Farmaci
Su quali cellule è testata la nuova pillola anti-COVID?

I giornali hanno gridato al miracolo per il Molnupiravir (conosciuto anche come MK-4482), il nuovo farmaco antivirale orale prodotto da colosso farmaceutico Merck che sarebbe in grado di curare il COVID.
Secondo gli studi di Merck, il Molnupiravir avrebbe ridotto il rischio di ospedalizzazione o morte di circa il 50% rispetto al placebo per i pazienti con COVID-19 lieve o moderato nell’analisi intermedia dello studio di fase 3.
Merck e Ridgeback Biotherapeutics (le due aziende dietro allo sforzo scientifico, assieme alla Emory University di Atlanta) hanno annunciato l’intenzione di chiedere all’ente di regolazione farmaceutica americano FDA l’autorizzazione all’uso in emergenza.
«Abbiamo appena finito di esaminare lo sviluppo del trattamento antivirale somministrato per via orale da Merck per il COVID-19. È stato derivato eticamente»
Il gruppo Children of God for Life ha provato a capire se anche questo farmaco per essere progettato e testato ha dovuto passare per le linee cellulari da feto abortito utilizzate praticamente da tutti i vaccini approvati in occidente.
«Abbiamo appena finito di esaminare lo sviluppo del trattamento antivirale somministrato per via orale da Merck per il COVID-19. È stato derivato eticamente» scrive il CEO di COG Jose Trasancos.
«Due team di ricerca indipendenti hanno studiato il farmaco, con un team che si è basato su modelli di furetto e l’altro su modelli di criceto dorato. Uno dei team di ricerca ha utilizzato una linea cellulare di cancro epiteliale del polmone umano adulto (Calu-3) nei suoi test; tutti gli altri test e il lavoro di propagazione del virus sono stati eseguiti nelle cellule Vero E6».
Come noto, la linea cellulare Vero è stata isolata da cellule epiteliali renali estratte da una scimmia verde africana nel 1962 all’Università di Chiba, Giappone. La linea Vero E6, anche nota come Vero C1008 è un clone della precedente linea derivata Vero 76, creata nel 1968. La cellule Vero E6 sono considerate adatta alla propagazione di virus che si replicano lentamente. Le cellule vero sono utilizzate nella produzione di vari vaccini; nel caso del COVID, il vaccino cinese CoronaVac di Sinovac Biotech utilizza cellule vero nella produzione, come scritto nel contenitore del siero.
Tornando a quando scrivono i COG:
«Il primo articolo è stato pubblicato sulla rivista Nature nel dicembre del 2020 e il secondo è stato pubblicato sulla stessa rivista nell’aprile del 2021. Entrambi gli studi hanno rilevato che il farmaco era un forte mutageno dell’RNA, che induceva una catastrofe genetica nel virus SARS-CoV-2. In altre parole, Molnupiravir uccide effettivamente il virus, a differenza dei vaccini mRNA».
«Entrambi gli studi hanno rilevato che il farmaco era un forte mutageno dell’RNA, che induceva una catastrofe genetica nel virus SARS-CoV-2. In altre parole, Molnupiravir uccide effettivamente il virus, a differenza dei vaccini mRNA»
«È disponibile in forma di capsule, molto più conveniente della somministrazione endovenosa. Gli studi di fase 3 sono iniziati poco tempo fa – agosto 2021 – con una data di completamento stimata per aprile 2022».
Restiamo in attesa di vedere gli sviluppi: un farmaco che uccide il virus, invece di riprogrammare l’organismo umano a combatterlo attraverso una sorta di malattia autoimmune indotta per via genetica, ci sembra la buona notizia che aspettavamo.
Anche perché l’esistenza di questo farmaco disintegrerebbe la necessità dello Stato di emergenza e l’obbligo vaccinale, se non l’uso di questi vaccini sperimentali (approvati solo in via di emergenza) in toto.
Un simile ritrovato farmaceutico distruggerebbe, con la necessità dell’emergenza proclamata, anche tutto il sistema politico-informatico di sorveglianza adottato dagli Stati: in Italia, si chiama green pass.
Stiamo a vedere.
Merk è forse la più grande società farmaceutica al mondo, con una storia intensa riguardo ai vaccini – il primo antivaiolo Merck fu venduto nel 1898. È il produttore del molto controverso vaccino anti-papillomavirus (HPV) Gardasil. Ha in preparazione anche un vaccino per l’Ebola. Merck aveva fatto sapere di aver rinunziato allo sviluppo del suo vaccino COVID lo scorso gennaio.
Le questioni etiche, come vediamo, non si limitano alle linee cellulari in uso.
La società ha affrontato diverse cause per altri farmaci, pagando milioni di dollari in danni. In particolare, si sono avuti problemi Fosamax, Januvia, e Propecia, nonché l’anello anticoncezionale Nuvaring.
Il caso più noto è tuttavia quello del Vioxx, farmaco che fu ritirato. Il Vioxx era venduto come antidolorifico ma sarebbe poi stato associato a problemi cardiovascolari e infarti. L’antidolorifico era sul mercato da cinque anni prima che Merck lo togliesse dal mercato. La FDA ha approvato Vioxx nel 1999. Si stima che 25 milioni di americani abbiano usato il farmaco. Il Vioxx è stato accusato di oltre 3.400 morti. Merck ha pagato quasi 7 miliardi di dollari per risolvere decine di migliaia di cause legali e per coprire sanzioni civili e penali.
Al di là della questione farmaceutica, c’è da pensare anche a quella politica: possibile pensare che anche questo farmaco, se approvato, possa indurre gli Stati a renderlo obbligatorio per la popolazione?
Le questioni etiche, come vediamo, non si limitano alle linee cellulari in uso.
Bioetica
Donna querela la rete di farmaci abortivi: il padre del figlio non nato le avrebbe messo il mifepristone in una bevanda

Una donna ha intentato una causa federale contro il padre del suo bambino e una rete straniera di farmaci abortivi dopo che il suo bambino non ancora nato è stato ucciso da una bevanda drogata. Lo riporta LifeSite.
La donna sostiene che il padre di suo figlio «ha ucciso il suo bambino non ancora nato sciogliendo di nascosto le pillole abortive in una bevanda calda che aveva preparato e inducendo con l’inganno (…) a berla». L’ex procuratore generale del Texas Jonathan Mitchell, un noto avvocato pro-life, rappresenta la donna.
L’uomo «ha ottenuto questi farmaci da Aid Access, un’organizzazione criminale che spedisce illegalmente pillole abortive in Texas e in altre giurisdizioni in cui l’aborto è illegale», si legge nella causa federale, depositata in Texas. «La signora (…) fa causa a (…) e Aid Access per ottenere un risarcimento danni per la morte ingiusta del suo bambino non ancora nato», hanno scritto i suoi avvocati.
Anche la Dottoressa Rebecca Gomperts, direttrice esecutiva di Aid Access, è citata come imputata. Aid Access è legalmente costituita in Austria e Gomperts è cittadina olandese. Il gruppo si rivolge anche ai cittadini americani per la vendita di farmaci abortivi.
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La Gomperts e Aid Access «hanno deliberatamente e consapevolmente spedito farmaci abortivi in Texas, violando le leggi statali e federali», sostiene la causa.
L’uomo, un marine in addestramento che viveva accanto alla donna, «faceva costantemente pressione (…) affinché uccidesse il loro bambino non ancora nato, mentre Davis respingeva sempre le sue richieste e chiariva che intendeva partorire».
La causa include messaggi di testo in cui l’uomo fa pressione sulla donna affinché abortisca e parla dei farmaci abortivi che ha acquistato. Nel frattempo, la donna ha fatto riferimento positivo al loro bambino non ancora nato.
Nella documentazione si spiega che il 18 febbraio 2025 l’uomo «ha portato le pillole abortive a casa» della donna e «le ha chiesto di uccidere il bambino con i farmaci che aveva acquistato». La donna ha rifiutato e ha chiarito all’uomo che non aveva alcuna intenzione di abortire. Tuttavia questi «non si è fatto scoraggiare e portò ripetutamente i farmaci a casa» della signora «quando andava a trovarla». A volte l’uomo «lasciava i farmaci a casa sua dopo la sua partenza, nell’apparente speranza che» la donna che aveva ingravidato «potesse cambiare idea e ingerire le pillole di sua iniziativa». Altre volte il soldato «portava i farmaci con sé al suo ritorno a casa». «E a volte divideva la differenza, lasciando il mifepristone» alla donna e «prendendo con sé le pillole di misoprostolo. Tutto ciò turbava la signora, che non gradiva avere le pillole abortive (…) in casa sua».
La causa descrive in dettaglio tutte le volte successive in cui l’uomo avrebbe fatto pressione sulla donna affinché abortisse, prendendo in giro il bambino non ancora nato e dicendo che un figlio sarebbe stato un «fallimento».
L’uomo ha anche ripetuto i soliti argomenti pro-aborto, dicendo alla donna che il bambino avrebbe reso la vita più difficile agli altri suoi tre figli e rimproverandola, arrivando persino a dire che si sarebbe alleato con l’ex marito presumibilmente violento della donna, scrive LifeSite.
Secondo la denuncia, l’uomo avrebbe infine ingannato la donna convincendola ad assumere i farmaci, mettendo delle compresse di misoprostolo in una bevanda al cioccolato caldo, dopo che lui si era presentato con la scusa di voler ricucire la relazione.
Il marine si sarebbe poi offerto di accompagnarla al pronto soccorso quando la donna aveva iniziato ad avere emorragie e crampi. Avrebbe poi detto che sarebbe andato a prendere la madre della signora, un’anziana donna disabile che non poteva guidare, in modo che potesse rimanere a casa mentre i bambini dormivano.
Invece, sostiene la causa, l’uomo «ha smesso di rispondere al telefono o ai messaggi, lasciando la donna a cavarsela da sola» e si è rifiutato di aiutarla a portarla al pronto soccorso. Invece, mentre sanguinava, ha dovuto raggiungere a piedi l’abitazione di un vicino e farsi dare un passaggio nelle prime ore del mattino.
«Gli imputati (…) sono anche colpevoli di omicidio colposo», conclude la causa.
Un studio del Charlotte Lozier Institute intitolato «Origini e proliferazione di paragoni infondati sulla sicurezza del mifepristone», pubblicato il 24 maggio smentisce l’affermazione sulla sicurezza della pillola assassina, paragonata dai suoi fautori al paracetamolo, concludendo che «non esiste alcun confronto scientificamente valido tra mifepristone e Tylenol» (Tylenol è il marchio del farmaco con cui negli USA si vende il paracetamolo).
Come riportato da Renovatio 21, lo stesso Kennedy ha confermato che Trump gli ha chiesto di studiare i pericoli della pillola abortiva.
Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa più di 200 dirigenti farmaceutici, tra cui il CEO di Pfizer Albert Bourla, hanno firmato una lettera aperta in cui condannano la sentenza di un giudice federale americano contro l’approvazione da parte dell’ente regolatore farmaceutico Food & Drug Administration (FDA) del farmaco abortivo mifepristone, più conosciuto con il nome di RU486.
Dopo la sentenza della Corte Suprema Dobbs che ha di fatto negato che l’aborto sia un diritto federale, molta della battaglia dei pro-feticidio si è spostata sull’aborto farmacologico, che promette di far da sé a casa senza passare per strutture sanitarie. Alcuni giornali americani – gli stessi che hanno negato l’efficacia di idrossiclorochina e ivermectina e imposto i vaccini mRNA, in sprezzo al diritto di curarsi da sé – sono arrivati addirittura a promuovere pillole abortive fai-da-te.
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Big Pharma
Trump invia lettere a 17 Big Pharma chiedendo la fine ai «prezzi abusivi dei farmaci»

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Ambiente
Gli aborti chimici stiano contaminando le riserve idriche

Secondo un nuovo rapporto sconvolgente pubblicato questa settimana da Liberty Counsel Action, più di 40 tonnellate di resti di feti abortiti e sottoprodotti della pillola abortiva sono infiltrati nelle riserve idriche americane. Lo riporta LifeSiteNews.
Il rapporto di 86 pagine esamina un’ampia varietà di documenti e ricerche per individuare gravi carenze nella supervisione del modo in cui l’industria dell’aborto smaltisce i suoi «rifiuti medici», a partire da una fatale previsione errata nell’approvazione originale del mifepristone da parte della Food & Drug Administration (FDA) statunitense, secondo cui il farmaco avrebbe avuto solo un impatto ambientale minimo, con la questione dello smaltimento ampiamente trascurata, sia per i sottoprodotti chimici delle pillole stesse, sia per lo smaltimento dei resti dell’aborto nei bagni delle utilizzatrici dopo l’uso.
«Come altri farmaci noti per causare effetti avversi sul nostro ecosistema, il mifepristone forma metaboliti attivi», spiega il rapporto. «Questi metaboliti possono mantenere gli effetti terapeutici del mifepristone anche dopo essere stati escreti dagli esseri umani e contaminati dagli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP), la maggior parte dei quali non è progettata per rimuoverli».
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«Sfortunatamente, dopo essere passati attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue, alcuni farmaci sono stati trovati nell’acqua potabile americana. Data la mancanza di ricerche sui metaboliti del mifepristone nel nostro ambiente, i loro possibili effetti avversi sul nostro ecosistema e sugli esseri umani che potrebbero assumerli sono sconosciuti».
Uno di questi effetti, tuttavia, potrebbe essere l’infertilità, dato che il mifepristone blocca il progesterone, l’ormone della fertilità.
Gli autori citano una stima, tratta dall’iniziativa «This Is Chemical Abortion» («Questo è l’aborto chimico») di Students for Life, secondo cui «fino a 40 tonnellate di rifiuti medici contaminati chimicamente – tessuti umani, placenta e sangue (bambini abortiti e relativi sottoprodotti) vengono scaricati nei nostri corsi d’acqua», un problema di cui la maggior parte delle normative statali e locali non tiene conto, consentendo di fatto all’industria della pillola abortiva di «utilizzare gli impianti di trattamento delle acque reflue come strutture di fatto per i rifiuti medici per decenni».
Il rapporto ha osservato che la stessa Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (EPA) spiega che gli impianti standard di trattamento delle acque reflue «non sono progettati per rimuovere i prodotti farmaceutici». LC Action ha aggiunto che «gli impianti di trattamento delle acque reflue non sono destinati al trattamento di resti fetali (esistono impianti per rifiuti medici a questo scopo), sebbene finiscano per servire a questo scopo poiché i resti fetali derivanti da aborti chimici vengono spesso scaricati nella rete fognaria».
«Gli impianti di trattamento delle acque reflue non sono tenuti a rimuovere tutta la materia organica, né lo fanno», continua lo studio. «Come sottolineato in un manuale sul trattamento delle acque reflue dell’EPA, ‘i processi di trattamento secondario possono rimuovere fino al 90% della materia organica presente nelle acque reflue utilizzando processi di trattamento biologico’ (enfasi aggiunta). Implicitamente, circa il 10% della materia organica presente nelle acque reflue – che può includere biomassa fetale (inclusi i metaboliti del mifepristone che hanno causato l’aborto chimico) – non viene rimosso (si considerino, ad esempio, frammenti microscopici di pelle o altri resti fetali organici)».
Il rapporto sostiene che sia i governi federali che statali debbano aggiornare le proprie normative sullo smaltimento dei resti fetali e invita il Congresso a «tenere udienze e richiedere ricerche aggiornate sui nostri oceani, laghi e fiumi, cercando informazioni concrete su se e come le pillole abortive chimiche e i relativi sottoprodotti (crani in via di sviluppo, placente, altri resti fetali, ecc.) stiano avendo un impatto sull’ambiente, in particolare per determinare se stiano influenzando negativamente la salute e la vitalità di esseri umani e animali attraverso possibili malattie o anomalie emergenti (o abbiano il potenziale per farlo). Analogamente, l’EPA dovrebbe richiedere analisi e monitoraggio delle nostre riserve idriche per la presenza di metaboliti del mifepristone, in modo simile a quanto avviene per le “sostanze chimiche eterne”» come i PFAS, già noti per la diffusione ambientale e per i possibili effetti sterilizzanti oltre che cancerogeni.
Mat Staver, presidente di Liberty Counsel Action, ha aggiunto che la sua organizzazione ha già iniziato a incontrare «funzionari di alto livello a Washington, DC» per discutere la questione.
Dodici Stati USA attualmente vietano tutti o la maggior parte degli aborti. Tuttavia la lobby abortista sta lavorando febbrilmente per annullare questi deterrenti con una varietà di tattiche, in particolare la distribuzione non regolamentata e senza supervisione di contraccettivi e pillole abortive oltre i confini statali, indipendentemente dai rischi per le donne che presumibilmente servono, scrive LifeSite.
Non si tratta della prima volta che vengono lanciati gli allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano».
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Come riportato da Renovatio 21, le acque di tutto il mondo sono inquinate da fortemente dalla pillola anticoncenzionale, un potente steroide usato dalle donne per rendersi sterili, che viene escreto con l’orina con effetto devastante sui fiumi e sulla fauna ittica. In particolare, vi è l’idea che la pillola starebbe facendo diventare i pesci transessuali.
Danni non dissimili sono stati rilevati per gli psicofarmaci, con studi sui pesci di fiume resi «codardi e nervosi».
Nonostante i ripetuti allarmi sul danno ambientale dalla pillola, le amministrazioni di tutto il mondo – votate, in teoria, all’ecologia e alla Dea Gaia – continuano con programmi devastatori, come quello approvato lo scorso anno a Nuova York di distribuire ai topi della metropoli sostanze anticoncezionali. A ben guardare, non si trova un solo ambientalista a parlare di questa sconvolgente forma di inquinamento, ben più tremenda di quello delle auto a combustibile fossile.
Ad ogni modo, come Renovatio 21 ripeterà sempre, l’inquinamento più spiritualmente e materialmente distruttore è quello dei feti che con l’aborto chimico vengono espulsi nel water e spediti via sciacquone direttamente nelle fogne, dove verranno divorati da topi, pesci, insetti, anfibi e altri animali del sottosuolo.
Su questo non solo non si trovano ambientalisti a protestare: mancano, completamente, anche i cattolici.
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