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Geopolitica

Nagorno-Karabakh: continuano i bombardamenti

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

Gli azeri bersagliano da quattro giorni la capitale dei separatisti filo-armeni. Il dramma della popolazione locale. Le forze del Karabakh hanno risposto con una operazione contro un aeroporto azero. Il ruolo della Turchia. Presi di mira anche i giornalisti sul posto.

La capitale dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli armeni) è sottoposta da quattro giorni a intensi bombardamenti da parte delle forze azere

La capitale dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli armeni) è sottoposta da quattro giorni a intensi bombardamenti da parte delle forze azere. È quanto racconta ad AsiaNews il corrispondente di guerra Jonah Fisher.

 

«È terribile siamo tutti nei sotterranei dell’albergo da ieri sera», ha detto Fisher, sottolineando che gli attacchi sono proseguiti per tutta la mattina: «Ho visto donne , anziani e bambini abbandonare le proprie case in cerca di solidi ripari. Questa non è  più una guerra di eserciti, ma un massacro sistematico con armi sofisticate».

 

Nei giorni scorsi l’Azerbaijan ha lanciato un attacco per recuperare il Karabakh, l’enclave a maggioranza armena. Essa si trova in territorio azero, ma è governata dal 1994 – dopo un conflitto di sei anni – da autorità filo-armene non riconosciute dalle Nazioni Unite.

«Ho visto donne , anziani e bambini abbandonare le proprie case in cerca di solidi ripari. Questa non è  più una guerra di eserciti, ma un massacro sistematico con armi sofisticate»

 

Araik Harutyuinian, presidente dell’entità separatista, ribadisce l’accusa che dietro alle operazioni militari di Baku ci sia la mano della Turchia: «Quella turca e azera – egli denuncia – è una minaccia alla nostra sopravvivenza millenaria come nazione».

 

La splendida Stepanakert (55mila abitanti) è una città devastata. Ci sono molti morti e feriti, e l’imminente arrivo del freddo aggraverà le condizioni già difficili della popolazione sfollata.

 

Martin Schüepp, direttore regionale della Croce Rossa, ha esortato le parti in conflitto a «rispettare i principi del diritto internazionale umanitario e ad adottare tutte le misure necessarie per garantire il rispetto e la protezione delle persone e delle infrastrutture civili». Igor Zhadanov, corrispondente di RT (Russia Today), afferma che ieri è stato colpito anche un ospedale.

Araik Harutyuinian, presidente dell’entità separatista, ribadisce l’accusa che dietro alle operazioni militari di Baku ci sia la mano della Turchia

 

Secondo fonti locali, i centri abitati del Karabakh sono bombardati con ordigni a grappolo, vietati da una convenzione internazionale entrata in vigore nel 2010. Il governo separatista sostiene che le città della regione sono colpite anche con droni di fabbricazione israeliana e da aerei da combattimento F-16 turchi.

 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, accusato dal premier armeno Nikol Pashinyan di voler «restaurare l’impero ottomano e completare il genocidio del 1915 nei confronti degli armeni», non nasconde le sue mire. Ieri, in un discorso a Konya, Erdogan ha dichiarato che le operazioni nel Karabakh occupato continueranno fino alla sua liberazione: «Senza il ritiro armeno da tutto il territorio azero non ci potrà essere un cessate il fuoco».

 

Il governo separatista sostiene che le città della regione sono colpite anche con droni di fabbricazione israeliana e da aerei da combattimento F-16 turchi

Sempre ieri, per rappresaglia contro il cannoneggiamento di Stepanakert, le truppe separatiste hanno bombardato posizioni militari all’interno dell’aeroporto di Ganja, nel nord dell’Azerbaijan. Secondo le forze armene, dalla struttura sono stati lanciati gli attacchi di questi giorni contro il Karabakh.

 

Baku afferma che a Ganja non è stato colpito alcun sito militare, ma solo obiettivi civili. Il governo azero ha pubblicato  una foto dei danni subiti dallo scalo locale. Secondo fonti armene, in essa si vede in modo chiaro la presenza di ufficiali turchi.

 

Il giornalista azero Zabil  Makerramov spiega che le autorità di Baku hanno inviato a combattere in prima linea soldati di etnia differente da quella turco-azera: «Il 50% dei soldati morti nel conflitto contro le forze del Karabakh – egli spiega – appartengono alle minoranze talish , lezghi e tat, tutti inviati al fronte insieme a mercenari islamisti fatti arrivare dalla Siria.  Fra loro si contano finora 28 morti».

«Il 50% dei soldati morti nel conflitto contro le forze del Karabakh appartengono alle minoranze talish , lezghi e tat, tutti inviati al fronte insieme a mercenari islamisti fatti arrivare dalla Siria»

 

Neanche i giornalisti sono al riparo nel Karabakh. Per Giornalisti senza frontiere, si tratta di una flagrante violazione della convenzione di Ginevra. Ieri un furgone con inviati russi è stato bersagliato; due giorni fa, due corrispondenti di guerra della TV libanese LBCI, Edmond Sassine e Paul Bou Aoun, sono stati colpiti da droni azeri: essi avevano filmato i bombardamenti di Baku contro obiettivi civili a Marduni. In precedenza, due reporter francesi sono rimasti feriti e trasportati a Parigi per cure.

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Immagine screenshot da YouTube.

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.

 

Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.

 

Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».

 

Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».

 

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.

 

I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.

 

La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.

 

Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.

 

Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.

 

La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.

 

Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.

 

Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.

 

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Immagine screenshot da Twitter; modificata

 

 

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.   Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.   Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.   Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.     Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.   Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».   Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.

 

Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.

 

Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.

 

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.

 

Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.

 

Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.

 

Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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