Alimentazione
Rapporto del FMI parla del ritorno della fame in Africa
Il 14 ottobre è stato pubblicato il Regional Economic Outlook, una pubblicazione semetrale semestrale del Fondo Monetario Internazionale. Il paper includeva un rapporto sulla diffusione della fame in Africa, definita dal documento come «orribile».
Secondo il rapporto del FMI, circa 123 milioni di persone, che rappresentano il 12% della popolazione dell’Africa subsahariana, devono affrontare una grave insicurezza alimentare entro la fine del 2022. Si tratta di un salto del 50% rispetto agli 82 milioni di persone colpite prima della pandemia.
Il FMI incolpa per il forte aumento della fame la pandemia, gli effetti di ricaduta del conflitto Russia-Ucraina e il peggioramento dei disordini e della siccità in alcune parti dell’Africa subsahariana.
Il direttore del dipartimento africano del FMI Abebe Aemro Selassie ha detto ai giornalisti: «Ero in Ciad e davvero le condizioni che hai visto lì in termini di sicurezza alimentare sono davvero molto, molto orribili». Il Selassie ha quindi aggiunto che l’Etiopia, la Somalia e parti del Kenya si stavano dirigendo verso una fallita quinta stagione delle piogge.
Il funzionario africano FMI ha poi riferito che l’iperinflazione scatenata in tutto il mondo è stata particolarmente devastante in Africa. «L’inflazione è questa tassa insidiosa e insidiosa sui più poveri».
Come riportato da Renovatio 21, in settimana il FMI aveva detto, riguardo alla crisi economica globale che «il peggio deve ancora venire».
Il Managing Director FMI Kristalina Georgieva a marzo aveva parlato di rivolte di massa causate dall’economia mondiale scioccata dalle sanzioni alla Russia.
Secondo l’ONU – il cui Programma Alimentare mondiale prevedeva nel 2021 una ventura «fame di proporzioni bibliche» – vi sarebbero al momento almeno 20 «zone della fame» che avrebbero necessità di aiuto immediato. Luoghi come l’Afghanistan e varie aree del mondo arabo già sono a episodi di fame conclamata.
Come sottolineato a più riprese in questi mesi dal presidente russo Vladimir Putin, la crisi geopolitica ed energetica creerà la fame in molti Paesi, e di conseguenza una nuova, immane ondata migratoria che si abbatterà sull’Occidente. Secondo l’economista cinese Liu Zhiqun, le sanzioni alla Russia potrebbero portare alla fame almeno un miliardo di persone, concretando quella che sarebbe «la più grande violazione dei diritti umani della storia».
L’estensione del conflitto in corso con un eventuale scambio nucleare tra Russia e USA creerebbe, secondo gli esperti, un’ondata di fame che ucciderebbe almeno 5 miliardi di persone.
Anche senza guerra termonucleare, Renovatio 21 consiglia ai suoi lettori, ad ogni buon conto, di prepararsi a possibili rotture della filiera alimentare anche da noi.
Immagine di Oxfam East Africa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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