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Geopolitica

Nuovi dettagli sul del sabotaggio USA del Nord Stream e sulle sue conseguenze

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Il giornalista investigativo Seymour Hersh – autore dello scoop secondo cui gli USA sarebbero dietro alla distruzione dei gasdotti Nord Stream – è stato intervistato dal Berliner Zeitung, il principale quotidiano della capitale tedesca.

 

Nell’intervista, Hersh ha descritto come quel 26 settembre 2022 solo sei degli otto esplosivi piantati nel giugno 2022 siano esplosi sotto i gasdotti  baltici, perché Biden aveva rinviato l’operazione speciale e l’esplosivo era rimasto sott’acqua per troppo tempo.

 

«Era la storia che volevo raccontare. Alla fine di settembre 2022, otto bombe dovevano essere fatte esplodere al largo dell’isola di Bornholm nel Mar Baltico, e sei di esse sono esplose», ha affermato.

 

Lo Hersh ha inoltre affermato che, se fosse stato in grado di interrogare il cancelliere Olaf Scholz in un dibattito del Bundestag, avrebbe chiesto: «Joe Biden te ne ha parlato? Ti ha detto, in quel momento [al loro incontro alla Casa Bianca del 7 febbraio 2022], perché era così sicuro di poter far saltare in aria l’oleodotto? Noi americani non avevamo un piano elaborato in quel momento, ma sapevamo di avere l’opportunità di attuarlo», ha detto Hersh, riferendosi all’incontro di Scholz con Biden alla Casa Bianca il 7 febbraio 2022.

 

«La paura, tuttavia, era che le bombe non avrebbero funzionato se fossero rimaste sott’acqua troppo a lungo, come in realtà è stato il caso per due bombe. Quindi c’era preoccupazione all’interno del gruppo per trovare i mezzi giusti e in realtà abbiamo dovuto rivolgerci ad altre agenzie di Intelligence, di cui ho deliberatamente omesso di scrivere».

 

«Ad un certo punto, dopo l’invasione russa e poi quando l’operazione è stata completata, l’intera faccenda è diventata sempre più ripugnante per le persone che lo stavano facendo. Queste erano persone che lavoravano in posizioni di vertice nei servizi di Intelligence ed erano ben addestrate. Si sono rivoltati contro il progetto, hanno pensato che fosse una follia. Poco tempo dopo l’attacco, dopo che avevano fatto ciò che gli era stato ordinato di fare, c’era molta rabbia tra le persone coinvolte per l’operazione e il rifiuto. Questo è uno dei motivi per cui ho imparato così tanto» dichiara il decano del giornalismo investigativo USA.

 

«E vi dirò qualcos’altro – continua Hersh – Le persone in America e in Europa che costruiscono oleodotti sanno cosa è successo. Vi dirò una cosa importante. Le persone che possiedono aziende che costruiscono oleodotti conoscono la storia. Non ho avuto la storia da loro, ma ho appreso rapidamente che lo sanno. Lo hanno fatto per indebolire la Germania e vendergli il gas americano?»

 

Non sappiamo a quali aziende si riferisce Hersh, ma ricordiamo che coinvolta nel progetto c’era anche un grande azienda italiana specializzata.

 

Per Hersh, ad ogni modo, il complotto americano contro la Russia e soprattutto la Germania alleata non è stato portato avanti da mente finissime.

 

«Non credo che ci abbiano riflettuto a fondo. So che suona strano. Non credo che il Segretario di Stato Blinken e alcuni altri membri del governo siano pensatori profondi. Ci sono sicuramente persone nella comunità imprenditoriale americana a cui piace l’idea che diventiamo più competitivi. Vendiamo gas naturale liquefatto con profitti estremamente elevati, ne ricaviamo molti soldi» rileva il reporter. «Sono sicuro che alcune persone hanno pensato: ragazzo, questo darà una spinta a lungo termine all’economia americana. Ma alla Casa Bianca, penso che siano sempre stati ossessionati dalla rielezione, e volevano vincere la guerra, volevano ottenere una vittoria, volevano che l’Ucraina in qualche modo vincesse magicamente».

 

Il tema del crollo dell’economia della Germania conseguente al terrorismo di Stato USA – tema che non sembra appassionare troppo né i giornali della «libera» stampa tedesca, né i nostri – è pure toccato da Hersh.

 

«Potrebbero esserci alcune persone che pensano che forse è meglio per la nostra economia se l’economia tedesca è debole, ma è pazzesco. Penso che ci siamo messi in qualcosa che non funzionerà, la guerra non finirà bene per questo governo».

 

«Quello che so è che non è possibile che questa guerra finisca nel modo in cui vogliamo, e non so cosa faremo mentre guardiamo al futuro» dichiara Hersh. Mi spaventa che il Presidente fosse disposto a fare una cosa del genere. E le persone che hanno svolto questa missione credevano che il presidente fosse consapevole di ciò che stava facendo al popolo tedesco, che lo stesse punendo per una guerra che non stava andando bene. E a lungo termine, questo non solo danneggerà la sua reputazione di presidente, ma sarà anche politicamente molto dannoso. Sarà uno stigma per gli Stati Uniti».

 

«La Casa Bianca era preoccupata di essere perdente, che la Germania e l’Europa occidentale non avrebbero più fornito le armi che volevamo e che il cancelliere tedesco potesse riavviare l’oleodotto: questa era una grande preoccupazione per Washington. Farei molte domande al Cancelliere Scholz. Gli chiederei cosa ha imparato a febbraio [a Washington] quando era con il presidente».

 

Quando il Berliner Zeitung chiede informazioni sulla sua fonte e se avesse verificato quei fatti, Hersh ha risposto che ovviamente non può rivelare la sua fonte, che finirebbe in prigione. Ha confermato di aver verificato i fatti come era solito fare quando scriveva per la prestigiosa rivista New Yorker. Il quotidiano ha poi chiesto: «la Germania dovrebbe vedere questo come un atto di guerra?» Hersh ha risposto: «lo direi più semplicemente. Le persone coinvolte nell’operazione hanno visto che il presidente voleva congelare la Germania per i suoi obiettivi politici a breve termine, e questo li ha inorriditi. Sto parlando di americani che sono molto fedeli agli Stati Uniti.

 

Infine, una stilettata alla Central Intelligence Agency, già al centro di altre inchieste scioccanti di Hersh.

 

«Nella CIA, come ho scritto nel mio articolo, si lavora per il potere e non per la Costituzione. Il vantaggio politico della CIA è che un presidente che non riesce a far approvare i suoi piani dal Congresso può accompagnare il direttore della CIA nel roseto della Casa Bianca per pianificare qualcosa di segreto che può colpire molte persone dall’altra parte dell’Atlantico, oppure in qualsiasi altra parte del mondo. Questo è sempre stato l’unico punto di forza della CIA, con cui ho i miei problemi. Ma anche questa comunità è sconvolta dal fatto che Biden abbia deciso di esporre l’Europa al freddo per sostenere una guerra che non vincerà. Questo, per me, è nefasto».

 

 

 

 

 

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Geopolitica

Dopo l’incidente d’auto, il ministro israeliano Ben Gvir si è già ripreso e minaccia di far cascare Netanyahu se non entra a Rafah

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Quattro giorni fa il veicolo del ministro della sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, è stato coinvolto in un incidente stradale nella città di Ramla. Le prime immagini dell’accaduto sono circolate su Internet attraverso un video che segue. Secondo le informazioni disponibili, sembra che il leader del partito ultrasionista Otzma Yehudit sia stato trasportato in ospedale immediatamente dopo l’incidente.

 

Testimoni oculari hanno riferito che il ministro è passato con un semaforo rosso, mentre la polizia ha dichiarato che due veicoli sono coinvolti nella collisione e che tre persone, insieme a Ben Gvir, sono state portate in ospedale con ferite lievi. Le immagini dell’incidente mostrano il veicolo ufficiale del ministro ribaltato, mentre un’altra auto ha subito danni alla parte anteriore. Le autorità stanno lavorando per determinare la causa dell’incidente.

 

Il reporter del canale 12, Amit Segal, ha raccontato di un testimone che ha visto il veicolo di Ben Gvir passare con il semaforo rosso. Segal ha anche riportato che negli ultimi mesi il veicolo ufficiale del ministro ha commesso diverse violazioni del codice della strada.

 


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Come riportato da Renovatio 21, il sionismo oltranzista del Ben Gvir è di tale intensità da spingerlo addirittura ad attaccare Washington, dichiarando che Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana». Una frase che risulta inaudita per i rapporti tra lo Stato Ebraico e la superpotenza sua protettrice.

 

Le speculazioni su un possibile attentato si spengono presto davanti allo stuolo di precedenti che ha il caso. Lo scorso agosto, il Ben Gvir era stato coinvolto in un altro incidente dovuto alla violazione di un semaforo mentre si dirigeva verso un’intervista. I media israeliani hanno anche riferito che il ministro avrebbe dato istruzioni al suo autista per violare regolarmente le norme del traffico.

 

Secondo quanto riportato, tuttavia, la polizia israeliana non gli avrebbe fatto la multa.

 

Ad ogni modo, nonostante l’ulteriore terrificante incidente, il ministro, dopo due giorni di convalescenza all’ospedale Hadassah pare tornato in sé con grande velocità, con tweet molto eloquenti riguardo la tenuta del governo Netanyahu.

 

Per esempio, il nostro ripete, commentando con la parola «promemoria», un tweet dello scorso gennaio: «Accordo promiscuo = scioglimento del governo».

 

 

L’Itamar, dimesso, ha già chiesto ed ottenuto un incontro con il premier Netanyahu in cui ha preteso l’invasione di Rafah.

 

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«Ho terminato un incontro con il Primo Ministro su mia richiesta» dice il ministro Ben Gvirro nel video pubblicato su X. «Ho avvertito il Primo Ministro se Dio non voglia che Israele non entri a Rafah, se Dio non voglia che finiamo la guerra, se Dio non voglia che ci sarà un accordo promiscuo».

 

La richiesta, pura è semplice, è per la continuazione della guerra che altrove definiscono, con sempre maggiore frequenza, «genocidio».

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» dichiara il ministro sionista, che sembra alludere ancora una volta la sua capacità di far cascare l’esecutivo retto dal Bibi. «Accolgo con favore queste cose. Penso che il Primo Ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero».

 

A marzo il Ben Gvir aveva sollecitato il ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l’esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di 100 razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele e tu stai seduto in silenzio?» aveva detto in un video condiviso sul suo account sui social media. Ben-Gvir esortava ad attaccare il Libano, dicendo, come riporta il canale di Stato turco TRT: «cominciamo a rispondere, ad attaccare e a combattere ora».

 

Il ministro Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.

 

Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.

 

Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».

 

Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.

 


Il messianismo sionista si basa sulla teoria apocalittica del Terzo Tempio, che ha diversi sostenitori anche nel protestantesimo americano.

 

Tali idee religiose sulla fine del mondo sono riaffiorate poche settimane fa quando un gruppo sionista ha domandato di portare sulla spianata delle Moschee – cioè il Monte del Tempio degli ebrei – una giovenca rossa, che, sacrificata come prescritto nei Libro dei numeri, darebbe ceneri con cui purificare i rabbini necessari ai riti per la venuta del messia degli ebrei, che per i cristiani, secondo varie vulgate, sarebbe esattamente l’anticristo.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la settimana scorsa alcuni giovani ebrei sono stati arrestati mentre tentavano di trafugare sul Monte del tempio alcuni capretti da offrire in sacrificio, un atto che è sia una provocazione nei confronti dei palestinesi musulmani, sia un procedimento inserito all’interno di un sistema di riti apocalittici.

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Geopolitica

Netanyahu: Israele invaderà Rafah con o senza accordo sugli ostaggi

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Israele invierà truppe nella città di Rafah indipendentemente dal fatto che raggiunga o meno un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi con Hamas, ha detto martedì il primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo riporta RT.   Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz aveva precedentemente promesso di annullare la controversa operazione in cambio dei prigionieri.   Situata al confine meridionale di Gaza con l’Egitto, Rafah ospita attualmente circa 1,4 milioni di palestinesi fuggiti dalle zone settentrionali dell’enclave. Da ottobre, Israele ha effettuato attacchi aerei regolari a Rafah contro quelli che ritiene siano obiettivi di Hamas, e Netanyahu ha minacciato per mesi di lanciare un’invasione di terra della città, nonostante le obiezioni di Stati Uniti e Nazioni Unite.   «L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione», ha detto Netanyahu in una dichiarazione dal suo ufficio. «Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas – con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale».   Il Ministro degli Esteri Katz aveva detto sabato al Canale 12 israeliano che Israele avrebbe «sospeso l’operazione» se Hamas avesse acconsentito a rilasciare alcuni dei circa 130 ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza.

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Mentre Katz parlava, Hamas stava studiando una proposta israeliana di cessate il fuoco che vedrebbe i combattimenti temporaneamente sospesi in modo che diverse dozzine di ostaggi possano essere scambiati con prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.   Il segretario di Stato americano Antony Blinken, che arriverà in Israele per discutere l’accordo più tardi martedì, ha definito i suoi termini «straordinariamente generosi» e ha invitato i militanti a «decidere rapidamente» e ad accettarlo.   Non è chiaro come i commenti di Netanyahu influenzeranno la decisione di Hamas. Il gruppo militante ha precedentemente respinto i termini di Israele, insistendo sul fatto che qualsiasi tregua deve includere un percorso verso un cessate il fuoco permanente e un completo ritiro israeliano da Gaza.   I partner intransigenti della coalizione di Netanyahu, tuttavia, hanno chiesto che il primo ministro proceda con l’operazione Rafah. Qualsiasi compromesso, ha detto domenica il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, equivarrebbe a una «resa umiliante» per Israele. Durante un discorso di lunedì, Smotrich ha affermato che Israele dovrebbe cercare «l’annientamento totale» dei suoi nemici, hanno riferito i media israeliani.   Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha affermato martedì che Netanyahu gli aveva promesso «Israele entrerà a Rafah, ha promesso che non fermeremo la guerra e che non ci sarà un accordo sconsiderato».   Come riportato da Renovatio 21, il premier israeliano potrebbe essere oggetto di un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale già questa settimana.

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Immagine del 2009 di RafahKid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.
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Geopolitica

La Corte Penale Internazionale potrebbe emettere un mandato di arresto per Netanyahu questa settimana

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La Corte Penale Internazionale (CPI) potrebbe accusare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi alti funzionari di crimini di guerra ed emettere mandati di arresto già questa settimana, ha riferito lunedì NBC News.

 

Citando un funzionario israeliano, la rete americana ha affermato che potrebbero essere emessi mandati per Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e alti ufficiali militari non nominati. Il funzionario ha detto che «Israele sta lavorando attraverso i canali diplomatici per cercare di fermare l’emissione dei mandati», secondo le parole della NBC.

 

Secondo i media israeliani, il capo dell’esercito Herzl Halevi è tra gli ufficiali militari accusati.

 

La CPI non ha confermato né smentito il rapporto, dicendo alla NBC che «ha un’indagine indipendente in corso in relazione alla situazione nello Stato di Palestina» e non ha «ulteriori commenti da fare in questa fase».

 

L’indagine della Corte penale internazionale è stata avviata nel 2021 e riguarda presunti crimini di guerra da parte dell’esercito israeliano e di gruppi militanti palestinesi in Cisgiordania e Gaza a partire dal 2014, quando Israele ha combattuto una guerra durata un mese contro Hamas.

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L’indagine è separata dal caso di genocidio del Sud Africa contro Israele, che è attualmente all’esame della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Pretoria sostiene che le forze israeliane hanno commesso genocidio e crimini contro l’umanità durante l’operazione in corso contro Hamas a Gaza.

 

La CPI e la ICJ hanno entrambe sede nella città olandese dell’Aia. Secondo lo Statuto di Roma del 2002, la Corte penale internazionale ha il compito di perseguire individui per genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e «crimine di aggressione». L’ICJ è invece un organo delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra le nazioni.

 

Se la Corte Penale Internazionale dovesse emettere un mandato di arresto per Netanyahu, è improbabile che il primo ministro israeliano venga trascinato all’Aia per affrontare il processo. Israele – come Stati Uniti, Russia e Cina – non è parte dello Statuto di Roma e non riconosce la giurisdizione della Corte. Un mandato potrebbe, tuttavia, mettere Netanyahu a rischio di arresto se dovesse recarsi in uno dei 124 paesi che riconoscono la corte.

 

Dopo che la settimana scorsa è emersa la notizia di una potenziale accusa per crimini di guerra, Netanyahu ha dichiarato venerdì che Israele «non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte Penale Internazionale di minare il suo diritto intrinseco all’autodifesa».

 

«La minaccia di sequestrare soldati e funzionari dell’unica democrazia del Medio Oriente e dell’unico Stato Ebraico al mondo è oltraggiosa. Non ci piegheremo», ha scritto il premier israeliano su X.

 

Come riportato da Renovatio 21, in precedenza Israele aveva risposto chiedendo che fosse l’ONU ad essere portata dinanzi al tribunale dell’Aia. Tre mesi fa, dopo aver definito «assurde» le accuse, l’ufficio di Netanyahu aveva spiegato che il riferimento che il premier aveva fatto ad Amalek – una popolazione del racconto biblico di cui si chiede l’annientamento – era stato frainteso.

 

Nel frattempo, il Nicaragua ha deferito la Germania alla Corte Internazionale di giustizia per complicità nel genocidio palestinese.

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Immagine di U.S. Embassy Jerusalem via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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