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Mancata vaccinazione o fallimento vaccinale: che cosa sta provocando le epidemie?

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Renovatio 21 pubblica la traduzione di questo articolo di Children’s Health Defense

 

 

Alla fine di febbraio, in una testimonianza sul morbillo per la Commissione  per l’Energia e il Commercio della Camera, il dottor Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive (NIAID), ha ammesso con una risata che lui e la maggior parte dei membri della Commissione seduti davanti a lui avevano sperimentato senza problemi il morbillo da bambini e si erano completamente ripresi.

 

Questi leader nazionali hanno ottenuto molti benefici prendendo il morbillo durante l’infanzia (acquisendo immunità permanente e protezione contro le malattie cardiovascolari, tra gli altri benefici), ma ciò non ha impedito loro di alimentare il panico del pubblico sul morbillo o di spingere per ulteriori obblighi vaccinali.

 

Questa settimana il Senato ha proseguito con un’udienza simile.  Il Comitato per la Salute, l’Educazione, il Lavoro e le Pensioni (HELP) ha detto che lo scopo dell’audizione era quello di studiare «che cosa sta provocando i focolai di malattie prevenibili», ma piuttosto che affrontare questa domanda in modo completo e corretto, l’evento ha proposto una serie di relatori scelti, che sono tutti promotori di una politica vaccinale  «senza se e senza ma».

Molti studi illustrano entrambi i tipi di fallimento vaccinale [primario e secondario] e la possibilità che gli individui vaccinati possano trasmettere la malattia ad altri.

 

Le audizioni del Congresso sulla sicurezza dei vaccini all’inizio degli anni 2000 sono state più equilibrate, consentendo almeno la diffusione di più punti di vista (anche se non hanno avuto seguito). Perché i legislatori attuali mostrano così poca curiosità e ignorano le prove a lungo pubblicate che le malattie infettive «si manifestano regolarmente in comunità altamente vaccinate»?

 

Logicamente le manifestazioni di malattia in gruppi vaccinati dovrebbero suscitare seri interrogativi sul fallimento del vaccino, piuttosto che una condanna ostile della piccolissima percentuale di famiglie che, per motivi medici, religiosi o filosofici non rispettano al cento per cento il programma di vaccinazione infantile dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) (che attualmente prevede quasi sei dozzine di dosi di sedici vaccini entro 18 anni e continua ad aumentare).

 

Nella loro ossessione per il capro espiatorio e il controllo degli individui non vaccinati, il CDC, la Food and Drug Administration (FDA) e lo stesso NIAID di Fauci mostrano una pericolosa indifferenza rispetto agli effetti indesiderati della vaccinazione.

 

Aumento della suscettibilità… grazie alla vaccinazione

I vaccini dovrebbero «sfruttare la capacità del sistema immunitario di “memorizzare” gli incontri con microbi precedentemente sconosciuti». Come descritto negli studi pubblicati, tuttavia, questo obiettivo spesso fallisce o addirittura è controproducente. Nel fallimento «primario»del vaccino (che si stima colpisca almeno dal 2% al 10% degli individui sani), un individuo vaccinato non produce mai anticorpi significativi dopo la vaccinazione iniziale (o di richiamo); in caso di fallimento vaccinale “secondario”, la protezione svanisce “dopo una iniziale efficacia”.

 

Molti studi illustrano entrambi i tipi di fallimento vaccinale e la possibilità che gli individui vaccinati possano trasmettere la malattia ad altri. In un focolaio di morbillo del 2017 tra individui vaccinati verificatosi in Israele, come riferito dal CDC, tutti i pazienti, tranne uno, avevano prove di laboratorio di una «precedente risposta immunitaria» (fallimento vaccinale secondario) e il paziente che non ha mostrato tali prove ha comunque riferito di aver ricevuto due dosi di vaccino (fallimento primario del vaccino). Inoltre, il paziente che ha dato inizio alla catena di trasmissione aveva ricevuto tre dosi di vaccino contenente morbillo.

Altri studi recenti evidenziano una diffusione ancora più preoccupante del fallimento del vaccino, che è diventato più evidente ad ogni successiva generazione vaccinata: la vaccinazione a lungo andare sta aumentando il numero di individui suscettibili nella popolazione.

 

In un’epidemia di morbillo del 2011 a New York City, «tutti i casi avevano precedenti prove di immunità al morbillo» e un individuo vaccinato due volte, la cui «presentazione clinica» era uguale a quella del morbillo naturale, ha dimostrato di aver trasmesso il morbillo ad altri.

 

Altri studi recenti evidenziano una diffusione ancora più preoccupante del fallimento del vaccino, che è diventato più evidente ad ogni successiva generazione vaccinata: la vaccinazione a lungo andare sta aumentando il numero di individui suscettibili nella popolazione. Nel 2017 ricercatori coreani hanno avvertito che la suscettibilità al morbillo sta aumentando in quel paese perché:

  1. «Gli anticorpi specifici del morbillo diminuiscono in assenza di una stimolazione da parte del virus di tipo selvaggio».
  2. «Il numero di potenziali individui sensibili al morbillo si accumula progressivamente».
  3. «L’immunità indotta dal vaccino è meno efficace dell’immunità acquisita naturalmente».

 

Altri ricercatori, che osservano gli stessi fenomeni, si stanno mettendo le mani nei capelli. Per esempio, ricercatori australiani hanno notato l’anno scorso che «i paesi con un costante controllo del morbillo ora hanno dimostrato che gli anticorpi specifici del morbillo diminuiscono con il tempo dopo la vaccinazione» e hanno concluso impotenti che le implicazioni sono «poco chiare».

 

Altri vaccini notoriamente inefficaci

Questi fenomeni non si applicano solo alla vaccinazione contro il morbillo, ma anche a molti altri tipi di vaccini. Come descritto in precedenza da Children’s Health Defense, i vaccini antinfluenzali, notoriamente inefficaci, sono ancora meno efficaci in individui che ogni anno diligentemente si vaccinano. Questo perché la vaccinazione ripetuta «attenua» la protezione, aumentando al tempo stesso la suscettibilità ad altri ceppi di influenza. Le vaccinazioni antinfluenzali hanno anche dimostrato di rendere le persone più suscettibili ad altri gravi virus respiratori.

 

I problemi di fallimento del vaccino sono ben documentati anche per quanto riguarda la vaccinazione anti pertosse. Infatti, il Giornale della Società di Malattie Infettive Pediatriche ha da poco pubblicato un articolo che delinea i «difetti» della vaccinazione anti-pertosse e le loro gravi conseguenze. L’autore, un ricercatore di alto livello dell’UCLA che ha fatto carriera studiando vaccini contro la pertosse, descrive:

 

– L’insorgenza regolare di «grandi epidemie di pertosse» nelle popolazioni vaccinate;

– Un vaccino che è noto per essere inefficace e per avere una «durata di protezione più breve»; e

– Bambini vaccinati che saranno «più suscettibili alla pertosse nel corso della loro vita».

 

Senza una soluzione a questo inconveniente creato dal vaccino, sostiene l’esperto dell’UCLA, «non c’è un modo semplice per diminuire questa maggiore suscettibilità nel corso della vita».

 

I funzionari della scuola hanno sottolineato che l’epidemia non può essere attribuita agli studenti non vaccinati.

 

Le osservazioni del ricercatore della UCLA non sono neanche notizie «nuove». Nel 2012 dei ricercatori hanno scritto su The New England Journal of Medicine riguardo un’epidemia di pertosse in bambini vaccinati in Oregon.

 

Un funzionario della sanità pubblica di quello stato ha commentato: «Il vaccino [anti pertosse] non eradicherà la pertosse. Non è abbastanza efficace per debellare la malattia e questa circolerà a tempo indeterminato». A ulteriore dimostrazione di queste osservazioni, The Hill, il LA Times e altre agenzie di stampa hanno recentemente riferito di un’epidemia di pertosse verificatasi nel 2019 in una scuola privata elitaria con 1.600 studenti a Los Angeles (praticamente nel cortile della UCLA).

 

Nonostante un «tasso di vaccinazione davvero elevato», 30 studenti (quasi il 2%), tutti vaccinati, hanno sviluppato la pertosse, dimostrando ancora una volta che «le persone che hanno ricevuto il vaccino possono comunque ammalarsi».

 

Nel frattempo, nessuno dei pochi studenti non vaccinati della scuola (18 studenti con esenzioni mediche) ha contratto la pertosse. I funzionari della scuola hanno sottolineato che l’epidemia non può essere attribuita agli studenti non vaccinati.

 

Un rappresentante del CDC ha sostenuto lo stesso argomento durante un’epidemia di pertosse del 2012 nello stato di Washington. Descrivendo la pertosse come «un batterio che è ciclico in natura», il portavoce del CDC ha affermato che le epidemie di pertosse «di tanto in tanto» semplicemente si verificano e «probabilmente non sono il risultato dell’aumento del numero di genitori che scelgono di non vaccinare i propri figli».

 

Ironia della sorte, pur riconoscendo che «anche le persone che sono vaccinate possono essere suscettibili alla malattia», il funzionario è poi ricaduto nel vecchio mantra del CDC: «vaccinatevi».

Nelle cause legali contro Merck relative al vaccino MMR, ex scienziati dell’azienda  affermano che Merck «ha ingannato fraudolentemente il governo e ha omesso, nascosto e falsificato informazioni rilevanti riguardanti l’efficacia del suo vaccino anti-parotite in violazione del FCA [False Claims Act]».

 

I fallimenti dei nostri legislatori

Il tema del fallimento vaccinale non è nuovo, essendo stato discusso fin dai primi giorni della vaccinazione contro il vaiolo, e le descrizioni moderne di fallimento vaccinale continuano a moltiplicarsi.

 

Vi sono anche prove crescenti del fatto che i produttori di vaccini hanno fatto dichiarazioni false circa l’efficacia dei loro prodotti. Nelle cause legali contro Merck relative al vaccino MMR, ex scienziati dell’azienda affermano che Merck «ha ingannato fraudolentemente il governo e ha omesso, nascosto e falsificato informazioni rilevanti riguardanti l’efficacia del suo vaccino anti-parotite in violazione del FCA [False Claims Act]».

 

Secondo un rapporto di Huffpost, le attività fraudolente «di vasta portata» dell’azienda sono state concepite per aiutare Merck a monopolizzare il mercato del vaccino contro la parotite, anche se Merck «si aspettava epidemie» come risultato del suo scadente vaccino. Merck è stata anche accusata di frode e negligenza in relazione ad altri vaccini.

 

Un recente articolo su U.S. News afferma che il desiderio di molte famiglie di scegliere se vaccinare deriva dalla «diffidenza accumulata nei confronti della medicina organizzata, dei regolatori federali e delle aziende farmaceutiche». Anche se U.S. News non lo dice, questa «sfiducia maturata» è ben meritata!

 

Piuttosto che prendersi gioco di persone che, per una varietà di motivi ben fondati, non vaccinano o, peggio, costringerli a iniettare ai loro figli vaccini che non solo sono inefficaci ma anche dannosi, i nostri legislatori dovrebbero indagare sulle potenti entità che stanno cercando di nascondere il fatto che i vaccini sono incapaci di mantenere ciò che promettono.

 

 

© 6 marzo 2019, Children’s Health Defense, Inc. Questo lavoro è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

 

 

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Intelligence

Il Congresso USA potrebbe costringere le agenzie di spionaggio a declassificare le prove sulle origini del COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Nascosto nel vasto National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2026, c’è un testo che richiede al direttore dell’intelligence nazionale di condurre una revisione di declassificazione con i responsabili delle agenzie di intelligence federali delle informazioni su coloro che hanno finanziato la ricerca sul coronavirus e su ciò che si sa sul rischioso lavoro di «acquisizione di funzione» svolto presso il Wuhan Institute of Virology.

 

Per quasi sei anni, la battaglia per scoprire cosa sanno realmente le agenzie di spionaggio statunitensi sulle origini del COVID-19 si è svolta nelle aule dei tribunali, nelle lunghe file del Freedom of Information Act (FOIA) e nei PDF pesantemente censurati.

 

Ora è inserito in un disegno di legge sulla difesa.

 

Nascosta nel vasto National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2026 c’è una disposizione breve ma incisiva: «Declassificazione dei dati di intelligence e ulteriori misure di trasparenza relative alla pandemia di COVID-19».

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Il testo chiave del disegno di legge, che sarà votato questa settimana alla Camera e al Senato, incarica il Direttore dell’intelligence nazionale (DNI) di condurre congiuntamente una revisione della declassificazione con i responsabili delle agenzie di intelligence federali su due fronti principali: informazioni sulla ricerca sul coronavirus nei laboratori cinesi, comprese informazioni su coloro che l’hanno finanziata e ciò che si sa sul rischioso lavoro di «acquisizione di funzione» svolto presso il Wuhan Institute of Virology (WIV), e informazioni sul controllo da parte di Pechino delle informazioni sulla pandemia, incluso il modo in cui i funzionari cinesi potrebbero aver bloccato, ritardato o plasmato le prime narrazioni sulle origini della pandemia e sulla sua diffusione iniziale.

 

La revisione della declassificazione deve essere effettuata entro 180 giorni dall’approvazione del disegno di legge.

 

Successivamente, il DNI deve «rendere pubblici i prodotti di Intelligence» identificati per la divulgazione, apportando solo le modifiche necessarie a proteggere le fonti e i metodi di intelligence, e che sono concordate con l’ agenzia da cui provengono i prodotti di Intelligence.

 

Il DNI deve inoltre presentare una versione non censurata dei prodotti di intelligence declassificati alle commissioni di intelligence del Congresso.

 

Scoprire cosa sa la comunità di intelligence statunitense su come è iniziata la pandemia potrebbe aiutare a definire tutto, dalla regolamentazione dei laboratori al modo in cui viene supervisionata la rischiosa ricerca virologica, fino alla serietà con cui i governi prendono la possibilità che la prossima epidemia possa iniziare dietro le porte chiuse di un laboratorio di ricerca.

 

Secondo alcuni esperti di biosicurezza, la divulgazione pubblica di tali informazioni potrebbe aiutare i decisori politici a stabilire quali misure di sicurezza adottare per impedire che si verifichi una prossima pandemia.

 

Per anni, organismi di controllo e redazioni hanno indagato sulle tracce lasciate dalla comunità dell’intelligence sulla pandemia, cercando cablogrammi, analisi genomiche, rapporti di allerta precoce e deliberazioni interne, tra una lista di documenti segreti. Hanno presentato richieste FOIA a quasi tutte le principali agenzie di intelligence, per poi seguire tali richieste fino ai tribunali federali, quando le agenzie hanno risposto con ritardi, smentite o pagine piene di omissioni.

 

Anche quando il Congresso approvò il COVID-19 Origin Act del 2023, ordinando al DNI di declassificare le informazioni sui possibili collegamenti tra il WIV e l’inizio della pandemia, il pubblico ottenne poco più di un breve riassunto dell’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) che delineava la posizione di ciascuna agenzia di intelligence sulla questione.

 

Il rapporto li divideva in due schieramenti: la maggior parte delle agenzie sosteneva l’ipotesi di un’origine naturale, mentre altre erano favorevoli allo scenario secondo cui il SARS-CoV-2, il virus che ha causato la pandemia, sarebbe fuoriuscito da un laboratorio.

 

Ma le prove di base, le valutazioni, le email degli analisti e le analisi tecniche sono rimaste per lo più nascoste al pubblico.

 

Ora, con l’attesa proposta di legge sull’autorizzazione alla difesa, il Congresso è pronto a riprovarci, chiedendo alle agenzie di intelligence di rivelare pubblicamente ciò che sanno sull’inizio di una pandemia che, secondo alcune stime, ha ucciso più di 20 milioni di persone in tutto il mondo.

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Declassificazione delle registrazioni grezze

Il linguaggio operativo sulla declassificazione delle informazioni di Intelligence sulle origini del COVID-19 è contenuto in più di 2.200 pagine del disegno di legge, all’interno della sezione che stabilisce le regole e gli ordini di marcia per la comunità di intelligence degli Stati Uniti e dove il Congresso approva i budget per le spie, le politiche sull’intelligenza artificiale e le tutele dei whistleblower.

 

Quest’autunno, le commissioni di intelligence sia della Camera che del Senato hanno prodotto rispettivi progetti di legge di autorizzazione all’intelligence, che hanno elaborato gran parte del linguaggio che ora popola quella sezione nascosta nel disegno di legge sulla difesa.

 

Una delle principali differenze tra le due versioni iniziali era che la proposta della Camera conteneva una disposizione volta a garantire che l’ambito delle informazioni declassificate includesse «la possibilità di origini zoonotiche del COVID-19», una clausola che è sopravvissuta nel testo finale compromesso in vista delle votazioni in aula.

 

Ciò che non è sopravvissuto è stato l’obbligo, nella versione del Senato, di rendere pubblici al DNI «i nomi dei ricercatori che hanno condotto ricerche sui coronavirus, nonché le loro attuali sedi di lavoro».

 

La versione di compromesso che ora è pronta per l’adozione inasprisce anche l’obbligo di rendere pubblici i prodotti classificati delle agenzie di intelligence, anziché un rapporto su di essi, come inizialmente richiesto dal disegno di legge del Senato.

 

Ciò significa che il Congresso non chiede più un altro riassunto rifinito, ma chiede alla comunità dell’intelligence di tornare alla documentazione originale e decidere cosa può essere declassificato.

 

Finora, l’unica valutazione completa da parte di un elemento dell’intelligence statunitense ad essere resa pubblica è stata fatta all’inizio di quest’anno, quando l’organizzazione statunitense Right to Know ha estratto una valutazione genomica del SARS-CoV-2 risalente a cinque anni prima, preparata dal National Center for Medical Intelligence della Defense Intelligence Agency.

 

Ottenuta tramite una causa FOIA, l’analisi di giugno 2020 si è presentata sotto forma di una presentazione tecnica di diapositive preparata da tre scienziati governativi che hanno esaminato le caratteristiche genetiche del virus e hanno esposto le capacità di ricerca del WIV per concludere che era plausibile che il SARS-CoV-2 fosse «un virus progettato in laboratorio» che «è sfuggito al contenimento».

 

Questa opinione non è mai apparsa nel rapporto pubblico dell’ODNI ai sensi della legge del 2023, che si basava sui livelli di fiducia dell’agenzia e minimizzava l’idea che il SARS-CoV-2 potesse essere stato progettato. È rimasta invece in un canale riservato, accessibile ad alcuni decisori politici ma non al pubblico le cui vite sono state sconvolte dal virus.

 

L’ultima richiesta di declassificazione è, per molti versi, una risposta al divario tra ciò che esiste sulla carta e ciò che le persone esterne al sistema sono autorizzate a vedere.

 

E non è l’unica parte del disegno di legge che guarda agli insegnamenti tratti dalla pandemia.

 

Un’altra disposizione incarica il direttore dell’intelligence nazionale di stabilire una politica per «semplificare la declassificazione o il declassamento e la condivisione delle informazioni di intelligence relative agli sviluppi e alle minacce biotecnologiche», compresi gli sforzi da parte di avversari stranieri di trasformare la ricerca biologica in un’arma.

 

Rivolto a future pandemie e minacce biologiche, riecheggia la clausola COVID-19, secondo cui il Congresso vuole che queste informazioni vengano tenute meno segrete ai decisori politici e all’opinione pubblica.

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Arrivare a vedere le prove

A sei anni dai primi casi di Wuhan, le origini del COVID-19 restano incerte.

 

Sebbene all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump abbia creato una pagina web accattivante sul sito della Casa Bianca intitolata Lab Leak: The True Origins of COVID-19, non ha pubblicato alcuna nuova prova sostanziale che dimostri che il virus sia emerso da un laboratorio e la posizione ufficiale della comunità dell’Intelligence rimane quella secondo cui l’origine del COVID-19 è incerta e controversa.

 

Alcune agenzie propendono ancora per una ricaduta naturale, altre per un incidente di laboratorio, e molte si collocano a metà strada, esprimendo scarsa fiducia nelle proprie valutazioni.

 

Ma la questione non è più solo quale ipotesi vincerà. È se il pubblico avrà mai accesso alle prove e ai dibattiti che hanno plasmato quei giudizi interni. Tali informazioni potrebbero essere utili per elaborare nuove politiche in grado di prevenire la prossima pandemia, affermano alcuni esperti.

 

Delle oltre 200 richieste di accesso ai documenti pubblici presentate negli ultimi sei anni dall’organizzazione statunitense US Right to Know su questo argomento, decine sono ancora aperte presso le agenzie di intelligence statunitensi.

 

Diverse richieste hanno dato luogo a cause legali contro l’FBI, la CIA, la DIA, l’ODNI e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Anche quando i giudici ordinano a queste agenzie di consegnare i documenti, molti di questi arrivano sepolti sotto censura.

 

Fino alla scorsa settimana, sette mesi dopo aver richiesto alla DIA la «valutazione più recente» sulle origini del COVID-19, l’agenzia ha prodotto solo 12 pagine. Inizialmente aveva affermato che non esistevano tali documenti. Solo dopo una causa legale ha restituito quelle 12 pagine, 11 delle quali sono così pesantemente censurate che non si riesce quasi a leggere nulla di sostanziale.

 

Lewis Kamb

 

Pubblicato originariamente da US Right to Know.

Lewis Kamb è un giornalista investigativo specializzato nell’uso delle leggi sulla libertà di informazione e dei registri pubblici per scoprire illeciti e chiamare i potenti a risponderne.

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Immagine di Ureem2805 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Vaccini

Il comitato consultivo del CDC vota per porre fine alla raccomandazione di vaccinare i neonati contro l’epatite B

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Il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP) ha deliberato per revocare la raccomandazione storica che imponeva la vaccinazione contro l’epatite B a tutti i neonati subito dopo la nascita. Questa decisione rappresenta un trionfo significativo per la campagna «Make America Healthy Again» promossa dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., mirata a una revisione del calendario vaccinale pediatrico, in un’epoca di crescenti interrogativi sull’impennata dei casi di autismo tra i bambini.   Con 8 voti a favore e 3 contrari, l’ACIP ha indicato che le madri risultate negative al test per l’epatite B possano concordare con il proprio pediatra «quando o se» somministrare il vaccino ai loro neonati. Le direttive per i piccoli nati da madri positive o con status ignoto al virus restano immutate.   Si prevedono ulteriori revisioni alla politica vaccinale nei mesi a venire, mentre il panel valuta l’intero protocollo di immunizzazioni infantili. Diversi oratori intervenuti all’assemblea, e almeno parte degli esperti consultati, sono noti per le loro riserve sul tema dei vaccini.   Kennedy si definisce «pro-sicurezza», non «anti-vaccini», ma i media mainstream – pesantemente influenzati dai contributi pubblicitari delle multinazionali farmaceutiche – hanno ritratto il titolare dell’HHS come un «anti-vaccinista». Tale immagine è lontana dalla realtà, come ha ribadito di recente lo stesso Kennedy: «Credo che i vaccini abbiano salvato milioni di vite e svolgano un ruolo fondamentale nell’assistenza sanitaria».

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Il Ssegretario sta esaminando un potenziale nesso tra il vaccino e l’aumento dei disturbi autistici, evidenziando come il piano vaccinale per l’infanzia sia passato da poche somministrazioni a un ventaglio di decine di dosi.   Il vaccino contro l’epatite B ha provocato danni così estesi nella popolazione americana che nel 1999 ABC News gli dedicò un’inchiesta e il Congresso indisse un’audizione. Eppure, gli specialisti allineati alla narrazione ufficiale hanno negato l’esistenza di legami provati. È sufficiente rammentare che le contestazioni più accese alla riforma vaccinale di RFK Jr. proverranno dai media corporate e dai parlamentari, che dipendono in misura preponderante dai finanziamenti dell’industria farmaceutica.   L’Italia è stata il primo Paese europeo a rendere obbligatoria la vaccinazione per i nuovi nati e per gli adolescenti di 12 anni con la legge 27 maggio 1991, n. 165, entrata in vigore dal 1992.   I giornali riportano che la decisione fu presa dal ministero dove direttore generale e ministro della Sanità stesso ricevettero una tangente di 600 milioni di lire da GlaxoSmihKline, produttrice del vaccino Engerix B contro l’epatite B per i neonati.   In Italia l’obbligo è rimasto per i nati dal 1992 in poi (coorti 1981-2000 anche per la dose adolescenti) fino al 2017, quando la legge Lorenzin (119/2017) lo ha confermato estendendolo a 10 vaccinazioni. Oggi resta obbligatorio 0-15 anni.   Va ricordato che l’epatite B si trasmette per via sessuale o scambio di siringhe tra tossicodipendenti: perché, quindi, vaccinare un neonato per tale morbo?

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Vaccini

Uno studio minimizza il rischio di miocardite nei bambini a causa del vaccino COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Questo mese, 22 scienziati britannici hanno pubblicato uno studio volto a tranquillizzare i genitori sui rischi del vaccino contro il COVID-19 e a spaventarli sui pericoli di contrarre il virus. Ma il modello di studio era imperfetto perché poneva la domanda sbagliata. E gli autori hanno nascosto nell’appendice prove che dimostravano che il rischio del vaccino superava quello del virus, pur affermando il contrario nel loro riassunto ampiamente pubblicizzato.

 

I lettori di The Defender sanno bene che i vaccini a mRNA contro il COVID-19 comportano un rischio di miocardite, soprattutto nei bambini. Ma potrebbero non sapere che la miocardite è solitamente invalidante in modo permanente e, negli adulti, spesso fatale entro cinque anni.

 

Purtroppo, ora stiamo anche scoprendo qual è l’evoluzione della miocardite nei bambini vaccinati.

 

Ciò ha rappresentato una battuta d’arresto nelle relazioni pubbliche per l’industria e i governi che hanno sostenuto, e talvolta imposto, che i bambini di età pari a 6 mesi ricevano i vaccini, nonostante il COVID-19 sia quasi sempre lieve o asintomatico nei giovani.

 

Questo mese, 22 scienziati britannici provenienti da prestigiose università hanno pubblicato uno studio volto a tranquillizzare i genitori sui rischi del vaccino e, allo stesso tempo, a spaventarli sui pericoli di contrarre il COVID-19.

 

Il messaggio è che sì, ci sono casi rari – usano sempre la parola «rari» – in cui i bambini contraggono la miocardite dopo la vaccinazione, ma ehi, nessun prodotto può essere perfetto. Ed è meglio rischiare con il vaccino che rischiare di contrarre il COVID-19. Inoltre, sostengono, i bambini hanno maggiori probabilità di contrarre la miocardite se contraggono il virus rispetto a quando contraggono la miocardite con il vaccino.

 

Questo è il messaggio, e gli autori e l’editore hanno l’autorità per diffonderlo ampiamente tramite comunicati stampa e titoli di giornale in Gran Bretagna e in America.

 

Ma cosa dice realmente lo studio? In breve, pone la domanda sbagliata e, nonostante ciò, la risposta che ottengono deve essere sepolta in appendice, perché incoerente con il messaggio che vogliono promuovere.

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Il riassunto dell’articolo ometteva prove del rischio del vaccino

Il disegno dello studio è profondamente compromesso perché i 22 autori hanno costruito un modello complicato per evitare di effettuare un confronto diretto (solo vaccino contro solo malattia).

 

E anche dopo aver falsificato i conti, anche dopo aver preso i dati di quasi 14 milioni di bambini e adolescenti sotto i 18 anni in Inghilterra, hanno ottenuto un risultato che è appena statisticamente significativo, con barre di errore sovrapposte per il rischio da COVID-19 e il rischio da vaccinazione.

 

La situazione peggiora. I risultati, che favorivano marginalmente la vaccinazione, furono annunciati in un riassunto in cima al documento e annunciati alla stampa.

 

Ma nascosta nell’appendice, pubblicata separatamente online, c’è una tabella che mostra una versione più pertinente del confronto.

 

La versione riportata nel riassunto si riferisce a un periodo iniziale in cui il vaccino non era disponibile. L’appendice mostra dati comparabili per il periodo in cui il vaccino era disponibile, limitatamente alle fasce d’età per le quali il vaccino era offerto.

 

Nell’appendice, il rischio di miocardite dovuto alla malattia è la metà di quello associato al vaccino. Ciò contraddice palesemente il riassunto e i titoli dell’articolo – e questa era una risposta alla versione ingannevole della domanda, non a quella più diretta a cui i ricercatori hanno scelto di non rispondere.

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Gli autori dello studio hanno posto la domanda sbagliata

La domanda più pertinente è semplice: i bambini vaccinati hanno avuto un’incidenza di miocardite più alta rispetto ai bambini non vaccinati?

 

È una domanda a cui è facile rispondere, dati i dati a cui questi autori (ma non il pubblico) avevano accesso. In pochi minuti, avrebbero potuto calcolare il tasso di miocardite tra i bambini vaccinati e non vaccinati.

 

Tuttavia, se hanno fatto il calcolo, non ne hanno riportato i risultati. Immagino che abbiano fatto il calcolo, ma non gli sia piaciuto quello che hanno visto, quindi non l’abbiano incluso nell’articolo pubblicato.

 

Come ho affermato sopra, credo che gli autori dello studio abbiano «posto la domanda sbagliata». Ciò che intendo dire è che l’articolo confronta il rischio di miocardite da COVID con il rischio derivante dalla vaccinazione.

 

Ma questa non è la domanda più rilevante. Perché?

 

Poiché molte persone si sono vaccinate e poi hanno comunque contratto il COVID, sono state inutilmente esposte a entrambi i rischi.

 

Al contrario, molti bambini che non hanno ricevuto il vaccino non hanno contratto il COVID. Oppure, la loro forma è così lieve che non se ne accorgono nemmeno. Questi bambini hanno evitato entrambi i rischi.

 

Ecco perché confrontare il rischio di miocardite da COVID con il rischio derivante dal vaccino COVID non è la questione pertinente. Non è una questione di «o l’uno o l’altro».

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Gli autori hanno «confuso le acque» analizzando la miocardite nei bambini vaccinati e il virus

Il messaggio che gli autori volevano trasmettere era che, sebbene il vaccino aumentasse il rischio di miocardite, diminuiva il rischio di COVID e, poiché il COVID stesso può causare miocardite, il rischio totale è in realtà inferiore con la vaccinazione rispetto a senza.

 

Se questa è la loro affermazione, è facile stabilirne la veridicità. Il calcolo più semplice che avrebbero potuto fare con i dati a loro disposizione era anche il calcolo più pertinente a ciò che i genitori vogliono sapere: mio figlio sta meglio con o senza vaccino?

 

Gli autori hanno scelto di non fornirci una risposta semplice a questa domanda semplice.

 

Ma, dato che avevano posto la domanda sbagliata, avrebbero potuto ottenere una risposta chiara semplicemente confrontando il sottoinsieme di bambini che erano stati vaccinati ma non avevano mai contratto il COVID con il sottoinsieme che aveva contratto il COVID ma non era mai stato vaccinato.

 

Poiché lo studio ha incluso dati relativi a due anni di ricerche in tutto il Regno Unito, in queste sottocategorie sono stati inclusi centinaia di migliaia di bambini, più che sufficienti per effettuare un confronto statistico preciso.

 

Ma ancora una volta, gli autori hanno scelto di non farlo. O, secondo me, hanno fatto il confronto e non hanno gradito il risultato, quindi non l’hanno incluso nella pubblicazione.

 

Gli autori hanno invece analizzato la miocardite nell’ampio gruppo di bambini che avevano ricevuto sia il vaccino che la malattia. Questo ha reso le acque confuse perché non esiste un modo chiaro per determinare se sia stata la malattia o il vaccino a danneggiare il cuore del bambino.

 

Da qui il modello complicato, basato sulla tempistica.

 

La possibilità più plausibile è che i bambini che hanno contratto il COVID dopo la vaccinazione abbiano avuto il rischio cardiaco più elevato di tutti. Naturalmente, esiste la possibilità logica che i bambini che hanno contratto il COVID dopo la vaccinazione abbiano avuto una forma più lieve, con un rischio inferiore di miocardite.

 

Tuttavia, se questo fosse stato il risultato, credo che gli autori non solo lo avrebbero incluso, ma gli avrebbero anche dato un titolo.

 

Un’altra cosa: lo studio ha preso in considerazione solo il vaccino Pfizer. Si stima che il rischio di miocardite associato al vaccino Moderna sia tre volte superiore rispetto a quello Pfizer. Avevano i dati di Moderna e hanno scelto di non analizzarli.

 

Oppure l’hanno guardato, hanno deciso che non gli piaceva quello che avevano visto e hanno deciso di non segnalarlo.

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«Si tratta di pubbliche relazioni mascherate da scienza»

Quindi, riassumendo:

  • Gli autori hanno posto una domanda complicata quando una semplice era più pertinente.
  • Data questa domanda errata, non hanno effettuato l’analisi più diretta per rispondere.
  • Ciononostante, hanno scoperto che il vaccino presentava un rischio di miocardite quasi doppio rispetto alla malattia. Questo risultato era riportato solo nella Tabella S16 dell’Appendice Supplementare, ma non era menzionato da nessuna parte nel corpo dell’articolo, né tantomeno nel riassunto in cima.
  • E nonostante ciò hanno fatto annunci importanti al pubblico, sostenendo che il loro studio conferma che i bambini stanno meglio con il vaccino che senza.

 

Questa è solo una forma di pubbliche relazioni mascherata da scienza. Il fatto che un articolo come questo sia stato sottoposto a revisione paritaria e pubblicato in modo prominente sulla rivista medica più prestigiosa della Gran Bretagna ci dice quanto profondamente sia corrotto l’ecosistema della ricerca medica.

 

Ed è questa la «scienza» su cui si basa la Food and Drug Administration statunitense quando approva vaccini pericolosi per bambini sani che non corrono quasi alcun rischio a causa della malattia stessa.

 

Nella maggior parte degli articoli statistici, i dati grezzi utilizzati per uno studio sono pubblicati online e collegati in un’appendice all’articolo. Tuttavia, in questo caso, il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) del Regno Unito ha concesso l’accesso ai dati esclusivamente a questo prestigioso gruppo di scienziati.

 

Personalmente, vorrei vedere i dati grezzi ed eseguire l’analisi che i 22 scienziati avrebbero dovuto fare fin dall’inizio. Children’s Health Defense sta richiedendo l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale. Restate sintonizzati…

 

Dott. Josh Mitteldorf

 

© 3 dicembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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