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Nuove tensioni indù-musulmani attorno al tempio di Rama ad Ayodhya
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Fermati dalle forze speciali indiane due indù che – fingendosi musulmani – inviavano messaggi in cui annunciacano attentati al tempio nel sito sacro conteso dell’Uttarv Pradesh che verrà inaugurato da Modi il 22 gennaio. Dai loro profili social emersi legami con il Bharatiya Janata Party. Il vescovo di Lucknow: «Grave creare ulteriore tensione su linee religiose». Intanto ad Ayodhya si prepara la consacrazione del primo ministro più che del luogo sacro.
Mercoledì 3 gennaio sono stati arrestati due uomini che, fingendosi musulmani, avevano minacciato di uccidere il capo del governo dell’Uttar Pradesh e di far saltare in aria il tempio di Rama ad Ayodhya, una città sacra per induisti, buddhisti e giainisti.
Omprakash Mishra e Tahar Singh, entrambi residenti nel distretto di Gonda, sono stati arrestati in una zona della città di Lucknow in Uttar Pradesh, grazie all’intervento delle forze speciali. Le minacce erano state inviate al primo ministro locale e al capo delle forze speciali da due account email creati utilizzando i nomi falsi di Alam Ansari Khan e Zubair Khan.
Tuttavia – ha spiegato il vice sovrintendente della polizia Pramesh Kumar Shukla, che dirige le indagini – pare che i due abbiano agito sotto le istruzioni di un terzo uomo, Devendra Tiwari, ora in fuga, che gestisce due organizzazioni no profit ed è a capo dell’Indian Institute of Paramedical Sciences, dove entrambi Misha e Singh lavoravano. Tiwari aveva diffuso le minacce su Twitter, attirando l’attenzione della polizia.
«Le minacce al chief minister e al tempio di Ram sono cose serie», ha commentato ad AsiaNews mons. Gerald Mathias, vescovo di Lucknow. «Alcuni elementi vogliono essere sotto le luci della ribalta, ma l’atto malevolo di usare nomi falsi, in questo caso musulmani, ha come scopo di creare ulteriore tensione in una società già polarizzata su linee religiose. È necessario adottare misure rigorose contro i colpevoli in modo che tali cose non si ripetano», ha concluso il vescovo.
Un’inchiesta della testata indiana online Scroll aveva sottolineato la crescente tendenza a fingersi musulmani sui social pubblicando post provocatori. Dagli account social di Tiwari, Misha e Singh appaiono evidenti i loro legami con i rappresentanti del partito al potere, il Bharatiya Janata Party (BJP).
Tuttavia la città di Ayodhya è da decenni al centro di tensioni e controversie religiose: nel 1992 una manifestazione indù portò alla distruzione della moschea di Babri, che secondo le frange ultranazionaliste sorgeva sui resti di un antico tempio.
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Nel corso degli anni sono continuati gli attacchi e gli attentati terroristici, finché nel 2019 la Corte suprema ha assegnato il sito agli induisti, prevedendo tuttavia anche la costruzione di una moschea in un altro territorio.
Nell’agosto 2020 il primo ministro Narendra Modi ha posto, nel luogo in cui si ritiene sia nato il dio Rama, la prima pietra del nuovo tempio, che sarà ufficialmente inaugurato il 22 gennaio dopo una settimana di consacrazioni. Nel 2021 è stato creato un luogo di osservazione affinché chiunque potesse ammirare l’andamento dei lavori.
Ma i sostenitori dell’ideologia hindutva, la frangia indù più estremista, hanno espresso contrarietà nei confronti del progetto: sui social molti hanno sottolineato il coinvolgimento di artigiani musulmani nella costruzione del luogo sacro, oppure hanno criticano i motivi architettonici, troppo somiglianti a quelli islamici.
Il BJP, in particolare, è stato accusato di voler sfruttare l’inaugurazione del tempio di Rama a scopi politici, minando la religiosità dell’occasione: «siamo stati noi ad avviare il movimento Ram Janmabhoomi, ma ora il BJP si comporta come se fosse l’appaltatore del tempio», ha detto Sunil Kumar, segretario generale di uno dei più antichi partiti hindutva dell’India, l’Hindu Mahasabha, riferendosi all’associazione che ha portato alla distruzione della moschea di Babri. «Siamo lieti che il tempio venga finalmente inaugurato, ma il merito di ciò non dovrebbe essere attribuito solo al BJP», ha aggiunto.
Anche in passato diverse personalità indù avevano sottolineato che il tempio è «un luogo storico e non un ufficio del BJP», che al contrario «ha politicizzato l’intera faccenda». L’Hindu Mahasabha ha quindi annunciato che non parteciperà alla cerimonia di inaugurazione del tempio.
Nel frattempo, il 30 dicembre, durante una visita al sito, il primo ministro Narendra Modi ha annunciato progetti infrastrutturali del valore di 1,3 miliardi di dollari che saranno completati ad Ayodhya nei prossimi anni.in primavera si terranno le prossime elezioni politiche, in cui Modi potrebbe trionfare per un terzo mandato.
L’inaugurazione del 22 gennaio, quindi, più che una consacrazione del tempio, appare sempre più come una consacrazione dello stesso Modi a capo politico (e religioso) dell’India.
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Immagine di Press Information Bureau / Prime Minister’s Office via Wikimedia pubblicata su licenza Government Open Data License – India (GODL)
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La Croazia ripristina la leva militare
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Aborto e pena di morte, la dichiarazione controversa di papa Leone XIV
A favore della vita? Papa Leone XIV, rompendo con il riserbo osservato fino ad allora, ha dichiarato durante un’intervista alla stampa il 30 settembre 2025 a Castel Gandolfo: «Chi dice: “Sono contro l’aborto” ma sostiene la pena di morte non è veramente a favore della vita», come riportato da Vatican News.
Questa affermazione, che ha suscitato una certa preoccupazione tra i cattolici americani, merita di essere analizzata. Il papa sottintende che coloro che difendono la vita debbano opporsi non solo all’aborto, ma anche alla pena di morte. Queste due battaglie, agli occhi del papa, si basano sullo stesso principio. Sarebbe incoerente opporsi all’aborto e sostenere la pena di morte.
In realtà, esiste una differenza fondamentale tra l’aborto e la pena di morte. Nel primo caso, si tratta dell’uccisione di una persona innocente, che non ha mezzi di difesa. Nel secondo caso, si tratta dell’uccisione di una persona colpevole. Spesso, questa persona colpevole è un criminale che ha ucciso persone innocenti e che potrebbe commettere nuovamente il reato.
Secondo Leone XIV, sostenere la pena di morte non è compatibile con l’essere «a favore della vita». Ma allora il Magistero unanime della Chiesa per venti secoli deve essere considerato non a favore della vita. Infatti, papi e concili, fino all’inizio del XXI secolo, hanno insegnato che la pena di morte, in certi casi, era moralmente ammissibile (1).
Nell’enciclica Casti connubii del 1930, papa Pio XI, pronunciandosi con forza contro il crimine dell’aborto, scrisse: «il diritto di punire con la morte vale solo contro i colpevoli. Non vale contro gli innocenti». (2)
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Si potrebbe obiettare al quinto comandamento del Decalogo: «Non uccidere» (3). Sant’Agostino e San Tommaso hanno risposto all’obiezione. Questo precetto proibisce l’uccisione degli innocenti. Ma non è ingiusto uccidere criminali o nemici dello Stato. Ciò non va contro questo precetto del Decalogo. (4)
Se un obiettore insiste nell’invocare il diritto alla vita di ogni essere umano, rispondiamo citando papa Pio XII nel suo discorso del 14 settembre 1952: «anche quando si tratta dell’esecuzione di un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto individuale alla vita. È allora riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita, in espiazione della sua colpa, dopo che, con il suo crimine, si è già spogliato del suo diritto alla vita».
Dobbiamo piuttosto chiederci se l’opposizione alla pena di morte sia davvero un comportamento pro-life. Se un criminale ha brutalmente ucciso decine di persone innocenti e, privo di qualsiasi pentimento, desidera recidivare, il comportamento pro-life consiste nel proteggere la vita di quel criminale a tutti i costi, o piuttosto nel proteggere la vita di cittadini innocenti e pacifici che rischiano di essere assassinati?
Difendere la vita umana non significa forse punire severamente chi la distrugge e stabilire leggi che scoraggino i potenziali assassini al fine di proteggere gli innocenti?
E che dire dell’autodifesa e della guerra giusta? L’uomo che uccide il suo aggressore ingiusto o il soldato che uccide l’invasore della sua patria meritano il rimprovero di Leone XIV di non essere «pro-vita»? Questo rimprovero non dovrebbe piuttosto ricadere sull’aggressore ingiusto, nemico della vita umana?
Non c’è quindi alcuna incoerenza, ma al contrario una logica perfetta, nel lottare contro l’aborto sostenendo al contempo la legittimità della pena di morte per alcuni pericolosi recidivi.
Abate Bernard de Lacoste
NOTE
1) Vedere gli articoli dell’abate J.-M. Gleize in Super hanc petram, t. 2, pp. 135-140 e 159-169.
2) Dz 3720.
3) Esodo XX, 13.
4) Summa Theologica, Ia IIae, q. 100, artt. 8, annuncio 3.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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