Alimentazione
Pescatori srilankesi in piazza contro il caro-carburante: famiglie alla fame
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
I lavoratori accusano il governo di ignorare la situazione di grave crisi. Il prezzo del cherosene è schizzato da 25 centesimi a quasi un euro al litro. I mancati introiti si riflettono nell’impossibilità di sfamare le famiglie. Pesca e settori a essa collegati impiegano oltre il 10% dei 22 milioni di abitanti.
«Come possiamo mettere le nostre barche in mare, senza il cherosene? E come riusciremo a sfamare i nostri figli, se non gettiamo le reti? Allora ci pensi il governo a dar da mangiare alle nostre famiglie».
È un grido di allarme disperato, e simile a quello di molti altri colleghi, quello lanciato ad AsiaNews dal pescatore cattolico Loyal Fernando, portavoce della protesta nell’area di Thoduwawa a Chilaw, una delle principali città del distretto di Puttalam, nella Provincia Nord-Occidentale.
Egli punta il dito contro il governo e le massime istituzioni dello Sri Lanka, che sembra ignorare di proposito le preoccupazioni dei pescatori, soprattutto quelli più piccoli ma che sono al contempo la maggioranza del settore, da sempre una delle principali «risorse» per l’economia del Paese e di tutta l’area.
Le ultime statistiche governative mostrano che la pesca e i settori a essa collegati impiegano oltre il 10% dei 22 milioni di abitanti di tutta l’isola. Ecco perché la crisi rischia di avere pesanti ripercussioni su una nazione già segnata da una gravissima crisi che non è solo economica, ma che ha riflessi pure nelle istituzioni e nella società civile.
Aruna Roshantha, di Negombo, aggiunge che sinora l’esecutivo «non ha alcun programma per i pescatori. Il Parlamento non dice una sola parola su di noi. Parlano solo – accusa – di programmi per proteggere il loro posto. Il petrolio viene inviato in posti diversi ogni volta che il ministero ne ha voglia. Ciò provoca conflitti tra pescatori».
Parlando anche a nome di molte altre famiglie, Aruna sottolinea che dopo tre mesi riprende la lotta di piazza per diritti e tutele dei lavoratori del settore, oggi «senza cibo».
«Non vi è modo per vivere. Non possiamo permetterci di stare a casa, quando i nostri bambini piangono per la fame. Serve – avverte – del carburante a prezzo calmierato. Altrimenti, dateci da mangiare. Chiediamo solo questo».
«Chiediamo – conclude – il pagamento di almeno 40mila rupie (circa 110 euro) a famiglia per gli ultimi tre mesi, a risarcimento del lavoro perduto. E vogliamo anche il cherosene a prezzi ragionevoli, non ai prezzi speculativi» dei giorni scorsi.
In passato il carburante per le imbarcazioni costava 87 rupie al litro (attorno ai 25 centesimi di euro), ma nell’ultimo periodo i prezzi sono schizzati fino a toccare quota 340 rupie al litro (quasi un euro). I pescatori lamentano dunque costi insostenibili e chiedono con un tetto agli aumenti e un ritorno a prezzi “ragionevoli” o, in caso contrario, «sia il governo a sfamare le nostre famiglie».
Una rivendicazione condivisa e rilanciata da Herman Kumara, coordinatore nazionale del National Fisheries Solidarity Movement (NAFSO), che ad AsiaNews esprime lo stato di profonda crisi in cui versano i piccoli pescatori (Small Scale Fishers, SSF).
Essi, avverte, non ricevono un quantitativo adeguato di carburante e oltre il 75% di essi ha abbandonato il settore. «Tuttavia – accusa – è palese che questo governo non ascolta i più poveri ed emarginati, che contribuiscono a nutrire il Paese».
Proteste e manifestazioni in atto dal 17 agosto hanno toccato diversi villaggi dello Sri Lanka, da Karukupanei a Muthupanthia, e ancora nei distretti a nord come Mullaitivu, Jaffna e Mannar o a sud, da Galle a Matara.
«Possiamo considerare tutto questo – chiude con una battuta dal sapore amaro Herman Kumara – come un dono ai pescatori da parte del governo nell’Anno internazionale Onu della piccola pesca e dell’acquacoltura».
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine da AsiaNews
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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