a «gli americani per ultimi».

 

Trump si è concentrato sul tema dell’immigrazione, attaccando l’amministrazione Biden a testa bassa: «eliminando incautamente il nostro confine, le misure di sicurezza, i controlli, tutte le cose che mettiamo in atto, Joe Biden ha innescato una massiccia ondata di immigrazione illegale nel nostro paese come non abbiamo mai visto prima».

 

«La vostra famiglia non può ancora uscire a mangiare nei ristoranti locali, ma Joe Biden sta portando migliaia e migliaia di rifugiati da tutto il mondo, persone di cui nessuno sa nulla», ha tuonato.

«La vostra famiglia non può ancora uscire a mangiare nei ristoranti locali, ma Joe Biden sta portando migliaia e migliaia di rifugiati da tutto il mondo, persone di cui nessuno sa nulla»

 

I successivi attacchi a Biden si sono incentrati sulla mancata riapertura delle scuole, che Biden rinvia per non incontrare la feroce resistenza in un certo numero di Stati da parte dei potenti sindacati degli insegnanti, che sono suoi elettori.

 

«Joe Biden ha vergognosamente tradito la gioventù  americana e tiene crudelmente i nostri figli rinchiusi a casa senza motivo» ha detto Trump. «A nome di tutte le mamme e i papà, chiedo a Joe Biden di aprire le scuole e farle aprire ora».

 

Biden è stato quindi attaccato per la politica energetica incentrata su una fallimentare, catastrofica «transizione ecologica» fatta di pale eoliche che «non funzionano quando serve» e che hanno lasciato al freddo il Texas questo mese.

 

«Joe Biden ha vergognosamente tradito la gioventù  americana e tiene crudelmente i nostri figli rinchiusi a casa senza motivo. A nome di tutte le mamme e i papà, chiedo a Joe Biden di aprire le scuole e farle aprire ora».

Trump non ha dichiarato di voler fare la corsa nel 2024, tuttavia  ha detto che potrebbe prendere in considerazione la possibilità di battere i Democratici «per la terza volta»: dichiarazione interessante che sottointende una sua vittoria nel 2016 e anche alle ultime elezioni del 2020.

 

Vi sono stati poi massicci attacchi a Big Tech (Google, Facebook, Twitter). Ha chiesto ai parlamentari repubblicani di abbattere la Section 230, che dagli anni Novanta garantisce l’impunità alle piattaforme online, per poi aggiungere che in futuro potrebbero essere i singoli Stati repubblicani a sanzionare i giganti della Silicon Valley, come stanno iniziando a fare Florida e Texas.

 

«Repubblicani e conservatori devono aprire le nostre piattaforme e abrogare le protezioni di responsabilità della Sezione 230 – e se il governo federale si rifiuta di agire, allora ogni stato dell’Unione, dove abbiamo i voti… I giganti della Big Tech come Google e Facebook devono essere puniti con sanzioni ogni volta che mettono a tacere le voci conservatrici ».

«Joe Biden ha vergognosamente tradito la gioventù  americana e tiene crudelmente i nostri figli rinchiusi a casa senza motivo. A nome di tutte le mamme e i papà, chiedo a Joe Biden di aprire le scuole e farle aprire ora».

 

Infine, Trump ha preconizzato che un «presidente repubblicano farà un trionfante ritorno alla Casa Bianca».

 

«E mi chiedo chi sarà, mi chiedo chi sarà?» ha chiesto tra gli applausi della folla.

 

«Chi, chi, chi sarà costui, mi chiedo?»

 

 

https://youtu.be/vk9PpJTsxE4

 

 

 

 

 

Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

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Politica

I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.

 

Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.

 

Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.

 

«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».

 

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.

 

«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.

 

Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.

 

L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.

 

A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.

 

Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.

 

Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.

 

 

Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

 

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Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro

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Sanae Takaichi è diventata la prima donna Primo Ministro del Giappone, vincendo le elezioni parlamentari di Tokyo martedì. Esponente di lungo corso del Partito Liberal Democratico (LDP), nota come la «Lady di Ferro» del Giappone per la sua ammirazione verso l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, Takaichi è riconosciuta per il suo conservatorismo sociale, il nazionalismo e il sostegno a un ruolo più ampio per le forze armate giapponesi.   A 64 anni, Takaichi ha sostenuto la revisione della clausola pacifista della costituzione postbellica del Giappone e il riconoscimento ufficiale delle Forze di autodifesa come esercito nazionale. Ha inoltre appoggiato un aumento della spesa per la difesa e una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti.   Le sue posizioni sulla sicurezza nazionale richiamano le politiche dell’ex premier Shinzo Abe, di cui è considerata una protetta e con cui aveva stretti legami politici.   Frequente visitatrice del Santuario Yasukuni di Tokyo, che rende omaggio ai caduti giapponesi, inclusi criminali di guerra della Seconda Guerra Mondiale, Takaichi è stata spesso criticata dai Paesi vicini per quello che considerano revisionismo storico. Ha difeso le sue visite come atti di rispetto personale, sostenendo che i crimini di guerra dei soldati giapponesi siano stati esagerati.

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A livello interno, Takaichi si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la successione imperiale esclusivamente maschile e ha criticato le proposte di cognomi separati per le coppie sposate.   La Takaicha ha inoltre appoggiato il rafforzamento dei confini e politiche migratorie più rigide, chiedendo misure contro i visti non concessi, il turismo eccessivo e l’acquisto di terreni da parte di stranieri, soprattutto vicino a risorse strategiche.   In politica estera, la Takaichi ha definito la crescente potenza militare della Cina una «seria preoccupazione», proponendo misure di deterrenza, tra cui un patto di sicurezza con Taiwan.   Si ritiene che Takaichi non intenda perseguire un significativo riavvicinamento con la Russia, avendo ripetutamente rivendicato la sovranità sulle isole Curili meridionali, annesse dall’Unione Sovietica nel 1945 come parte degli accordi postbellici.   Takaichi assume la carica in un momento critico per il Giappone, che affronta un tasso di natalità ai minimi storici, un rapido invecchiamento della popolazione, un’inflazione persistente e il malcontento pubblico per gli scandali politici che hanno eroso la fiducia nel PLD, il partito al governo.  

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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

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Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.

 

I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.

 

Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.

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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.

 

Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.

 

Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.

 

Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.

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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.

 

Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.

 

Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.

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