Persecuzioni
Ninive, card. Sako: a 11 anni dai massacri ISIS «ansia e ossessione» di migrare
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primate caldeo ricorda il carico di morte e distruzione legato all’ascesa dello Stato Islamico, ancora oggi attuali. Mancanza di diritti e sicurezza spingono alla fuga. A questo si aggiungono le persecuzioni di «milizie» che praticano «estorsioni, vessazioni, intimidazioni e sequestro di quote parlamentari».
A 11 anni dall’esodo dei cristiani da Mosul e dalla piana di Ninive, il 6 agosto 2014, in seguito all’ascesa dello Stato islamico (SI, ex ISIS) col suo carico di morte e distruzione, «l’ansia e l’ossessione» per la migrazione «continuano a crescere¹ in mancanza di diritti e sicurezza. È quanto scrive il primate di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews in occasione dell’undicesimo anniversario della cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive. Un dramma ancora vivo nella memoria, mentre restano attuali le persecuzioni per mano di «milizie» che «praticano estorsioni, vessazioni, intimidazioni e sequestro di quote parlamentari». Un richiamo ai gruppi, legati a sedicenti leader cristiani, contro i quali si è più volte battuto lo stesso porporato. Nella messa celebrata il 6 agosto nella cattedrale di san Giuseppe a Baghdad il porporato ha ricordato il significato della Trasfigurazione al monte Tabor, chiedendo ai fedeli di pregare per la pace.
Il grido di allarme lanciato dal patriarca caldeo non è certo isolato, anche se troppo spesso sembra cadere nel vuoto inascoltato. Nei giorni scorsi leader caldei, assiri e siriaci hanno ricordato il «genocidio» che ha «sradicato» quasi mezzo milione di cristiani autoctoni dalla regione, chiedendo il riconoscimento formale delle atrocità e azioni urgenti della comunità internazionale per salvaguardare l’esistenza di un popolo. Nonostante il Parlamento iracheno abbia ufficialmente riconosciuto i crimini dell’ISIS, infatti, non è stato intrapreso alcun passo formale per restituire i cristiani alla loro terra, mentre resta attuale il rischio di nuove persecuzioni a sfondo confessionale dello Stato islamico o altri gruppi. Per scongiurare ulteriori tragedie e preservare la vita e la cultura cristiane della regione serve una presa di coscienza dello Stato, che è chiamato a garantire la sicurezza. A distanza di anni estorsioni, molestie, intimidazioni e discriminazioni a livello politico e di lavoro, sono cronaca attuale nella piana di Ninive e nel nord dell’Iraq.
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Di seguito, il messaggio del patriarca Sako:
Nell’undicesimo anniversario del radicale attacco contro i cristiani da parte dei membri dello Stato Islamico (ISIS), che ha portato al loro sfollamento da Mosul e dalle città della Piana di Ninive, accompagnato dal saccheggio e dall’incendio delle loro proprietà, case e chiese, l’ansia dei cristiani e l’ossessione della migrazione continuano a crescere, in assenza di misure efficaci per proteggere i loro diritti, la loro sicurezza e i servizi.
A ciò si aggiunge il controllo delle loro città nella pianura di Ninive da parte di milizie che praticano estorsioni, vessazioni, intimidazioni, nonché il sequestro delle loro quote parlamentari e delle opportunità di lavoro governative.
Nonostante queste difficili sfide, i cristiani rimangono saldi nella loro fede: la lettera rossa «N» (ن) sulle porte delle loro case rimane impressa nella loro memoria, ispirandoli a rifiutare l’ingiustizia e a testimoniare Cristo con fedeltà, indipendentemente dai sacrifici e dalle difficoltà.
Chiediamo al governo, che rappresenta tutto il popolo iracheno, di assumersi la responsabilità di proteggere questa popolazione cristiana autoctona e di difenderne i diritti. Si tratta di una necessità umanitaria e di un imperativo nazionale, per cui la salvaguardia delle libertà e dei diritti dei cristiani e delle altre minoranze non deve essere determinata solo da considerazioni demografiche, ma da misure giuste ed eque.
Poiché essi sono gli abitanti originari di queste terre, incarnano una ricca cultura e un patrimonio altrettanto ricco, rimangono fedeli alla loro patria, hanno svolto un ruolo essenziale nella vita della nazione irachena nei settori dell’istruzione, della cultura, della medicina e dei servizi sociali e possono ancora contribuire alla rinascita e al progresso dell’Iraq.
Di conseguenza, la comunità cristiana merita sicurezza e giustizia per garantire che la sua presenza possa continuare nella propria terra; questo si aggiunge il dovere primario di garantire una coesistenza pacifica all’insegna della tolleranza, del rispetto e dell’armonia.
Cardinale Louis Raphael Sako
Patriarca di Baghdad dei caldei e presidente della Conferenza episcopale irachena
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Persecuzioni
Roma tace sulla morte dell’eroico vescovo cinese clandestino
Il vescovo Julius Jia Zhiguo, guida della Chiesa cattolica clandestina cinese che ha patito decenni di persecuzione sotto il Partito Comunista Cinese (PCC), è deceduto a 90 anni. La sua morte non ha tuttavia ricevuto alcuna risposta ufficiale dal Vaticano. Il vescovo Jia, a lungo nel mirino per il suo ministero pastorale, è stato ripetutamente arrestato dal Partito Comunista.
Dal 1962, Jia ha subito numerose detenzioni, dagli arresti domiciliari a 15 anni di carcere, per aver rifiutato di sottomettersi alla Chiesa di Stato del regime. I suoi arresti hanno segnato un arresto significativo nei negoziati tra Roma e Cina.
Nel 2009, l’arresto di Jia provocò uno stallo nei colloqui tra Vaticano e Associazione Patriottica Cattolica, approvata dallo Stato cinese. Sotto Benedetto XVI, Roma adottò cautela nei rapporti con i prelati cinesi, mentre si intensificava la persecuzione della Chiesa clandestina fedele al Vaticano.
«Situazioni di questo tipo creano ostacoli a quel dialogo costruttivo con le autorità competenti… Questo non è, purtroppo, un caso isolato», affermò la commissione vaticana.
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Dopo l’accordo sino-vaticano, supervisionato dal cardinale Pietro Parolin, il tono è mutato. Con l’aumento delle tensioni in Vaticano sull’Accordo Provvisorio con la Cina – che assegna al PCC autorità nella nomina dei vescovi – molti membri della Chiesa cattolica clandestina cinese si sentono abbandonarsi abbandonati da Roma.
Il Vaticano ha insistito su L’Osservatore Romano che l’accordo mirava all’«unità».
«Lo scopo principale dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei Vescovi in Cina è sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in quelle terre, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa», ha dichiarato il Vaticano.
L’unità auspicata dal Vaticano non si è ancora realizzata, poiché la persecuzione dei cattolici in Cina persiste.
Jia ha gestito un orfanotrofio in Cina per 30 anni, subendo continue pressioni dal governo cinese affinché gli sottraessero i bambini. Durante la pandemia di COVID-19, il PCC avrebbe tentato di fargli firmare un accordo che permetteva alla sua chiesa di rimanere aperta solo se avesse promesso l’esclusione dei minori di 18 anni.
In un’intervista a La Stampa nel 2016, il vescovo Jia spiegò come fosse riuscito a sopportare una persecuzione così intensa.
«Ci bastava avere Dio nel cuore. Questo mi ha accompagnato e custodito per tutto quel tempo. Ci sono state tante difficoltà, ma Dio mi era accanto, e questo bastava».
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