Geopolitica
Tedros: a Gaza ucciso un bambino ogni 10 minuti
La continua campagna militare israeliana a Gaza ha devastato il sistema sanitario dell’enclave palestinese e ha causato gravi perdite tra la popolazione civile, compresi i bambini, ha dichiarato venerdì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Dall’inizio dell’operazione israeliana il 7 ottobre, l’OMS ha verificato più di 250 attacchi al sistema sanitario a Gaza e in Cisgiordania, comprese strutture mediche, ambulanze e pazienti, ha detto il discusso vertice OMS, aggiungendo che il sistema sanitario a Gaza sarebbe «in ginocchio». Nello stesso periodo sono stati segnalati un totale di 25 attacchi contro obiettivi sanitari in Israele, ha aggiunto.
La situazione nell’enclave palestinese è «impossibile da descrivere», ha detto il capo dell’OMS, aggiungendo che circa 1,5 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case, e decine di migliaia di loro hanno dovuto cercare rifugio negli ospedali e nelle scuole, che inevitabilmente diventano sovraffollate.
Le persone cercano rifugio «ovunque possano trovarlo», ha detto Ghebreyesus, aggiungendo che «da nessuna parte e nessuno è al sicuro» a Gaza. I bombardamenti e gli attacchi aerei israeliani, così come le operazioni di terra in corso, hanno provocato più di 10.800 morti a Gaza, ha detto Ghebreyesus. La maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini, ha aggiunto.
Il controverso capo dell’OMS ha anche riferito una dura statistica: «in media, un bambino viene ucciso ogni dieci minuti a Gaza».
Israele sostiene che sta facendo sforzi per alleviare la crisi umanitaria nell’enclave palestinese. Il suo ambasciatore alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha detto venerdì al Consiglio di Sicurezza che la sua nazione ha creato una task force speciale per creare ospedali nella parte meridionale dell’enclave.
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«Israele è in trattative avanzate con gli Emirati Arabi Uniti, con il CICR e con altri Paesi europei riguardo alla creazione di navi-ospedale da campo e navi-ospedale galleggianti», ha dichiarato il diplomatico, aggiungendo che Gerusalemme Ovest ha anche “facilitato il lancio giordano di assistenza medica agli ospedali nel nord di Gaza”.
Erdan ha poi affermato che Israele presumibilmente sta facendo di più per Gaza rispetto alla stessa OMS o a qualsiasi altro organismo delle Nazioni Unite, del resto.
Erdan ha espresso la sua insoddisfazione per la dichiarazione del segretario generale ONU Antonio Guterres, che aveva dichiarato che «quando si guarda al numero di civili uccisi durante le operazioni militari, c’è qualcosa che è chiaramente sbagliato…. Ogni anno, il numero più alto di uccisioni di bambini da parte di uno qualsiasi degli attori in tutti i conflitti a cui assistiamo è il massimo tra centinaia».
Secondo Reuters, l’ambasciatore Erdan ha insistito sul fatto che non ci si può fidare delle statistiche sulle morti e che Israele sta lavorando per limitare le vittime civili, mentre Hamas prende di mira i civili.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk parlando con i giornalisti fuori dal valico di frontiera egiziano di Rafah riguardo la situazione di Gaza ha detto che «siamo caduti in un precipizio. Ciò non può continuare».
Tra le voci critiche nei confronti dell’operazione dello Stato Ebraico si aggiunge anche quella del principale alleato: «troppi» palestinesi sono morti nella campagna di ritorsione di Israele contro il gruppo militante Hamas con sede a Gaza, ha detto venerdì il segretario di Stato americano Antony Blinken. Gli Stati Uniti hanno cercato di convincere Israele a introdurre «pause umanitarie» più lunghe, in particolare per facilitare la consegna di aiuti umanitari all’enclave palestinese.
Come riportato da Renovatio 21, anche il presidente francese Emmanuel Macron aveva attaccato l’uccisione di donne e bambini sulla Striscia, tuttavia nelle scorse ore, dinanzi al presidente israeliano, ha «spiegato» le sue affermazioni.
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Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.
Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.
Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».
La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.
Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.
Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.
The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».
Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.
La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.
Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.
Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.
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