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Epidemie

Ripassino di biologia evoluzionista per virostar

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«Bisogna vaccinarsi per bloccare le varianti«. Quante volte sentiamo dire questa frase per convincerci a vaccinarci tutti?
Questo è uno degli argomenti più comuni usati in TV e nelle interviste sui giornali, dal momento che è veloce ed è facile da recepire per lo spettatore.

 

Specialmente per lo spettatore che non conosce la teoria dell’evoluzionismo applicata ai microrganismi, questa tesi sembra ragionevole.

 

Peccato che sia tutto falso. Questa tesi è un errore grossolano, col quale si potrebbe finire bocciati a qualsiasi esame di biologia evoluzionista, un esame che in genere è facoltativo nei corsi di laurea di medicina e biologia.

 

Noi faremo un ripassino. Certo che, care virostar, farsi fare un ripassino di evoluzionismo elementare da un cattolico, è alquanto imbarazzante.

 

Affermare che vaccinare le persone impedisca la fissazione di mutazioni del COVID indica soltanto che non si conosce l’ABC della biologia evoluzionista

La teoria evoluzionista è nata come «darwinismo» ed è stata integrata nei decenni con lo sviluppo delle conoscenze in ambito genetico. Oggi è anche nota come «neodarwinismo».

 

È una teoria elegante e sofisticata, come sono sofisticati altri tentativi di dimostrare che Dio non esiste lungo la storia da parte di personaggi molto intelligenti.

 

Non è propriamente una disciplina scientifica per il semplice motivo che non si può fondare sul metodo sperimentale: non è possibile corroborare in laboratorio ipotesi bio-chimiche che richiedono miliardi di anni di tempo. Si tratta piuttosto di un meta-modello scientifico, che ha più a che fare con la Filosofia della Scienza e con la Matematica. Di scientifico l’evoluzionismo ha dunque ben poco, se non il fatto che ci sono diversi scienziati che lo usano per non andare a Messa.

 

Infatti il modello neodarwiniano attualmente è «incompleto», cioè falso: se studiamo i migliori manuali a disposizione troviamo scritto nero su bianco che non esiste un modello in grado di spiegare la formazione della vita biologica a partire dalle leggi della fisica sulla base del caso.

 

La biologia evoluzionista suggerisce che dovrebbero essere vaccinate esclusivamente le persone che sono a rischio

I neodarwiniani fanno fatica a riconoscerlo, ma nei loro trattati questo modello fisico-matematico non c’è.  C’è soltanto la fede che questo modello debba esistere da qualche parte; il che, appunto, rende questa teoria un modello filosofico piuttosto che un modello scientifico. Tecnicamente, si tratta di un paradigma scientifico, non di una teoria scientifica.

 

Il neodarwinismo serio da ultimo va poco di moda anche perché in un club di atei si rischia di litigare: provate a pensare in ottica neodarwiniana se qualcuno vi chiede se sia meglio che un branco di lupi siano etero o LGBT. Peggio che andar di notte:  se il vostro interlocutore accetta le basi del neodarwinismo perché gli sta antipatico San Paolo, la risposta del neodarwinismo non è opinabile. 

 

Ad ogni modo, nonostante la teoria evoluzionista non sia in grado di spiegare la comparsa della vita biologica e la sua evoluzione maggiore sulla base del caso (quella che in ambito dottrinale si chiama «Creazione»), il neodarwinismo è in grado di spiegare alcune cose minori:



1) L’estinzione

2) L’evoluzione di alcuni microorganismi 

3) La formazione di alcune specie

 

Le virostar che vanno in televisione dimostrano di non avere capito la base dell’evoluzionismo

In altre parole, l’evoluzionismo è in grado di spiegare (anche sperimentalmente) soltanto alcuni tipologie di evoluzioni degli organismi, evoluzioni minori. Non le più interessanti, cioè –per intenderci – non quelle narrate dalle cosmogonie come la Genesi.

 

Ebbene, le virostar che vanno in televisione dimostrano di non avere capito la base dell’evoluzionismo.

 

Alla base dell’evoluzionismo ci sono 3 concetti:


1) Mutazione genetica

2) Selezione naturale

3) Deriva genetica

Facciamo un ripassino con il classico caso delle farfalle di Manchester, programma delle scuole elementari.

 

A partire da un determinato organismo con un determinato codice genetico, si possono verificare delle mutazioni genetiche casuali durante la riproduzione, cioè durante il processo di copia del DNA.

 

Durante la copia del DNA(che avviene durante la riproduzione) accade che emergano dei geni recessivi o che vengano codificati geni nuovi (per errori di copia, dovuti all’ambiente, ad esempio in presenza di radiazioni).

 

L’organismo neonato sarà diverso dai genitori e manifesterà dei caratteri diversi; ad esempio, la prole delle farfalle bianche nascerà di colore nero, a seguito di una mutazione casuale, cioè accidentale.

 

A questo punto che cosa succederà alla neonate farfalle nere?

 

L’evoluzionismo afferma che esistono in natura due fattori: selezione naturale e deriva genetica

L’evoluzionismo afferma che esistono in natura due fattori: selezione naturale e deriva genetica.

 

Vediamo la deriva genetica. Se prendiamo le farfalle nere e le portiamo su un isola (o se ci arrivano da sole durante una tempesta), dopo 100 anni vedremo che su quell’isola tutte le farfalle saranno nere. Questo accade perché le farfalle nere si sono isolate geograficamente da quelle bianche; e la loro progenie per «deriva» genetica sarà composta da farfalle nere. Si chiama «deriva» perché si tratta di una tendenza genetica che segue una certa direzione per inerzia, come una un iceberg alla deriva. Segue una rotta per inerzia sulla base di fattori generalmente geografici.

 

Veniamo alla selezione naturale. Le neonate farfalle nere di Manchester hanno un carattere nuovo: il colore nero. Questo carattere  – come tutti i caratteri – ha quella che si chiama «fitness darwiniana»; cioè, un certo carattere genetico fa sì che la farfalla abbia una maggiore o minore probabilità di sopravvivenza contro l’ambiente ostile. Quando parliamo di «ambiente ostile», uno dei primi elementi da considerare sono i predatori.

 

Come ci spiegavano alle elemenari, le farfalle nere a Manchester verso metà del 1800 avevano una fitness darwiniana maggiore rispetto alle farfalle bianche, poiché l’inquinamento aveva eliminato i licheni delle betulle e le farfalle nere si mimetizzavano meglio dagli uccelli predatori, rispetto a quelle bianche.

 

In origine i tronchi delle betulle erano coperti di licheni chiari, ma la fuliggine industriale lascio i tronchi senza licheni e anneriti. Le farfalle bianche finivano tutte predate dagli ucelli. E chi muore non si riproduce più.

 

La maggiore fitness darwiniana delle farfalle nere comportò che il tasso di sopravvivenza delle farfalle nere aumentasse e di conseguenza aumentò anche il loro tasso di riproduzione.

 

I «predatori» dei virus e dei batteri sono rispettivamente farmaci, vaccini e antibiotici

In pochi anni, di fatto, tutte le farfalle a Manchester erano nere. Era avvenuta quella che si chiama «fissazione» dei caratteri genetici per selezione naturale: erano rimaste solo le farfalle nere mentre la popolazione di farfalle bianche si era negli anni ridotta, fino a scomparire. Questo tipo di evoluzioni accade perché esiste una pressione selettiva (selezione naturale) che misura la maggiore o minore fitness di un organismo con determinati caratteri. Senza selezione naturale, non c’è evoluzione né fissazione dei caratteri.

 

E siamo arrivati a virus e batteri. Nel caso delle farfalle la pressione selettiva era data dai predatori.

 

Domandiamo, nel caso di virus e batteri quali sono i predatori? 

 

Facile. I «predatori» dei virus e dei batteri sono rispettivamente farmaci, vaccini e antibiotici.

 

Le mutazioni durante la  replica di virus e batteri accadono con molta frequenza perché si moltiplicano a grande velocità, esponenziale.

 

Per evitare che si fissino varianti del COVID  che sfuggono ai vaccini, sarebbero da vietare i vaccini a coloro che non ne hanno astrattamente bisogno: la biologia evoluzionista suggerisce che dovrebbero essere vaccinate esclusivamente le persone che sono a rischio

Tuttavia l’evoluzionismo insegna che le mutazioni si fissano solo se esiste una pressione selettiva. Nel caso delle farfalle la pressione selettiva (selezione naturale) è data dai predatori; mentre nel caso di virus e batteri la pressione selettiva è data da farmaci, vaccini e antibiotici.

 

Quindi affermare che vaccinare le persone impedisca la fissazione di mutazioni del COVID indica soltanto che non si conosce l’ABC della biologia evoluzionista.

 

Sarebbe vero l’esatto contrario: per evitare che si fissino varianti del COVID  che sfuggono ai vaccini, sarebbero da vietare i vaccini a coloro che non ne hanno astrattamente bisogno. Quindi la biologia evoluzionista suggerisce che dovrebbero essere vaccinate esclusivamente le persone che sono a rischio.

 

Se voglio proteggere mia nonna ottantenne, non devo vaccinarmi anche io. Piuttosto mi assumo il sacrificio di fare qualche giorno di febbre per non rischiare di provocare, vaccinandomi, la fissazione di mutazioni del virus.

 

Se voglio proteggere mia nonna ottantenne, non devo vaccinarmi anche io. Piuttosto mi assumo il sacrificio di fare qualche giorno di febbre per non rischiare di provocare, vaccinandomi, la fissazione di mutazioni del virus

Questo è vero soprattutto nel caso di un vaccino che non impedisce il contagio, cioè di un vaccino che non ha alcuna possibilità di far diventare chi lo assume un binario morto per la circolazione del virus; cosa che invece accade per il vaccino del vaiolo.



Non stiamo dicendo nulla di strabiliante. È l’ABC della biologia evoluzionista.

 

Dopotutto qualsiasi medico di famiglia per lo stesso motivo sa che non si danno antibiotici ai pazienti a meno che non sia strettamente necessario: cioè non si danno antibiotici ai pazienti qualora si ritenga che l’infezione batterica possa essere riassorbita dal sistema immunitario del paziente. Perché potrebbe crearsi la sempre più nota e temuta antibiotico-resistenza.

 

Qualsiasi medico di famiglia per lo stesso motivo sa che non si danno antibiotici ai pazienti a meno che non sia strettamente necessario

Men che meno si possono dare antibiotici in massa ad una popolazione, perché si andrebbe incontro a episodi di farmacoresistenza certi. Gli antibiotici diventerebbero in breve tempo inutilizzabili e totalmente inefficaci e causerebbero la fissazione di batteri resistenti. Un fenomeno questo noto e accertato dall’immunologia oramai da decenni a conferma della biologia evoluzionista di base.


Quindi, emerge una domanda da rivolgere a qualsiasi «scienziato» de noantri. È la stessa che in genere egli getta addosso a qualsiasi interlocutore.

 

«Lei ha studiato?»

 

 

Gian Battista Airaghi

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Epidemie

Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump non celebreranno più la Giornata mondiale contro l’AIDS

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Per la prima volta dal 1988, l’amministrazione statunitense ha deciso di non proclamare il 1º dicembre come «Giornata mondiale contro l’AIDS». Lo riporta il

 

In una circolare indirizzata al personale, il Dipartimento di Stato ha esplicitamente vietato l’impiego di risorse pubbliche per onorare tale ricorrenza.

 

La misura si inquadra in una linea direttiva più ampia che impone di «evitare di veicolare comunicazioni in occasione di qualsivoglia giornata commemorativa, ivi inclusa quella dedicata alla lotta contro l’AIDS».

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Ai funzionari è stato ordinato di «rinunciare a qualsivoglia promozione pubblica della Giornata mondiale contro l’AIDS tramite canali di diffusione, inclusi social network, apparizioni mediatiche, orazioni o altri annunci rivolti all’opinione pubblica».

 

«Una giornata di sensibilizzazione non costituisce una strategia», ha dichiarato al quotidiano il portavoce del dipartimento di Stato Tommy Pigott. «Sotto la presidenza Trump, il Dipartimento opera in sinergia con governi esteri per preservare vite umane e promuovere maggiore accountability e compartecipazione agli oneri».

 

In una nota ad ABC News, il portavoce della Casa Bianca Kush Desai ha liquidato il Presidential Advisory Council on HIV/AIDS (PACHA) come un «ente prevalentemente simbolico i cui componenti sono immersi in un’inutile kermesse di relazioni pubbliche, svincolata dal concreto impegno dell’amministrazione Trump contro HIV e AIDS».

 

Dall’esordio dell’epidemia negli anni Ottanta, circa 300.000 uomini gay negli Stati Uniti hanno perso la vita per complicanze legate all’AIDS.

 

Negli ultimi quarant’anni, a livello globale, oltre 44 milioni di individui sono deceduti per AIDS; nel 2024, la malattia ha causato circa 630.000 morti. Le cure per l’AIDS furono inizialmente oggetto di feroci critiche da parte degli stessi omosessuali, che si scagliavano apertamente contro l’allora figura principale della lotta alla malattia Anthony Fauci.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Fauci, mentre proponeva farmaci altamente tossici e faceva esperimenti allucinanti con gli orfani di Nuova York, arrivò a dire in TV che l’HIV era trasmissibile per «contatti domestici».

 

 

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Ora il tema dell’AIDS è più raramente utilizzato dalla comunità omosessuale, dove una frangia – i cosiddetti bugchasers e gift givers – si impegna incredibilmente nell’infezione volontaria del morbo. Grindr, l’app per incontro gay, per un periodo presentava pazzescamente su ogni profilo la spunta sulla sieropositività dell’utente.

 

Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa studio avanzato sul vaccino contro l’HIV in Africa condotto dalla multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson era stato interrotto dopo che i dati hanno mostrato che le iniezioni offrivano solo una protezione limitata contro il virus. Lo studio era stato finanziato da Johnson & Johnson, dall’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation e dal National Institutes of Health, la Sanità Nazionale USA dove il dominus (in realtà a capo del ramo malattie infettive) è Tony Fauci, che già in modo molto controverso – e fallimentare – si era occupato dell’AIDS allo scoppio dell’epidemia negli anni Ottanta.

 

Il premio Nobel Luc Montagnier sconvolse il mondo, attirandosi censure dei social tra fact checker e insulti, disse che analizzando al microscopio il SARS-nCoV-2 aveva notato delle strane somiglianze con il virus HIV – per la scoperta del quale Montagnier vinse appunto il Nobel. «Per inserire una sequenza HIV in questo genoma, sono necessari strumenti molecolari, e ciò può essere fatto solo in laboratorio» disse Montagnier in un’intervista per il podcast Pourquoi Docteur. Oltre a supportare l’allora screditatissima ipotesi del virus creato in laboratorio a Wuhan, Montagnier metteva sul piatto un’idea ancora più radicale: quella di un vaccino anti-AIDS come possibile origine del coronavirus.

 

Nel 2021 Moderna, azienda biotecnologica salita alla ribalta per il vaccino mRNA contro il COVID – il primo prodotto mai distribuito della sua storia aziendale – si era dichiarata pronta per iniziare la sperimentazione sugli esseri umani per il primo vaccino genico contro l’HIV. L’anno scorso era emerso che i test avevano riscontrato un effetto collaterale alla pelle, con una percentuale insolitamente alta di riceventi ha sviluppato eruzioni cutanee, pomfi o altre irritazioni cutanee.

 

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Epidemie

Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Gli autori di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria che ha identificato un tasso di falsi positivi dell’86% per i test PCR per il COVID-19 hanno affermato che i loro risultati suggeriscono un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID-19 durante la pandemia. Entro la fine del 2021, il 92% dei tedeschi aveva già contratto un’infezione naturale, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.   Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, solo circa 1 test PCR positivo su 7 in Germania durante la pandemia di COVID-19 ha indicato un’effettiva infezione da coronavirus che ha innescato una risposta anticorpale.   Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), ha definito «sbalorditivi» i risultati dello studio, che hanno evidenziato un tasso di falsi positivi dell’86%.   Lo studio ha inoltre rilevato che alla fine di dicembre 2020, quando sono stati distribuiti i vaccini contro il COVID-19 , circa il 25% dei tedeschi aveva già contratto l’infezione spontaneamente. Entro la fine del 2021, la percentuale è salita al 92%, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.

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I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID

Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2.   I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021.   I ricercatori, Michael Günther, Ph.D.Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima».   Hanno detto al Defender:   «Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10».   La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi».   Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%.   I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia».   Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.

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I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»

I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test.   Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test.   «Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato.   Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”».   I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate».   Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo.   I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.

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I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»

L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori.   I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore.   «Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili».   Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati.   Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski.   Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare».   «Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori.   Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche.   Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia.   Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione».   I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto».   «Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.

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Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»

I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria.   Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori.   I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo.   La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base».   Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato.   Michael Nevradakis Ph.D.   © 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Epidemie

Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi

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Il CDC, l’ente nazionale USA per il controllo epidemico, porrà fine a ogni indagine su primati non umani svolta nelle sue sedi, costituendo la prima occasione dal ritiro degli scimpanzé da parte dei National Institutes of Health nel 2015 in cui un’agenzia sanitaria federale di primo piano ha decretato la cessazione totale di un proprio protocollo interno sulle scimmie. Lo riporta la rivista Science.

 

Tale determinazione coinvolge approssimativamente 200 macachi alloggiati nel complesso di Atlanta dei CDC. Un portavoce dell’agenzia ha attestato a Bloomberg che si sta approntando un programma di smantellamento, pur astenendosi dal delineare scadenze precise o sul destino degli esemplari.

 

La scelta matura all’indomani di lustri di contestazioni da parte di associazioni per la tutela animale e taluni ricercatori, i quali lamentano che i paradigmi su scimmie abbiano generato un apporto traslazionale scarso, soprattutto nella elaborazione di sieri anti-HIV, ove decine d’anni di analisi su primati non hanno ancor prodotto un rimedio omologato. I CDC hanno invocato tanto sensibilità etiche quanto un viraggio tattico verso opzioni antropomorfe, come sistemi organ-on-a-chip, colture cellulari evolute e simulazioni algoritmiche, quali elementi cardine della risoluzione.

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In via distinta, i CDC hanno affrontato episodi di vulnerabilità biosicurezza legati a primati importati. Archivi interni scrutinati dall’organizzazione animalista PETA rivelano che, dal 2021 al 2024, i vagli di quarantena hanno smascherato 69 episodi di tubercolosi nei macachi in transito, con ulteriori 16 occorrenze scoperte post-liberazione verso i laboratori.

 

«La PETA ha allertato i CDC sin dal 2022 che il loro circuito di importazione di scimmie configura una mina vagante per la tubercolosi», ha dichiarato la dottoressa Lisa Jones-Engel, consulente scientifico per la sperimentazione sui primati della PETA. «Nondimeno, la loro ostinata miopia ha consentito a un pericolo biosicuro manifesto di infiltrarsi negli Stati Uniti. Invitiamo i CDC a interrompere l’afflusso di scimmie nei laboratori, a tutela della salute collettiva, della validità scientifica e degli stessi primati».

 

La dismissione progressiva si allinea a iniziative federali più estese per comprimere la sperimentazione su animali. Ratificato nel 2022, il Modernization Act 2.0 della Food and Drug Administration (FDA) ha soppresso l’esigenza di prove animali preliminari alla sperimentazione umana, mentre NIH, EPA e FDA hanno esteso gli stanziamenti per metodiche prive di impiego animale.

 

«Questa svolta è epocale. Per la prima volta, un ente statunitense opta per una scienza contemporanea e umana anziché per un apparato obsoleto di test su scimmie», ha esultato Janine McCarthy, direttrice facente funzioni delle politiche di ricerca al Physicians Committee for Responsible Medicine. «Ora i CDC dovrebbero destinare quei budget alla ricerca antropocentrica e assicurare che queste scimmie siano ricollocate in santuari per il resto dei loro giorni».

 

«I CDC hanno appena trasmesso un segnale all’intero ecosistema biomedico: l’epoca degli esperimenti su scimmie è conclusa», ha soggiunto McCarthy.

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