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Soldato indiano rapito e assassinato vicino al confine con il Pakistan

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Le tensioni sono riemerse nel Jammu e Kashmir, una regione colpita da insurrezioni lungo il confine tra India e Pakistan, dopo che mercoledì mattina le forze di sicurezza hanno recuperato il corpo di un soldato dell’esercito indiano.

 

Secondo l’agenzia di stampa ANI, il corpo del soldato 26enne è stato trovato crivellato di colpi in una zona boscosa del distretto di Anantnag.

 

Il deceduto, identificato come Hilal Ahmad Bhat, era tra i due soldati rapiti da presunti terroristi il ​​giorno prima, spingendo l’esercito a lanciare una vasta missione di ricerca. L’altro soldato è riuscito a fuggire, secondo quanto riportato dai media indiani. I soldati sono stati rapiti durante un’operazione antiterrorismo congiunta notturna condotta dall’esercito indiano in collaborazione con la polizia del Jammu e Kashmir martedì.

 


 

L’incidente è avvenuto nonostante le misure di sicurezza rafforzate nella regione, dove nelle ultime settimane si sono tenute le prime elezioni dell’assemblea. Nuova Delhi ha schierato 3.000 truppe aggiuntive per le elezioni, che si sono svolte in tre fasi a settembre e ottobre, come riportato dall’Hindustan Times.

 

In particolare, è stato il primo sondaggio nella regione di confine in oltre un decennio, dopo anni di disordini e militanza. Tuttavia, l’elezione è stata oscurata dall’aumento dell’attività terroristica nella zona.

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Ancora la scorsa settimana, uno scontro tra personale dell’esercito e terroristi ha causato due vittime nel distretto di Kupwara lungo la Linea di controllo, il confine tra India e Pakistan. L’operazione che ha portato allo scontro è stata lanciata il 3 ottobre in seguito a segnalazioni di infiltrazioni terroristiche in India. Secondo i resoconti dei media, si ritiene che circa 60-80 terroristi si siano infiltrati nella regione di Jammu tra marzo e aprile di quest’anno.

 

Come reputato da Renovatio 21, il mese scorso le forze di sicurezza indiane hanno dichiarato di aver sventato un tentativo di infitrazione terroristica in Kashmir a pochi giorni dalle elezioni.

 

Il Kashmir è al centro di una grande disputa di confine tra l’India e il suo vicino dotato di armi nucleari. Nel corso degli anni, l’India ha accusato il Pakistan di sostenere il terrorismo transfrontaliero nella regione a maggioranza musulmana, mentre Islamabad ha accusato l’India di violare i diritti umanitari dei residenti della regione.

 

I legami tra India e Pakistan sono gelidi dal 2019, in seguito al mortale attacco di Pulwama in Kashmir, che ha ucciso 42 soldati indiani. In risposta, Nuova Delhi ha condotto un «attacco chirurgico» contro un gruppo terroristico a Balakot in Pakistan. Inoltre, nel 2019, Islamabad ha declassato le sue relazioni con Nuova Delhi dopo che il governo federale guidato da Narendra Modi ha revocato speciali privilegi costituzionali per la regione.

 

Gli ultimi sviluppi vicino al confine giungono solo pochi giorni prima del viaggio programmato del ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar in Pakistan per partecipare a un summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Jaishankar ha recentemente condannato Islamabad per la sua «politica di terrorismo transfrontaliero», affermando che «non avrà mai successo».

 

Come riportato da Renovatio 21, la settimana scorsa il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh aveva accusato il Pakistan di finanziare una «fabbrica di terrorismo». Due mesi fa il premier indiano Modi aveva dichiarato che il Pakistan intendeva «rimanere rilevante» attraverso «terrorismo e guerre per procura».

 

Il mese scorso erano invece arrivate accuse all’India di repressione della popolazione islamica da parte dell’ayatollah iraniano Ali Khamenei.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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La Croazia ripristina la leva militare

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Il Parlamento croato ha deciso di reintrodurre il servizio militare obbligatorio, interrompendo una sospensione durata 17 anni. La Croazia aveva abolito la leva nel 2008, optando per un esercito interamente professionale.   Questa decisione si allinea a una tendenza più ampia tra i Paesi membri della NATO e dell’UE, che stanno ripristinando la coscrizione obbligatoria e incrementando i bilanci militari, motivati dalle attuali tensioni geopolitiche, in particolare il conflitto in Ucraina.   Secondo la nuova normativa, circa 4.000 giovani saranno chiamati ogni anno in cinque gruppi per un addestramento di base di due mesi in varie strutture militari croate, come riportato venerdì dall’emittente statale HRT. Il programma, con un costo stimato di 23,7 milioni di euro all’anno, partirà all’inizio del 2026. Le reclute riceveranno uno stipendio mensile di circa 1.100 euro, oltre a rimborsi per le spese di viaggio, ferie e riconoscimento dell’esperienza lavorativa.

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Il ministro della Difesa Ivan Anusic ha dichiarato all’inizio di questa settimana, secondo l’AFP, che la Croazia sta affrontando «un aumento di diverse minacce che richiedono un’azione rapida ed efficace da parte della comunità più ampia». A giugno, ha spiegato che il ripristino della coscrizione è stato motivato da «cambiamenti nelle circostanze geopolitiche e di sicurezza globali, disastri naturali sempre più frequenti legati ai cambiamenti climatici e altre sfide simili».   La Croazia si unisce a un numero crescente di Paesi NATO e UE che stanno reintroducendo o ampliando la leva obbligatoria.   Come riportato da rRenovatio 21, la Svezia ha ripristinato la coscrizione nel 2017 e prevede di alzare il limite di età per i riservisti. Lettonia e Lituania hanno reintrodotto il servizio obbligatorio, mentre Estonia e Finlandia hanno incrementato il numero di reclute annuali. Anche la Polonia sta valutando misure simili.   La Germania sta discutendo addirittura di una «lotteria» per la naja. La Gran Bretagna parla invece di sanzioni per gli adolescenti che rifiutano la leva, e di arruolamento degli autistici.    

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Aborto e pena di morte, la dichiarazione controversa di papa Leone XIV

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A favore della vita? Papa Leone XIV, rompendo con il riserbo osservato fino ad allora, ha dichiarato durante un’intervista alla stampa il 30 settembre 2025 a Castel Gandolfo: «Chi dice: “Sono contro l’aborto” ma sostiene la pena di morte non è veramente a favore della vita», come riportato da Vatican News.

 

Questa affermazione, che ha suscitato una certa preoccupazione tra i cattolici americani, merita di essere analizzata. Il papa sottintende che coloro che difendono la vita debbano opporsi non solo all’aborto, ma anche alla pena di morte. Queste due battaglie, agli occhi del papa, si basano sullo stesso principio. Sarebbe incoerente opporsi all’aborto e sostenere la pena di morte.

 

In realtà, esiste una differenza fondamentale tra l’aborto e la pena di morte. Nel primo caso, si tratta dell’uccisione di una persona innocente, che non ha mezzi di difesa. Nel secondo caso, si tratta dell’uccisione di una persona colpevole. Spesso, questa persona colpevole è un criminale che ha ucciso persone innocenti e che potrebbe commettere nuovamente il reato.

 

Secondo Leone XIV, sostenere la pena di morte non è compatibile con l’essere «a favore della vita». Ma allora il Magistero unanime della Chiesa per venti secoli deve essere considerato non a favore della vita. Infatti, papi e concili, fino all’inizio del XXI secolo, hanno insegnato che la pena di morte, in certi casi, era moralmente ammissibile (1).

 

Nell’enciclica Casti connubii del 1930, papa Pio XI, pronunciandosi con forza contro il crimine dell’aborto, scrisse: «il diritto di punire con la morte vale solo contro i colpevoli. Non vale contro gli innocenti». (2)

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Si potrebbe obiettare al quinto comandamento del Decalogo: «Non uccidere» (3). Sant’Agostino e San Tommaso hanno risposto all’obiezione. Questo precetto proibisce l’uccisione degli innocenti. Ma non è ingiusto uccidere criminali o nemici dello Stato. Ciò non va contro questo precetto del Decalogo. (4)

 

Se un obiettore insiste nell’invocare il diritto alla vita di ogni essere umano, rispondiamo citando papa Pio XII nel suo discorso del 14 settembre 1952: «anche quando si tratta dell’esecuzione di un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto individuale alla vita. È allora riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita, in espiazione della sua colpa, dopo che, con il suo crimine, si è già spogliato del suo diritto alla vita».

 

Dobbiamo piuttosto chiederci se l’opposizione alla pena di morte sia davvero un comportamento pro-life. Se un criminale ha brutalmente ucciso decine di persone innocenti e, privo di qualsiasi pentimento, desidera recidivare, il comportamento pro-life consiste nel proteggere la vita di quel criminale a tutti i costi, o piuttosto nel proteggere la vita di cittadini innocenti e pacifici che rischiano di essere assassinati?

 

Difendere la vita umana non significa forse punire severamente chi la distrugge e stabilire leggi che scoraggino i potenziali assassini al fine di proteggere gli innocenti?

 

E che dire dell’autodifesa e della guerra giusta? L’uomo che uccide il suo aggressore ingiusto o il soldato che uccide l’invasore della sua patria meritano il rimprovero di Leone XIV di non essere «pro-vita»? Questo rimprovero non dovrebbe piuttosto ricadere sull’aggressore ingiusto, nemico della vita umana?

 

Non c’è quindi alcuna incoerenza, ma al contrario una logica perfetta, nel lottare contro l’aborto sostenendo al contempo la legittimità della pena di morte per alcuni pericolosi recidivi.

 

Abate Bernard de Lacoste

 

NOTE

 

1) Vedere gli articoli dell’abate J.-M. Gleize in Super hanc petram, t. 2, pp. 135-140 e 159-169.

2) Dz 3720.

3) Esodo XX, 13.

4) Summa Theologica, Ia IIae, q. 100, artt. 8, annuncio 3.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr 

 

 

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La Chiesa pubblica le sue statistiche annuali

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Il 17 ottobre 2025, in occasione della 99ª Giornata Missionaria Mondiale, il Dicastero per l’Evangelizzazione ha pubblicato le sue statistiche annuali sullo stato della Chiesa cattolica nel mondo. Questi dati, una sintesi dei dati raccolti fino alla fine del 2023, dipingono un quadro sfumato del cattolicesimo, continente per continente.   Il primo dato che salta all’occhio leggendo le ultime statistiche della Chiesa è il numero dei cattolici nel mondo: mentre la popolazione mondiale ha raggiunto un nuovo traguardo nel 2023, raggiungendo i 7.914.582.000 abitanti – con un aumento di 75.639.000 persone rispetto al 2022 – il numero dei cattolici non è diminuito, né in valore assoluto né in proporzione.   Si stima che i battezzati siano 1,4 miliardi, con un aumento di circa 16 milioni in un anno. Questo aumento porta la quota di cattolici al 17,8% della popolazione mondiale (17,7% nel 2022) e conferma la tendenza al rialzo osservata da decenni. Per la prima volta, Africa e Sud America sono gli unici continenti a progredire, mentre l’Europa continua a mostrare segni di stagnazione o addirittura di forte calo a seconda del Paese.   Seconda osservazione: la distribuzione geografica dei cattolici rivela disparità evidenti. In Africa, il continente più dinamico, il numero di cattolici battezzati è aumentato di 8,3 milioni, rappresentando ormai il 20% di una popolazione africana stimata in 1,4 miliardi, tanti quanti i cattolici nel mondo. Questa crescita si spiega con un alto tasso di natalità ma anche con un’evangelizzazione attiva, con diocesi in piena espansione.   Le Americhe hanno visto un aumento di 5,6 milioni: i cattolici rappresentavano il 64% di una popolazione che superava il miliardo. L’Asia ha registrato un incoraggiante aumento di 954.000 fedeli, mantenendo una quota stabile al 3,3% della popolazione. L’Europa ha guadagnato 740.000 cattolici, per un totale di 286 milioni, pari al 40% della popolazione. L’Oceania ha visto un leggero aumento di 210.000, ma la quota di battezzati è diminuita dell’1%: poco più di 11 milioni di cattolici su 44 milioni di abitanti.

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Questa crescita globale è supportata da una rete di 1.130 circoscrizioni ecclesiastiche gestite dal Dicastero per l’Evangelizzazione, di cui 530 in Africa e 483 in Asia. Ciò rappresenta un aumento di sette unità rispetto all’anno precedente, a dimostrazione di una crescente presenza nelle regioni in via di sviluppo.   Nonostante questa vitalità numerica, la Chiesa si trova ad affrontare una sfida importante: la scarsità di vocazioni sacerdotali. Il numero totale di sacerdoti è di 406.996 nel 2023, in calo di 734 unità rispetto al 2022, inclusi 278.742 sacerdoti diocesani e 128.254 religiosi, con una diminuzione di 429 e 305 unità. Il rapporto tra fedeli e sacerdoti aumenta a un sacerdote ogni 15.918 abitanti (15.682 nel 2022), con un onere maggiore per i restanti pastori.   Le tendenze regionali accentuano questo contrasto. In Europa, il calo è netto: 2.486 sacerdoti in meno, con un rapporto di 1.846 fedeli per sacerdote, a riflesso del calo delle vocazioni in un continente in forte declino. Le Americhe hanno perso 800 sacerdoti, mentre l’Oceania ne ha avuti 44 in meno. Al contrario, l’Africa ha guadagnato 1.451 sacerdoti, con un rapporto di 5.094 cattolici per sacerdote, e l’Asia 1.145. Questi incrementi compensano in parte le perdite, ma il saldo complessivo rimane negativo.   I seminari, fucina di futuri sacerdoti, confermano questa tendenza al ribasso. Il numero di seminaristi maggiori – diocesani e religiosi – ammonta a 106.495, con un calo di 1.986 unità nell’ultimo anno. L’Africa è aumentata di 383 unità, ma l’Asia è diminuita di 1.331 unità e l’Europa di 661 unità. Queste cifre allarmanti sollevano la questione della successione: come mantenere la presenza della Chiesa in alcune regioni con un clero che invecchia?   In termini di istruzione, nel 2023 la Chiesa gestiva 74.550 scuole materne per 7,6 milioni di bambini, 102.455 scuole primarie per 36 milioni di studenti e 52.085 scuole medie e superiori per 20 milioni di giovani. 2,7 milioni di studenti frequentano istituti collegati alla Chiesa e 4,6 milioni di altre università affiliate. Queste reti, spesso gratuite o sovvenzionate, raggiungono oltre 70 milioni di giovani.   Nel campo dell’assistenza sanitaria e sociale: sono attive 103.951 strutture. Tra queste, 5.377 ospedali, 13.895 dispensari, 504 lebbrosari, 15.566 case di riposo per anziani o disabili, 10.858 centri diurni e 10.827 consultori matrimoniali. Il sito informativo del Vaticano aggiunge anche 145.000 dispensari e 50.000 altre strutture di accoglienza (case di accoglienza, servizi sociali).   In breve, la Chiesa cattolica conta 1,4 miliardi di fedeli in un mondo di 7,9 miliardi di persone, gestendo un impero educativo e caritativo senza pari. Ma dietro queste cifre piuttosto lusinghiere si nasconde una sfida: come nutrire spiritualmente questa moltitudine con risorse umane in diminuzione? Questa è la sfida del pontificato inaugurato poco meno di sei mesi fa.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Donatas Dabravolskas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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