Nucleare
Nel 2021 accese 6 nuove centrali nucleari in Asia e 36 in costruzione

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Alla fine dell’anno scorso, su 53 progetti di nuove centrali atomiche la maggior parte riguarda l’Asia. I tempi di realizzazione di un reattore vanno diminuendo. La crescita è trainata dalla Cina, seguita da India, Giappone e Corea del Sud.
La pandemia da COVID-19 e ancor più la guerra in Ucraina hanno determinato un ritorno al consumo di combustibili fossili per la produzione di energia, soprattutto in Europa. In Asia, invece, vengono costruite sempre più centrali nucleari e in tempi sempre più rapidi.
A dirlo è l’ultimo World Nuclear Performance Report, secondo cui nel 2021 i reattori nucleari hanno generato un totale di 2.653 TWh (terawattora) con un aumento di 100 TWh in più rispetto al 2020.
Mentre in Europa e negli Stati Uniti la tendenza è al ribasso, all’Asia manca pochissimo per raggiungere i livelli di produzione di energia nucleare dell’Occidente. Dopo un calo importante seguito al triplice disastro di Fukushima nel 2011, la crescita è stata velocissima, trainata soprattutto da Cina e India.
La maggior parte dei reattori sono ad acqua pressurizzata (Pwr) e tra il 2017 e il 2021 ne sono stati avviati 33 in tutto il mondo, mentre quelli in costruzione alla fine dell’anno scorso erano 53, di cui 36 in Asia. Dei progetti iniziati nel 2021, sei si trovano in Cina, due in India, uno in Russia e uno in Turchia. Nella prima parte del 2022 è iniziata la costruzione di altri tre reattori in Cina, mentre dei cinque che sono stati connessi con la rete elettrica quattro si trovano in Asia e uno in Finlandia.
Se la tendenza restasse quella attuale, la realizzazione delle nuove centrali potrebbe durare meno di cinque anni. Per il reattore indiano di Kakrapar 3, iniziato a fine 2010, ci sono voluti quasi 10 anni, mentre per il cinese Tianwan 6, iniziato a costruire nel 2016, ci sono voluti solo 56 mesi (v. foto 2).
Una volta terminata la costruzione è necessario il collegamento alla rete: nel 2021 sono stati collegati sei reattori, tra cui quello di Shandong in Cina, che presenta particolari caratteristiche che potrebbero essere imitate anche su scala più grande. Il tempo medio di costruzione dei reattori connessi alla rete nel 2021 è stato di 88 mesi.
La produzione di energia da reattori nucleari in Cina è arrivata a quasi 400 TWh nel 2021 con 54 reattori operativi e 20 in costruzione. Situazione opposta a Taiwan, dove il nucleare è in calo perché nel 2016 l’isola si è impegnata a chiudere tutte le centrali entro il 2025. L’anno scorso un referendum ha confermato la volontà popolare di non voler procedere con il recupero e la costruzione dei siti esistenti.
Delle sei unità che ci sono in Pakistan due sono state fornite dalla Cina, permettendo a Islamabad di raddoppiare la propria produzione di energia.
L’India è l’altro Paese che sta trainando la crescita nucleare in Asia, con 23 reattori operativi divisi in sette centrali. Il sito di Kudankulam è un progetto a lungo termine tra Delhi e Mosca, mentre di recente il presidente francese Emmanuel Macron ha assicurato al primo ministro indiano Narendra Modi il proprio sostegno nella costruzione di sei nuove unità a Jaitapur in Maharashtra che genereranno energia per 70 milioni di famiglie.
In Bangladesh è in costruzione un impianto a due unità di progettazione russa che dovrebbe essere operativo nel 2023 o nel 2024 e coprirà il 9% del fabbisogno di elettricità del Paese.
In Giappone tutte le centrali nucleari del Paese dopo il 2011 si sono fermate e prima di essere riavviate hanno dovuto ottenere una nuova approvazione da parte del governo. Il premier Fumio Kishida ha dichiarato di voler aumentare la produzione di energia elettrica dal nucleare e sono stati fatti investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie, tra cui reattori veloci raffreddati a sodio.
In Corea del Sud i 25 reattori del Paese coprono un terzo del fabbisogno energetico nazionale e il nuovo presidente Yoon Suk-yeol, eletto a marzo di quest’anno, si è rifiutato di escludere la produzione elettrica dal nucleare come aveva fatto il predecessore Moon Jae-in, ragione per cui nel 2025 verrà ripresa la costruzione, interrotta nel 2017, di una vecchia centrale.
Secondo un sondaggio condotto a settembre 2021 dalla Società nucleare sudcoreana, il 72% degli intervistati – che però erano solo 1.000 – era a favore del nucleare.
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Nucleare
Parlamentare tedesco democristiano gay chiede l’accesso alle armi nucleari di Francia e Gran Bretagna

La Germania dovrebbe avere accesso alle armi nucleari francesi e britanniche, ha affermato il parlamentare democristiano Jens Spahn. In cambio, Berlino potrebbe collaborare con Parigi e Londra per modernizzare i propri arsenali, ha dichiarato al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Lo Spahn, un gay dichiarato, che guida il gruppo parlamentare congiunto CDU/CSU e si ricorda per il pugno di ferro contro i non vaccinati durante la pandemia, si è distinto come un convinto sostenitore di un sistema di armi nucleari a livello UE.
«Noi… abbiamo bisogno di una capacità di deterrenza a livello europeo… insieme a francesi e britannici», ha affermato in un’intervista pubblicata sabato, sostenendo che le armi nucleari statunitensi in Europa non sono più sufficienti.
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Il parlamentare, ex ministro federale della Salute, ha affermato che il dibattito sulla questione «avrà luogo solo se la Germania lo porterà avanti». Ha suggerito che Londra e Parigi potrebbero mantenere il controllo maggiore sui loro arsenali nucleari, mentre Berlino potrebbe partecipare a un programma di modernizzazione.
A luglio, lo Spahn aveva parlato della necessità di «discutere dell’accesso tedesco o europeo agli arsenali nucleari di Francia e Gran Bretagna» alla luce di quella che ha definito la «minaccia» proveniente dalla Russia. Le nazioni prive di deterrenza nucleare «diventeranno pedine nella politica globale», ha sostenuto.
Il capo del blocco democristiano CDU/CSU al Bundestag, aveva inoltre sostenuto che le armi nucleari statunitensi basate in Germania non sono più sufficienti a scoraggiare la presunta minaccia russa.
Il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, ha avvertito che Berlino potrebbe sviluppare la propria bomba nucleare nel giro di pochi mesi, se lo desiderasse.
Le dichiarazioni di Spahn giungono in un momento in cui Berlino ha assunto una posizione più dura nei confronti della Russia sotto la guida del cancelliere Friedrich Merz, che ha promesso ulteriori 5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina dopo il suo insediamento a maggio.
Il mese scorso ha affermato il cancelliere democristiano che la Germania era «già in conflitto» con la Russia e ha accusato il presidente Vladimir Putin di «destabilizzare gran parte del nostro Paese».
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Come riportato da Renovatio 21, il Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
A luglio il direttore generale dell’ente atomico ONU AIEA, Rafael Grossi, in un’intervista al quotidiano polacco Reczpospolita aveva dichiarato che la Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi.
Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).
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Immagine di Olaf Kosinsky via Wikimedia pubblicata su licenza CC BY-SA 3.0-de
Cina
«Inarrestabile»: Xi svela la triade nucleare in una parata militare che sfida l’Occidente. A suo fianco Putin e Kim

I must say, the Chinese parade really lacks diversity! pic.twitter.com/lO47to5i7L
— The_Real_Fly (@The_Real_Fly) September 3, 2025
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⚡️BREAKING
China unveils its full Nuclear Capability for the first time Some missiles have a range of 15000 km pic.twitter.com/izKfMTuOdP — Iran Observer (@IranObserver0) September 3, 2025
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Quite a hot mic moment on CCTV in Beijing today as Putin and Xi, both 72 years old, are caught casually talking about living to 150 and maybe forever thanks to organ transplants. (As picked up by Bloomberg.) pic.twitter.com/kC4VTRaobq
— Yaroslav Trofimov (@yarotrof) September 3, 2025
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China’s hypersonic anti-ship missiles, including YingJi-19, YingJi-17 and YingJi-20, passed through Tian’anmen Square in Wednesday’s V-Day parade. The formation also included YingJi-15 missile. pic.twitter.com/oyZKJQD47t
— China Xinhua News (@XHNews) September 3, 2025
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Trump ha anche sottolineato la sconfitta americana del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, che alla fine ha garantito una pace duratura alla Cina. No, Xi non ha elogiato gli Stati Uniti per questo, ma si è schierato orgogliosamente al fianco dei suoi alleati sanzionati dagli Stati Uniti…What a line up! Xi has made a come back that no one could have predicted 5 years ago.
pic.twitter.com/yJynTn5yYb — Smita Prakash (@smitaprakash) September 3, 2025
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Nucleare
Taiwan alle urne sul nucleare (e la sua sicurezza energetica)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel referendum del 23 agosto voluto dall’opposizione si chiede la riattivazione del reattore di Maanshan, l’ultimo del Paese spento a maggio dopo 40 anni di attività. Dopo Fukushima il fronte ambientalista ha ottenuto il progressivo azzeramento. Ma i timori di un blocco di Pechino all’approvvigionamento di gas naturale oggi stanno riaprendo la questione. Mentre la Cina ha ben 33 impianti in costruzione.
I cittadini di Taiwan si apprestano ad essere chiamati alle urne sabato 23 agosto per un referendum sul tema molto caldo dell’energia nucleare. Dal maggio scorso – allo scadere dei quarant’anni di attività – sull’isola è stato fermato anche l’ultimo reattore nucleare attivo, quello della centrale di Maanshan, realizzando così quella che da anni è stata una promessa del Democratic Progressive Party (DPP), il partito del presidente Lai Ching-te.
Proprio ad annullare questa scelta – prolungando di altri 20 anni la vita della centrale di Maanshan – mira la consultazione, che è stata promossa dal Taiwan People’s Party con il sostegno del Kuomintang, la principale forza di opposizione che oggi è anche quella politicamente più vicina a Pechino.
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Secondo la legge di Taiwan ogni proposta referendaria è da ritenere approvata solo se i «sì» vinceranno sui «no» raccogliendo almeno un quarto dei consensi degli avanti diritto al voto. In pratica occorrono almeno 5 milioni di voti favorevoli, un traguardo non impossibile considerando i voti raccolti dal Kuomintang e dal Taiwan People’s Party nelle elezioni del gennaio 2024.
Da quando imboccò la strada del nucleare negli anni Settanta, sono stati complessivamente tre le centrali operative a Taiwan: quella di Chinshan, situata nel distretto di Shimen a New Taipei, quella di Kuosheng, situata nel distretto di Wanli a New Taipei e – appunto – quella di Maanshan che si trova a Hengchun, nella contea di Pingtung. Nel 1985, quando tutti e tre gli impianti erano in funzione a pieno regime, l’energia nucleare rappresentava addirittura il 52,4% della produzione di elettricità dell’isola.
Col tempo – però – questa quota è diminuita, a causa della crescente opposizione al nucleare e di un cambio nella politica energetica a favore delle importazioni di gas naturale, oggi la maggiore fonte dell’isola. Già nel 2002, durante l’amministrazione del presidente Chen Shui-bian del DPP, era stato fissato l’obiettivo di creare una «patria senza nucleare». La spinta era poi ulteriormente cresciuta dopo il disastro del 2011 nella centrale giapponese di Fukushima: per questo nel 2014 – dopo massicce proteste da parte degli ambientalisti – fu abbandonato il progetto della costruzione di una quarta centrale, che sarebbe dovuta sorgere nel distretto di Gongliao.
Negli ultimi anni, poi, allo scadere dei quarant’anni dal loro avvio, tutte e tre le centrali di Taiwan hanno cessato l’attività: quella di Chinshan nel 2019, quella di Kuosheng nel 2022 e quella di Maanshan nel maggio scorso. Attualmente, dunque, nessuna quota di energia viene più prodotta sull’isola attraverso il nucleare.
Al di là del profilo ambientale – che vede ovunque nel mondo fronteggiarsi oggi quanti sottolineano i pericoli delle centrali con quanti ritengono sia la forma più «pulita» ed efficiente di produzione dell’energia – a Taiwan la questione nucleare ha anche una dimensione geopolitica. Anche nel fronte più ostile a Pechino sono in molti, infatti, a sottolineare che l’aumento della dipendenza dal gas naturale è un elemento di debolezza di Taipei, perché espone la sicurezza energetica dell’isola a gravi rischi nel caso di un blocco navale da parte delle forze armate cinesi.
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Per questo motivo lo stesso presidente Lai Ching-te – pur invitando a votare «no» al referendum sulla centrale di Maanshan – non esclude più a priori il ricorso all’energia atomica per uso civile, aprendo alla possibilità di costruire nuovi impianti più piccoli di nuova generazione. Eventualità questa fortemente contestata – invece – dal fronte ambientalista, tradizionalmente molto forte sull’isola e che invita a puntare maggiormente sulle energie rinnovabili, che attualmente generano solo l’11,6% dell’energia.
Va aggiunto anche che un reiterato «no» di Taiwan al nucleare rappresenterebbe un’ulteriore divaricazione rispetto alle scelte di Pechino: la Repubblica Popolare Cinese ha attualmente 58 reattori in attività che producono circa il 5% del suo fabbisogno energetico. Ma è il Paese che nel mondo sta costruendo il maggior numero di nuove centrali nucleari: sono ben 33 gli impianti in costruzione per un potenziale complessivo di ulteriori 35.355 Megawatt elettrici di capacità produttiva, che la porterebbero a un livello molto vicino a quello degli Stati Uniti.
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Immagine di Sgroey via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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