Geopolitica
Soros e le rivolte negli USA: «non sono stato io»

A seguito delle accuse secondo cui i manifestanti sarebbero pagati per dirottare le proteste di George Floyd nelle rivolte che stanno mettendo a soqquadro diverse città statunitensi, Open Society Foundations di George Soros ha rilasciato un raro comunicato stampa affermando che né essa né nessun altro sta finanziando il caos.
«Facebook, Twitter e altre piattaforme di social media vengono utilizzate per diffondere la teoria della cospirazione ormai familiare e completamente sfatata secondo cui George Soros e Open Society Foundations stanno pagando le persone per protestare, in questo caso riguardo l’omicidio di George Floyd. Siamo stupiti da questo tentativo di delegittimare il vero sfogo di rabbia e preoccupazione da parte della gente negli Stati Uniti e in tutto il mondo» ha scritto il portavoce dell’Open Society Foundation Michael Vachon.
Open Society Foundations di George Soros ha rilasciato un raro comunicato stampa affermando che né essa né nessun altro sta finanziando il caos delle rivolte in USA
«Noi aborriamo la violenza di qualsiasi tipo e non permetteremo agli atti distruttivi di pochi di distrarci dal lavoro cruciale di incontro e creazione di un futuro migliore per tutti i nostri vicini» è scritto nel comunicato stampa della Open Society pubblicato il primo giugno.
Nello stesso comunicato compare quindi una negazione dell’esistenza di un possibile «puparo» dietro alle proteste. Né Open Society Foundations né «qualsiasi altro soggetto» sta finanziando le proteste.
«Facebook, Twitter e altre piattaforme di social media vengono utilizzate per diffondere la teoria della cospirazione ormai familiare e completamente sfatata secondo cui George Soros e Open Society Foundations stanno pagando le persone per protestare»
«Coloro che protestano contro la morte del signor Floyd e la brutalità della polizia in tutta la Nazione lo fanno per una preoccupazione profonda e costante per il loro paese; non lo fanno per la paga da queste fondazioni o da altre, come affermano alcuni cinici. Tali affermazioni sono false, offensive e fanno un male al vero fondamento della nostra democrazia, come sancito dal Primo Emendamento».
I maliziosi potrebbero citare San Girolamo, che nelle sue lettere avvertiva: «dum excusare credis, accusas» («mentre credi di scusarti, ti accusi»). Altri preferirebbero la sempreverde locuzione dal latino medievale: excusatio non petita, accusatio manifesta.
Al di là del ruolo di Soros, è pur vero che molti si sono insospettiti quando misteriose pile di mattoni sono state scoperte nelle principali città di protesta, ed è emerso poi un video che sembra raffigurare un organizzatore che paga un manifestante.
Misteriose pile di mattoni sono state scoperte nelle principali città di protesta
Ad ogni modo, questa non sarebbe la prima volta che la sinistra cospira per rendere violenti eventi altrimenti pacifici.
Nel 2016, l’« operativo» dei Clinton Robert Creamer – un uomo che ha visitato la Casa Bianca di Obama quasi 350 volte – ha fatto un passo indietro rispetto al suo ruolo di organizzatore dopo che un video sotto copertura di Project Veritas aveva rivelato una discussione sul possibile pagamento di agitatori per incitare alla violenza durante i raduni di Trump nel 2016.
Soros ha donato 90 milioni di dollari ad alcuni gruppi femministi che erano dietro le proteste di gennaio 2017 per l’inaugurazione della presidenza di Donald Trump
«Una delle cose che facciamo è mettere in scena proteste di base molto autentiche proprio in faccia ai loro eventi. Ad esempio, ci infiltriamo», ha detto Scott Foval, un ex collaboratore di Creamer.
Soros ha donato 90 milioni di dollari ad alcuni gruppi femministi che erano dietro le proteste di gennaio 2017 per l’inaugurazione della presidenza di Donald Trump.
Sempre nel 2017, il Washington Times ha sostenuto che Black Lives Matter ha ricevuto da George Soros almeno 33 milioni di dollari; la generosa donazione del magnate di Open Society Foundations si sommava ai danari offerti da Fondazioni liberal come la Ford Foundation.
Il Washington Times ha sostenuto che Black Lives Matter ha ricevuto da George Soros almeno 33 milioni di dollari
Durante i disordini razziali del tardo 2017, l‘ex sceriffo della contea di Milwaukee David Clarke disse che George Soros aveva «dirottato» Black Lives Matter al fine di promuovere il boicottaggio del «capitalismo bianco». «Tutto questo porta i segni del finanziamento di George Soros dappertutto» disse lo sceriffo del Wisconsin.
Tre anni fa, il Los Angeles Times pubblicò un articolo che celebrava il fatto che Soros aveva «pompato nella Open Society 18 miliardi di dollari» creando così «un gigante filantropico».
«La fondazione è stata oggetto di controversie per il suo lavoro negli Stati Uniti, come il sostegno alla Planned Parenthood e a questioni di giustizia penale sostenute anche dal movimento Black Lives Matter»
Il quotidiano californiano non mancava di osservare che «la fondazione è stata oggetto di controversie per il suo lavoro negli Stati Uniti, come il sostegno alla Planned Parenthood [la multinazionale dell’aborto, ndr] e a questioni di giustizia penale sostenute anche dal movimento Black Lives Matter».
Nelle ultime settimane sulla stampa mondiale e sui siti internet dedicati è invece tutto un rincorrersi di articoli che negano ogni possibile relazione tra le rivolte e Soros e ridacchiano degli ignoranti complottisti che possono credere a questa correlazione.
Chissà perché non siamo stupiti.
La rete di Open Society Foundations, come evidente, è immensa, ramificata – e perfino molto visibile. Soprattutto, è più vicina di quanto si possa pensare a ciascuno di noi
Se invece il lettore è stupito di tale direzione presa dal giornalismo mondiale, gli vogliamo rammentare che L’«Associazione Carta di Roma» – associazione che promuove il «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti» il cui glossario ora è parte integrante del «Testo unico dei doveri del giornalista» – «riceve il supporto della Open Society di George Soros».
La rete di Open Society Foundations, come evidente, è immensa, ramificata – e perfino molto visibile. Soprattutto, è più vicina di quanto si possa pensare a ciascuno di noi.
Immagine di World Forum Davos via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Geopolitica
L’incontro Trump-Zelensky è stato «pessimo». Accenni al tunnel eurasiatico-americano

L’incontro di venerdì alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è stato descritto come «teso», con Zelensky che non è riuscito a ottenere la consegna dei missili a lungo raggio Tomahawk. Lo riprota la testata Axios, citando fonti informate.
Trump ha comunicato allo Zelens’kyj che non intende fornire i Tomahawk «almeno per il momento», hanno rivelato due fonti a conoscenza dell’incontro. I colloqui, durati circa due ore e mezza, sono stati definiti da una fonte come «non facili» e da un’altra come «difficili». A momenti, la discussione è diventata «un po’ emotiva», secondo il rapporto.
«Nessuno ha alzato la voce, ma Trump è stato fermo», ha dichiarato una fonte ad Axios. L’incontro si è concluso bruscamente quando Trump avrebbe detto: «Penso che abbiamo finito. Vediamo cosa succede la prossima settimana», probabilmente riferendosi ai colloqui imminenti tra Russia e Stati Uniti.
Parlando successivamente con i giornalisti, lo Zelens’kyj ha evitato di rispondere a domande sulle forniture di Tomahawk, limitandosi a dire che gli Stati Uniti «non desiderano un’escalation».
Trump ha sottolineato che per Washington «non è semplice» fornire i missili, poiché gli Stati Uniti devono preservare le proprie scorte per la difesa nazionale. Ha anche riconosciuto che autorizzare Kiev a condurre attacchi in profondità in Russia potrebbe portare a un’escalation del conflitto.
Mosca ha avvertito che fornire missili all’Ucraina «non cambierebbe la situazione sul campo di battaglia», ma «comprometterebbe gravemente le prospettive di una soluzione pacifica» e danneggerebbe le relazioni tra Russia e Stati Uniti.
Lo Zelens’kyj ha cercato per settimane di ottenere i missili Tomahawk, con una gittata massima di 2.500 km, insistendo che l’Ucraina li avrebbe utilizzati solo contro obiettivi militari per aumentare la pressione sulla Russia e favorire un accordo di pace. Tuttavia, il leader ucraino ha minacciato blackout nelle regioni di confine russe e a Mosca. Funzionari russi hanno anche suggerito che Kiev intenda usare i missili per «attacchi terroristici».
Durante i momenti con la stampa, il presidente ha prodotto una scena imprevedibile quando ha parlato della discussione avuta con Putin di un tunnel tra l’Alaska e la Siberia, chiedendo quindi allo Zelens’kyj cosa ne pensasse. L’ex attore ha risposto con tempi comici «non sono felice di questa cosa», sorridendo. «Non credo che gli piaccia» ha detto Trump ridendo.
Reporter: Are you interested in a Putin-Trump tunnel to connect Russia and Alaska?
Trump: Just heard about that one. Interesting idea — we’ll think about it. What do you think, Mr. President?
Zelensky: I’m not happy about this
— Alice Williams (@afreegirlll) October 18, 2025
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Il progetto di tunnello sotto lo stretto di Bering, che tocca le isole Diomede, esiste da molto tempo.
Il concetto di un collegamento tra i due continenti (un ponte o tunnel chiamato «Kennedy-Khrushchev World Peace Bridge») è emerso durante la Guerra Fredda, con proposte già nel 1905 dall’Impero Russo e nel 1904 da magnati ferroviari americani. Nel 2007, la Russia ha pianificato un tunnel da $65 miliardi come parte di una rete ferroviaria trans-siberiana. Nel 2011, funzionari russi hanno sostenuto un tunnel da 100 km per collegare Yakutsk a Komsomolsk-on-Amur, estendendolo all’Alaska. Nel 2015, si è parlato di una collaborazione Russia-Cina per un ponte stradale con oleodotti.
Il 16 ottobre 2025, Kirill Dmitriev, inviato per gli investimenti del presidente russo Vladimir Putin e CEO del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF), ha proposto il «Putin-Trump Tunnel» su X (ex Twitter), rivolgendosi direttamente a Elon Musk e alla sua Boring Company, l’azienda che crea tunnelli stradali. Il Dmitriev lo ha descritto come un «simbolo di unità» per collegare le Americhe all’Eurasia.
Dmitriev ha rivelato che uno studio di fattibilità è iniziato sei mesi fa (aprile 2025), con RDIF che ha già esperienza in ponti come quello Russia-Cina.
Con i suoi 112 chilometri di lunghezza, si tratterebbe del tunnel più lungo del mondo. Un costo stimato sarebbe di 65 miliardi, ma riducibile, per una durata di lavore di meno di otto anni.
Come riportato da Renovatio 21, l’incontro Trump-Zelens’kyj è seguito a una telefonata tra Trump e Putin, dopo la quale entrambe le parti hanno espresso l’intenzione di organizzare un vertice a Budapest, in Ungheria, nel prossimo futuro.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Trump e Putin si telefonano: «può portare alla pace»

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Geopolitica
Budapest si prepara ad ospitare il vertice Putin-Trump

L’Ungheria e la Russia hanno avviato discussioni sui preparativi per il vertice tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto a Budapest, ha annunciato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto.
In un post su Facebook pubblicato venerdì, Szijjarto ha riferito di aver avuto una conversazione telefonica con Yury Ushakov, principale consigliere di Putin per la politica estera, confermando che «i preparativi sono in pieno svolgimento».
Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato di aver parlato al telefono con Putin venerdì. Szijjártó ha aggiunto che il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il Segretario di Stato americano Marco Rubio si incontreranno più tardi nella stessa giornata.
Szijjarto ha sottolineato che l’Ungheria è pronta a garantire la sicurezza dei colloqui tra Russia e Stati Uniti, che si concentreranno sul conflitto ucraino, e che Budapest accoglierà Putin con rispetto, assicurandogli libertà di movimento da e per il Paese.
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Giovedì Orban aveva annunciato che Budapest è pronta a ospitare l’incontro tra i due presidenti, definendolo «una grande notizia per i popoli amanti della pace nel mondo» e descrivendo l’Ungheria come «un’isola di pace».
L’incontro tra Trump e Putin è stato annunciato per la prima volta dal presidente statunitense giovedì, dopo una telefonata tra i due leader, la prima in quasi due mesi, durata oltre due ore secondo il Cremlino e la Casa Bianca. Trump ha definito la conversazione «molto produttiva», sottolineando che «sono stati compiuti grandi progressi».
Anche il Cremlino ha confermato il vertice programmato, con Ushakov che ha dichiarato che i preparativi sarebbero iniziati «senza indugio». Ha precisato che Budapest era stata proposta come sede dell’incontro da Trump e che Putin aveva subito appoggiato l’idea.
L’ultimo incontro tra Putin e Trump si era tenuto a metà agosto in Alaska, incentrato sul conflitto in Ucraina e sul rilancio delle relazioni tra Russia e Stati Uniti. È stato il loro primo faccia a faccia dal 2019. Entrambi i leader avevano definito il vertice produttivo, pur senza registrare progressi significativi.
Sebbene i contatti tra Mosca e Washington siano successivamente diminuiti, Lavrov ha dichiarato all’inizio di questa settimana che il processo avviato in Alaska «non è concluso» e che le due nazioni hanno ancora «molto da fare».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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