Pensiero
Mons. Viganò: il Deep State realizzerà un mondo da Apocalisse
Renovatio 21 riprende da Duc in Altum questa intervista che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha concesso alla testata tedesca Deutsche Wirtschaftsnachrichten. Non siamo in grado di sapere chi sia il traduttore, ma a lui, e a DWN, vanno i ringraziamenti nostri e quelli dei lettori.
Deutsche Wirtschaftsnachrichten – Eccellenza, come vive personalmente la crisi del coronavirus?
Carlo Maria Viganò – La mia età, il mio stato di arcivescovo e la mia abitudine a una vita ritirata non sono forse rappresentativi di ciò che deve subire la maggioranza delle persone; nondimeno, io stesso mi trovo da un anno impossibilitato a spostarmi, a visitare persone che hanno bisogno di una parola di conforto.
In presenza di una vera pandemia non avrei avuto problemi ad accettare di buon grado le decisioni dell’autorità civile e di quella ecclesiastica, perché avrei riconosciuto in esse la volontà di proteggere le persone dal contagio. Ma perché vi sia una pandemia occorre anzitutto che il virus sia isolato; che esso sia grave e che non sia possibile curarlo tempestivamente; che le vittime del virus rappresentino una larga fascia della popolazione.
In presenza di una vera pandemia non avrei avuto problemi ad accettare di buon grado le decisioni dell’autorità civile e di quella ecclesiastica, perché avrei riconosciuto in esse la volontà di proteggere le persone dal contagio
Sappiamo invece che il Sars-CoV-2 non è mai stato isolato ma solo sequenziato; che avrebbe potuto essere curato per tempo, ricorrendo alle terapie disponibili e che invece l’OMS e le sanità locali hanno boicottato imponendo protocolli assurdi e vaccini sperimentali; che il numero dei decessi del 2020 è assolutamente in linea con la media degli anni precedenti. Questi sono dati ormai ammessi dalla comunità scientifica, nel silenzio omertoso dei media.
Ciò a cui abbiamo assistito è un piano che non ha alcunché di scientifico e che dovrebbe suscitare lo sdegno universale.
Sappiamo, per ammissione delle persone coinvolte, che questa pseudo-pandemia è stata pianificata da anni, anzitutto depotenziando i sistemi sanitari nazionali e limitando i piani pandemici.
Sappiamo, per ammissione delle persone coinvolte, che questa pseudo-pandemia è stata pianificata da anni, anzitutto depotenziando i sistemi sanitari nazionali e limitando i piani pandemici.
Sappiamo che è stato seguito un copione ben preciso, concepito per dare una risposta univoca in tutti gli Stati e per omologare a livello globale la diagnosi, le ospedalizzazioni, le terapie e soprattutto le misure di contenimento e l’informazione ai cittadini. Vi è una regia che continua a gestire il COVID-19 con l’unico scopo di imporre forzatamente limitazioni delle libertà naturali, dei diritti costituzionali, della libera impresa e del lavoro.
Il problema non è il COVIDin sé, ma l’uso che di esso si è fatto per realizzare quel Great Reset che il World Economic Forum aveva annunciato tempo addietro e che oggi viene attuato punto per punto, nell’intento di rendere inevitabili quei cambiamenti sociali che altrimenti sarebbero stati respinti e condannati dalla maggioranza della popolazione.
Siccome la democrazia, tanto decantata finché si riusciva a pilotarla grazie all’influenza dei media, non avrebbe consentito di portare a compimento questo progetto di ingegneria sociale voluto dall’élite globalista, occorreva la minaccia di una pandemia – presentata come devastante dal mainstream – per convincere la popolazione mondiale a subire i confinamenti, i lockdown, cioè veri e propri arresti domiciliari, la chiusura delle attività, la sospensione delle lezioni scolastiche e addirittura il divieto di culto; e tutto questo è stato ottenuto con la complicità di tutti i soggetti coinvolti, in particolare i governanti, i dirigenti della sanità e la stessa Gerarchia ecclesiastica.
Vi è una regia che continua a gestire il COVID-19 con l’unico scopo di imporre forzatamente limitazioni delle libertà naturali, dei diritti costituzionali, della libera impresa e del lavoro
Il danno che ne è derivato e che ne deriva tuttora è enorme e, per molti versi, irreparabile.
Provo uno strazio indicibile nel pensare alle conseguenze devastanti della gestione di questa pandemia: famiglie distrutte, bambini e ragazzi colpiti nel loro equilibrio psicofisico e privati del diritto alla socialità, anziani lasciati morire da soli nelle case di cura, malati di cancro e di patologie gravi completamente trascurati, imprenditori costretti al fallimento, fedeli ai quali sono stati negati i Sacramenti e l’assistenza alla Messa… Ma questi sono gli effetti di una guerra, non di una sindrome influenzale stagionale che, se curata per tempo, nei soggetti non affetti da patologie pregresse dà una percentuale di sopravvivenza del 99,7%.
Ed è significativo che in questa folle corsa verso il baratro si ignorino anche i principi basilari di una vita sana, pur di indebolire il nostro sistema immunitario: siamo confinati in casa, tenuti lontano dalla luce del sole e dall’aria pura, a subire passivamente il terrorismo mediatico della televisione.
Tutto questo è stato ottenuto con la complicità di tutti i soggetti coinvolti, in particolare i governanti, i dirigenti della sanità e la stessa Gerarchia ecclesiastica
Chi ha scientemente proibito le cure e prescritto protocolli terapeutici palesemente errati per ottenere un numero di morti che legittimasse l’allarme sociale e le assurde misure di contenimento con quale severità potrà esser giudicato?
Chi ha deliberatamente creato i presupposti per una crisi economica e sociale mondiale, per distruggere la piccola e media impresa e far crescere le multinazionali; chi ha boicottato o vietato le cure disponibili per favorire le case farmaceutiche; chi ha presentato i sieri genici come vaccini, sottoponendo la popolazione ad una sperimentazione dagli esiti ancora ignoti e dagli effetti collaterali certamente più gravi degli stessi sintomi del COVID; chi asseconda la narrazione apocalittica nei seggi dei Parlamenti e nelle redazioni dei media a quale pena potrà esser condannato?
Questi sono gli effetti di una guerra, non di una sindrome influenzale stagionale che, se curata per tempo, nei soggetti non affetti da patologie pregresse dà una percentuale di sopravvivenza del 99,7%
E i vertici della Gerarchia cattolica che si sono resi complici di questa farsa grottesca, come si giustificheranno dinanzi a Dio, quando compariranno al Suo cospetto per esser giudicati?
D. W. – In una lettera che ha inviato all’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, lei allude non solo a uno «Stato profondo» – un termine che è diventato molto usato – ma anche a una «Chiesa profonda». Può spiegare che cosa intende?
C. M. V. – L’espressione Deep State rende molto bene l’idea di un potere parallelo, privo di legittimazione ma cionondimeno operante nella cosa pubblica per il perseguimento di interessi particolari.
Al bene comune che lo Stato ha il dovere di promuovere, il Deep State oppone il vantaggio dell’élite. Allo stesso modo, non possiamo non riconoscere che negli ultimi decenni si è consolidato un analogo potere in ambito ecclesiale, che ho chiamato Deep Church, il quale antepone il perseguimento dei propri interessi alle finalità proprie della Chiesa di Cristo, prima fra tutte la salus animarum.
E i vertici della Gerarchia cattolica che si sono resi complici di questa farsa grottesca, come si giustificheranno dinanzi a Dio, quando compariranno al Suo cospetto per esser giudicati?
Così, come nella cosa pubblica vi sono poteri occulti che orientano le scelte dei governi e seguono l’agenda globalista, nella Chiesa cattolica vi è una lobby potentissima che usurpa l’autorità della Gerarchia con le medesime finalità.
In sostanza, Stato e Chiesa sono occupati da un potere illegittimo che ha come scopo ultimo la loro distruzione e l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale.
E non stiamo parlando di teorie cospirazioniste o di fantapolitica: quanto avviene sotto i nostri occhi lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio, al punto che il segretario generale dell’ONU ha recentemente affermato che il virus è stato usato per reprimere il dissenso.
Così, come nella cosa pubblica vi sono poteri occulti che orientano le scelte dei governi e seguono l’agenda globalista, nella Chiesa cattolica vi è una lobby potentissima che usurpa l’autorità della Gerarchia con le medesime finalità
D. W. – Fino a che punto c’è sovrapposizione tra Deep State e Deep Church, per lo meno nel mondo occidentale?
C. M. V. – La sovrapposizione tra Deep State e Deep Church si articola su più fronti.
Il primo è senza dubbio quello ideologico: la matrice rivoluzionaria, anticattolica ed essenzialmente massonica del pensiero globalista è la medesima, e non dal 2013. Ad essere onesti, sarebbe sufficiente considerare la significativa concomitanza temporale tra la celebrazione del Concilio ecumenico Vaticano II e la nascita del cosiddetto Movimento studentesco: l’aggiornamento dottrinale e liturgico rappresentarono per le nuove generazioni una spinta propulsiva che ebbe immediate ripercussioni in ambito sociale e politico.
Il secondo fronte risiede nelle dinamiche interne al Deep State e alla Deep Church: entrambi contano tra i propri membri personaggi deviati non solo intellettualmente e spiritualmente, ma anche moralmente.
Gli scandali sessuali e finanziari che hanno coinvolto altissimi esponenti tanto della politica quanto delle Istituzioni e della Gerarchia cattolica dimostrano che la corruzione e il vizio sono da un lato un elemento che li accomuna, e dall’altro un efficace deterrente in ragione del comune ricatto cui tutti costoro sottostanno.
In sostanza, Stato e Chiesa sono occupati da un potere illegittimo che ha come scopo ultimo la loro distruzione e l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale
Le perversioni di noti politici e prelati li costringono ad obbedire all’agenda globalista anche quando questa loro collaborazione appare irragionevole, sconsiderata o contraria agli interessi dei cittadini e dei fedeli. Ecco perché vi sono governanti agli ordini dell’élite che distruggono l’economia e il tessuto sociale del loro Paese; ecco perché, specularmente, vi sono cardinali e vescovi che propagandano la teoria gender e il falso ecumenismo nello scandalo dei cattolici: entrambi fanno gli interessi del loro padrone, tradendo la propria missione al servizio della nazione o della Chiesa.
Il piano di instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale non potrà d’altra parte non darsi una religione universale di ispirazione massonica, a capo della quale vi dovrà essere un leader religioso ecumenico, pauperista, ecologista e progressista. Chi meglio di Bergoglio per questo ruolo, nel plauso dell’élite e nello stolto entusiasmo delle masse indottrinate al culto idolatra della pachamama?
D. W. – Quali prove o indizi ci sono?
C. M. V. – Penso che la dimostrazione più evidente si sia avuta proprio in concomitanza con la pandemia.
L’appiattimento dei vertici della Gerarchia nei confronti della folle gestione dell’emergenza COVID– un’emergenza provocata ad arte ed amplificata pedissequamente dai media di tutto il mondo – è giunto a vietare le celebrazioni liturgiche ancor prima che l’autorità civile lo richiedesse; a proibire l’amministrazione dei Sacramenti addirittura ai moribondi; a ratificare con cerimonie surreali la narrazione mainstream, ripetendo ad nauseam tutto il lessico della neolingua: resilienza, inclusività, nulla sarà più come prima, nuovo Rinascimento, build back better e via dicendo; a sponsorizzare come «dovere morale» un siero genico prodotto con materiale fetale proveniente da aborti, tuttora in sperimentazione e del quale si ignorano gli effetti collaterali a lungo termine.
Il piano di instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale non potrà d’altra parte non darsi una religione universale di ispirazione massonica, a capo della quale vi dovrà essere un leader religioso ecumenico, pauperista, ecologista e progressista. Chi meglio di Bergoglio per questo ruolo, nel plauso dell’élite e nello stolto entusiasmo delle masse indottrinate al culto idolatra della pachamama?
Non solo: con il Council for Inclusive Capitalism promosso da leader globalisti – tra cui primeggia Lady Lynn Forester de Rothschild – con la partecipazione del Vaticano, viene data ratifica ufficiale al Great Reset del World Economic Forum, ivi compreso il reddito universale e la transizione ecologica. A Santa Marta si inizia anche a parlare di transumanesimo, ignorando con ostinazione l’indole anticristica di questa ideologia pur di mostrarsi ossequienti alla dittatura del pensiero unico.
Tutto ciò è raccapricciante e viene da chiedersi quanto ancora il Signore tollererà un tale affronto da parte dei suoi ministri.
D’altra parte, l’insistenza ossessiva verso l’ecologismo malthusiano ha fatto sì che alla Pontificia accademia per la vita siano stati nominati personaggi notoriamente anticattolici, propugnatori del decremento demografico tramite la sterilizzazione, l’aborto e l’eutanasia.
Tutti costoro, sotto la guida di un prelato di provata fedeltà bergogliana, hanno stravolto completamente le finalità dell’Accademia fondata da Giovanni Paolo II, fornendo all’ideologia dominante un appoggio autorevole e prestigioso come quello di chi, anche usurpandola, detiene comunque l’autorità nella Chiesa cattolica.
(…)
I politici che oggi governano le nazioni sono tutti, con rare eccezioni, parte del Deep State. Se così non fosse, non sarebbero dove sono
D. W. – Un’obiezione di chi respinge una cosa del genere come una teoria della cospirazione sarebbe questa: com’è possibile che in quasi tutti i Paesi del mondo quasi tutti i politici partecipino a questo gioco? Chi potrebbe avere così tanto potere e tanta influenza da poter mandare mezzo mondo in isolamento?
C. M. V. – Le rispondo con un esempio. La Chiesa è un’istituzione sovranazionale, presente in tutto il mondo con diocesi, parrocchie, comunità, conventi, università, scuole, ospedali. Tutti questi enti prendono gli ordini dalla Santa Sede, e quando il Papa ordina una preghiera o un digiuno, tutti i cattolici del mondo obbediscono; se un dicastero della Curia romana impartisce delle indicazioni, tutti i cattolici del mondo le seguono. Il controllo è capillare e immediato, grazie a una struttura gerarchica efficiente. Lo stesso avviene, limitatamente ai confini nazionali, anche negli Stati: quando il legislatore legifera, gli organi preposti eseguono.
Similmente operano anche il Deep State e la Deep Church: entrambi si avvalgono di una struttura fortemente gerarchica, in cui la componente «democratica» è praticamente assente. Gli ordini sono impartiti dall’altro e chi li riceve li esegue immediatamente, con la consapevolezza che la propria disobbedienza può determinare il fallimento professionale, la condanna sociale e in certi casi anche la morte fisica.
Questa obbedienza deriva dal ricatto: io ti promuovo, ti do potere, ti faccio diventare ricco e famoso, ma in cambio fai quello che ti dico. Se obbedisci e ti mostri fedele, il tuo potere e la tua ricchezza aumentano; se disobbedisci sei finito. Immagino che per i lettori tedeschi il richiamo al Faust di Goethe sia spontaneo.
Vi sono motivi per ritenere che la gestione del COVID sia stata organizzata sotto un’unica regia e con un unico copione
I politici che oggi governano le nazioni sono tutti, con rare eccezioni, parte del Deep State. Se così non fosse, non sarebbero dove sono.
Pensiamo al caso delle presidenziali americane dello scorso 3 novembre: siccome il presidente Trump non era ritenuto allineato al pensiero unico, si è deciso di estrometterlo con una frode elettorale di proporzioni inaudite, e contro la stessa volontà popolare. I processi in corso negli Stati Uniti stanno confermando i brogli e le irregolarità, e nei prossimi mesi credo che emergeranno altre prove di questa truffa che, guarda caso, ha portato alla Casa Bianca un democratico, cattolico progressista, perfettamente allineato all’agenda del Great Reset. A ben vedere, le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Jorge Mario Bergoglio sembrano rispondere alle stesse dinamiche e far capo alla medesima lobby di potere.
Anche in Germania, da quel che ho sentito, sono emerse notizie che dimostrerebbero che nella gestione della pandemia si sono falsificati i dati in modo da legittimare la violazione dei diritti dei cittadini. E nonostante il numero preoccupante di persone colpite da effetti collaterali o decedute a seguito del cosiddetto vaccino, continua il martellamento costante sull’obbligo di vaccinarsi, quando è ormai evidente che esso non garantisce immunità e che non eviterà né il distanziamento sociale né l’obbligo delle mascherine.
Vi sono motivi per ritenere che la gestione del COVID sia stata organizzata sotto un’unica regia e con un unico copione. Proprio alcuni giorni orsono il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha ammesso di aver ricevuto le indicazioni di ricoverare anziani nelle RSA – anziani che morirono per errato protocollo terapeutico, intubati e costretti alla ventilazione forzata – dall’Imperial College di Londra, finanziato dalla Fondazione Bill & Melinda Gates.
E guarda caso, le sponsorizzazioni del «filantropo» americano interessano moltissime realtà nazionali – anche governative – che si trovano a dipendere economicamente da un privato che teorizza lo spopolamento del pianeta tramite una pandemia.
Il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha ammesso di aver ricevuto le indicazioni di ricoverare anziani nelle RSA – anziani che morirono per errato protocollo terapeutico, intubati e costretti alla ventilazione forzata – dall’Imperial College di Londra, finanziato dalla Fondazione Bill & Melinda Gates
Lei mi chiede: chi potrebbe avere così tanto potere e tanta influenza da poter mandare mezzo mondo in isolamento?
Chi dispone di risorse enormi, come appunto alcuni personaggi ben noti tra cui spiccano Bill Gates e George Soros; chi è in grado di finanziare la stessa OMS, orientandone le decisioni e lucrandone profitti altissimi, essendo anche azionista di case farmaceutiche.
D. W. – Nella lettera all’allora presidente Donald Trump lei parla di uno scontro tra le forze della luce e le forze delle tenebre. Se lei ora guarda all’anno 2020, come si è sviluppato questo confronto fino a oggi?
C. M. V. – Come sempre avviene nelle vicende terrene, la guerra tra bene e male, tra figli della luce e figli delle tenebre, pare sempre pendere in favore di questi ultimi.
Satana, che è princeps hujus mundi, ha molti seguaci organizzatissimi e un’infinità di servi. Viceversa, i buoni sembrano numericamente inferiori e poco organizzati, spesso anonimi e quasi sempre privi di qualsiasi potere o mezzo economico che permetta loro di agire con la medesima efficacia dei loro nemici. Ma è sempre stato così, perché la vittoria non appartiene ai buoni, ma a Cristo. Ego vici mundum: sono Io che ho vinto il mondo, ci ammonisce Nostro Signore. Noi diamo il nostro povero contributo, talvolta anche eroico, ma senza la Grazia di Dio non siamo capaci di nulla: sine me nihil potestis facere.
Il 2020 ci ha obbligato a guardare negli occhi la Medusa globalista, mostrandoci come sia facile, per il Deep State, imporre una tirannide sanitaria a miliardi di persone
Il 2020 ci ha obbligato a guardare negli occhi la Medusa globalista, mostrandoci come sia facile, per il Deep State, imporre una tirannide sanitaria a miliardi di persone.
Un virus non isolato, con una percentuale di sopravvivenza altissima, è stato accettato come instrumentum regni, con la complicità dei governanti, dei media, della stessa Gerarchia ecclesiastica.
La crisi economica innescata dai lockdown deve rendere inevitabile la cancellazione del debito e l’istituzione del reddito universale, in cambio della rinuncia alla proprietà privata e dell’accettazione del tracciamento tramite il passaporto sanitario.
Un virus non isolato, con una percentuale di sopravvivenza altissima, è stato accettato come instrumentum regni, con la complicità dei governanti, dei media, della stessa Gerarchia ecclesiastica
Chi rifiuterà il vaccino potrà essere internato in campi di detenzione già pronti in molti Stati, tra i quali anche la Germania. Le violazioni dei diritti costituzionali e religiosi saranno tollerate dai tribunali, in nome di un’eterna emergenza che prepara le masse alla dittatura. Questo è quello che ci attende, secondo le ammissioni degli stessi autori del Great Reset.
Ma questo susseguirsi di inasprimenti, motivati da ragioni ormai risibili e sconfessati dall’evidenza, sta incrinando molte certezze, alle quali le masse hanno sinora prestato un assenso fideistico sconfinato spesso nella superstizione.
Le iniziali accuse di «negazionismo» a chi contesta le assurdità dei sedicenti «esperti» hanno fatto comprendere a tante persone che il COVID è presentato con le connotazioni di una religione proprio per non esser messo in discussione, perché sotto un profilo scientifico esso dovrebbe essere considerato come tutte gli altri virus Corona degli anni scorsi.
La crisi economica innescata dai lockdown deve rendere inevitabile la cancellazione del debito e l’istituzione del reddito universale, in cambio della rinuncia alla proprietà privata e dell’accettazione del tracciamento tramite il passaporto sanitario
Queste contraddizioni stanno aprendo gli occhi a molti, anche davanti alla sfrontata cortigianeria dei media e al moltiplicarsi della censura dei dissenzienti sui social.
D. W. – Come sarebbe il mondo se le forze che lei chiama delle tenebre dovessero prevalere?
C. M. V. – Un mondo in cui il Deep State dovesse prevalere realizzerebbe i peggiori scenari descritti dall’Apocalisse, dai Padri della Chiesa e dai mistici.
Un regno infernale in cui tutto ciò che ricorda anche lontanamente la società cristiana – dalla religione alle leggi, dalla famiglia alla scuola, dalla sanità al lavoro – dev’esser bandito e capovolto, pervertito. Gli eterosessuali perseguitati, le famiglie di uomo e donna proibite, i figli ottenuti con l’utero in affitto, la storia censurata, la religione screditata, l’onestà e la disciplina derise, l’onore additato come concetto fascista, la virilità condannata come «tossica», la maternità deplorata come «non sostenibile», la vecchiaia costretta all’eutanasia, la malattia considerata solo come un’occasione di guadagno, la salute vista con sospetto. E dovremmo anche veder rinnegata, dopo due secoli di indottrinamento, la famosa democrazia in nome della quale chi ci governerà lo farà senza elezioni, in nome della salute pubblica.
Chi rifiuterà il vaccino potrà essere internato in campi di detenzione già pronti in molti Stati, tra i quali anche la Germania. Le violazioni dei diritti costituzionali e religiosi saranno tollerate dai tribunali, in nome di un’eterna emergenza che prepara le masse alla dittatura
Solo nel regno di Cristo si può avere la pace e la vera concordia; nella tirannide di Satana vige il terrore, la repressione, la guerra contro il bene e la licenza dei vizi più turpi.
D. W. – Che cosa pensa si possa fare per evitare un tale sviluppo?
C. M. V. – Dobbiamo fare in modo che quanto è sinora avvenuto non possa raggiungere il suo obiettivo finale. Possiamo e dobbiamo denunciare gli inganni e le menzogne che ci vengono propinate quotidianamente da chi ci considera servi stupidi e pensa di poterci sottomettere senza nessuna reazione da parte nostra.
Se vi sono leggi che tutelano i diritti naturali dei cittadini, occorre che tutti levino la voce e protestino con coraggio, pretendendo dai magistrati che i responsabili di questo colpo di stato mondiale siano processati e condannati.
Non possiamo permettere, con lo spauracchio di una pandemia creata a tavolino, che le nazioni siano prostrate da una crisi economica e sociale indotta, né che la popolazione sia sottoposta a limitazioni delle libertà in violazione della legge e dello stesso buon senso.
Un mondo in cui il Deep State dovesse prevalere realizzerebbe i peggiori scenari descritti dall’Apocalisse, dai Padri della Chiesa e dai mistici
Se sapremo essere fermi e non arretrare dinanzi a queste prove generali di dittatura, il Deep State si ritirerà aspettando tempi più propizi, e avremo il tempo di scongiurare l’instaurazione della tirannide. Se lasceremo fare, renderemo irreversibile questo piano infernale.
Non dimentichiamoci, come cattolici, di avere una grandissima responsabilità, sia nei confronti dei nostri Pastori, sia dei nostri governanti. La nostra obbedienza può e deve venir meno nel momento in cui ci viene chiesto di obbedire a leggi inique o contrarie all’immutabile Magistero della Chiesa.
Se la nostra opposizione sarà ferma e coraggiosa come al tempo dei Martiri, avremo fatto la nostra parte per ottenere dal Cielo quelle grazie che possono mutare le sorti dell’umanità e ritardare la persecuzione degli ultimi tempi.
Se la nostra opposizione sarà ferma e coraggiosa come al tempo dei Martiri, avremo fatto la nostra parte per ottenere dal Cielo quelle grazie che possono mutare le sorti dell’umanità e ritardare la persecuzione degli ultimi tempi
Preghiamo quindi, preghiamo con fiducia la Vergine Santissima, Regina delle Vittorie e Aiuto dei Cristiani, perché sia nostra Condottiera in questa battaglia epocale. Sia al suo fianco il glorioso Arcangelo Michele, che ricacci all’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo.
Pensiero
Foreign Fighter USA dal fronte ucraino trovato armato in Piazza San Pietro. Perché?
È davvero forte il titolo che ha dato ieri l’edizione romana de la Repubblica, il giornale che ha dato la notizia: «Super ricercato Usa arrestato armato durante l’udienza del Papa: “Vengo dal fronte di guerra ucraino”».
«Cosa ci faceva un americano armato come un macellaio a Roma?» si chiede il quotidiano degli Agnelli. «Cosa ci faceva uno dei più pericolosi e ricercati criminali dello Stato di New York, nella top twelve dei “most wanted“, armato sino ai denti a Piazza San Pietro e arrivato direttamente dall’Ucraina? Moises Tejada, cinquantaquattrenne statunitense, negli USA è “classificato come estremamente violento”, così è scritto sul sito del New York State Department of Corrections and Community Supervision’s Office of Special investigations».
Viene specificato che nelle avvertenze è posto un monito preciso: «se lo vedete chiamate subito le forze dell’ordine, non cercate di fermare questi soggetti da soli poiché sono particolarmente pericolosi».
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Il fatto, leggiamo, risale a quasi dieci giorni fa. «I nostri poliziotti, ispettorato Vaticano, l’hanno notato (…) nell’Urbe. Non un giorno qualsiasi, poiché piazza San Pietro era affollatissima per l’udienza generale del Papa».
Poi parte la descrizioni delle doti extrasensoriali delle italiche forze dell’ordine: «Gli agenti senza sapere chi fosse, grazie anche al loro intuito, non gli hanno mai levato gli occhi di dosso, nemmeno per un secondo, fino a decidere di fermarlo e, infine, perquisirlo» continua il quotidiano fondato dal «laico» Scalfari, che pure anche lui qualche visita in Vaticano, nei primi giorni del papa preferito dai massoni, se l’era fatti per intervistare proprio l’inquilino di Santa Marta.
Ma torniamo in Piazza San Pietro, con i poliziotti premonitori. Lo hanno fermato, e «l’istinto aveva dato loro ragione. La scoperta delle armi che hanno trovato addosso all’americano gli ha lasciati interdetti: perché andare in giro con tre coltelli, uno con la doppia lama, da venti centimetri ciascuno? Per farne cosa?»
Già, una bella domanda. A cui epperò mica nessuno vuole dare risposta, neanche ci prova. Qualche giornale di destra, a denti stretti, ha provato a parlare di «segnale», ma buttandola là.
Quindi: un criminale americano super-ricercato, violentissimo, che dal fronte ucraino finisce, armato di coltelli, in Vaticano. Non abbiamo idea del perché. Interessante. Assai.
Apprendiamo che l’uomo, tale Moises Tejada «è planato sull’Urbe una decina di giorni fa, così hanno potuto verificare gli investigatori attraverso l’analisi del passaporto, dalla Moldavia dove era da poco arrivato da Kiev».
«In commissariato, in manette, con l’accusa di porto abusivo d’armi e resistenza, gli agenti hanno scoperto che negli USA, precisamente nello stato di New York, è considerato un “most wanted“». Pare che il personaggio si sarebbe reso responsabile di sequestri di agenti immobiliari che rapinava e riempiva di botte. Chiedeva appuntamenti per vedere case di lusso, poi aggrediva violentemente gli immobiliaristi per poi lasciarli seminudi nelle abitazioni.
Strano modus operandi, che forse parla di una tipologia specifica di personalità.
«Insomma, più che un criminale tutto tondo, una persona fuori controllo degna però di essere inserita tra i maggiori ricercati dello Stato» continua Repubblica. «A questo punto investigatori e inquirenti si sono domandati: come mai uno degli uomini più ricercati a New York è riuscito a lasciare il Paese in aereo e dirigersi a Kiev?»
È bello che il giornale degli Elkann guidato da Maurizio Molinari trovi, per una volta, di farsi una domanda vera. Specie considerando i rapporti non idilliaci di ambedue – gli Elkann e Molinari – con la Russia. Perché la Russia c’entra anche qui.
«A febbraio del 2022 ha abbandonato gli USA e si è diretto in Ucraina (come emerge dal suo passaporto) dove ha spiegato ai magistrati di aver combattuto, gli ha perfino mostrato delle foto in mimetica, armato di pistole e fucili». Il nostro è un Foreign Fighter, quindi, e non fa nulla per nasconderlo – c’è da capirlo, del resto, perché abbiamo visto, a dispetto di una legge specifica, l’Italia fischiettare sui Foreign Fighter pro-Kiev, mentre ci ricordiamo di subitanei arresti in aeroporto per quelli sospettati di aver combattuto per conto dei russi.
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Ma torniamo alle domande che Repubblica pone, e cerchiamo di accennare noi una mezza risposta, fatta della solita nuvola di puntini che sarà compito del lettore unire da sé.
In primis, ricordiamo che, per quanto riguarda la facilità con cui si possono spostare dagli USA all’Ucraina certi criminali. Ci viene in mente la vicenda del veterano americano incriminato dal Dipartimento di Giustizia USA per l’omicidio di una coppia in Florida, molto misteriosamente comparso a «lavorare» al fronte in Ucraina come «volontario», nonostante su di lui penda una richiesta di estradizione da parte di Washington. Il personaggio, che in America avrebbe minato la casa della moglie incinta, cercato di ucciderla, e poi ammazzato una coppia di «donatori» che volevano dare danaro alla sua causa, avrebbe aderito nel 2015 ad una milizia di estrema destra e, secondo documenti trapelati dalla divisione penale del Dipartimento di giustizia dell’Ufficio per gli affari internazionali il veterano americano in Ucraina avrebbe «presumibilmente preso come prigionieri non combattenti, li avrebbe picchiati con i pugni, li avrebbe presi a calci, li avrebbe picchiati con un calzino pieno di pietre e li avrebbe tenuti sott’acqua».
In secundis, vediamo come la personalità con tratti di violenza parossistica pure non è rara tra la manovalanza estera mandata in Donbass – anche prima dell’invio delle truppe russe il 24 febbraio 2022. Nel caso sopracitato, secondo il sito Ukr-leaks che raccoglie i documenti trapelati, un testimone – poi arrestato negli USA – avrebbe quindi anche raccontato di come il veterano americano avrebbe picchiato e annegato la ragazza, mentre un altro membro del gruppo, un australiano, le avrebbe somministrato iniezioni di adrenalina in modo che la giovane non perdesse conoscenza. «Tutto questo è stato filmato dalla telecamera» scrive il sito.
Diciamo di più: tali tipi di profili, inclini alla violenza parossistica sino all’essere insensata, ultrasadica, non solo sono comuni nelle guerre sporche degli USA in giro per il mondo, sono necessari.
La creazione delle forze neonaziste che servono il regime di Kiev – cioè lo Stato profondo americano – è stata operata per anni andando a lavorarsi le parti della popolazione che più si sarebbero prestate alla psicologia della violenza indiscriminata: ecco serviti al serbatoio immenso di braccia tatuate e teste rasate che sono le curve degli stadi le teorie di Bandera. È un processo di radicalizzazione, che non deve essere stato differente da quello di ISIS e Al-Qaeda. Lo si vede bene, descritto anche con una certa mesta poesia, nel film Syriana. È un qualcosa che, nemmeno più a denti stretti, cominciano a temere i servizi di sicurezza americani e pure qualche politico goscista francese: i Foreign Fighter di ritorno, radicalizzati in Ucraina in maniera totale, di ritorno a casa, magari pure con qualche arma di quelle «donate» a Kiev.
È il «jihadismo ucronazista» coltivato dall’Occidente per questo conflitto e forse per il prossimo – quello contro la stessa popolazione europea da trascinare nell’anarco-tirannia, come scritto tante volte da Renovatio 21.
Prendi una generazione impoverita (i soldi sono andati tutti agli oligarchi, gli stessi che poi hanno finanziato le milizie ucronaziste), la riempi di ideali che risuonano con il testosterone giovanile, sangue e suolo, la violenza come principale valuta sociale… aggiungi appoggi politici, armi, etc. Quello che ottieni è guerra. Morte e distruzione. Cioè quello che serve ai pupari per creare il cambiamento geopolitico.
È bene ricordare che se diciamo «nazisti», stiamo dicendo davvero «nazisti», oppure anche peggio. Strapagati giornalisti italiani ci hanno detto che i ragazzi con la svastica leggono Kant, la realtà è che i «nazionalisti integralisti» ucraini sono stati capaci di crudeltà che hanno impressionato pure gente di stomaco. È il caso di quel famigerato skinhead americano tatuatissimo, un altro volontario del fronte ucraino che aveva dichiarato che mai aveva visto una violenza del genere.
Girava un video, già prima della guerra, intitolato «gli ebrei si beccano la corda». Il contenuto: una donna incinta e suo marito, presumibilmente di origine giudaica, venivano linciati dai miliziani. Dicevano che si trattava di propaganda russa, non era vero. I nazisti ucraini non esistono. Salta fuori che, anche se i due non sono ebrei, il video è vero: e che i nazisti ucraini non solo esistono, ma sono capaci di gesti così indicibili da far pensare, più che altro, a vere caricature dei nazisti.
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E allora, torniamo alla domanda vera: perché? Perché il supercriminale Foreign Fighter ucraino stava in Piazza San Pietro?
Ah, poi c’è chi si chiede come abbiano fatto a beccarlo: alcuni non sono disposti ad accettare subito la storia dell’intuito da chiaroveggenti dei nostri, pur bravissimi certo, poliziotti zona Vaticano. Qui le ipotesi possibili sono due.
La prima: in Vaticano ci sono telecamere dotate di tecnologia face recognition, ma forse non si può dire, perché in Italia non si capisce se siano esattamente legali, e la Santa Sede non è Italia ma, pensano gli attuali occupanti del Soglio, è meglio non dirlo troppo spesso. Quindi: voi che su Facebook scrivete commenti contro Bergoglio, occhio.
La seconda: qualcuno ha fatto una soffiata, e ha avvertito i nostri che il tizio, ecco la foto segnaletica, era diretto da quelle parti. Qui si aprirebbero altre questioni cui ovviamente non sapremmo rispondere in alcun modo. Se lo ha mandato qualcuno, chi lo ha mandato? A fare cosa? Chi ha spifferato? Con che fine? Era avvertire di un pericolo, o era, più sottilmente, far comprendere a qualcuno, che c’è quel pericolo esiste?
Roba abissale, giuochi di specchi sacri e geopolitici come ai tempi di Ali Agca e le piste che incrociano i lupi grigi (altri giovani radicalizzati contro la Russia…), servizi bulgari, frati belgi legati alla CIA (come suggerì in un’intervista, sornione e diabolico, Andreotti), magari pure la Madonna di Fatima, et pour cause.
Possiamo solo buttare lì qualche altro puntino per il lettore. Sappiamo che il rapporto del papa con l’Ucraina, partito con un bacio alla bandiera della Centuria di Maidan (proprio ad un’udienza del mercoledì), passato per una politica di relazioni sterile, falsa e millantatoria, finito con vari insulti da parte Ucraina, è quello che è.
Lui ce l’ha messa tutta: ha taciuto quando hanno attaccato un suo sacerdote – sì, un prete cattolico, ad Uzhgorod – quando aveva osato pregare per la pace, ha provato a vendere ai giornalisti l’idea che la sua conversazione a Budapest con Ilarione – gerarca modernista e filocattolico del Patriarcato di Mosca finito rimosso, e che peraltro ora, dopo la Fiducia Supplicans, di Roma non ne vuole più sapere nulla – serviva alla pace, aveva mandato avanti Zuppi (idea geniale) a Kiev, aveva accettato che Zelens’kyj si sedesse prima di lui da ospite nell’incontro in Vaticano durante l’Italian tour del comico ucraino finito chez Bruno Vespa. (Qualcuno, in Russia, dice che il vertice tra Francesco e il comico TV divenuto presidente, invece, abbia alle spalle un famoso cardinale inglese…)
Bergoglio si era beccato gli insulti del consigliere di Zelens’kyj Mikhailo Podolyak, che sul Corriere della Sera (dove sennò) attaccò il papa e il cristianesimo tutto. Poi, con la storia dell’appello ai negoziati lanciato dall’argentino alla testata svizzera, ecco le offese anche del ministro degli Esteri già «bambino di Chernobyl» in Irpinia Kuleba, che ha insinuato di antichi rapporti della Santa Sede con il nazismo (il bue che dice all’asino… ecco quella storia lì).
Davvero, il ragazzo biancovestito in sedia a rotelle ce l’aveva messa tutta, o almeno aveva fatto finta, almeno per un po’. Adesso, chissà cosa vogliono dirgli.
Anche perché ad essere arrabbiati con lui mica sono solo quelli della banda di Kiev. Qualche mese fa è partita la rabbia dei rabbini, perché questa equidistanza vaticana con i palestinesi (fra cui, ricordiamo, la Chiesa cattolica ha molti, molti fedeli) non si poteva sentire. Anche lì: il sudamericano si era impegnato, nel 2017 aveva pure visitato la tomba del fondatore del sionismo Teodoro Herzl (ma perché?) a fianco di un soddisfattissimo premier Netanyahu, quello che adesso chiamano macellaio genocida, sconfessando il suo predecessore papa San Pio X che, in modo leggermente diverso, quando Herzl gli chiese l’appoggio per far tornare gli ebrei in Palestina gli promise che la Chiesa si sarebbe opposta con ogni forza al progetto.
Ma un patatrac presso il Sacro Palazzo cuore della cristianità globale farebbe comodo a tanti altri.
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Sappiamo come funziona il pensiero dei padroni del vapore: il programma va mandato avanti per traumi. Le società umane si manipolano shock dopo shock. Presidenti uccisi, presidenti rapiti, bombe nelle piazze, nelle stazioni, aerei dirottati, torri che cascano, guerre, invasioni, pandemie.
Aggiungiamo anche un altro pensiero, sul quale non ci dilungheremo qui. Durante la guerra del Vietnam la CIA organizzò uno sforzo operativo chiamato Phoenix Program, che doveva distruggere fisicamente e moralmente il sistema dei Viet Cong attraverso rapimenti, infiltrazioni, assassinii, terrorismo, torture. Secondo alcuni, il Phoenix Program prevedeva la creazione vera e propria di serial killer. Soldati americani capaci di violenze infinite, psicopatici al punto da essere più considerabili per i nemici come vampiri (con atti di cannibalismo inclusi) che non come nemici, in grado quindi di scatenare timori ancestrali nei vietnamiti comunisti.
C’è chi dice che l’effetto più evidente di questo programma siano stati i continui casi di assassini seriali registrati in USA negli anni Settanta e Ottanta. Moltissimi di questi soggetti, divenuti popolari grazie a stampa, TV e cinema, avevano un passato tra i militari americani, alcuni proprio direttamente in Vietnam. Se ci fate caso, dopo gli anni Novanta – in cui il fenomeno divenne una costante, più che nella cronaca nera, nella cultura popolare – i serial killer sono spariti.
Dove sono finiti gli assassini seriali? Sono scomparsi? O forse, dice qualcuno con malizia, ne hanno «chiuso la fabbrica»? E la fabbrica, magari, si può riaprire? L’hanno riaperta?
Una volta potevi parlare dei patsy, dei capri espiatori usati nei grandi misteri storici, e non prenderti del complottista. Ricordo ancora i tempi in cui credere che Lee Harvey Oswald fosse un matto manipolato (anche lui con trascorsi militari significativi…) piazzato lì per prendersi la colpa del regicidio Kennedy non era una bestemmia, anzi era la norma.
Ora c’è da aver paura anche solo a fare delle ipotesi. Ma non solo per l’etichetta di pazzotico che ti possono affibbiare i benpensanti, i fact-checker, gli algoritmi censori dei social e dei motori di ricerca. C’è da aver paura di averci ragione.
Che cosa sono disposti a fare, questi mostri, per far bruciare ancora di più il mondo?
A quale altro regicidio dobbiamo assistere?
Quale efferata crudeltà li sazierà mai?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
La giovenca rossa dell’anticristo è arrivata a Gerusalemme
ALERT 🚨 – The fanatical Zionists from Temple Mount Org have announced that April 22nd is their day to slaughter the much-vaunted #RedHeifer in Jerusalem to realise their version of the End Times messianic prophecy… https://t.co/HLo9nYbGvi pic.twitter.com/JYfs5dHORg
— Patrick Henningsen (@21WIRE) April 12, 2024
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Also to be precise: the red heifer isn't technically a sacrifice. It is slaughtered and burned on the Mt. of Olives but not on an altar. The ashes are used to make a mixture that is used in the purification process for entering the inner courtyard of the Temple Mount. Practical…
— Kassy Akiva (@KassyDillon) April 4, 2024
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Eutanasia
La «Costituzione materiale» dell’Italia umanoide, tra eutanasia e gender di Stato
Si è tenuta poche settimane fa, convocata dal neoeletto Presidente Augusto Barbera, la riunione straordinaria annuale della Corte Costituzionale, alla quale hanno partecipato anche il Presidente della Repubblica, rappresentanti delle camere e dell’esecutivo.
Nella sala a geometrie bianche e nere e con l’azzurro forte di certa araldica medievale, il quadro cromatico era adeguato al cipiglio polemicamente decisionista del presidente, accademico di lungo corso prestato alla politica su un versante che dall’ortodossia comunista degli inizi è scivolato fatalmente verso la metamorfosi ideologica del PD a trazione atlantista.
Dunque un uomo dei nostri tempi, nel senso della piena e progressiva consonanza con lo spirito del tempo prodotto dai potenti fabbricatori di etiche e di diritti, di pedagogie e di ideali, di cultura à la carte, ovvero del fantasmagorico luna park dove va in scena il nulla a tinta variabile, secondo le esigenze di mercato ma ad altissimo potenziale distruttivo.
E in una chiave «evolutiva» in ogni senso, il Presidente ha svolto il proprio discorso della corona, che come sempre in questi casi contiene il programma di governo e qualche nota sullo stato dell’unione, o meglio, della disunione che pare regnare tra la stessa Corte, la magistratura ordinaria e il Parlamento, disunione peraltro dovuta a qualche dissonanza di vedute etico politico giuridiche, peraltro opportunamente transeunti.
Anzitutto, in un fugace ma significativo preambolo è stato dispiegato tutto il repertorio canonico della correttezza politica in vigore. Dall’aggressione russa venuta dal nulla, all’orrore terroristico in medioriente che ha portato ad una «dura» reazione; dai femminicidi accostati ai morti sul lavoro, che così sono apparsi per quantità parificabili ai secondi, fino alla sempiterna condizione femminile, che non si sa se sia un dato archeologico o futurista.
Non sono mancate neppure le catastrofi ambientali causate, come è noto, oltreché dal cambiamento climatico, dalle abitudini umane, finché non è stata rievocata la fila dei camion militari pieni di bare a Bergamo e la consequenziale imposizione dell’obbligo vaccinale che, non per nulla, la Corte ha poi oculatamente legittimato.
Così, detto tutto quello che doveva essere detto, il Presidente Barbera è potuto entrare in medias res, per ribadire la fondatezza logica e giuridica di quell’obbligo, che era stato stabilito sulla base dei dati scientifici e sulle scelte, autorevoli per definizione, di altri autorevoli paesi. Riferimento doveroso nel giorno in cui si sono commemorate le vittime del covid, ma non quelle in continua espansione dei vaccini, per ovvi motivi di coerenza logica.
A proposito del rapporto tra la Corte e i giudici di merito cui spetta il compito di sollevare la questione di legittimità della norma da applicare nel caso concreto, ha lamentato come costoro, spesso, mossi da «eccesso valoriale» siano indotti a risolvere da soli tale questione, perché la overdose di scrupoli assiologici impedisce loro di attendere pazientemente il responso della Corte.
D’altra parte, tanto lavoro sarebbe risparmiato se questi giudici così zelanti, quando non sanno che pesci pigliare, si rivolgessero alle corti europee, vista la nota supremazia UE sull’ordinamento interno.
Ma la questione più grave da affrontare è, per il Presidente, quella della inerzia del Parlamento di fronte al necessario aggiornamento dei codici penale e civile sulle questioni cruciali del «fine vita», e delle note attitudini procreative e genitoriali della rinomata ditta LGBT etc.
Dunque una grande professione di fede progressista da parte di un attempato signore al quale la lunga esperienza di studio e di vita non impedisce di essere abbagliato dallo slancio vitale del nuovo, quello ritenuto capace di assicurare alla società sorti luminose a dispetto della realtà delle cose e della storia, della funzione ordinatrice e pedagogica del diritto, delle conseguenze di certe scelte politiche, di quella che dovrebbe essere la vocazione della intelligenza e della ragione.
Insomma il discorso presidenziale si è appuntato tutto sulla auspicata legalizzazione eutanasica, e sulla altrettanto auspicata legalizzazione delle «filiazioni» omosessuali, perché, in mancanza di lumi espliciti offerti dalla Carta costituzionale, è urgente che il Parlamento modifichi le norme ordinarie, in ossequio alla mutata «coscienza sociale», ovvero alla cosiddetta «costituzione materiale».
Solo che il problema giuridico e costituzionale è ben più complesso e sostanziale di quanto non vorrebbe far apparire la semplicistica, impavida e spericolata rappresentazione del Presidente.
Come ricordava Mortati, l’artefice principale della nostra, una Costituzione formale, scritta, serve a dare il necessario ordine e stabilità, con la fissazione di certi principi fondamentali, ad un ordinamento che non può giustificare la libera affermazione di comportamenti caotici lasciati a se stessi. Tuttavia, il medesimo ordinamento non può neppure rimanere estraneo alle continue mutazioni degli assetti sociali dovuti al divenire storico. Infatti sono proprio le istanze che vengono dal basso e dal diffuso sentire comune a formare una vera e propria «costituzione materiale» che precede e condiziona quella formale scritta nella quale essa si dovrebbe riconoscere.
Anche la Magna Charta fu il frutto della pressione e delle istanze dei baroni inglesi verso la Corona, perché il documento scritto non cade dal cielo, ma è la proiezione di forze sociali, di un sostrato ideale culturale e politico, che a sua volta è in continuo movimento. Non per nulla anche la nostra Carta costituzionale prevede la possibilità di una revisione delle proprie norme, a determinate condizioni procedurali.
Su questi presupposti concettuali ha fatto perno appunto il discorso del Presidente Barbera, volto a strigliare il Parlamento riluttante a legiferare su quei temi, che egli ritiene vitali per il progresso della civiltà italica, e a rispettare la «coscienza sociale» di un popolo che evidentemente, a suo modo di vedere, reclama a gran voce questo intervento e, se non lo reclamasse, mostrerebbe tutta la propria arretratezza.
Del resto, quando in passato il Parlamento ha registrato in via elettorale la volontà popolare, legalizzando l’aborto con la legge 194, ha posto una pietra miliare sulla via del progresso culturale e della affermazione di diritti fondamentali. Per non parlare del luminoso recente esempio fornito dalla Francia in cui l’aborto è salito al rango di diritto costituzionale.
Insomma «le assemblee parlamentari debbono rispondere alle esigenze della base elettiva. Il Parlamento deve cogliere le pulsioni evolutive e il continuo divenire della realtà. Mentre d’altro lato, la stessa Corte, se è custode della Costituzione, non deve costruire “una fragile Costituzione dei custodi”». Sicché, eventualmente, di fronte alla persistente inerzia del Parlamento, la Corte sarà costretta a farsi carico di dare riconoscimento in proprio ai «diritti fondamentali reclamati dalla coscienza sociale in costante evoluzione». In barba evidentemente anche alla separazione dei poteri e ad a una relativa spavalda usurpazione del potere legislativo.
Ma fermiamoci sull’insistita necessità di adeguamento ad una nuova coscienza sociale. Perché è anzitutto qui che casca l’asino.
Infatti, per parlare di coscienza sociale, bisognerebbe per prima cosa intendersi sul significato profondo e non superficialmente immaginifico di un lemma che ha bisogno di determinazione qualitativa e quantitativa. Non significa forse adeguamento ad uno zeitgeist che spira grazie alla imposizione mediatica, alla persuasione occulta attraverso il martellamento cinetelevisivo?
La coscienza sociale è forse quella performata attraverso la macchina mediatica? O non dovremmo guardare a una coscienza sociale che viene dal profondo dell’essere perché radicata come sedimentazione di un’etica che deve sussistere attraverso le generazioni per dare stabilità alla vita individuale e collettiva? Che a volte viene offuscata provvisoriamente dal frastuono e dalla prepotenza di minoranze chiassose e irresponsabili, come accadde proprio nei ribollimenti rivoluzionari, per tornare a riemergere una volta passata la tempesta?
Ma questa coscienza sociale propriamente detta non può di certo essere scambiata in modo tartufesco con quella ottenuta attraverso una omologazione programmata dall’alto. Con l’adeguamento alla pedagogia di un potere dominante munito di straordinari e sofisticati strumenti persuasivi. Un potere, tra l’altro, che dovrebbe essere incompatibile con la sbandierata eccellenza democratica, ogni riferimento alla quale è diventato indecoroso.
La coscienza di un popolo non è la sottomissione culturale indotta attraverso metodi sperimentali di psicologia sociale alla propaganda organizzata da una minoranza numerica che tiene in mano le redini della politica, magari come mandataria di mandanti più potenti.
Coscienza sociale non è l’addormentamento di sentimenti naturali attraverso l’indottrinamento di massa e la suggestiva necessità della omologazione. Non è la conformità di consensi falsamente spontanei, né la formazione di volontà e di fenomeni virtualmente «democratici».
Ora, se la necessità di un ordinamento giuridico è incontrovertibile, perché, come leggiamo nell’Odissea, solo i Ciclopi non hanno leggi, è anche vero che le leggi, per dirsi tali, non possono contravvenire a quella vocazione ordinatrice e di salvaguardia della comunità che chiamiamo bene comune. E questo fine non può essere perseguito senza l’ancoraggio a quel nucleo forte di valori che si traducono in principi, di regole scolpite, quelle sì, nella coscienza sociale, che chiamiamo in modo convenzionale «diritto naturale».
In altre parole, prima della Costituzione formale, e come sostrato stabile della costituzione materiale che la produce e la condiziona, ci deve essere un nucleo forte di principi saldi e irrefutabili, capaci di tenere in vita una società perché orientati a salvaguardare quella specificità umana che vede gli impulsi messi in forma dalla ragione, e la ragione orientata appunto al bene comune.
Questi sono i capisaldi morali della convivenza umana, che per i credenti sono stati scritti nelle tavole eterne della legge divina, ma che anche i laicisti possono individuare, secondo la nota lezione di Grozio «etsi Deus non daretur», nelle leggi che dovrebbero essere altrettanto eterne, individuate ed individuabili con la ragione.
Cose arcinote, si dirà. Ma che non ci si deve mai dimenticare di ricordare, perché è proprio qui che si annida il veleno, sempre in agguato nella retorica di una trappola terminologica. Rispetto a questo sostrato indefettibile, la Costituzione materiale di cui si parla da quando si è affermato il fenomeno costituzionale non rappresenta una entità sovrapponibile né omogenea, ma piuttosto una eccedenza sociopolitica sicuramente legata alle evoluzioni politico economiche e grosso modo culturali di un mondo in continuo movimento. Ma, al di là delle eccedenze legate a trasformazioni strutturali e istituzionali, l’etica profonda e sempre riaffiorante di una comunità umana è quella essenziale che rimane e deve rimanere immutata, in quanto ne garantisce un armonico perpetuarsi.
Sono le leggi fondamentali della convivenza volte teleologicamente al bene di una comunità che contiene anche l’io etico che va sottratto ai venti di dottrina e all’arbitrio del potere, che non deve essere esposto alle variabili ideologico culturali oggi più che mai dettate da interessi estranei al progresso morale e spirituale degli individui e della società di cui fanno parte.
Dunque, quando si parla di principi che precedono e devono precedere, per guidarla, la legge positiva, che è scritta perché posta dal potere politico, c’è il pericolo di un equivoco micidiale, di un corto circuito in cui il discorso viene imprigionato in un labirinto di parole senza uscita.
C’è il pericolo che per principi eterni e cogenti vengano spacciati quelli formulati nello spazio contingente occupato da una politica fine a se stessa, per dare senso alle proprie scelte operative. Basti pensare all’abusato principio di libertà intesa come affermazione di autonomia assoluta della volontà individuale, incurante delle conseguenze; o della cosiddetta uguaglianza che vorrebbe parificare capre e cavoli come appunto nel caso delle aspirazioni genitoriali della premiata ditta LGBT impegnata nella fabbricazione di umanoidi secondo scienza e incoscienza.
Per questo Barbera, da uomo esperto di giochi logici e paralogici, finisce per accennare polemicamente ad una mentalità positivistica, peraltro a suo dire declinante, di quanti, volendo rimanere ancorati a quello che i costituenti e il legislatore hanno scritto, evidentemente non immaginavano la deriva demenziale dei tempi avvenire, non si esaltano alla prospettiva di allargare il proprio orizzonte accogliendo le istanze di una «coscienza sociale» che invoca aborto, eutanasia e procreazioni fasulle.
Insomma egli critica velatamente quanti, dentro e fuori del Parlamento, rimangano ancora fermi alla attuale lettera delle leggi positive, negando la esistenza di un fantomatico diritto naturale legato alla nuova coscienza sociale, ovvero alla nuova costituzione materiale intesa nel senso che è stato indicato.
E non si accorge che, invocando l’intervento del Parlamento, auspica la cristallizzazione di nuovi principi etici i quali, lungi dall’essere iscritti nella coscienza comune come egli vorrebbe, sono frutto di una precisa ideologia adottata dalla politica. E non di una coscienza sociale che viene dalla sedimentazione di una storia dello spirito perché nutrita di esperienza secolare nella faticosa ricerca del bene collettivo, il solo capace di assicurare anche quello individuale. Attraverso una storia e una filosofia che in Occidente ha visto la fusione tra eredità greco romana e cristianesimo. O, più semplicemente, di una coscienza morale che sente in profondità quale vera filosofia della vita possa dare senso alla esistenza individuale e contribuire al bene comunitario al quale è non può non essere estranea l’uccisione dell’essere umano nel grembo materno, come l’unione sessuale contro natura o la morte inflitta per legge ad un innocente.
Barbera arriva a dire che nella Costituzione non c’è traccia letterale di principi che precludano l’ingresso di queste nuove auspicate norme. È vero, ma soltanto perché per costituenti «normali» come uomini, come politici e come giuristi, erano semplicemente impensabili queste novità venute da lontano, ma ora tutte leggibili alla luce della morte di Dio che significa morte di quell’umanità che a Dio si è sempre rivolta per dare senso alla propria esistenza.
Egli, più che guardare alla «coscienza» fittizia a cui si appella, dovrebbe guardare a cosa i costituenti guardavano dal punto di vista etico quando scrivevano la legge fondamentale per assicurare alla nazione una tenuta spirituale duratura. Quella che sola può assicurare la sopravvivenza identitaria di un popolo a fronte dei mutamenti contingenti e artificiali della politica e per la quale, ad esempio, già nei primi anni novanta, dopo settant’anni di ateismo di Stato, le chiese dei territori ex sovietici tornavano a traboccare di fedeli.
Che la Costituzione scritta preveda la necessità di un adeguamento delle leggi al divenire storico e al nuovo che materialmente si inserisce nella realtà comunemente vissuta, è vero. Ma questo adeguamento non può fare a meno di perdere l’ancoraggio a quei principi etici senza i quali le novità materiali travolgono la convivenza umana come una valanga di detriti informi che si abbatta a valle senza trovare ostacoli.
Inoltre, se il diritto è un prodotto del potere politico, né potrebbe essere altrimenti dal momento che occorre un’autorità capace di renderlo effettivo, esso si snatura quando diventa strumento della politica intesa come esercizio del potere che alimenta se stesso. Tanto più quando lo si crea appellandosi, per autogiustificarsi, a un sostrato ideale sottostante e lo si fa passare, in altre parole, per diritto naturale positivizzato.
È quanto avviene non a caso nei regimi totalitari: fu teorizzato da Vishinskij per quello sovietico e fatto proprio parimenti dal nazionalsocialismo. Qui il diritto era al servizio della politica. Si spacciava per diritto naturale proprio la scelta ideologica adottata dalla politica: non per nulla anche le leggi razziali furono introdotte in omaggio a un supposto sentimento popolare.
Allo stesso modo in cui le proposte normative del presidente rispecchiano la deriva culturale che la politica alimenta in ragione del proprio nichilismo ideologico. Dove il nulla morale della politica genera il nulla morale e culturale di cui fa uno strumento di potere, mentre viene spacciata per diritto naturale proprio la scelta ideologica adottata dalla politica.
Intanto, il veleno della disintegrazione morale risulta persino più potente perché inoculato a dosi prima piccole e poi sempre crescenti, proprio per annichilire le coscienze, come l’oppio serviva ai britannici per fiaccare il popolo che essi intendevano sottomettere.
Barbera dovrebbe chiedersi piuttosto, da giurista di vaglia, quali siano le conseguenze, che già si vedono, della torsione indotta su larga scala di un sentire veramente radicato che ha sorretto la vita di un popolo, dando forma alla sua arte, alla sua filosofia, alla sua letteratura, prima della débacle contemporanea.
Questo popolo ha conservato sempre un senso alto della vita e della morte perché inserite nella metafisica cristiana.
Esso ha inteso custodire nella propria anima, ad esempio, i propri figli morti lontano nella inutile strage, fermandone la memoria scolpita anche in mille lapidi di mille piccoli antichi borghi d’Italia, come nel grande tempio di Redipuglia.
Anche se altri ricordi meno riparati saranno poi cancellati dalle diaboliche distruzioni della nuova guerra venuta dal progresso.
Ma gli accorati eutanasisti di oggi, che nulla sanno della morte solitaria sul Carso, si compiacciono alla idea appagante della morte umanitaria inflitta in una stanza sterile a dozzina, perché nulla sanno del senso che la morte assume quando viene incastonata nella idea della continuazione, del congiungimento degli anelli che danno senso alla esistenza umana.
Non vedono come la morte inflitta in applicazione di un protocollo sanitario, compiaciuto di essere anche umanitario, diventi, proprio nella coscienza comune, un evento che nulla conserva di quella sublimazione di cui soltanto l’uomo può essere capace.
Del resto, è proprio l’idea della scissione a dominare lo spirito filantropico degli eutanasisti. Quella che, vestendo i paramenti nobili della autonomia, separa i morti dai vivi, e recide legami famigliari e annienta il senso alto della vita – ce lo ricordava Mario Palmaro – e toglie valore all’uomo in sé e alla sua esistenza individuale e comunitaria.
Il culto e la memoria dei morti secondo il destino comune collega le generazioni e non le fa sentire abitatrici di un vuoto intermedio, come la radice comune che lega il genitore al figlio riempie un vuoto in cui ci perderemmo se non fossimo tenuti per mano da chi ci ha generato, nell’alveo sacro della famiglia.
Ora invece si apparecchia il nulla per tutti, attraverso le anomalie della vita contro natura, e della morte à la carte. E si ritiene di mettere in forma l’anomalia appunto usando la norma, che infatti comporta normalizzazione. In entrambi i casi viene calata l’arma ricattatoria della pietà e dei buoni sentimenti. Secondo lo stesso meccanismo per cui la cremazione è preferibile «perché è una cosa pulita». E secondo la psicologia di ogni bene-fattore di modello filantropico sorosiano.
Tuttavia è certo che le due proposte sul tappeto, unificate dalla stessa mentalità nichilistica, agnostica e antiumana, in una visione economica neomalthusiana, seguano strade proprie sotto l’ombrello del valore oggettivo delle scelte individuali, per confluire nel travisamento della funzione e delle finalità delle leggi.
Le pretese LGBT, non per nulla identificate da una sigla di tipo commerciale, e la cosa basta a fotografare il fenomeno, navigano nello spazio onirico della allucinazione, di una visione drogata dal delirio di onnipotenza che pretende di ottenere consacrazione giuridica, cioè di acquistare valore assoluto in via burocratica. Una visione che rispecchia bene la disintegrazione intellettuale, prima che morale, dell’Occidente.
A dimostrare la incongruità di fantomatici diritti sbandierati dalla prima, dovrebbe bastare la considerazione che diritto soggettivo può essere soltanto quella pretesa riconosciuta meritevole di tutela dalla legge in quanto coincidente con l’interesse collettivo. E che da quel concetto esula invece ogni pretesa, individuale e particolare, che con quest’interesse non abbia nulla a che fare.
Al contrario, le istanze eutanasiche muovono da una realtà di fatto: si connettono al problema reale della sofferenza prolungata spesso indotta paradossalmente dal progresso delle tecniche sanitarie, sfruttano una realtà oggettiva per nulla insignificante. Infatti è reale e oggettiva la possibilità, anzi la frequenza, con cui chi è aggredito da sofferenze inenarrabili sia indotto ad invocare la morte liberatrice. Ed è problema antico.
In una scena finale della Notte di San Bartolomeo di Mérimeèe, uno di due fratelli uniti da amore profondo ma divisi da opposte scelte teologiche e politiche, e che infatti combattono a La Rochelle su fronti opposti, viene ferito a morte e soccorso proprio dall’altro, che lo mette a riparo e si dispera non accettando neppure l’idea dell’irreparabile. Il ferito in preda ormai a dolori insopportabili chiede da bere, ma questo gli viene negato perché affretterebbe la morte. Finché sopraggiunge il chirurgo e, compreso che non c’è speranza di salvarlo, fa passare il fiasco del vino al morente che spira di lì a poco.
L’episodio ovviamente richiama solo alla lontana e soltanto per certi profili umani il problema con cui abbiamo a che fare. Ma sta a significare come il rapporto col dolore e la morte abbia sempre impegnato la coscienza su un terreno in cui da sempre aspetti personali, etici, affettivi, razionali spesso in contrasto fra loro si intreccino chiamando in causa anche la questione della responsabilità.
In altre parole, si tratta in ogni caso di un problema che appartiene anzitutto, impegnandola, alla vita dello spirito, e in questo senso implica e richiede una assunzione personale di responsabilità. Mentre si snatura quando il piano della coscienza viene invaso dalla autorità calcolante del legislatore e del giudice.
Infatti l’aporia oggi sta proprio nella pretesa di affidare per legge ad un terzo una decisione sulla vita altrui, che per forza di cose si fonda su fattori non controllabili e indeterminati.
L’indisponibilità oggettiva della vita umana, è principio primo della convivenza e quindi il frutto più maturo della civiltà giuridica approdata, dopo un faticoso cammino secolare, a sancirlo, anche nei confronti dello Stato, con la abolizione della pena di morte.
Il monito biblico «nessuno tocchi Caino» acquista in questo senso tutto il suo contenuto più profondo.
Una indisponibilità oggettiva ben messa a fuoco dalle norme del codice penale che puniscono ancora, occorre dirlo con una certa apprensione, l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio. Norme da cui emerge non a caso la preoccupazione del legislatore che la possibilità dell’omicidio si possa insinuare surrettiziamente, attraverso il contributo di una minorata difesa della vittima.
Una preoccupazione che però non sembra sfiorare tutti i sensibilissimi promotori eutanasici incapaci di sollevare lo sguardo al di sopra dei pensieri e delle emozioni facili. Perché occorre ribadirlo in modo che può apparire brutale a chi osservi con superficialità il problema: la cosiddetta eutanasia, o la si ricolloca, sia pure con mille distinguo, nell’alveo del dominio degli affetti e delle esperienze famigliari, nella storia privata dello spirito e della vita, e della responsabilità degli individui, oppure la si getta nei meccanismi della irresponsabilità burocratica, dell’arbitrio individuale legalizzato oppure di quello sempre in agguato dello Stato.
Questo aspetto continua a sfuggire alle anime belle che, senza rendersene conto, preferiscono consegnare nelle mani del potere ciò che appartiene allo spazio sovrano e duttile, ma non disumanizzato, della vita irripetibile dello spirito e dei rapporti privati.
Il paradigma completo della questione sul tappeto, con tutte le sue inquietanti implicazioni, lo abbiamo avuto nella sacra rappresentazione allestita nel 2009 col caso Englaro.
Lì si sono giocati i falsi sentimenti, i falsi diritti, le falsificazioni materiali e mediatiche, le aberrazioni giuridiche e quelle politiche. Dove l’arbitrio e l’inconsapevolezza, la suggestione e la pressione psicologica, hanno fatto da padroni e allo stato di minorata difesa della vittima sacrificale ha corrisposto l’interesse e il pragmatismo, la forza del potere e le mille modulazioni psicologiche o psicopatologiche di tutti gli attori in commedia, meno le tante voci della compassione e quella di poche materne infermiere.
Il punto estremo a cui può arrivare un tale meccanismo inesorabile lo abbiamo potuto sperimentare con le mostruosità che continuano ad essere esibite impunemente negli infernali ospedali britannici ormai specializzati a sopprimere per ordine del giudice bambini piccolissimi di genitori inermi di fronte ad un potere dal volto diabolico.
Dunque, una strada aperta dalla raccapricciante vicenda di Terri Schiavo, replicata con piccole varianti da quella di Eluana Englaro e poi dai piccini uccisi in Inghilterra. Tutti casi accomunati dall’essersi trattato di condanne a morte di innocenti eseguite per ordine del giudice, dunque dalla possibile longa manus del potere politico, oppure da chi si troverà a dover applicare una legge anch’essa frutto di un accomodamento politico, o… di un ordine presidenziale.
Ed è proprio questo che, anche da un punto di vista strettamente giuridico, senza neppure richiamarci alla legge divina, sembra sfuggire ai nuovi illuministi. Essi non si chiedono se, una volta concessa la licenza di uccidere – non importa a quali condizioni, comunque sempre interpretabili e sempre valicabili – questo potere non possa essere usato per scopi che nulla hanno a che fare con la nobile propria con-passione per la sofferenza altrui. Ma potrebbe tornare utile anche allo Stato Leviatanico per eliminare qualche scomodo intruso.
Così come il giurista di vaglia assiso alla presidenza della Corte Costituzionale non si chiede neppure cosa sarà la vita inflitta ad individui venuti dal nulla oscuro dell’arbitrio individuale e di un cieco egoismo consacrato per legge. Perché, al concetto di diritto soggettivo quale pretesa meritevole di tutela da parte dell’ordinamento perché coincidente con l’interesse collettivo, ha sostituito quello stabilito a suo tempo dalle Cirinnà, dai Vendola e dal Corriere della Sera, quale riconoscimento dovuto a qualsivoglia appetito individuale o di consorteria.
Che ne sarà di una società popolata dai prodotti di disadattati esistenziali in delirio di onnipotenza? Questa mancanza di riflessione dovrebbe preoccupare quanti finiranno per pagare e faranno pagare ad altri le costose conseguenze della propria follia.
Ci sono oggettive ragioni di contenuto etico e culturale che debbono guidare il diritto nel senso della sua vocazione di miglioramento antropologico. I presupposti di valore capaci di orientare la legge verso una oggettiva eticità, il bene comune, lo abbiamo chiamato diritto naturale scritto da Dio o messo in forma dagli uomini, sempre con la finalità di tracciare i limiti entro cui la legge non diventa quella del più forte, o di un potere antiumano.
Qui si gioca il senso stesso del diritto che o è per l’uomo, o non è. Per l’uomo considerato valore in sé, non quantificabile e non commerciabile, non riproducibile né sopprimibile a piacimento.
Patrizia Fermani
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
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