Storia
Muore a 100 anni lo juventino nemico dell’umanità Henry Kissinger

L’ex segretario di Stato americano e premio Nobel per la pace Henry Kissinger è morto mercoledì all’età di 100 anni.
L’alto diplomatico e teorico delle relazioni internazionali è morto nella sua casa nel Connecticut, ha dichiarato in un comunicato la sua società di consulenza, Kissinger Associates.
Dopo aver lasciato l’esercito, Kissinger conseguì un dottorato di ricerca presso l’Università di Harvard e insegnò relazioni internazionali prima di diventare il principale consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Richard Nixon nel 1969. Alla fine prestò servizio come segretario di stato sotto Nixon e il suo successore, il presidente Gerald Ford.
Negoziatore devoto al realismo, Kissinger fu determinante nel migliorare le relazioni degli Stati Uniti con l’Unione Sovietica negli anni ’70 e aprì la strada alla normalizzazione dei legami di Washington con la Cina.
Sotto la guida di Kissinger, l’allentamento delle restrizioni ai viaggi e al commercio da parte dell’amministrazione Nixon contro Pechino fu determinante nel rilanciare l’ascesa della Cina alla ribalta come economia industriale.
Nel 1973, Kissinger condivise il Premio Nobel per la pace con il diplomatico Le Duc Tho per aver negoziato gli accordi di pace di Parigi, che facilitarono il ritiro delle forze statunitensi dal Vietnam. Nel 1974 contribuì a negoziare gli accordi di disimpegno di Israele con la Siria e l’Egitto, che posero ufficialmente fine alla guerra dello Yom Kippur.
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Kissinger rimase attivo dopo aver lasciato l’incarico, tenendo conferenze e interviste in cui commentava gli affari mondiali. Uno dei suoi ultimi viaggi è stata una visita a Pechino nel luglio 2023, durante la quale ha incontrato il presidente Xi Jinpingo.
Kissinger era considerabile come juventino in quanto amico stretto della famiglia Agnelli, in particolare del defunto Gianni Agnelli, a sua volta intimo del casato dei Rockefeller, che vanno considerati come i veri mentori della carriera pubblica del Kissingerro. I Rockefeller possono essere considerati come i veri inventori dell’aborto negli USA; l’interruzione della gravidanza delle donne di Seveso fu chiesta e ottenuta (nel 1977, prima della legge che la legalizzava, la 194/98) dalla deputata Emma Bonino congiuntamente alla deputata Susanna Agnelli.
«Io tifo Juventus» confermò l’ex superstratega in una intervista con il direttore di Limes Lucio Caracciolo – a sua volta tifoso della Roma, che non pare imparentato con i Caracciolo già proprietari del gruppo Espresso/La Repubblica, nobili notoriamente incrociatisi con casa Agnelli.
In più occasioni, il controverso Lapo Elkann, il nipote che si dice abbia eredità il coté più «sociale» del nonno, ha ribadito di aver lavorato per il Kissinger come suo assistente nel 2001.
Vi è un altro personaggio ora notissimo che ha iniziato entrando nelle grazie di Kissinger: il guru del gruppo estremista di Davos World Economic Forum Klaus Schwab. È riportato che il Kissinger reclutò Schwab ad un seminario internazionale di Harvard, finanziato dalla CIA.
Come riportato da Renovatio 21, il Kissinger era finito, con Al Bano e Toto Cotugno, nella lista nera dei nemici dell’Ucraina per il solo fatto di parlare di proposte di pace, magari ventilando quella avanzata dai suoi amici cinesi. Poi cambiò idea, e disse che bisognava consegnare subito armi, danaro e tesserino NATO a Kiev.
Il diplomatico aveva dichiarato due mesi fa che l’Europa aveva commesso un «grave errore» a fare entrare gli immigrati: una storia un po’ assurda, considerando che, dai suoi testi, sappiamo come egli conoscesse la questione del conte Kalergi.
Il giornalista e autore britannico-americano Christopher Hitchens ha scritto il libro The Trial of Henry Kissinger (in italiano Processo a Henry Kissinger), in cui ha chiesto il perseguimento di Kissinger «per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e reati contro il diritto comune o consuetudinario o internazionale, inclusa la cospirazione per commettere omicidio, rapimento e tortura».
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Un episodio, che abbiamo ricordato su Renovatio 21, è quello del 1975, quando l’Indonesia di Suharto procedette con una violenta operazione militare contro Timor Est a poche ore da quando il presidente USA Gerald Ford e il suo segretario di Stato Henry Kissinger erano decollati da Giacarta dopo una visita diplomatica.
In quel caso si arrivò a dire che durante la visita fossero stati propri i vertici di Stato USA a dare semaforo verde a Suharto per lo scatenamento delle violenze.
«Sebbene Kissinger lo abbia negato a lungo, i documenti statunitensi declassificati rilasciati a dicembre dimostrano che lui e Ford, durante una visita a Giacarta il 6 dicembre 1975, hanno dato al presidente Suharto dell’Indonesia il via libera per inviare i suoi militari a Timor orientale» scriveva nel 2002 il New York Times.
La conseguente occupazione indonesiana di Timor Est, Paese a maggioranza cristiana, durò fino al 1999. Gli Est-timoresi uccisi, feriti o catturati – inclusi i civili – sarebbero più di 185 mila, su un totale attuale di 1,2 milioni di abitanti.
Altri accusano Kissinger di essere dietro al golpe dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile, quello che eliminò Salvador Allende per portare al potere il generale Augusto Pinochet Duarte.
Tuttavia, non sono questi i crimini contro l’umanità su cui riteniamo necessari concentrarci – perché la lotta contro l’uomo, nel caso di Kissinger e del milieu di cui era strumento maggiore, scendeva sotto il livello politico, era al livello biologico, metafisico.
Come scrive William F. Endgdahl, «Dopo l’agosto 1971, la politica dominante degli Stati Uniti, sotto la guida del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Henry A. Kissinger, era quella di controllare, non di sviluppare, le economie di tutto il mondo». Il suo potere crebbe a dismisura nel 1973, quando il Watergate travolse il presidente Nixon lasciando il Kissinger solo ad occuparsi della politica americana, come una sorta di presidente de facto. Erano gli anni in cui sorsero, improvvisamente, le crisi petrolifere, che innestarono nel mondo l’idea di un altro uomo legato ai Rockefeller, Aurelio Peccei: quella dei «limiti della crescita», cioè della necessità di contrarre la popolazione terrestre.
Il 24 aprile 1974, nel pieno della crisi petrolifera, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Henry Alfred Kissinger, pubblicò un memorandum di studio 200 del Consiglio di sicurezza nazionale (NSSM 200), sul tema delle «Implicazioni della crescita della popolazione mondiale per la sicurezza degli Stati Uniti e gli interessi esteri».
L’NSSM 200 sosteneva che l’espansione della popolazione in determinati Paesi in via di sviluppo che contengono anche risorse strategiche chiave necessarie all’economia degli Stati Uniti, pone potenziali «minacce alla sicurezza nazionale» degli Stati Uniti. Kissinger dichiarava esplicitamente nel memorandum «quanto più efficienti potrebbero essere le spese per il controllo della popolazione rispetto a (sarebbero i fondi per) aumentare la produzione attraverso investimenti diretti in ulteriori progetti e fabbriche di irrigazione ed energia elettrica».
Pur non provenendo da una dinastia della morte come gli Windsor, i Rothschild o i Rockefeller (era solo un immigrato ebreo tedesco che aveva fatto carriera grazie al suo acume) Kissinger si ritaglia un posto d’onore nel Pantheon dei signori della Necrocultura che hanno plasmato, nel sangue, la storia del XX secolo, gettando le basi per la strage del XXI.
Oltre a questo, ripetiamolo: era pure juventino. Tutto torna.
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Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Arte
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Spirito
Mons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»

Renovatio 21 pubblica questo intervento di monsignor Carlo Maria Viganò.
Non c’è paradiso per i codardi!
La Vittoria della Lega Santa a Lepanto
Intervento al Convegno dell’Associazione culturale «Veneto Russia» Settimo di Pescantina (VR), 11 Ottobre 2025
Salve, Regina, rosa de spina,
rosa d’amor, Madre del Signor.
Fa’ che mi no mora e che no mora pecador,
che no peca mortalmente e che no mora malamente.
Preghiera del marinaio, recitata da tutta la flotta veneziana
prima di muovere battaglia nelle acque di Patrasso.
Cari Amici,
consentitemi di ringraziare gli organizzatori di questo evento e di porgere il mio saluto a tutti i partecipanti. È per me un piacere potermi unire a voi nel celebrare l’anniversario della Vittoria di Lepanto, prendendo parte alla nona edizione del Convegno che quest’anno ha come tema il paradosso di un’Europa laicista, liberale e massonica che muove guerra alla Russia cristiana e antiglobalista.
Viviamo ormai negli ultimi tempi, in cui lo scontro tra Cristo e Anticristo impone a tutti noi di schierarci sotto le insegne del nostro Re divino e della Sua augustissima Madre, nostra Regina, memori delle parole del Signore: Chi non è con Me, è contro di Me (Mt 12, 30).
Il 7 Ottobre 1571, nel Golfo di Patrasso, la flotta della Lega Santa schiacciava vittoriosa l’orgoglio ottomano, rallentando l’espansione islamica nel Mediterraneo occidentale. Un’espansione che non si è mai fermata con il «dialogo» tra Croce e Mezzaluna, ma con l’uso della forza militare, il sacrificio di tante vite umane e la protezione soprannaturale che la Regina delle Vittorie e Mediatrice di tutte le Grazie ha spiegato come un manto sulla Cristianità minacciata dall’Islam.
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Anche alle porte di Vienna, il 12 Settembre 1683 – ossia solo 112 anni dopo Lepanto – il Turco venne sconfitto dalle armate cattoliche, sotto il patrocinio del Santo Nome di Maria. Temibile e terribile come un esercito schierato in ordine di battaglia: solo al pronunciare queste parole, sentiamo un nodo alla gola, nella commozione di contemplare la nostra Augusta Regina a capo delle schiere angeliche e terrene.
Ella era apparsa in simili sembianze anche il 7 Agosto 626, quando Costantinopoli era assediata dagli Avari, dagli Slavi e dai Persiani Sassanidi e il popolo cristiano riunito nella chiesa delle Blacherne invocava il Suo intervento. Sfolgorante di luce e con Gesù Bambino tra le braccia, la Vittoriosa Condottiera – come è chiamata nell’Inno Akatisto – aveva sbaragliato i nemici, meritando alla Capitale dell’Impero il titolo di «città di Maria».
Ma se l’aiuto divino e l’intercessione potentissima della Semprevergine Madre di Dio hanno portato a compimento in modo miracoloso e certamente soprannaturale vittorie umanamente difficili se non impossibili, non possiamo non ricordare che questi prodigiosi e provvidenziali interventi, queste irruzioni della potenza del Deus Sabaoth nelle umane contingenze, si rendono possibili solo dove questo tutto inarrivabile e divino è preceduto dal nulla della nostra cooperazione all’opera della Redenzione.
In virtù dell’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, infatti, l’Uomo-Dio prende possesso dell’umanità di cui per divinità, per stirpe e per diritto di conquista Egli è costituito Signore e Re. Ma questo consorzio della natura divina del Figlio di Dio con la natura umana di Gesù Cristo, attuato dall’Unione ipostatica, fa sì che anche ogni membro del Corpo Mistico possa unirsi alla Passione di Cristo Capo, completando nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del Suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24). E nell’economia della salvezza, ogni uomo è chiamato a contribuire all’opera della Redenzione attivamente, senza cercare in un fatalismo ben poco cattolico un alibi alla propria ignavia.
Ma nel rievocare Lepanto, non possiamo non ricordare anche la figura eroica di Marcantonio Bragadin, nobile veneziano e governatore di Famagosta, a Cipro, durante l’assedio ottomano del 1570-1571. La città cadde nell’agosto 1571, e Bragadin negoziò una capitolazione onorevole con il comandante ottomano Lala Mustafa Pascià, che promise salva la vita ai difensori. I Turchi però, venendo meno alla parola data, violarono l’accordo: Bragadin fu torturato e sottoposto a una morte brutale; venne scorticato vivo e la sua pelle fu riempita di paglia e inviata come trofeo al sultano Selim II.
Questo orribile crimine suscitò sdegno nei membri della Lega Santa e la vittoria di Lepanto fu vista anche come una vendetta per l’assedio di Cipro, le atrocità subite da Bragadin (1) e come una punizione per la slealtà dei Turchi, inconcepibile per un cavaliere Cristiano.
L’eroismo di Bragadin trovò emuli anche nel golfo di Patrasso: don Giovanni d’Austria, Comandante supremo della Lega Santa a soli ventiquattr’anni e grande stratega, fu uomo di fede. Durante la battaglia incoraggiava i rematori e i soldati al grido: Non c’è paradiso per i codardi!
Sebastiano Venier, Capitano generale veneziano e veterano di settantacinque anni, si distinse per coraggio e ardore, incitando i suoi compagni: Chi non combatte non è Veneziano. Il suo eroismo gli meritò l’elezione a Doge nel 1577.
Il comandante veneziano Agostino Barbarigo morì in battaglia dopo essere stato colpito da una freccia a un occhio ed aver continuato a comandare l’ala sinistra della flotta, contribuendo così alla vittoria finale. Marcantonio Colonna, Ammiraglio pontificio, si distinse per il suo impegno nel soccorrere i feriti e nel garantire che i prigionieri ottomani fossero trattati con umanità, coerentemente con i valori cristiani che la Lega Santa professava.
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Fu il loro coraggio, la loro abnegazione, ma soprattutto la loro fede sincera e virile a costituire quel nulla che il Signore attende da noi prima di scendere in campo al nostro fianco e darci una vittoria altrimenti impensabile. Il Suo tutto, il nostro nulla. Il nulla di chi, sulle facciate dei palazzi, non si vergognava di incidere Non nobis Domine non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Di chi, costituito in autorità e membro del Serenissimo Senato, non esitò ad attribuire la Vittoria della flotta cristiana non alla potenza navale, né alla forza delle armi, ma all’intercessione della Beata Vergine del Rosario, che San Pio V – il Papa di Lepanto – aveva ordinato di invocare recitando la santa Corona.
Perché vi fu un’epoca in cui gli uomini erano uomini, e uomini di valore, uomini di parola, uomini di guerra, uomini di fede. Peccatori certamente, ma coraggiosi, disposti a morire per difendere la Santa Chiesa e ricacciare gli idolatri invasori nelle loro plaghe remote. Ut Turcarum et hæreticorum conatus ad nihilum perducere digneris: Te rogamus, audi nos! Così pregarono a Costantinopoli, così pregavano a Lepanto, così hanno pregato a Vienna: sempre fiduciosi che l’aiuto di Dio sarebbe giunto nel momento in cui esso si mostrava inequivocabilmente divino e soprannaturale, e sempre con la mediazione della Madre di Dio, l’onnipotente per Grazia.
Il nostro Dio è un Dio geloso: geloso del Suo popolo e geloso della propria Signoria su di noi, che non permette sia usurpata da alcuno e che vuole condividere con la propria Santissima Madre, nostra Signora e Regina. Egli è Re e come Re vuole regnare: oportet illum regnare, è necessario che Egli regni. E quando regna Cristo, si compie il voto del Salmista: Beatus populus, cujus Dominus Deus ejus (Ps 143, 15), beato il popolo del quale è Signore il suo Dio.
Quanto tempo è passato dalla Vittoria di Lepanto! Cinquecentocinquantaquattro anni: oltre mezzo millennio. Ed oggi, in un mondo che guarda con incomprensione e disprezzo all’eroismo dei caduti di Lepanto e alla loro Fede, considerandoli pericolosi fanatici, le orde islamiche non solo non sono respinte ai nostri confini, ma sono accolte e ospitate e nutrite e curate e lasciate libere di delinquere e di trasformare la nostra Patria in una nazione islamica.
Trecentonovantun anni dopo Lepanto, il primo «concilio» della «nuova chiesa» – il Vaticano II di cui ricorre oggi l’anniversario dell’apertura – teorizzò quell’ecumenismo sincretico condannato dai Romani Pontefici che nell’arco di pochi anni avrebbe condotto Paolo VI, il 19 gennaio 1967 (2), a restituire lo stendardo che Mehmet Alì Pascià aveva issato sulla sua ammiraglia, la Sultana. In quel gesto sconsiderato Paolo VI umiliava la Chiesa e il suo Predecessore San Pio V, al quale quel vessillo era stato donato da Sebastiano Venier che lo aveva conquistato eroicamente arrembando la Sultana.
A dispetto delle smanie ecumeniche dei papi conciliari e sinodali, noi conserviamo ancora il gonfalone che San Pio V benedisse e fece issare al pennone della Reál, l’ammiraglia delle ammiraglie della flotta cristiana: un drappo di seta porpora bordata d’oro, al cui centro campeggia l’immagine del Santissimo Redentore, affiancata dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e il motto In hoc signo vinces. Fu Marcantonio Colonna a riportarlo a Gaeta, come voto fatto a Sant’Erasmo, patrono dei marinai (3). In quell’immagine e in quel motto si riassume il senso della vita cristiana, valido ai tempi gloriosi di Lepanto come nei tempi presenti di apostasia.
In nome di un distorto concetto di accoglienza e di inclusività, milioni di islamici sono traghettati e accompagnati nelle nostre città e villaggi, dove le chiese ormai vuote diventano moschee. In molti luoghi il suono sacro e solenne delle campane tace, ma vi risuona la voce del muezzìn che chiama alla preghiera i seguaci di Maometto. Se questo è oggi non solo possibile, ma addirittura incoraggiato e celebrato come conquista di civiltà, lo dobbiamo alla Rivoluzione: alla rivoluzione francese, per l’attacco alla monarchia cattolica nella sfera civile; alla rivoluzione conciliare e sinodale, per l’attacco alla sacra monarchia del Papato nella sfera ecclesiastica. Democrazia e sinodalità sono due facce della stessa falsa moneta. Su un lato campeggia l’emblema del liberalismo massonico, sull’altro quello dell’ecumenismo sincretista irenista.
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L’Europa è tornata da decenni ad essere terra di conquista e sarà presto a maggioranza islamica, specialmente in nazioni ribelli come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Il loro tradimento di Nostro Signore Gesù Cristo e i loro crimini contro la Legge di Dio gridano vendetta al Cielo e non rimarranno impuniti. Ma anche l’Italia non è meno colpevole, dimentica dell’eredità gloriosa di cui è stata custode e che si fonda sulla Civiltà Cattolica, sulla Regalità di Cristo, su un ordine cosmico che pone al centro il Dio che si è fatto uomo, e non l’uomo che si fa dio. Come sempre è avvenuto nel corso della Storia, saranno i nemici di Dio a punire i Suoi figli ribelli.
Tornare a Lepanto? Ricostituire una Lega Santa contro i nemici della Cristianità?
La Provvidenza saprà indicarci la via al momento opportuno. Ma in qualsiasi frangente noi dovessimo trovarci, qualsiasi avversità, qualsiasi minaccia alla nostra Fede e alla nostra identità possa incombere su di noi, una sola cosa non dobbiamo dimenticare, delle ragioni della Vittoria: non sottrarci al nostro dovere di testimoniare la Fede che professiamo, il Battesimo nel quale siamo stati incorporati a Cristo, la Tradizione alla quale apparteniamo. Non trovare pretesti per rimanere inerti a guardare i nemici di Cristo mentre demoliscono la Santa Chiesa, soprattutto quando questi traditori sono ai vertici della Gerarchia. Non usare l’obbedienza come una coltre sotto cui nascondere l’ignavia e la mediocrità che la società contemporanea ci addita come modelli di tranquillizzante conformità al pensiero unico.
Facciamo la nostra parte, col coraggio e la fortezza dei soldati di Cristo: e Nostro Signore farà la Sua, con l’onnipotenza di Dio.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
7 Ottobre MMXXV
Maria Santissima Regina delle Vittorie,
Madonna delle Grazie
NOTE
1) La sua pelle fu successivamente recuperata dai Veneziani e portata a Venezia, dove è conservata nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo come reliquia. Bragadin divenne un simbolo del sacrificio veneziano contro l’espansione ottomana.
2) Paolo VI, Discorso al nuovo Ambasciatore di Turchia accreditato presso la Santa Sede, 19 Gennaio 1967. Cfr. https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january/documents/hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html: «Poiché Noi stessi desideravamo manifestare in qualche modo i Nostri sentimenti, con un gesto che potesse essere gradito alle Autorità della Turchia contemporanea, è stata per Noi una gioia restituire un antico stendardo, preso al tempo della battaglia di Lepanto, che, da allora, si conservava nelle collezioni del Vaticano».
3 ) Conservato dapprima in un bauletto, nel Settecento fu disteso e incorniciato, così da poter essere esposto al pubblico. Nel ’43 una bomba tedesca lo danneggiò, anche se non irreparabilmente. Restaurato nel dopoguerra, oggi lo Stendardo di Lepanto è conservato – e visibile al pubblico – nel Museo Diocesano della cittadina laziale.
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Immagine di Andrea Vicentino (1542–1618), Battaglia di Lepanto (tra il 1571 e 1600), Museo Correr, Venezia
Immagine di Didier Descouens via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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