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Se il vescovo viene accusato di vilipendio della religione cattolica

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Molti lettori ricorderanno la vicenda della mostra «Gratia Plena» di Carpi, ideata e curata dall’artista Andrea Saltini ed approvata dalla Diocesi di Modena e Carpi, di cui è vescovo monsignor Erio Castellucci.

 

A seguito della chiusura – anticipata – della mostra che ha avuto luogo la primavera scorsa, ospitata nella chiesa di Sant’Ignazio a Carpi – la quale, lo ricordiamo, è una chiesa consacrata e quindi adibita esclusivamente al culto cattolico – un gruppo di fedeli, rappresentati dall’avvocato Francesco Minutillo, ha deciso di adire le vie legali, ritenendo che il vescovo Castellucci, insieme ad altre tre persone, fra cui il curatore della mostra, debba rispondere ai sensi dell’art. 403 del codice penale («Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone»), che recita testualmente: «Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000».

 

La mostra infatti, come noto, rappresentava Gesù Cristo e altre figure religiose in situazioni e pose che sarebbe riduttivo definire solamente inopportune o ambigue.

 

Castellucci non si era tuttavia fatto intimorire dalla protesta dei fedeli, procedendo per la sua strada e asserendo che la malizia stava solo negli occhi dell’osservatore. Il vescovo si deve essere sentito piuttosto tranquillo, se è vero come scritto dai giornali che nemmeno aveva nominato un difensore: il caso, qualcuno ha forse pensato, sarebbe stato archiviato in tempi rapidissimi. Le cose non sono andate proprio così.

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Infatti, la richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica non è stata accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del tribunale di Modena, che ha accolto l’opposizione all’archiviazione mossa dall’avv. Minutillo.

 

Rebus sic stantibus, siamo dinanzi ad un caso unico nella storia, una vicenda di portata veramente enorme, incredibile fino al grottesco: il vescovo di una grande diocesi italiana coinvolto in accuse di vilipendio alla religione cattolica. Inaudito davvero.

 

Vogliamo ricordare che monsignor Castellucci è, oltre che vescovo di Modena e Carpi, anche vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, la grande e (un tempo) potente istituzione episcopale nazionale, a questo punto anch’essa sfiorata da questo corto circuito visto il coinvolgimento di una delle sue cariche più alte.

 

Possibile che il vicepresidente dei vescovi italiani finisca in tribunale per un’offesa al cattolicesimo?

 

Il 20 gennaio 2025 monsignor Castellucci – o un avvocato che stavolta, si può supporre, nominerà – dovrà comparire come parte davanti al GIP in un’udienza di discussione sulla fondatezza o meno dell’archiviazione.

 

Qualsiasi cosa succeda, in ogni caso il vescovo sarà parte di un dibattimento circa l’accusa di vilipendio alla religione cattolica mossa a lui e agli altri tre accusati.

 

Come noto, i fedeli – non solo emiliani, ma da tutta Italia – avevano partecipato, a centinaia, alla processione di riparazione indetta lo scorso maggio a seguito dello scandalo della mostra.

 

Ora, in tribunale, si parlerà, eventualmente, di un altro tipo di conseguenze.

 

Cristiano Lugli

 

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Immagine di Luciano Rossi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported; immagine tagliata

 

 

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Il cardinale Sarah afferma che papa Leone è «consapevole della battaglia» sulle restrizioni alla messa in latino

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Il cardinale Robert Sarah ha condiviso in un’intervista pubblicata lunedì di aver parlato con papa Leone XIV delle preoccupazioni di coloro che hanno partecipato alla messa tradizionale in latino e che il pontefice è consapevole delle loro difficoltà.   «Continuiamo a litigare per la liturgia, continuiamo a fare bullismo contro certe persone”, ha dichiarato Sarah alla pubblicazione francese Tribune Chrétienne in un’intervista esclusiva, suggerendo che i cristiani che partecipano e sostengono la Messa in latino non possono essere giustamente privati ​​della Messa in latino, anche perché questi cattolici praticano la loro fede in modo pieno e autentico.   «In realtà, quando guardiamo davvero ai cristiani praticanti oggi, sono loro ad andare alla Messa tradizionale. Allora perché proibirglielo? Al contrario, dovremmo incoraggiarli», ha detto il presule. «Non so cosa farà il papa, ma è consapevole di questa battaglia. È consapevole di questa difficoltà».   Il cardinale ha affermato di aver avuto «l’opportunità» di discutere la questione quando ha incontrato papa Leone, ma non ha rivelato alcun dettaglio specifico sulla loro conversazione, incluso se Leone abbia indicato una linea d’azione riguardo alla messa in rito antico.   Tuttavia, ha espresso la speranza che Leo tenga conto delle esigenze dei cattolici che frequentano la Messa tridentina. Quando il suo intervistatore gli ha fatto notare che il cardinale Raymond Burke ha ottenuto una Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro, Sarah ha risposto:

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«Ciò avverrà, ma a tutti deve essere dato spazio. Il papa è il padre di tutti, di ognuno di noi. È il padre dei tradizionalisti. È il padre dei progressisti, il padre di tutti. Non può ignorare i suoi figli. Ognuno ha il suo carattere, la sua sensibilità. Tutti devono essere tenuti in considerazione. Credo che cercherà di agire in questo modo».   In precedenza nella sua intervista, Sarah aveva sottolineato che la Messa è diventata un «campo di battaglia tra tradizionalisti e progressisti» e si era chiesto il perché, incoraggiando i fedeli a riflettere sulla provenienza dell’autorità di proibire una Messa.   «Penso che dobbiamo riflettere su questo. È l’unico momento in cui l’uomo è in rapporto faccia a faccia con Dio», ha detto riferendosi alla Messa. «È l’unico momento in cui l’uomo è in contatto diretto con Dio, quando Dio lo ascolta, quando l’uomo parla con Dio».   «Perché dobbiamo combattere? Perché proibire questo? Perché proibire quello? Chi ci dà questo diritto? Chi ci dà questo potere? Qualcuno che ha un rapporto personale con Dio? Non abbiamo mai visto una cosa del genere nella storia della Chiesa», ha continuato il cardinale, riferendosi al divieto senza precedenti di una venerabile liturgia sviluppatasi organicamente nel corso di molti secoli.   «Quindi penso che se il papa cerca di capirlo non sia facile, perché la questione è una questione di fede. Come crediamo, come preghiamo», ha detto Sarah, invertendo il detto latino Lex orandi, lex credendi».   Quando Leone ha finalmente affrontato pubblicamente la questione il mese scorso, ha evitato di dare una risposta chiara sulla sua posizione in merito alla legittimità delle restrizioni al TLM, affermando che l’argomento è «molto complicato».   Il papa ha inoltre definito la messa in latino un «argomento scottante» e ha rivelato di aver già ricevuto «numerose richieste e lettere» sull’argomento.   La messa tradizionale della Chiesa è stata sottoposta a pesanti restrizioni nel luglio 2021 a causa della Traditionis Custodes di papa Francesco e delle successive misure imposte dal cardinale Arthur Roche nel suo ruolo di prefetto della Congregazione per il Culto Divino.   Mentre il Vaticano, sotto Leone XIII, ha concesso a una parrocchia del Texas una proroga di due anni per celebrare la messa latina tradizionale, il papa non ha finora dato alcuna indicazione, nemmeno in questa decisione, che dichiarerà abrogata la Traditionis Custodes o ne modificherà i diktat.   La Traditionis Custodes è stata fermamente condannata dal clero e dagli studiosi come un ripudio della pratica perenne della Chiesa cattolica e perfino del solenne insegnamento della Chiesa.   Il cardinale Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non può essere proscritta, nemmeno dal Papa stesso. «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un mero atto di volontà, nemmeno dalla più alta autorità ecclesiastica», ha scritto il cardinale statunitense nel 2021.   La bolla Quo Primum di San Pio V del 1570 autorizzò in modo permanente la Messa tradizionale, dichiarando che poteva essere usata «liberamente e lecitamente» «in perpetuo» e che persino l’ira di Dio si sarebbe abbattuta su coloro che avessero osato limitare o abolire la Messa di sempre.   «(…) Decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario (…)» scrive Quo Primum.   «Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».

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Immagine di Lawrence OP via Flickr pubblicata su licenza Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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Messi in vendita gli effetti personali di Pio XII

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Il 28 giugno 2025, presso la Galleria Moenius di Berna, saranno messi all’asta oggetti appartenuti a Papa Pio XII, il Venerabile Eugenio Pacelli (1890-1958). La vendita, ha annunciato la galleria svizzera, comprendeva autografi, libri, oggetti devozionali, abiti, scarpe e oggetti personali.

 

La maggior parte di questi oggetti fu tramandata da Suor Pascalina Lehnert (1894-1983). Suora tedesca delle Suore della Santa Croce, fu governante e assistente di Papa Pio XII, che servì anche quando questi fu Nunzio Apostolico in Baviera dalla fine del 1918.

 

Tra questi oggetti c’erano delle scarpe da cerimonia, probabilmente indossate raramente perché in ottime condizioni. Decorate con una raffinata bordatura in argento e oro lungo i bordi, le scarpe presentavano lo stemma dei Pacelli con la colomba bianca e il ramoscello d’ulivo ricamato sul collo del piede. Attorno allo stemma sono presenti la croce di San Giovanni e il cappello rosso cardinalizio con le sue tradizionali nappe.

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Se Pio XII fosse stato canonizzato, gli oggetti venduti a Berna sarebbero stati classificati come reliquie di seconda classe e quindi proibiti alla vendita. La Chiesa cattolica riconosce tre classi di reliquie. Le reliquie di prima classe sono i resti mortali terreni dei santi; sono sacre. Questi resti possono essere qualsiasi parte del corpo, comprese ossa, carne e persino capelli.

 

Una reliquia di seconda classe è un oggetto appartenuto o utilizzato da un santo durante la sua vita. Può includere abiti, gioielli, Bibbie o libri di preghiere e altri oggetti di uso quotidiano.

 

Una reliquia di terza classe è qualsiasi oggetto, nuovo o vecchio, che sia entrato in contatto con i resti di un santo o ne abbia toccato la tomba o il reliquiario. Queste sono anche chiamate reliquie di contatto.

 

Nella Chiesa cattolica, il commercio di reliquie di prima e seconda classe è proibito. Tuttavia, con l’autorizzazione della Sede Apostolica, possono essere trasferite, scambiate o donate. Le reliquie di terza classe possono essere vendute, ma il loro valore è molto limitato.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Mons. Eleganti critica duramente il Vaticano II e la nuova liturgia

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Il vescovo Marian Eleganti era vescovo ausiliare della diocesi di Coira, in Svizzera, quando era vescovo il vescovo Vitus Huonder. Dopo il suo ritiro, ha criticato apertamente le politiche vaticane, incluso il disastroso Sinodo sulla sinodalità. Di recente, insieme ad altri tre vescovi, ha riparato la profanazione della Basilica di San Pietro da parte del pellegrinaggio LGBT.   Attacca il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica in un articolo pubblicato sul suo blog, dal titolo evocativo: «Vaticano II: la primavera annunciata non è arrivata». Con la sua consueta semplicità, mons. Eleganti racconta di aver servito la Messa nel rito tradizionale, prima di essere formato alla nuova Messa. Poi è arrivato il grande sconvolgimento. I sottotitoli sono della redazione.

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Un’infanzia segnata dal Concilio

«Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Chiesa della Santa Croce nella mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono demoliti davanti ai miei occhi infantili. Tutto ciò che rimase fu un altare comune, una sala del coro vuota, la croce nell’arco del coro, Maria e Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche e spoglie».   «Nuove vetrate inondavano la chiesa con il sole che sorgeva a est. Niente di più: era una deforestazione senza precedenti. Noi bambini trovavamo tutto questo normale e appropriato e risparmiavamo con fervore per il nuovo pavimento in pietra, così da dare il nostro contributo alla riforma o al rinnovamento della chiesa. L’euforia del Concilio veniva trasmessa dai sacerdoti; venivano convocati sinodi, ai quali io stesso partecipavo da adolescente. Non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo».   Un’accettazione sicura ma lucida «All’età di 20 anni, come novizio [benedettino, ndr], ho sperimentato da vicino e dolorosamente le tensioni liturgiche tra tradizionalisti e progressisti tra i riformatori. Furono introdotte nuove professioni ecclesiastiche, come quella di assistente pastorale (principalmente per i coniugati)».   «Ricordo i miei commenti critici su questo perché le tensioni e i problemi che stavano lentamente emergendo tra ordinati e non ordinati erano prevedibili fin dall’inizio. Il calo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne rapidamente evidente».   «Da giovane, ho sostenuto con tutto il cuore il Concilio e in seguito ne ho studiato i documenti con fede e fiducia. Tuttavia, fin dall’età di vent’anni, ho notato diverse cose: la desacralizzazione del santuario, del sacerdozio, del Santissimo Sacramento, così come la ricezione della Santa Eucaristia, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari. Da giovane laico ancora poco versato in teologia, ho notato tutto questo molto presto».   «Sebbene il sacerdozio fosse la scelta che mi stava più a cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino all’età di 40 anni. Sono cresciuto con il Concilio, ho raggiunto l’età adulta e ho potuto osservarne gli effetti fin da quando ha avuto luogo. Oggi ho 70 anni e sono vescovo».

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La consapevolezza del fiasco conciliare

«Guardando indietro, devo dire che la primavera della Chiesa non è mai arrivata; ciò che è arrivato è stato invece un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa mancanza di forma liturgica e una certa arbitrarietà (alla quale io stesso ho in parte contribuito senza rendermene conto)».   «Guardando indietro, sono sempre più critico verso tutto, compreso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, pur invocandone costantemente lo spirito. Cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a lui negli ultimi 60 anni? Cosa è stato chiamato “vita” senza apportare vita, ma al contrario dissolvendola?»   «I cosiddetti riformatori volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la liturgia e rivalutare le posizioni morali. E continuano a farlo. Il segno distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella moralità e nella liturgia, l’allineamento con le norme secolari e una rottura spietata, post-conciliare, con tutto ciò che era venuto prima».   «Per loro, la Chiesa è, soprattutto, ciò che è stata dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si può tornare indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori sono sempre stati consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati. L’altare del popolo non è un’invenzione dei padri conciliari».   «Io stesso celebro la Santa Messa secondo il nuovo rito, anche in privato. Tuttavia, grazie alla mia attività apostolica, ho riscoperto l’antica liturgia della mia infanzia e ne noto la differenza, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente nell’orientamento».   «A posteriori, l’intervento postconciliare sulla forma molto coerente della liturgia, vecchia di quasi duemila anni, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta e provvisoria della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, che è stata associata a grandi perdite che devono essere colmate. È stato fatto anche per ragioni ecumeniche».   «Molte forze, anche protestanti, furono direttamente coinvolte in questo sforzo di allineare la liturgia tradizionale con la Cena del Signore protestante e forse anche con la liturgia del Sabato ebraico. Ciò fu fatto in modo elitario, dirompente e sconsiderato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza causare gravi fratture e divisioni nel corpo mistico di Cristo, che persistono ancora oggi».

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Giudica l’albero dai suoi frutti

«Una cosa è certa per me: se si può giudicare un albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e onesta della riforma liturgica postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, a immagine della nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio.   «Non hanno nemmeno problemi con la nostalgia, perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano attualmente le parrocchie, come celebrano la liturgia e cosa rimane della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia? Molto poco! Per questo motivo, non sono nemmeno progressisti».   «Dalla prospettiva odierna, il cattolicesimo liberale o progressismo degli anni Settanta – più recentemente sotto le mentite spoglie del “cammino sinodale” – ha fatto il suo corso e ha condotto la Chiesa in un vicolo cieco. La frustrazione è ancora maggiore. Lo possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate principalmente dagli anziani. I giovani sono assenti, tranne che in alcuni luoghi di culto molto affollati. La riforma sta avvenendo da sola, perché nessuno ci va più né ne legge i risultati».   «Come è possibile che la riforma postconciliare possa essere ancora oggi considerata in modo così acritico e limitato, a giudicare dai suoi frutti? Perché un esame onesto della tradizione e della nostra storia (della Chiesa) non è ancora possibile? Perché non si vuole vedere che siamo a un punto di svolta e che dovremmo fare il punto della situazione, soprattutto a livello liturgico?»   «”Essere o non essere”, in termini di fede e vita ecclesiale, si decide sulla base o sui fondamenti della liturgia. È qui che la Chiesa vive o muore. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965. Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Pensateci! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?»   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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