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Zerocalcare, il pericolo mortale di «Strappare lungo i bordi»

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L’evento audiovisivo dell’anno è con probabilità – dopo Squid GameStrappare lungo i bordi, opera di animazione Netflix in sei episodi firmata dall’oramai celeberrimo Zerocalcare.

 

Zerocalcare è un romano nato nel 1984. All’anagrafe si chiama in realtà Michele Rech, ponendosi quindi nel solco degli artisti romani che coprono un nome nordico con uno pseudonimo, come nel caso del grande Franco Lechner (1931-1987), in arte Bombolo, o la recentissimamente scomparsa Lina Wertmüller (1928-2021), il cui nome per esteso era Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich (in pratica aveva un nome lungo quanto gli improbabili titoli delle sue pellicole).

 

Zerocalcare è senza dubbio il più grande artista della sua generazione per quanto riguarda il fumetto e ora anche il cinema di animazione. Il suo è un successo davvero autentico: viene davvero dal basso, da un passaparola furioso dei suoi sostenitori (un insieme molto trasversale) che forse pure precede, o può ignorare, i social media.

 

Zerocalcare è senza dubbio il più grande artista della sua generazione per quanto riguarda il fumetto e ora anche il cinema di animazione

Viene dai centri sociali, un mondo che da decenni ha perso la sua spinta. La cosa è pienamente avvertibile nella sua opera, dove si dedica per lo più riferimenti della cultura popolare trasmessa dalla TV (Guerre Stellari, I Cavalieri dello Zodiaco, Game of Thrones, I Simpson, Ken il Guerriero), che con ogni evidenza vince per profondità e persistenza sulle mitologie gosciste.

 

La sparizione dell’anima dell’universo un tempo detto «antagonista» è stata drammaticamente visibile durante la pandemia, dove i ribelli libertari non hanno fiatato mentre si installava nelle loro città un vero Stato di polizia che ogni giorno che passa diventa sempre più distopico (botte dai celerini, libertà di parola proibita, pass digitali). Di fatto, del tema della pandemia in Strappare lungo i bordi non c’è traccia alcuna: il «centrosocialismo», con evidenza, non disponeva della capacità di calcolo per una cosa del genere, né la volontà di antagonizzare davvero il potere costituito quando esso mostra il suo vero volto.

 

Ad ogni modo, la serie è di altissima fattura. La sfida di trasporre in immagini in movimento la caratteristica principale dei fumetti dell’autore – ossia la visualizzazione immediata di tutti i pensieri del protagonista – è riuscita in pieno, forse in modo ancora più divertente rispetto alla carta. Si ride e si ghigna ad ogni piè sospinto.

 

 

Certo, un paio di cose stonano, forse in maniera imperdonabile. Della sigla simil-Riccardo Fogli ci chiediamo tuttora la significazione, ed è mandata in onda, apparentemente senza ironia, pure una canzone di Ron. Poi, la presenza, anche solo in voce, di Mastrandrea… Ma perché? Perché?

 

Del tema della pandemia in Strappare lungo i bordi non c’è traccia alcuna: il «centrosocialismo», con evidenza, non disponeva della capacità di calcolo per una cosa del genere, né la volontà di antagonizzare davvero il potere costituito quando esso mostra il suo vero volto

La serie ha fatto scattare un paio di polemiche sui giornali mainstream. La prima, la più stupida, era sul persistente uso del romanesco. La seconda invece riguardava una questione di modelli umani.

 

La seconda, lanciata dall’ex parlamentare radicale Daniele Capezzone, ora giornalista del quotidiano non allineato La Verità, «Voi con Zerocalcare, noi con Clint Eastwood. A ciascuno il suo, e ciascuno contento: chi con la lagna e il disagio come dimensione esistenziale; chi invece con la lotta, la sfida, l’affermazione dell’individuo contro ogni potere». Lo Zerocalcare risponde: «A me me fa volà che DANIELECAPEZZONE se sente come CLINT EASTWOOD».  Non sappiamo bene se ci sua qualche allusione che non capiamo. Tra gli utenti di Twitter, scroscianti applausi.

 

Nella storia, a Biella i genitori della ragazza suicida hanno allestito per la «cerimonia funebre» la sua palestra di Boxe

Tuttavia vorremo qui parlare di qualcosa di più serio.

 

Gli episodi sono essenzialmente costruiti su due livelli, che peraltro non si incollano benissimo fra loro: da una parte una serie di gag sul micromondo del ragazzo, con discorsi che vanno dalla sporcizia del bagno degli uomini alla sporcizia del suo divano, passando per il dolore di deludere la propria maestra alle elementari.

 

A questi segmenti, divertenti e autoconclusivi, è agglutinata la storia principale, che (SPOILER) è il viaggio, anche questo di minimalismo disperato, da Roma a Biella per andare al «funerale» di un’amica, potenzialmente una morosa, morta suicida.

 

E in questo frangente che si pongono, per chi ha presente di cosa si sta parlando, dei problemi di non poco conto.

 

Riteniamo questa cosa – le esequie di un suicida celebrate in qualsiasi forma, nella palestra di un centro sociale o in una cattedrale della fu religione cattolica – un pericolo estremo per la società, un rischio mortale e concreto per tante persone

Un giornale romano lo ha intervistato titolando «È una storia autobiografica, tranne il suicidio». Dice che il personaggio di Alice, la ragazza suicida al centro dell’intreccio, è immaginario. Noi tuttavia ricordiamo un suo fumetto, uno dei primi, che cercava di elaborare la morte di un’amica anoressica. Non sappiamo se si trattai di quello. «Non avevo voglia di raccontare una persona specifica per non lederne la privacy. Evidentemente, però, nella vita mi sono trovato a vivere delle situazioni molto simili» chiosa.

 

Nella storia, a Biella i genitori della ragazza hanno allestito per la «cerimonia funebre» la sua palestra di Boxe, che sembra uno di quei luoghi che, come da moda recente (a sinistra ma non solo), vengono «okkupati» per questioni sportive.

 

La suicida, viene detto orgogliosamente al microfono, non era una vittima. Il protagonista si interroga sulla mancata solennità della situazione.

 

Vengono fatti ascoltare gli audio della ragazza con i bambini per cui faceva la volontaria. Canzoni. Ricordi. È una festicciola, anche affollata, in onore di quella che si è uccisa.

 

Se c’è una cosa detta giusta dall’OMS è che il suicidio è contagioso. Il suicidio infetta chi gli sta intorno. Il suicidio può propagarsi come una vera epidemia

Il suicidio non viene condannato, da nessuno. Per qualche minuto, qualche domanda viene posta. Ma in fondo, pare di capire da altri discorsi che vengono fatti tra gli amici, è una sua scelta. Così come quella di aver voglia di fare sesso, o di mangiare del gelato a tarda notte, o di provare un’esperienza «lella», cioè lesbica.

 

Ha deciso di andarsene, punto. Non dobbiamo stare qui a chiederci il motivo. Celebriamone, tutti insieme, l’esistenza – compresa forse anche quest’ultima scelta. Si ricava questa impressione. E dobbiamo essere sinceri, è quella che si ha da qualsiasi funerale conciliare fatto ad un morto suicida.

 

Riteniamo questa cosa – le esequie di un suicida celebrate in qualsiasi forma, nella palestra di un centro sociale o in una cattedrale della fu religione cattolica – un pericolo estremo per la società, un rischio mortale e concreto per tante persone.

 

Non stiamo parlando a caso. Perché se c’è una cosa detta giusta dall’OMS è che il suicidio è contagioso. Il suicidio infetta chi gli sta intorno. Il suicidio può propagarsi come una vera epidemia.

 

Se il semplice «parlare» di un suicidio come fatto di cronaca fa aumentare i suicidi, giustificare un morto suicida, che effetto può avere? E fare della sua morte una celebrazione?.

Ma non è solo l’OMS. Questa semplice verità, e cioè che il suicidio può contagiare, è conosciuta, in teoria, perfino dall’Ordine dei Giornalisti, che sul suicidio mette in piedi corsi deontologici:

 

«Le norme deontologiche indicano chiaramente le cautele con cui devono essere esposti questi casi per non provocare dei fenomeni di emulazione: ci sono dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che dimostrano in modo chiaro che parlare dei suicidi fa aumentare il numero delle persone che decidono di togliersi la vita».

 

Se il semplice «parlare» di un suicidio come fatto di cronaca fa aumentare i suicidi, giustificare un morto suicida, che effetto può avere? E fare della sua morte una celebrazione festosa?

 

Ne parlo perché ho potuto testimoniare in prima persona il fenomeno: i suicidi si possono presentare sotto forma di cluster, di «grappoli» devastanti. Ne avevo scritto su un vecchio articolo pubblicato anni fa su Renovatio 21, «La vita senza il dolore». Ciò che vi scrivevo è ancora vivissimo dentro di me.

 

Organizzarono un funerale in chiesa per A. e io sapevo che era la cosa sbagliata, per il semplice fatto che la mia sensibilità tradizionale mi porta a sapere che, prima del Concilio Vaticano II, i funerali dei suicidi, saggiamente, non venivano celebrati. O almeno, non si facevano messe pubbliche

C’è stato un anno in cui nel giro di poco tempo ho visto morire per suicidio una sequela di amici e conoscenti. Fu sconvolgente: sparivano uno dopo l’altro. Alcuni casi in teoria non erano collegabili fra loro. Altri, invece, sì.

 

Iniziò A., e fu straziante. Ricordo la telefonata a tarda sera degli amici, che chiamavano dalla camera mortuaria. «Cosa?». «A. non c’è più». Ti si spalanca davanti il vuoto. Il vuoto poi comincia a vorticare. Perché? Lo sai perché. Forse non lo sai. E poi potevi fare qualcosa, potevi vederlo più spesso, anche se non c’era mai l’occasione, ormai. Ma no, non potevi fare nulla. Ecco, adesso vuol dire che a Natale quest’anno non lo rivedrai? Vuol dire che non ti farà una di quelle sue telefonate con la sua parlata irresistibile? Ma come è possibile? Poi, per tutta la notte, sentimenti indefinibili. Nei giorni successivi, pure.

 

Organizzarono un funerale in chiesa per A. e io sapevo che era la cosa sbagliata, per il semplice fatto che la mia sensibilità tradizionale mi porta a sapere che, prima del Concilio Vaticano II, i funerali dei suicidi, saggiamente, non venivano celebrati. O almeno, non si facevano messe pubbliche.

 

Ma la Chiesa, con il Concilio, è cambiata: l’Inferno è stato di fatto «svuotato». Quindi i peccati, compresi i suicidi, non potevano che aumentare a dismisura: cosa ti ferma, davanti all’errore, se non c’è il timore della punizione tremenda? Questa è la chiesa che rifiuto, e che combatterò sempre, e che accuso anche di tutte queste morti, che sono milioni.

 

Non fu solo quello il motivo per cui decisi, con dolore, di non partecipare. Avevo appreso che gli amici intendevano fare uno show completo: letture belle, e poi via con l’ascolto delle musiche preferite di A., che era un cultore, con tanto di spiegazione dal pubblico di altro amico musicofilo. Scelsi di stare lontanissimo da tutto questo: andai ad una conferenza in Centro Italia, di quelle dove si parla delle devastazioni del Concilio Vaticano II, e ricordai, con un accenno anonimo, A., vittima di un mondo dove la religione non ti racconta più cosa è il Bene, e che dono infinito sia la vita umana. Trovai lì un sacerdote tradizionista, un grande prete che riuscì a capire la situazione. Chiesi di dire una messa per l’anima di A., pensando così di aver chiuso nel modo giusto la storia.

 

La questione, tuttavia, non riguarda questi cartoni animati. È l’aria che essi respirano, che respiriamo tutti. È la Necrocultura. È la legge della realtà del secolo, è il sistema operativo del mondo moderno: tutto deve tendere alla distruzione dell’essere umano, alla sua umiliazione alla sua dannazione

E invece, mi sbagliavo terribilmente.

 

Poco dopo, sarebbe stata la volta di R.

 

Con R., che conoscevo meno, c’era una relazione famigliare. Lui si definiva come un cugino acquisito, e chiamava scherzosamente mia sorella «cugi». Mi telefonarono di pomeriggio, mentre lavoravo. Mi fu impossibile continuare qualsiasi attività. Mi fu impossibile, parimenti, non pensare ad A., non risentire tutto quel dolore, ora maggiorato, divenuto ancora più irrazionale.

 

Poi la realizzazione. R. era andato ai «funerali» musicali di A. Come non pensare che, nella mente di qualcuno che ospita l’oscuro pensiero, possa scattare quel clic: se me ne vado sarò ricordato dai miei amici tutti uniti, felici, messi insieme dalle cose che ci piacciono, da un senso di affetto collettivo quasi liberatorio, catartico. La mia festa più bella – senza di me. Clic.

 

È chiaro che sono solo le mie stupide ipotesi. Non ho il potere di conoscere cosa c’era dentro all’anima in quel momento. Tuttavia, sulla contagiosità del suicidio, come ammesso dall’OMS e pure in teoria dalla deontologia dei giornalisti, ci sono elementi concreti.

 

Potete capire, quindi, perché posso ritenere pericolosa la serie di Zerocalcare. Il funerale bordo ring mi hanno ricordato A. e R. E il nulla infinito che se li è portati via, e che, senza che qualcuno faccia qualcosa, continua ad avanzare disintegrando il nostro mondo e portandosi dietro tante anime.

 

La situazione attuale: la Cultura della Morte è uscita allo scoperto e ci ha circondato e imprigionato

La questione, tuttavia, non riguarda questi cartoni animati. È l’aria che essi respirano, che respiriamo tutti. È la Necrocultura. È la legge della realtà del secolo, è il sistema operativo del mondo moderno: tutto deve tendere alla distruzione dell’essere umano, alla sua umiliazione alla sua dannazione.

 

Chi doveva difenderci, non è sparito: si è messo dalla parte dei demoni.

 

«L’Ordine dei giornalisti e l’OMS, ho detto all’inizio, quanto meno sulla carta si preoccupano del carattere contagioso del suicidio; la Chiesa di oggi invece no» scrivevo tre anni fa.

 

Potete, se volte, leggere il pezzo dedicato alla serie mandato in stampa dal giornale dei vescovi, Avvenire. La questione è totalmente ignorata (così come una microsequenza con un Armadillo prete che celebra dicendo volgarità: non sappiamo se un tempo sarebbe stata ritenuta legale). Ai cattolici di oggi, cosa interessa? Di fatto, cosa li divide dai centri sociali e dai loro «riti» improbabili?

 

«Perché la Chiesa di oggi è davvero un ente stupido quanto assassino» sbraitavo nel vecchio articolo. «Perché la Chiesa di oggi è il vero problema, il vero nemico dell’Umanità e del Dio della Vita».

 

Terminavo con un discorso filosofico sul dolore che integra la vita, da bisogna voler celebrare tutta intera, perché la vita è qualcosa di superiore al dolore e al piacere, è ciò che li contiene, e che, nella sua forza divina, va avanti anche senza di essi.

 

Tanti altri, da quando è iniziata questa storia, sono morti. Questo è un fatto che abbiamo accettato. Solo, ricordiamoci di non celebrarlo. Ricordiamoci di combatterlo.

Blah blah. Tutto giusto, per carità. Ma guardo alla situazione attuale: la Cultura della Morte è uscita allo scoperto e ci ha circondato e imprigionato.

 

In questi due anni, resistere alla lusinga della tenebra per molti è diventato difficile. Lo sappiamo dalle statistiche. L’impianto dello Stato globale pandemico ha avuto questo effetto, e forse era nei programmi. Di certo, qui la gerarchia cattolica ha dato una grossa mano, mostrandosi programmaticamente impotente verso un organismo acellulare che ha chiuso i suoi templi e cancellato i suoi riti – oltre ad aver introdotto un sacramento nuovo, quello della siringa mRNA.

 

Tanti altri, da quando è iniziata questa storia, sono morti. Questo è un fatto che abbiamo accettato.

 

Solo, ricordiamoci di non celebrarlo. Ricordiamoci di combatterlo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine di Peterbandle85 via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-ND 3.0)

 

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L’Ungheria celebra un millennio di cristianesimo con una croce gigante fatta di droni nel cielo

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L’Ungheria ha celebrato la sua eredità cristiana nel giorno di Santo Stefano con fuochi d’artificio e una croce gigante formata nel cielo dai droni. Lo riporta LifeSite.

 

Il 20 agosto, l’Ungheria ha celebrato la sua festa nazionale, la festa di Santo Stefano I, il primo re d’Ungheria. Durante i festeggiamenti, droni luminosi hanno formato una croce gigante sopra il Danubio, vicino al palazzo del Parlamento.

 

Il ministro degli Affari Esteri e del Commercio Peter Szijjarto ha condiviso un’immagine della croce galleggiante con la didascalia «Altri mille anni», in riferimento al fatto che l’Ungheria è una nazione cristiana da un millennio.

 

Lo spettacolo prevedeva anche fuochi d’artificio, una banda musicale e una processione con le reliquie di Santo Stefano.

 

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«Nel giorno di Santo Stefano celebriamo il nostro millenario Stato cristiano ungherese, fondamento della nostra nazione, pilastro dell’Europa cristiana», ha scritto il premier Vittorio Orban su X. «Orgogliosi di portare avanti questa eredità di fede, forza e indipendenza».

 


Durante il suo primo mandato da primo ministro (1998-2002), l’Orban ha avuto un ruolo chiave nello spostamento della corona di Santo Stefano da un museo al centro del palazzo del Parlamento, un atto simbolico che ha sottolineato l’importanza del patrimonio cristiano dell’Ungheria.

 

«Oggi, 20 agosto, festa di Santo Stefano: celebrazioni in tutto il mondo, ovunque si trovino gli ungheresi», ha affermato l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, Sua Altezza Imperiale arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena.

 


«Celebriamo oltre 1.000 anni di nazione cristiana» ha scritto SAR.

 

Le immagini dello spettacolo a Budapest sono impressionanti, monumentali in un senso epico e moderno al contempo.

 

 

 

 

 

L’Ungheria ha organizzato uno spettacolo di luci simile il giorno di Santo Stefano degli anni passati, quando i droni hanno pure formato una gigantesca croce fluttuante e una gigantesca corona.

 

 

 

Durante il regime sovietico, la festa di Santo Stefano fu soppressa. Il regime comunista scelse deliberatamente il 20 agosto 1949 come giorno per ratificare la nuova costituzione stalinista, in un apparente tentativo di sostituire la festa e promuovere il comunismo ateo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, i 40 anni di occupazione comunista dell’Ungheria terminarono e la festa di Santo Stefano divenne la nuova festa nazionale ungherese.

 

Re Santo Stefano I fu un fervente cattolico e il primo re cristiano d’Ungheria. Papa Silvestro II lo incoronò nell’anno 1000. Morì il giorno dell’Assunzione del 1038 e, sul letto di morte, dedicò il paese a Maria. Lui e suo figlio Emerico furono canonizzati da Papa San Gregorio VII nel 1083.

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica»

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«Il gender ha ampiamente pieno possesso dell’opera lirica» è quanto scrive Pierluigi Panza su Il Fatto d’arte in un articolo che parla della tendenza in auge nei teatri e nei festival musicali, anche prestigiosi. «Del resto, l’opera è un suo territorio naturale poiché da sempre popolato di castrati, ruoli en-travesti, donne travestite da uomini e viceversa».   Nel Novecento, per convenzione, i ruoli originariamente destinati ai castrati sono stati interpretati da donne con voci da mezzosoprano o contralto en-travesti, spiega il critico. Di conseguenza, le voci tradizionalmente presenti sui palcoscenici mondiali sono state quelle di soprano, mezzosoprano e contralto per le donne, e di basso, baritono e tenore per gli uomini.   Negli ultimi anni, però, si è affermata la voce del controtenore tra gli uomini, inizialmente utilizzata principalmente per ricoprire i ruoli scritti per i castrati. Quello che sembrava un capriccio più che una necessità si è rapidamente trasformato in una tendenza diffusa, con un impatto sorprendente e inaspettato.   «Lo vediamo attualmente nel Festival di Salisburgo, dove in giorni successivi sono state messe in scena Drei Schwestern (le Tre sorelle da Anton Cehov) di Eötvös, Giulio Cesare in Egitto di Haendel e Hotel Metamorphosis, un pastiche su musiche di Vivaldi» racconta il Panza. Nella riformulazione di Tre sorelle, il compositore ha fatto la scelta di affidare tutte le parti femminili a «voci maschili, scelta legata al teatro kabuki che è privo di connotazioni maschili o femminili».

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«Una proposta del genere non può che piacere negli odierni tempi fluidi; così le tre sorelle sono state messe in scena con tre bei marcantoni» scrive il critico che avverte che anche il ruolo del soprano è ora insidiato dal genderimo: «la rivoluzione gender non si è fermata al trionfo diffusionale dei controtenori – quasi ricercate star come lo furono i castrati –, ma ha esteso ai maschi la voce da soprano».   «Così avviene nel Giulio Cesare in Egitto sempre in scena al Festival di Salisburgo. Qui il ruolo del romano Sesto è scritto da Haendel per un soprano o per un contralto castrato, cioè per una donna o per un castrato. A interpretarlo a Salisburgo è Federico Fiorio, un soprano veronese. E via con il resto dei ruoli: Giulio Cesare, Christophe Dumax, è un controtenore; Tolomeo, Yuriy Mynenko, un controtenore e Nireno, Jake Ingbar, pure lui un controtenore».   «È la moda del gender, bellezza!» conclude il critico d’arte.   Eravamo rimasti all’idea, diffusa dai giornali e dalle psicologhe invitate nelle scuole elementari cattoliche, che la teoria del gender non esiste. E invece, il gender è all’opera.

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Gli Oasis contro le «lesbiche atee di sinistra»

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Il chitarrista e cantante degli Oasis, Noel Gallagher, durante il concerto del 30 luglio allo stadio di Wimbledon, tra due canzoni ha fatto una domanda particolare al suo pubblico di migliaia di persone

 

«Ci sono lesbiche atee di sinistra?» ha domandato il musicista mancuniano con la chitarra a tracolla. «Potete alzare la mano, per favore?».

 

«Nemmeno una» prosegue il Gallagher, infilandoci dentro la classica parolaccia anglofona con la «f». «Che razza di cultura siamo diventati, eh? Che disgrazia».

 

«La prossima canzona è per le lesbiche atee» dice il Noele. Il pubblico ride, lui parte con una canzone, Where Did It All Go Wrong? (2000).

 

 

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Il Gallagher stava prendendo in giro una comica progressista che sosteneva che gli Oasis fossero la ragione per cui nessuno si presentava ai suoi spettacoli.

 

Kate Smurthwaite si descrive come una «comica, scrittrice, attivista». Il pubblico britannico la ricorda per svariate clip sulla guerra culturale risalenti a quasi un decennio fa, in cui difendeva il femminismo, il politicamente corretto e altro ancora, spesso venendo presa in giro. Un sito di stand up comedy la descrive nella sua pagina di biografia come «una comica e attivista di sinistra, femminista, atea e poliamorosa».

 

La scorsa settimana la Smurthwaite si è cimentata nella parte di stand-up comedy della sua carriera al Fringe Festival di Edimburgo e sfortunatamente il suo spettacolo ha coinciso con un concerto degli Oasis durante la tappa del tour di ritorno della band in Scozia.

 

Mercoledì scorso, la comica lesbica ha pubblicato un video da un locale in cui si vedeva una sala vuota 25 minuti dopo l’inizio previsto del suo spettacolo.

 

 

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«Questo è l’effetto Oasis», ha affermato. «Grandi gruppi di persone con magliette degli Oasis non sono interessati al mio spettacolo né a quello di nessun altro».

 

In un video successivo in cui si vedono folti peli protudere imperiosamente dalle sue ascelle, la Smurthwaite si è lamentata del fatto che il concerto degli Oasis non avrebbe dovuto essere programmato contemporaneamente al festival d’arte e che i notiziari hanno «distorto la storia» che circondava le sue affermazioni.

 

 

Ha ampliato la sua lamentela iniziale sul fatto che gli Oasis dovrebbero essere più rispettosi nei confronti degli altri artisti, aggiungendo che la storia era stata «trasformata in qualcosa del tipo: “un’orrenda comica femminista non riesce ad avere un pubblico per il suo spettacolo perché è sveglia, non è divertente, nessuno è interessato, non è brava come gli Oasis, è amareggiata e furiosa”».

 

La Smurthwaita ha affermato che la copertura mediatica stava oscurando questioni più importanti che affliggono la Gran Bretagna, come il «cambiamento climatico» e le «orribili politiche razziste sull’immigrazione».

 

Nel 2021, a ridosso delle elezioni, il Gallagherro si era scagliato contro il Partito Laburista, reo di essere talmente impresentabile da farsi battere dal Partito Conservatore di Boris Johnson.

 

«Boris Johnson è il simbolo di quanto disgraziato sia il Labour Party, perché se quel fottuto uomo e questo Conservative Party hanno vinto di misura contro il Labour Party allora ho paura di cosa dovremmo dire del partito laburista: una fottuta disgrazia» aveva dichiarato il chitarrista intervistato in un podcasto.

 

«Hanno tradito la classe operaia, hanno tradito la cazzo di gente qualunque e hanno permesso a questa fottuta disgrazia di governare il Paese» ha chiosato l’artista mancuniano. «Il Partito Laburista moderno sono stronzi della classe media che odiano la classe operaia, cazzo, la odiano; è tutto qui e questi cazzo di Tories sono tipo: “Noi li patrociniamo allora”. Quando si sono presi tutti i voti a Nord Boris probabilmente è tornato a Londra e ha detto “Bene, che vadano a fanculo”».

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In passato Renovatio 21 non è stata tenere con gli Oasis, riportando della tragedia che nel dicembre 2021 costrinse 60 persone, bloccate da una tempesta di neve, ad ascoltare per tre giorni cover del gruppo: un evento dove, fortunatamente, non si ebbero vittime.

 

«Non è noto quante volte sia stata ripetuta la cover di Wonderwall, e quali altre perle insopportabili dei litigiosi fratelli mancuniani siano state inferte alla popolazione bloccata nella locanda» scriveva questo sito. «Al momento Renovatio 21 non è in grado di affermare se si sia trattato di un nuovo studio di un progetto MK Ultra segretamente rilanciato, una nuova ricerca dei limiti di sopportazione della mente umana posta sotto immenso stress e tortura. Gli Oasis come arma psicologica tuttavia potrebbero funzionare assai».

 

«Si ritiene che agli Oasis sia inoltre possibile imputare un altro immane danno all’umanità, che è la diffusione – in ispecie in Italia – del nome Liam» aggiungevamo non senza allarme ed amarezza.

 

Tuttavia, visti i recenti sviluppi, ci chiediamo: che sia il caso di ricredersi?

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