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Malattie autoimmuni e vaccini: comprendere il legame

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Riportiamo questo articolo apparso sul sito del World Mercury Project, il gruppo animato da Robert F. Kennedy jr.

 

 

 

Negli ultimi decenni le malattie autoimmuni sono diventate sempre più comuni negli Stati Uniti e in altri paesi ad alto reddito e ora colpiscono circa il 5% -10% della popolazione di quei paesi.

L’ampia categoria di “malattia autoimmune” comprende oltre 100 diverse condizioni reumatiche, endocrinologiche, gastrointestinali e neurologiche che si verificano quando le risposte immunitarie del corpo vengono erroneamente indirizzate verso se stesso.

 

I ricercatori concordano nel dire che i fattori ambientali (inclusi farmaci e sostanze chimiche) sono fortemente responsabili dell’aumento delle malattie autoimmuni, verosimilmente insieme ad influenze genetiche ed epigenetiche.

Studi risalenti alla metà degli anni ’90 indicano che i vaccini, con la loro unica configurazione di antigeni e adiuvanti virali o batterici, possono essere un trigger biologicamente plausibile.

Studi risalenti alla metà degli anni ’90 indicano che i vaccini, con la loro unica configurazione di antigeni e adiuvanti virali o batterici, sono un trigger biologicamente plausibile

 

Il segno patogeno caratteristico della malattia autoimmune è la produzione di proteine ​​chiamate autoanticorpi, per mezzo dei quali il sistema immunitario attacca erroneamente gli organi, i tessuti e le cellule del corpo invece di combattere i patogeni esterni.

 

I vaccini possono stimolare la produzione di autoanticorpi attraverso un meccanismo chiamato «mimetismo molecolare».

 

Come spiegato da alcuni ricercatori israeliani in un nuovo articolo pubblicato su Cellular & Molecular Immunology, le significative somiglianze tra gli antigeni patogeni contenuti in un vaccino e le proteine ​​umane del corpo della persona che riceve il vaccino possono portare ad un fenomeno immunitario chiamato cross-reactivity («reattività incrociata») ed «evolvere in un processo autoimmune che prende di mira le auto-proteine».

 

Tre esempi:

 

I ricercatori israeliani hanno esaminato tre esempi di probabile mimetismo molecolare, esaminando le prove che collegano i vaccini contro l’influenza, l’epatite B e il papillomavirus umano (HPV) all’autoimmunità indotta dal vaccino.

La maggior parte degli esperti dei vaccini ignorano che gli adiuvanti come l’alluminio possono essere un potenziale fattore ambientale scatenante per l’autoimmunità

 

  • Influenza: nel 2009, decine di milioni di europei e nordamericani hanno ricevuto un vaccino contro l’influenza H1N1 contenente un nuovo adiuvante chiamato AS03 (composto da alfa-tocoferolo, squalene e polisorbato 80). Poco dopo, dai rapporti iniziarono ad emergere bruschi aumenti per due condizioni autoimmuni, la narcolessia e la sindrome di Guillain-Barré (GBS) – con un aumento del rischio di 2-3 volte tanto per la GBS nei 42 giorni successivi alla vaccinazione. Nel caso di individui affetti da narcolessia, la ricerca che spiega lo sviluppo della reattività incrociata e di autoimmunità, ha identificato una somiglianza tra una nucleoproteina del vaccino influenzale e un recettore umano per il neurotrasmettitore HCRT (che aiuta a regolare gli stati sonno-veglia). Allo stesso modo il mimetismo molecolare è considerato essere un potenziale meccanismo di collegamento tra vaccino antinfluenzale e GBS.

 

  • Epatite B: Un certo numero di casi segnalati ha suggerito un ruolo dei vaccini del virus dell’epatite B (HBV) nello sviluppo di condizioni di autoimmunità, in particolare per quanto riguarda le malattie demielinizzanti (condizioni che danneggiano la guaina protettiva che circonda le fibre nervose nel cervello, i nervi ottici e il midollo spinale ). Le neuropatie demielinizzanti comprendono la sclerosi multipla (SM), l’encefalomielite acuta disseminata, la mielite trasversa e altre. Uno studio del 2005 ha stabilito un’iniziale «dimostrazione pratica per la teoria del mimetismo molecolare che porta all’autoimmunità tra soggetti vaccinati con HBV». Lo studio ha esaminato le somiglianze tra l’antigene di superficie HBV ricombinante (geneticamente modificato) contenuto nel vaccino HBV e due proteine umane spesso associate a danni alla mielina nella sclerosi multipla (proteina basica e glicoproteina oligodendrocita della mielina) ed ha mostrato una reattività incrociata significativamente maggiore nei soggetti vaccinati rispetto ai soggetti di controllo.

 

  • HPV: La ricerca ha suggerito un legame tra la vaccinazione HPV e almeno due patologie autoimmuni: il lupus eritematoso sistemico (SLE) e la sindrome da tachicardia ortostatica posturale (POTS) – anormale condizione della frequenza cardiaca che frequentemente si sovrappone alla sindrome da stanchezza cronica. Nel caso del SLE, i ricercatori israeliani hanno richiamato l’attenzione in altre pubblicazioni sulla «omologia» (corrispondenza) tra diversi peptidi virali del vaccino e i peptidi umani noti per essere deregolati in caso di lupus eritematoso sistemico, così come il mimetismo molecolare tra peptidi specifici del vaccino HPV e proteine umane sono potenzialmente associate ad aritmie cardiache.

 

Autoanticorpi nell’autismo

 

Gli adiuvanti di alluminio sono presenti nella maggior parte dei vaccini.

 

I ricercatori israeliani sottolineano che sebbene gli adiuvanti di alluminio siano «utilizzati (…) con l’unico scopo di ridurre la resistenza immunitaria» e potenziare invece la risposta immunitaria, la maggior parte degli esperti dei vaccini ignorano che gli adiuvanti possono essere un potenziale fattore ambientale scatenante per l’autoimmunità.

 

Alcuni dei molti motivi per cui il monitoraggio della sicurezza dei vaccini è fallace, includono una classificazione diagnostica variabile dei casi, la manipolazione dell’intervallo di rischio post-vaccinazione, l’incapacità di valutare la sottostima delle reazioni avverse (che il governo americano riconosce essere diffuso), una «sostanziale faziosità di pubblicazione che  favorisce studi che supportano la sicurezza del vaccino».

L’inclinazione a sottovalutare l’alluminio è alquanto sorprendente soprattutto alla luce delle altre ricerche che collegano i metalli neurotossici, tra cui il mercurio ed il piombo, alla comparsa di autoanticorpi cerebrali nei bambini con disturbo dello spettro autistico (DSA).

 

Il mercurio è ancora presente in molti vaccini in tutto il mondo e in alcuni vaccini negli Stati Uniti.

In uno studio pubblicato nel 2015, alcuni ricercatori egiziani hanno descritto la presenza di autoanticorpi anti-mielina di base (anti-MBP) in bambini autistici che avevano elevati livelli di mercurio nel sangue.

Identificando  il mercurio come «uno dei principali fattori ambientali scatenanti dell’autoimmunità nell’autismo», questi ricercatori hanno ipotizzato che l’esposizione a «mercurio, proteine ​​alimentari e antigeni microbici» (come gli antigeni nei vaccini) può dare il via ad una catena di reazioni autoimmuni che inizia con il mimetismo molecolare e la formazione di autoantigeni omologhi.

 

Alcuni ricercatori ipotizzano che le patologie autoimmuni del cervello (come quella osservata nella sindrome dell’aspetto autistico) necessitino di una «circostanza che aumenta la permeabilità della barriera emato-encefalica permettendo agli anticorpi di attraversarla e di accedere al tessuto cerebrale per inibire e alterare i processi neuronali». Sia il mercurio che l’alluminio possono danneggiare la barriera emato-encefalica permettendo agli antigeni del vaccino di penetrare nel cervello.

 

Prendere sul serio l’autoimmunità

 

Dato l’aumento di oltre 100 malattie autoimmuni fin dalla metà degli anni ’40, è preoccupante che i tre esempi riportati dai ricercatori israeliani siano, sempre per ammissione degli stessi autori, ancora soggetti ad «un significativo dibattito».

 

Come proseguono a spiegare, esiste una inaccettabile mancanza di dati scientifici di alta qualità rispetto alle reazioni avverse correlate al vaccino.

Alcuni dei molti motivi per cui il monitoraggio della sicurezza dei vaccini è fallace, includono una classificazione diagnostica variabile dei casi, la manipolazione dell’intervallo di rischio post-vaccinazione, l’incapacità di valutare la sottostima delle reazioni avverse (che il governo americano riconosce essere diffuso), una «sostanziale faziosità di pubblicazione che  favorisce studi che supportano la sicurezza del vaccino».

 

Invece di cercare di seppellire gli eventi aversi come inconvenienti al racconto sull’imprescindibile sicurezza del vaccino, dovremmo prestare attenzione a quelle «bandiere rosse» che le reazioni avverse rappresentano.

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Vaccini antinfluenzali collegati a un elevato rischio di ictus negli anziani: studio della FDA

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Alcune persone che hanno ricevuto un vaccino contro il COVID-19 erano a maggior rischio di ictus, ma un’analisi ha rilevato che il rischio era collegato alla vaccinazione antinfluenzale, hanno affermato i ricercatori della Food and Drug Administration (FDA) statunitense in un nuovo studio. Lo riporta la testata statunitense Epoch Times.

 

I ricercatori, analizzando i dati del programma sanitario pubblico americano Medicare, hanno rilevato un elevato rischio di ictus tra gli anziani a seguito della somministrazione di un vaccino bivalente contro il COVID-19 e disponibile dall’autunno del 2022 all’autunno del 2023.

 

Gli studiosi avrebbero scoperto che «c’era un rischio elevato di ictus non emorragico o attacco ischemico transitorio nelle persone di età pari o superiore a 85 anni dopo la vaccinazione bivalente Pfizer e nelle persone di età compresa tra 65 e 74 anni dopo la vaccinazione Moderna» scrive Epoch Times. I ricercatori hanno quindi esaminato quali persone hanno ricevuto un vaccino antinfluenzale contemporaneamente a un vaccino COVID-19 e avrebbero visto che il rischio elevato persisteva solo tra le persone che avevano ricevuto i vaccini contemporaneamente.

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I vaccini antinfluenzali ad alte dosi sono destinati principalmente agli anziani, mentre i vaccini antinfluenzali adiuvati sono un altro tipo di vaccino antinfluenzale.

 

«Il significato clinico del rischio di ictus dopo la vaccinazione deve essere attentamente considerato insieme ai benefici significativi derivanti dalla vaccinazione antinfluenzale», hanno affermato i ricercatori, aggiungendo in seguito che «sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’associazione tra vaccinazione antinfluenzale ad alte dosi o adiuvata e ictus».

 

Lo studio è stato pubblicato dal Journal of American Medical Association. In precedenza era stato archiviato come preprint.

 

Le limitazioni includono l’esclusione dei casi affetti da COVID-19 nei 30 giorni precedenti l’ictus nonché la limitazione dello studio alle persone vaccinate. Il metodo utilizzato dai ricercatori, una serie di casi autocontrollati, ha utilizzato le persone vaccinate sia come gruppo primario che come gruppo di controllo.

 

I ricercatori hanno considerato gli ictus verificatisi entro 42 giorni dalla vaccinazione come possibilmente collegati alla vaccinazione, mentre gli ictus verificatisi tra 43 e 90 giorni dopo la vaccinazione come non correlati alla vaccinazione.

 

Il documento includeva casi di ictus tra il 31 agosto 2022 e gennaio o febbraio 2023, a seconda del tipo di ictus. Dopo le esclusioni, sono stati inclusi 11.001 casi di ictus.

 

Gli unici conflitti di interesse elencati dai ricercatori riguardavano il fatto che alcuni di loro lavoravano per Acumen. Il documento è stato finanziato dalla FDA attraverso un accordo di cui Acumen è l’appaltatore. «La FDA ha avuto un ruolo nella progettazione e nella conduzione dello studio; interpretazione dei dati; preparazione, revisione o approvazione del manoscritto; e decisione di sottoporre il manoscritto per la pubblicazione. La FDA non ha avuto alcun ruolo nella raccolta, gestione o analisi dei dati», secondo lo studio.

 

Il possibile rischio di ictus per il vaccino bivalente della Pfizer e per gli anziani è stato segnalato per la prima volta all’inizio del 2023, scrive ET. La FDA e i Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) hanno affermato che all’epoca era apparso un segnale di sicurezza in un sistema di monitoraggio del governo. Il CDC ha successivamente affermato che i dati del sistema suggerivano che il rischio elevato derivava dalla somministrazione di un vaccino antinfluenzale con un vaccino anti-COVID-19.

 

Ricercatori francesi hanno affermato di aver esaminato se la somministrazione di un vaccino bivalente fosse collegata a un tasso più elevato di ictus e di altri eventi cardiovascolari rispetto alle vecchie versioni del vaccino e hanno scoperto che la somministrazione del primo era in realtà collegata a un tasso inferiore, riporta sempre Epoch Times.

 

«A 21 giorni dalla dose di richiamo, non abbiamo trovato prove di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari tra i soggetti che hanno ricevuto il vaccino bivalente rispetto a quelli che hanno ricevuto il vaccino monovalente», hanno affermato in una lettera pubblicata dal New England Journal of Medicine.

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La dottoressa Kathryn Edwards e Marie Griffin della Vanderbilt University, che non erano coinvolte negli studi della FDA o in quelli francesi, hanno affermato in un editoriale pubblicato da JAMA questa settimana che i risultati della ricerca sono rassicuranti ma che il monitoraggio continuo dei vaccini antinfluenzali tra gli anziani «fornirebbe dati aggiuntivi sull’influenza rischio di ictus».

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 è emerso che, secondo dati, vi sarebbe stato un numero di morti 45 volte superiore dopo le iniezioni COVID in soli 2 anni rispetto a tutti i decessi correlati al vaccino antinfluenzale dal 1990.

 

Il CEO di Moderna Stéphane Bancel un anno fa aveva ammesso pubblicamente che di fatto il vaccino mRNA COVID sarebbe diventato come l’antinfluenzale, con le persone «vulnerabili» che lo faranno ciclicamente.

 

La Casa Bianca di Biden due anni fa era arrivata a fare la grottesca raccomandazione teologico-vacccinale per cui «Dio ci ha dato due braccia: una per il vaccino antinfluenzale, una per il vaccino COVID».

 

In preparazione, da anni, c’è un vaccino «antinfluenzale universale».

 

La correlazione tra vaccinazione contro l’influenza e mortalità da COVID-19 è stata oggetto di speculazioni già nel 2020, con uno studio del Pentagono USA che asseriva che il vaccino antinfluenzale aumentava il rischio del coronavirus del 36%.

 

Riguardo al vecchio vaccino antinfluenzale vi è stato in questi anni qualche dubbio, qualche storia agghiacciantequalche lotto ritirato, qualche morte sospetta, tuttavia ovviamente con «nessuna correlazione».

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Vaccini

Imprinting immunitario per i vaccinati e risposte insolite ai booster mRNA: studio

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Le persone che hanno assunto almeno tre dosi della versione originale del vaccino mRNA COVID-19 hanno avuto un forte imprinting immunitario, ha scoperto uno studio dell’Università di Washington. Lo riporta Epoch Times.   Di conseguenza, quando vaccinati con i più recenti richiami dell’mRNA di COVID-19 XBB.1.5, i riceventi hanno prodotto pochi o nessun anticorpo specifico per la variante XBB.1.5.   L’imprinting immunitario si verifica quando precedenti infezioni o vaccinazioni lasciano una memoria immunitaria così forte che il corpo continua a produrre cellule immunitarie e anticorpi mirati alla precedente esperienza immunitaria, anche se esposto a una nuova variante o vaccino.   L’imprinting immunitario «potrebbe essere un problema se la persona non fosse in grado di innescare una risposta immunitaria utile contro una nuova variante», ha detto alla testata statunitense il dottor Stanley Perlman, immunologo e microbiologo dell’Università dell’Iowa. Non è stato coinvolto nello studio.   Anche se ciò non si è verificato in questo studio, la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo la vaccinazione avevano come bersaglio la variante originale del COVID-19 e non XBB.1.5.

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«L’imprinting non è un concetto nuovo, ma la situazione che stiamo osservando sembra essere piuttosto unica», ha affermato David Veesler, che ha un dottorato in biologia strutturale, è professore e presidente del Dipartimento di Biochimica dell’Università di Washington e ricercatore con l’Howard Hughes Medical Institute, in un comunicato stampa.   L’imprinting immunitario è un fenomeno ben noto che può verificarsi con altre infezioni e virus. Nuove infezioni influenzali distinte dalle varianti precedenti possono superare l’imprinting derivante dalle vaccinazioni e dalle infezioni antinfluenzali.   Tuttavia, nello studio UW, l’imprinting immunitario persisteva anche tra i soggetti infettati dalle nuove varianti di omicron.   «È completamente diverso da ciò che sappiamo del virus dell’influenza», ha affermato Veesler.   «L’imprinting immunitario persiste dopo esposizioni multiple ai picchi di Omicron attraverso la vaccinazione e l’infezione, inclusa la vaccinazione di richiamo post XBB.1.5, che dovrà essere presa in considerazione per guidare la futura vaccinazione», scrivono gli autori dello studio.   Allo studio hanno partecipato più di 20 persone con una storia di tre o più vaccini mRNA della variante Wuhan. La maggior parte era stata infettata da infezioni da COVID-19 pre e post-omicron.   Oltre ai vaccini originali a mRNA, la maggior parte dei partecipanti ha assunto il richiamo bivalente o il richiamo XBB.1.5. Al momento dello studio, tutti i partecipanti avevano effettuato da quattro a sette iniezioni.   Gli autori hanno scoperto che la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo l’inoculazione dell’mRNA XBB.1.5 erano i migliori nel neutralizzare la variante originale di Wuhan COVID-19.

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Gli anticorpi avevano la seconda maggiore potenza neutralizzante contro la variante BA.2.86 omicron. Gli anticorpi erano il terzo più potente contro XBB.1.5 nelle persone che avevano assunto il vaccino XBB.1.5.   Questi anticorpi erano cross-reattivi, nel senso che potevano anche legarsi ad altre varianti, comprese le varianti XBB.1.5. Tuttavia, erano presenti pochi o nessun anticorpo specifico per XBB.1.5.   Alcune persone hanno prodotto nuove cellule immunitarie che hanno riconosciuto solo XBB.1.5. Tuttavia, dei 12 partecipanti valutati, solo cinque avevano cellule immunitarie che riconoscevano XBB.1.5 ma non la variante Wuhan.   «La maggior parte degli anticorpi richiamati dai richiami vaccinali aggiornati sono cross-reattivi e aiutano a bloccare nuove varianti, il che è positivo. Tuttavia, potremmo fare un lavoro ancora migliore? La risposta è molto probabilmente sì», ha affermato Vessler.   Una possibile spiegazione è che il vaccino mRNA crea un effetto di imprinting immunitario più robusto rispetto ai vaccini precedentemente noti. Gli autori hanno citato un altro studio che ha scoperto che l’inoculazione con virus COVID-19 uccisi ha prodotto un effetto di imprinting ridotto negli esseri umani.   «I vaccini inattivati ​​inducono una risposta immunitaria più debole, quindi ci sono meno possibilità che la risposta sia influenzata» verso una variante, ha detto il dottor Perlman.   «I vaccini mRNA potrebbero essere stati così efficaci e suscitato risposte immunitarie così forti che l’imprinting potrebbe essere più forte di quello che siamo abituati a vedere con i vaccini per altri virus come quello dell’influenza», ha affermato Veesler.   L’imprinting immunologico, conosciuto anche come «peccato originale antigenico» (e noto anche come effetto Hoskins), si riferisce alla tendenza del sistema immunitario umano a fare affidamento sulla memoria immunologica anziché generare nuovi anticorpi in risposta a una seconda esposizione al patogeno, anche se questo presenta caratteristiche diverse rispetto a quello originario.

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Questo fenomeno costringe il sistema immunitario a utilizzare la stessa risposta immunitaria contro lo stesso antigene, impedendogli di sviluppare nuove risposte contro il patogeno (come virus o batteri) che nel frattempo può aver subito mutazioni. Il peccato originale antigenico è stato osservato in virus come l’influenza, la dengue, l’HIV e molti altri.   Questo principio fu per la prima volta formulato nel 1960 dal virologo ed epidemiologo Thomas Francis (1900-1969) nel suo articolo «On the Doctrine of Original Antigenic Sin» («Sulla dottrina del peccato originale antigenico»), e prese il nome per analogia con il concetto teologico del peccato originale.   «Nella vita, durante la prima infezione dal virus dell’influenza di tipo A, il bambino produrrà anticorpi diretti principalmente contro l’antigene dominante del patogeno» sosteneva, secondo Richard Krause, lo studioso che guidò lo sviluppo del vaccino polio con il suo studente Jonas Salk. «L’impronta del primo ceppo di virus nel sistema immunitario condizionerà le future risposte immunitarie. Questo è quello che intendiamo come “peccato originale antigenico”».   Detto anche primary addiction, il concetto sottolinea la propensione del sistema immunitario a utilizzare preferenzialmente la memoria immunologica basata su una precedente infezione quando viene incontrata una seconda versione leggermente diversa di quell’agente patogeno estraneo (ad esempio un virus o un batterio). Ciò lascia il sistema immunitario «intrappolato» dalla prima risposta che ha dato a ciascun antigene e incapace di innescare risposte potenzialmente più efficaci durante le infezioni successive. Gli anticorpi o le cellule T indotti durante le infezioni con la prima variante dell’agente patogeno sono soggetti al congelamento del repertorio, una forma di peccato antigenico originale.   Già in passato La relativa inefficacia del richiamo bivalente contro la variante SARS-CoV-2 Omicron nei pazienti che avevano precedentemente ricevuto vaccini COVID-19 è stata attribuita all’imprinting immunologico in un articolo («Vaccini bivalenti contro il Covid-19: un avvertimento») pubblicato nel febbraio 2023 dal prestigioso New England Journal of Medecine a firma dell’ultravaccinista Paul Offit.

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Salute

Vaccini COVID e trasfusioni, studio giapponese chiede la sospensione a causa dei problemi di contaminazione delle banche del sangue

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Secondo un recente studio giapponese, ricevere trasfusioni di sangue da individui vaccinati contro il COVID-19 potrebbe rappresentare un rischio medico per i riceventi non vaccinati poiché numerosi eventi avversi vengono segnalati tra le persone vaccinate in tutto il mondo. Lo riporta la testata americana Epoch Times.

 

La revisione dello studio preprint, pubblicata il 15 marzo, ha esaminato se ricevere sangue da individui vaccinati contro il COVID-19 è sicuro o rappresenta un rischio per la salute. Molte nazioni hanno riferito che l’uso del vaccino mRNA ha provocato «trombosi post-vaccinazione e conseguenti danni cardiovascolari, nonché un’ampia varietà di malattie che coinvolgono tutti gli organi e sistemi, compreso il sistema nervoso».

 

Le vaccinazioni ripetute possono rendere le persone più vulnerabili al COVID-19, ha affermato. Se il sangue contiene proteine ​​​​spike, diventa necessario rimuovere queste proteine ​​prima della somministrazione e non esiste attualmente una tecnologia del genere disponibile, hanno scritto gli autori.

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Contrariamente alle aspettative precedenti, è stato scoperto che i geni e le proteine ​​dei vaccini genici persistono nel sangue dei soggetti vaccinati per «periodi di tempo prolungati». Inoltre, «una serie di eventi avversi derivanti dai vaccini genetici vengono ora segnalati in tutto il mondo». Ciò include una vasta gamma di malattie legate al sangue e ai vasi sanguigni.

 

Alcuni studi hanno riportato che la proteina «spike» nei vaccini mRNA è neurotossica e in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, afferma la revisione. «Pertanto, non vi è più alcun dubbio che la proteina spike utilizzata come antigene nei vaccini genetici sia essa stessa tossica».

 

Inoltre, le persone che hanno effettuato più iniezioni di vaccini a mRNA possono avere diverse esposizioni allo stesso antigene in un breve lasso di tempo, il che può portare a «imprimere una risposta immunitaria preferenziale a quell’antigene».

 

Ciò ha portato i destinatari del vaccino COVID-19 a diventare «più suscettibili a contrarre il COVID-19».

 

Date tali preoccupazioni, i professionisti medici dovrebbero essere consapevoli dei «vari rischi associati alle trasfusioni di sangue utilizzando prodotti sanguigni derivati ​​da persone che hanno sofferto di COVID a lungo termine e da destinatari di vaccini genetici, compresi coloro che hanno ricevuto vaccini a mRNA».

 

L’impatto di tali vaccini genetici sugli emoderivati ​​così come i danni effettivi da essi causati sono attualmente sconosciuti, hanno scritto gli autori.

 

«Al fine di evitare questi rischi e prevenire un’ulteriore espansione della contaminazione del sangue e una complicazione della situazione, chiediamo con forza che la campagna di vaccinazione con vaccini genetici venga sospesa e che venga effettuata una valutazione del rapporto rischio-beneficio il prima possibile».

 

La vaccinazione ripetuta di vaccini genetici può anche finire per causare «alterazioni nella funzione immunitaria» tra i riceventi. Ciò aumenta il rischio di malattie gravi dovute a infezioni opportunistiche o virus patogeni, che non sarebbero state un problema se il sistema immunitario fosse normale, afferma la revisione.

 

«Pertanto, nell’ottica del tradizionale contenimento delle malattie infettive, è necessaria maggiore cautela nel prelievo di sangue da soggetti vaccinati genetici e nella successiva manipolazione degli emoderivati, così come durante i trapianti di organi solidi e anche negli interventi chirurgici, al fine di evitare il rischio di infezioni accidentali trasmesse per via ematica», ha affermato.

 

La revisione è stata finanziata dai membri della Società giapponese per le complicanze legate ai vaccini e dalla Volunteer Medical Association. Gli autori non hanno dichiarato alcun conflitto di interessi.

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La revisione ha sottolineato che lo stato di vaccinazione genetica dei donatori di sangue non viene raccolto dalle organizzazioni, anche se l’uso di tale sangue può comportare rischi per i pazienti. Pertanto, gli autori hanno raccomandato che, quando i prodotti sanguigni derivano da tali persone, «è necessario confermare la presenza o l’assenza di proteine ​​​​spike o mRNA modificato come in altri test per agenti patogeni».

 

«Se si scopre che il sangue contiene la proteina Spike o un gene modificato derivato dal vaccino genetico, è essenziale rimuoverli», afferma. «Tuttavia, al momento non esiste un modo affidabile per farlo».

 

Poiché «non esiste un modo per rimuovere in modo affidabile la proteina patogena o l’mRNA, suggeriamo che tutti questi prodotti sanguigni vengano scartati fino a quando non verrà trovata una soluzione definitiva».

 

Gli autori hanno sottolineato che casi di encefalite tra le persone che hanno ricevuto sangue da soggetti vaccinati contro la dengue sono stati segnalati solo l’anno scorso. Ciò suggerisce che l’attuale sistema di tracciamento e gestione dei prodotti sanguigni «non è adeguato».

 

Poiché i vaccini genetici sono stati implementati su scala globale per una popolazione massiccia, «si prevede che la situazione sarà già complicata» rispetto ai precedenti disastri farmaceutici.

 

Pertanto, esiste un «urgente bisogno» di leggi e trattati internazionali relativi alla gestione dei prodotti sanguigni, hanno scritto gli autori.

 

La questione delle trasfusioni di sangue da soggetti vaccinati contro il COVID-19 è stata molto controversa. Nel 2022, un tribunale della Nuova Zelanda si è pronunciato contro i genitori di un figlio neonato malato dopo aver rifiutato le trasfusioni di sangue di persone vaccinate. I genitori avevano chiesto al sistema sanitario di consentire la trasfusione di sangue da soggetti non vaccinati, con donatori già disposti a contribuire. Nella sua sentenza, il tribunale ha privato i genitori della custodia medica del figlio.

 

In Canada i medici hanno segnalato anche l’andamento della resistenza delle persone alle trasfusioni di sangue dei vaccinati. Parlando alla CBC nel 2022, il dottor Dave Sidhu, responsabile medico dell’Alberta meridionale per la medicina trasfusionale e dei trapianti, ha affermato che i genitori di bambini malati richiedevano sangue non vaccinato.

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«Lo vediamo circa una o due volte al mese, in questa fase. E la preoccupazione ovviamente è che queste richieste possano aumentare», disse allora.

 

Nello Stato americano del Wyoming, la deputata repubblicana Sarah Penn ha sponsorizzato un disegno di legge che impone che il sangue donato da persone che hanno effettuato iniezioni di COVID-19 venga etichettato. Ciò consentirà ai riceventi che non desiderano accettare tale sangue di rifiutarlo.

 

In un’intervista con il Cowboy State Daily, la Penn ha dichiarato che «per vari motivi, molte persone hanno intenzionalmente cercato di tenere le terapie a base di mRNA fuori dai loro corpi, fino al punto che alcuni hanno perso i loro mezzi di sussistenza (…) Le loro preoccupazioni sono giustificate».

 

Come riportato da Renovatio 21, pochi mesi dopo la vicenda canadese si ebbe il caso del piccolo Alex un bambino americano morto dopo che l’ospedale aveva rifiutato una trasfusione di sangue non vaccinato.

 

Trasfusioni e patria potestà furono al centro di un drammatico caso anche in Italia, con pronunciamento dei giudici.

 

Il tema delle scorte di sangue, e della possibilità di scegliere il proprio donatore, non è ancora affrontato dalla Sanità e dalla politica, tuttavia è un punto nodale nel quale si esprime la frattura sociale e biologica creatasi con le vaccinazioni COVID.

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