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Trump non farà più dibattiti TV con la Harris. Virale il remix di Trump sugli immigrati che mangiano cani e gatti

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha escluso un altro dibattito con Kamala Harris, paragonando la vicepresidente a un pugile che ha perso un incontro e vuole una rivincita. Harris, che ha rifiutato due precedenti offerte di dibattito da parte di Trump, ha detto che i due candidati «devono agli elettori» di affrontarsi di nuovo.

 

Harris era ampiamente considerata la vincitrice del dibattito di martedì sera su ABC News contro Trump, sebbene i sondaggi successivi abbiano mostrato pochi cambiamenti negli atteggiamenti degli elettori e diversi sondaggi informali abbiano rilevato elettori indecisi che sostenevano Trump dopo la resa dei conti in prima serata. La campagna del vicepresidente ha immediatamente chiesto un secondo dibattito e Trump è sembrato aperto all’idea, dicendo a Fox News mercoledì che avrebbe preso parte, ma solo se il dibattito fosse stato ospitato da «una rete imparziale».

 

Tuttavia, in un post pubblicato giovedì sulla sua piattaforma Truth Social, il repubblicano ha annunciato che non avrebbe più dibattuto con il suo rivale democratico.

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«Quando un pugile perde un incontro, le prime parole che gli escono dalla bocca sono: “VOGLIO UNA RIVINCITA”», ha scritto Trump. «I sondaggi mostrano chiaramente che ho vinto il dibattito contro la compagna Kamala Harris, la candidata radicale di sinistra dei Democratici, martedì sera, e lei ha immediatamente chiesto un secondo dibattito».

 

Trump inizialmente ha chiesto a Harris di accettare tre dibattiti: uno ospitato da Fox News il 4 settembre, un altro ospitato da ABC il 10 settembre e un terzo ospitato da NBC News in una data non confermata. La campagna di Harris accettò solo il dibattito ABC, sebbene Trump esitasse a impegnarsi in questa resa dei conti, accusando la rete di una copertura «ridicola e di parte» nei suoi confronti.

 

«Non si è presentata al dibattito sulla Fox e si è rifiutata di partecipare alla NBC e alla CBS», ha continuato Trump, concludendo: «KAMALA DOVREBBE CONCENTRARSI SU CIÒ CHE AVREBBE DOVUTO FARE DURANTE GLI ULTIMI QUATTRO ANNI. NON CI SARÀ NESSUN TERZO DIBATTITO!»

 

“Dobbiamo agli elettori un altro dibattito”, ha scritto giovedì la campagna di Harris su X.

 

Durante il dibattito, Trump è stato ripetutamente interrotto e sottoposto a verifica dei fatti dai conduttori della ABC David Muir e Linsey Davis, quest’ultima membro della confraternita di Harris alla Howard University di Washington. Harris non è stata sottoposta allo stesso fact-checking, nonostante entrambi i candidati abbiano fatto affermazioni fuorvianti.

 

«Molte cose che ho detto sono state smentite, del tutto smentite», ha detto Trump a Fox News mercoledì. «Ma lei poteva dire tutto quello che voleva. Le mie cose erano giuste, ma loro ti avrebbero corretto», ha continuato, definendo il dibattito «totalmente truccato» è l’definito ò’ABC «l’organizzazione giornalistica più disonesta».

 

«Molte cose che ho detto sono state smentite, del tutto smentite», ha detto a Fox. «Ma lei poteva dire tutto quello che voleva. Le mie cose erano giuste, ma loro ti avrebbero corretto».

 

Harris non è stata sottoposta a fact-checking quando ha ripetutamente associato Trump al «Progetto 2025», un manifesto conservatore esplicitamente sconfessato dall’ex presidente. Né è stata corretta quando ha affermato che Trump una volta si era riferito ai neonazisti come «brave persone». In realtà, Trump ha detto che c’erano «brave persone da entrambe le parti» di un raduno della destra statunitense a Charlottesville, Virginia, nel 2017, ma che «non stava parlando dei neonazisti e dei nazionalisti bianchi, perché dovrebbero essere condannati totalmente».

 

Trump, al contrario della Harris, è stato ripetutamente interrotto e verificato dai conduttori Muir e Davis durante il dibattito, ad esempio quando ha affermato che i migranti haitiani stanno «mangiando gli animali domestici» delle persone in Ohio. Mentre diversi abitanti del posto hanno testimoniato che gatti domestici e uccelli selvatici vengono mangiati dai migranti, la polizia locale afferma di non aver ricevuto segnalazioni di tali incidenti. Vi sono, ad ogni modo, molte indagini di giornalisti ed attivisti in corso a riguardo.

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Come riportato da Renovatio 21, la storia degli haitiani che mangiano gatti, cani domestici e anatre dei parchi ha prodotto, anche grazie ai nuovi strumenti di generazione di immagini via Intelligenza Artificiale, meme memorabili.

 

Tuttavia, ora un altro fenomeno virale sembra aver preso la rete: un remix delle parole di Trump al dibattito che dice «they eat the dogs / the eat the cats» («mangiano i gatti / mangiano i cani»).

 

 

 

 

 

 

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Secondo quanto pare di capire, la musichetta – che ora spopola tra i giovani di TikToK – è stata create come sbeffeggiamento del Trump ma si è trasformata immediatamente in un inno al biondo 45° presidente USA.

 

Si tratta di un fenomeno non dissimile da quello visto con «Io sono Giorgia», remix che era stato fatto per prendere in giro un discorso della Meloni (allora ancora capo dell’opposizione): al contrario fu abbracciato immediatamente – e rilanciato – dalle forze meloniane.

 

Si tratta di una question evidente nel nostro tempo: la sinistra non sa più fare satira, né fare comunicazione – perché ha perso la capacità di fare cultura.

 

Tale evidente inferiorità, rispetto all’ondata attivisti creativi di facitori di meme della destra occidentale, è alla base anche della censura sui social media, dove, come appena ammesso da Mark Zuckerberg, il governo USA chiedeva di far sparire perfino post di evidente satira.

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Politica

Un po’ di chiarezza sulla questione dei balneari

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La polemica estiva riguardo le concessioni balneari si è ripresentata anche quest’anno, con l’aggiunta del caro-ombrellone che, a detta di alcuni, ha fatto sì che molti stabilimenti siamo rimasti semivuoti.    Occorre fare chiarezza su una questione annosa che fa parte, inderogabilmente, di una nostra irrinunciabile consuetudine: le vacanze estive al mare. La stampa ne parla tanto, ma troppo spesso lo fa in maniera non approfondita, lasciando al lettore pronunciarsi più slogan che argomenti in grado di far comprendere meglio cosa stia succedendo.   Il Codice della Navigazione nel 1942 ha sancito che chi garantisce di perseguire l’interesse pubblico e una proficua utilizzazione del bene demaniale, può averlo in concessione, e questo è il caso di chi ottiene l’autorizzazione per uno stabilimento balneare. Col tempo vi è stata necessità di regolamentare maggiormente il tutto e nel 1992 è stato definito il «diritto di insistenza», ossia che il titolare della concessione balneare viene preferito rispetto a un altro che vorrebbe subentrare, così da avere la propria concessione rinnovata automaticamente ogni sei anni.

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Così si è proseguito per oltre due decenni, fin quando l’Unione Europea ha «ha stabilito con la Direttiva Bolkestein (2006/123/CE) l’obiettivo di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati. Dovrebbero essere indette quindi gare imparziali per assegnare le concessioni nuove oppure quelle in scadenza».   L’Italia ha però costantemente ignorato l’attuazione della direttiva, esponendosi anche al rischio di sanzioni economiche, e ha continuato a prorogare le concessioni attualmente in vigore. Ciò è avvenuto nonostante il Consiglio di Stato, già nel 2021, avesse stabilito l’impossibilità di estendere ulteriormente le concessioni oltre il 31 dicembre 2023. Per eludere l’applicazione della direttiva, il governo ha istituito un tavolo tecnico-consultivo incaricato di mappare le coste italiane, con l’obiettivo di dimostrare che tali risorse non sono scarse. Infatti, la direttiva si applica esclusivamente nei casi in cui vi sia una reale scarsità di risorse naturali.   Tra le questioni chiarite possiamo annoverare la natura delle concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo: è oggi consolidata la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, secondo cui le concessioni balneari costituiscono autorizzazioni, e non diritti reali né meri contratti d’uso. Esse consentono l’esercizio di un’attività economica attraverso l’assegnazione temporanea e revocabile di un bene pubblico, come l’area demaniale marittima. Non si tratta di un semplice sfruttamento, ma di una forma autorizzatoria che implica, necessariamente, concorrenza per l’accesso.   Venendo invece alle questioni ancora oggi oggetto di dibattito normativo e giurisprudenziale, la prima, in ordine di importanza, riguarda la posizione del concessionario uscente, soprattutto nei casi in cui questi non si veda riassegnare l’area. Il nodo principale è quello dell’indennizzo dovuto per la perdita dell’azienda e per il valore residuo non ammortizzato degli investimenti effettuati.   Questo punto è al centro sia del dialogo in corso tra lo Stato italiano e la Commissione Europea, sia del più recente parere del Consiglio di Stato. C’è da stabilire, in caso di uscita del gestore dall’attività, una sorta di pagamento per l’attività avviata e l’eventuale compenso per tutto ciò che è stato costruito nello stabilimento, nel caso il futuro esercente entrante lo voglia mantenere anche in parte.

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Vero è che chi lascia, deve ridare agli enti pubblici il lembo di spiaggia avuto in concessione senza alcunché in più. In questo groviglio legislativo gli avvocati avranno il loro bel da fare. I tempi pare siano sempre più stringenti e occorre una soluzione, ma siamo in Italia e la burocrazia è talmente pachidermica che per trovare il bandolo dalla matassa che possa non scontentare nessuno, non sarà una missione facile.    Molti strillano alla più libera e democratica concorrenza per la partecipazione – anche in tempi brevi – ai bandi e la conseguente assegnazione in nome di una parità di diritti per tutti, ma non possiamo trascurare il fatto che, giocoforza, gli stabilimenti – a torto o a ragione – sono spesso tramandati di generazione in generazione e le famiglie che li gestiscono hanno a cuore il territorio, conoscono il mestiere, hanno l’accoglienza autoctona ed estirpare d’improvviso un’attività oramai consolidata nel tempo può avere ripercussioni non solo sui lavoratori, ma anche sulla clientela.    Poi c’è la questione prezzi, che pare siamo incrementati oltremodo. Ma sarà poi vero? Di sicuro nelle migliaia di chilometri di spiaggia che abbiamo in Italia non tutte sono uguali, non tutte raccolgono lo stesso target di clienti e non tutte offrono i medesimi servizi. Ciò detto, andrebbe fatta un’analisi territoriale specifica per capire se veramente in alcune zone c’è stata o meno un’impennata dei prezzi.   Guru dei social che in era pandemica usavano ricordare i vicini di casa perché facevano festa, non possono astenersi dal dire la loro, come riportato dal Corriere della Sera: «Cari amici gestori di stabilimenti balneari. Leggo che la stagione non sta andando bene bene. Secondo voi perché? Forse avete un po’ esagerato con i prezzi e la situazione economica del Paese spinge gli italiani a scegliere una spiaggia libera? Abbassate i prezzi e le cose, forse, andranno meglio. Capito come?». Grazie Alessandro Gassman che ci illumini con i tuoi tweet aizzando una vacua canea social altamente improduttiva ai fini pratici, ma ben congegnata per istigare risentimento tra comuni cittadini.   A chi scrive pare il solito pattern di «odio di classe orizzontale» con le varie categorie di lavoratori che ogni tanto vengono messe sotto la lente d’ingrandimento dei mass media per poi essere attaccate dai cittadini. È stato così per i tassinari, per i dipendenti pubblici, per gli artigiani e bottegai additati di non fare gli scontrini, per chi offre locazioni turistiche e affitti brevi, insomma ce n’è per tutti i gusti.   «L’odio» – passatemi il termine – dovrebbe essere invece verticale, verso lo Stato o meglio verso l’Unione Europea, che troppo spesso con le sue politiche distaccate dalla realtà partorisce leggi invasive che offendo e mettono in condizioni critiche chi cerca di fare impresa. Vero è che ogni componente in gioco dovrebbe avere un’etica per non vessare il cliente, questo comunque dobbiamo dircelo, e l’imprenditore non deve essere un «prenditore», ma offrire i servivi a un prezzo equo. Tutto si fa complesso dal momento in cui l’ex Belpaese non gode più di quel benessere del ventennio Ottanta-Novanta dove viaggiava col vento in poppa e la nostra cara vecchia lira godeva di un potere d’acquisto ragguardevole.

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Oggi la moneta unica, tanto amata dai burocrati di Bruxelles, insieme a un impoverimento del tessuto industriale nostrano e a un caro-vita fuori controllo, rende la nostra esistenza più incattivita nei confronti di chi ancora riesce a guadagnarsi qualche soldo in più della media a fine mese.   La villeggiatura, un cliché irrinunciabile che contraddistingue le nostre vite e ci fa godere di quel giusto e meritato riposo dopo mesi di lavoro, oggi non è più quel diritto che accomunava i cittadini di ogni censo.   Il cerchio si restringe e le classi meno abbienti sono costrette a ridurre sensibilmente i giorni di vacanza se non, nel peggiore dei casi, rinunciarvi proprio. Già nelle «estati pandemiche» dal 2020 al 2022, hanno provato a rovinarci le ferie estive con mascherine, distanziamenti, green pass e chi più ne ha più ne metta.   Domani Renovatio 21 pubblicherà un’intervista ad una balneare, che spiegherà cosa sta accadendo dal di dentro.   Francesco Rondolini

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Bolsonaro condannato per aver pianificato un colpo di Stato

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La Corte Suprema brasiliana ha condannato l’ex presidente Jair Bolsonaro per aver tentato di ribaltare le elezioni del 2022, condannando il politico a una pena decennale per aver guidato quella che i pubblici ministeri hanno definito una «cospirazione criminale».

 

Quattro giudici su cinque della Corte Suprema hanno ritenuto Bolsonaro colpevole di tutti e cinque i capi d’accusa a suo carico, condannandolo a 27 anni e tre mesi di carcere.

 

Le accuse includevano la pianificazione di un colpo di stato, la partecipazione a un’organizzazione criminale armata, il tentativo di abolire con la forza l’ordine democratico del Brasile, il danneggiamento di proprietà pubbliche protette e il compimento di atti violenti contro le istituzioni statali.

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Bolsonaro ha cercato di «annientare i pilastri essenziali dello stato di diritto democratico» e di ripristinare «la dittatura in Brasile», ha affermato il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes annunciando il verdetto giovedì.

 

Secondo i pubblici ministeri, il piano golpista è iniziato nel 2021 con l’intento di erodere la fiducia del pubblico nel sistema elettorale brasiliano. Dopo la sconfitta di Bolsonaro nel 2022, i suoi sostenitori sono stati esortati a mobilitarsi nella capitale, Brasilia, dove hanno assaltato e vandalizzato i tre rami del governo nazionale l’8 gennaio 2023.

 

Bolsonaro e gli altri imputati hanno negato ogni illecito e gli avvocati della difesa potrebbero ancora presentare ricorso.

 

Il caso ha acuito le tensioni con gli Stati Uniti, dopo che il presidente Donald Trump l’ha definito una «caccia alle streghe» e ha imposto dazi doganali del 50% al Brasile. L’amministrazione Trump ha anche sanzionato il giudice Alexandre de Moraes per quelle che ha descritto come «gravi violazioni dei diritti umani» e ha annunciato restrizioni sui visti nei suoi confronti e di altri funzionari giudiziari.

 

Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha condannato le tattiche di pressione di Trump, accusando Washington di aver «contribuito a organizzare un colpo di Stato» e giurando che il Brasile «non lo dimenticherà».

 

Bolsonaro era stato messo agli arresti domiciliari mesi fa.

 

Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa gli Stati Uniti hanno revocato il visto al De Moraes.

 

In un recente post su Truth Social, il presidente Trump ha affermato che il Brasile «sta facendo una cosa terribile» a Bolsonaro, a cui è stato vietato di candidarsi a cariche politiche fino al 2030 e che dovrà affrontare un processo alla Corte Suprema per il suo ruolo in un tentato colpo di Stato per rovesciare l’elezione di Lula, cosa che lui nega strenuamente.

 

Come riportato da Renovatio 21, il giudice supremo De Moraes è da sempre considerato acerrimo nemico dell’ex presidente Jair Bolsonaro, che lo ha accusato di ingerenze in manifestazioni oceaniche plurime. Ad alcuni sostenitori di Bolsonaro, va ricordato, sono stati congelati i conti bancari, mentre ad altri è stata imposta una vera e propria «rieducazione».

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Come riportato da Renovatio 21, di recente con De Moraes si era scontrato anche Elone Musk, quando il giudice supremo aveva ordinato il blocco dei conti finanziari di Starlink nel Paese, nel contesto di una faida in corso sulla piattaforma di social media X riguardante la libertà di parola: l’establishment brasiliano chiedeva la censura di determinate voci politiche, cosa che Musk si era rifiutato di fare.

 

Musk aveva reagito in modo duro nei suoi post sui social, tornando a paragonare De Moraes – di cui ha chiesto le dimissioni o la messa in stato di accusa – a Darth Vader e a Lord Voldemort, e pubblicando un’immagine generata artificialmente del giudice supremo in galera.

 

L’imprenditore sudafricano è arrivato a dire che il vero potere in Brasile è nelle mani di De Moraes, definito tiranno travestito da giudice, mentre il presidente Lula è solo il suo cane da salotto. «Alexandre de Moraes è un dittatore malvagio che fa cosplay come giudice» dichiarato il Musk.

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Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.   Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».   «L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.   «Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.   Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.   Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.   Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr  
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