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L’Italia del rock vaccinaro, amico della censura

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Ci tocca di vedere anche questa. Legioni dei facenti parti della un tempo detta «musica ribelle» nazionale – quello che chiamano, sorvolando la contradictio in adjecto, «Rock italiano» – hanno deciso, in un coraggio annunziato urbi et orbi, di abbandonare la piattaforma social X, già nota come Twitter.

 

Eh sì, alcuni noti personaggi dello star system italiota, ritenendo il nuovo proprietario Elon Musk un figuro cattivo e illiberale, in ispecie dopo che è stato organicamente assorbito dalla sfera trumpiana, hanno cancellato i propri account X, lasciandoci senza più i loro rockettissimi «cinguettii digitali».

 

Una presa di posizione decisa da parte degli eroi della musica leggera, una scelta forte e irrevocabile contro il nuovo padrone, il tiranno Elon. Il quale, di fatto, ha semplicemente reso più libera la piattaforma, licenziando l’80% della forza lavoro (il sito va meglio di prima: cosa faceva tutta quella gente?) e reintegrando le persone che erano state espulse, talvolta solo per un pronome sbagliato, di fatto svincolandolo dalle mannaje censorie della gestione precedente, che il Musk ha paragonato, senza scherzare, alla Pravda dei tempi sovietici.

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I paladini della sedicente «musica ribelle», quindi parrebbe di capire della libertà di espressione, non ci stanno. Ecco che i vari Piero Pelù, Elio e le storie tese, Nicola Piovani e il redivivo scrittore Roberto Saviano (ma dove lo avevano messo?), solo per citarne qualcuno, se ne vanno dal social muskiano. Sono gli stessi che non pare abbiano mosso un dito quando, con un arbitrio totalitario, venivano chiusi i profili utenti sgraditi alla ditta. Ricordate quel tempo? È stato poco fa…

 

Che il vero confronto, la vera libertà di espressione – o semplicemente le opinioni terze – siano per alcuni così intollerabili? Perché poi? Perché possono minare le granitiche convinzioni politicamente corrette? Perché sono abituati a vedere l’ecosistema dei media (social, allineati con TV, giornali, cinema, tutto) ripetere sempre e solo la loro versione?

 

Vogliamo ricordarci di come alcuni degli indomiti idoli del rock nell’era pandemica schernivano chi non la pensava come loro, chi nutriva qualche ragionevole dubbio sull’efficacia delle mascherine, sul beneficio incondizionato dei lockdown e sulla magia salvifica del «santo siero» anti-COVID.

 

Tutti, in coro monofonico, lodarono il vaccino attraverso i propri canali social e finanche urlandolo ai propri concerti con quel fare spocchioso o di chi stava facendo la cosa giusta e doveva indottrinare i dissidenti.

 

Come l’osannato rocker di Zocca, Vasco Rossi – per il quale lo scrivente nutre una passione musicale profonda – che a metà del brano Eh… già inserito nel suo ultimo CD dal vivo canta i seguenti versi: «Eh già, ormai io sono vaccinato sai. Tre volte!».

 

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Le ugole filopandemiche non si sono risparmiate nel bio-catechismo dei loro fan. Di più: in alcuni casi VIP dello spettacolo avrebbero anche incitato, tramite i loro account social, a segnalare i propri vicini di casa che non si allineavano ai diktat di Stato, come un noto attore romano figlio d’arte ci ha insegnato.

 

All’estero, come in Italia, gli impavidi rockettari, aderirono in massa al pensiero unico dominante. I tanto eclettici Kiss, per voce del bassista e cantante Gene Simmons definì «nemici» coloro che rifiutano il vaccino. «Non mi importa delle tue convinzioni politiche», disse il Simmons proprio quando lui e il compagno di band, Paul Stanley, sono risultati positivi al coronavirus nonostante si sottoposero a vaccinazione.

 

Anche gli Offspring – band punk-rock californiana assai nota a metà degli anni Novanta – si omologarono alle «regole pandemiche» del tempo, allontanando il loro batterista, Pete Parada, perché non vaccinato.

 

Fortunatamente la musica non è solo questa masnada di attempati che si aggrappano a una golden age musicale a cui non appartengono più, ma è anche ben altro. E’ il grido di un rocker libero, Eric Clapton – il quale ancora sa stupirci accarezzando le sei corde – che tra i primi ha denunciato i danni da vaccino, avendoli subiti in prima persona.

 

Il chitarrista infatti si scagliò contro la propaganda sulla sicurezza dei vaccini COVID. «Non avrei mai dovuto avvicinarmi alla siringa, ma la propaganda diceva che il vaccino era sicuro per tutti». «Sono stato un ribelle per tutta la vita, contro la tirannia e l’autorità arrogante, che è quello che abbiamo ora», ha aggiunto il Clapton. Clapton ha affermato che la psicosi da formazione di massa ha persino colpito i suoi colleghi, amici e familiari.

 

Il bluesman criticò i media definendoli «traffico a senso unico nel seguire gli ordini e l’obbedienza» per il suo ruolo nello spingere le vaccinazioni e le restrizioni sociali draconiane. A memoria mia, non ricordo nessuna delle nostre leggende musicali nostrane che abbia «twittato» un qualcosa a favore del cantautore britannico.

 

Il cantante britannico Richard Ashcroft, noto come frontman del gruppo The Verve, tre anni orsono annullò un’apparizione programmata ad un festival musicale dopo che gli organizzatori decisero di inserire l’evento nell’Events Research Program del governo, ossia un circuito di eventi dove potevano entrare solo coloro che avrebbero esibito prova del fatto di essere stati doppiamente inoculati o siano risultati negativi al COVID. Tutto questo era troppo per Ashcroft, che una volta resosi conto, si ritirò immediatamente dal Festival inglese. Ashcroft ha sottolineato il suo rifiuto di far parte di qualsiasi «esperimento governativo» o eventi che impongono restrizioni.

 

Il cantante Van Morrison criticò apertamente il ministro nordirlandese riguardo alle politiche di restrizione COVID, beccandosi una bella denuncia dal politico in questione. 

 

Purtroppo, nel Belpaese nessuno ha fatto come il Morrison o come Clapton, tranne rari casi di cantanti che già erano stati estromessi dal mainstream musicale per altre ragioni.

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Gli eterni frequentatori dei salotti buoni della discografia italiana sono stati solerti a cancellare gli account segnalandolo con indomita fierezza nei propri Facebook e Instagram, dimenticando una cosa fondamentale per chi dovrebbe interessarsi alla libertà e alla libertà di espressione: il CEO di Meta – azienda che detiene Facebook e Instagram – Mark Zuckerberg, ha recentemente ammesso che l’amministrazione Biden ha fatto pressione sulle sue aziende di social media «per censurare determinati contenuti sul COVID-19» e che era sbagliato censurare la storia del laptop di Hunter Biden.

 

In una lettera indirizzata al presidente della commissione giudiziaria della Camera lo Zuckerberg ha scritto che «nel 2021, alti funzionari dell’amministrazione Biden, inclusa la Casa Bianca, hanno ripetutamente fatto pressione sui nostri team per mesi affinché censurassero determinati contenuti sul COVID-19, tra cui umorismo e satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non eravamo d’accordo».

 

Alla fine, la decisione se rimuovere o meno i contenuti è stata nostra, e siamo responsabili delle nostre decisioni, comprese le modifiche relative al COVID-19 che abbiamo apportato alla nostra applicazione in seguito a questa pressione», ha dichiarato il giovane ultramiliardario, sulla cui piattaforma continua a ballare senza problemi il rock de noaltri.

 

Quindi, vorrei ricordare sommessamente a lor signori che la censura applicata, almeno per il momento, non alberga su X, bensì sta altrove. Questa pletora di «ex cinguettatori» su X credo alla fine non ci mancherà molto.

 

La «vita spericolata», credete, non sta negli hub vaccinali, né sui social di Zuckerberg.

 

Francesco Rondolini

 

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I sauditi e il genero ebreo di Trump comprono l’Electronic Arts

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Electronic Arts, tra i maggiori produttori di videogiochi al mondo, ha annunciato lunedì di aver raggiunto un accordo per essere acquisita da un consorzio guidato dall’Arabia Saudita, per un valore di circa 55 miliardi di dollari.   Il consorzio include il Public Investment Fund (PIF) saudita, la società di private equity Silver Lake e Affinity Partners, controllata da Jared Kushner, genero del presidente statunitense Donald Trump.   Secondo EA, il PIF rafforzerà la sua attuale partecipazione del 9,9% nella società, con l’operazione finanziata da 36 miliardi di dollari di capitale proprio e 20 miliardi di dollari di debito.   Il portfolio di EA comprende franchise di videogiochi celebri a livello globale, tra cui il giuoco calcistico FIFA, lo sparatutto militare in prima persona Battlefield, Apex Legends, The Sims, Plants vs. Zombies e Need for Speed.

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Descritto come «il più grande accordo di privatizzazione di uno sponsor interamente in contanti della storia», l’operazione dovrebbe velocizzare i processi decisionali e aprire nuove opportunità, specialmente nei mercati internazionali, ha dichiarato la società.   L’accordo ha già ottenuto l’approvazione del consiglio di amministrazione di EA e dovrebbe concludersi nel primo trimestre dell’anno fiscale 2027. Una volta completata, EA cesserà di essere quotata in borsa e opererà come società privata.   L’industria videoludica sta attraversando una fase di ristrutturazione dopo il boom durante la pandemia. Negli ultimi cinque anni, le azioni di EA hanno registrato performance nettamente inferiori rispetto all’indice S&P 500. All’inizio del 2025, il titolo della società è crollato del 17% in un solo giorno, a causa delle vendite deludenti dell’ultima edizione del gioco di simulazione calcistica EA FC25.   I videogiochi negli scorsi anni sono stati ritenuti un ambito dello spionaggio, in quanto si è pensato che le chat interne potessero facilitare attività criminali o terroristiche. Negli anni scorsi sono emersi casi di censura e delazione, con grandi case produttrici di videogames indicate come in collaborazione con la polizia britannica per affrontare i discorsi ritenuti «tossici» dei giocatori online.   Jared è figlio del grande sostenitore del Partito Democratico USA Charles Kushnerm che è altresì uno dei primi donatori dell’eterno premier sionista Benjamin Netanyahu, il quale, si racconta, quando era a New York dormiva nella stanza dello stesso Jareddo. Kushner senior è ora il controverso ambasciatore americano a Parigi.   Arrivato nella stanza dei bottoni nel 2016 con il ruolo di consigliere della Casa Bianca, il figlio Jared – il genero presidenziale accusato da altri famigliari di Trump di essere persino la talpa del raid a Mar-a-Lago – si mosse subito ingraziandosi l’uomo forte saudita Mohammed bin Salman; il rapporto ha condotto a quella sorta di armistizio tra Israele e le monarchie del Golfo persico chiamato «accordi di Abramo». Tuttavia, è emerso come Mohammed bin Salman e il suo mentore e confidente omologo emiratino Mohammed bin Zayed al Nahyan fra loro scherzassero dicendo che se lo tengono nel taschino.

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Giornali americani hanno dettagliato la ricerca di danari islamici da parte di Kushner durante la suo incarico alla Casa Bianca, insistendo anche presso il Qatar. I Kushner avevano bisogno di investimenti per ripianare il grande disastro della famiglia, l’acquisto del colossale – e inquietante – palazzo Fifth Avenue 666: il numero civico 666 sulla celeberrima Quinta Strada di Nuova York. Un affare immane andato malamente: l’edificio, una volta acquistato dai ricchi palazzinari ebrei del New Jersey, rimase a lungo mezzo vuoto.   I Kushner, ebrei ortodossi (con conversione al giudaismo anche di Ivanka), hanno poi pudicamente cambiato il nome del palazzo da Fifth Avenue 666 a Fifth Avenue 660.   Come riportato da Renovatio 21, gli interessi immobiliari di Kushner sembrano ora abbracciare anche l’Est Europa, con il progetto di fare hotel di lusso al posto degli edifizi bombardati dalla NATO in Kosovo.   Il Kushner si è distinto nei mesi del conflitto in Palestina per i suoi commenti su Gaza, del cui lungomare ha elogiato il futuro valore immobiliare, per poi dire che i Paesi europei dovrebbero accogliere più rifugiati palestinesi in fuga dalla Striscia ora martoriata catastroficamente dallo Stato Ebraico.

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Immagine di The Pop Geek Culture Network via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
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Mons. Viganò offre la sua preghiera per il pittore Gasparro

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X un messaggio di solidarietà per l’artista Giovanni Gasparro, che ora rischia sei mesi di carcere per aver dipinto un quadro che ritrae il martirio di San Simonino, il bambino secondo la tradizione cattolica (che, fino al Concilio Vaticano II, lo venerava come beato) trucidato dagli ebrei di Trento in un atto di omicidio rituale.

 

«La rappresentazione del martirio di San Simone di Trento risponde alla narrazione riportata negli atti processuali ed è confermata dagli studi di Ariele Toaff, in particolare da “Pasque di sangue”, pubblicato nel 2007» scrive monsignor Viganò, ricordando il famoso caso editoriale che oramai quasi due decenni fa sconvolse l’Italia e il mondo.

 

«Quanti accusano di antisemitismo i Cattolici che venerano come Martire il piccolo Simonino sono più preoccupati dei carnefici che della vittima, verso cui continuano a vomitare il loro odio».

 

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«Questa narrazione non incanta più nessuno» dichiara l’arcivescovo, che offre «Tutta la mia preghiera e solidarietà per Giovanni Gasparro».

 

Simonino di Trento, noto da tutti come San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo, fu trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo (che, secondo voci, da qualche parte ancora dovrebbe esserci…), quindici ebrei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico.

 

Lo studio storico Pasque di Sangue, edito per i tipi prodiani de Il Mulino esamina il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove nacque l’accusa agli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, utilizzando il loro sangue per presunti riti anticristiani.

 

Nel saggio, da un lato Toaff rigetta l’idea di omicidi rituali come mito cristiano, in linea con la storiografia tradizionale che considera tali accuse una montatura delle autorità cristiane, dall’altro suggerisce che, pur mancando prove dell’uso magico o superstizioso del sangue, non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto tali pratiche. In particolare, vi sarebbero elementi che farebbero pensare a collegamenti con culti cabalistici dell’ebraismo dell’Europa orientale.

 

Il libro fu precipitosamente ritirato dalle librerie poche ore dopo l’uscita, mentre sui giornali impazzava la polemica.

 

Toaff, va ricordato, è figlio del già rabbino capo di Roma Elio Toaff, la cui «amicizia» con Giovanni Paolo II è stata spesso raccontata ai media. Ariel, professore universitario che insegna storia medievale ad Haifa, ha recentemente pubblicato un post in lingua italiana sui social in cui condanna senza appello quanto Israele sta facendo a donne e bambini palestinesi.

 

Una smentita alle storie sull’omicidio di bambini è giunta la scorsa settimana per bocca dello stesso premier israeliano Beniamino Netanyahu in un suo intervento alla TV americana per negare che Israele abbia ucciso Charlie Kirk.

 

 

«Nei secoli, specialmente nel Medio Evo, sono state dette le peggiori cose che si potevano dire riguardo agli ebrei: avvelenavamo i pozzi, noi bevevamo il sangue dei bambini cristiani… di tutto e di più… ciò è continuato sino all’Olocausto, i nazisti hanno detto le stesse cose» ha spiegato Netanyahu al canale della destra americana Newsmax, raccontando che ogni volta che queste cose sono state creduto ciò a portato a massacri, «culminando con il più grande massacro di tutti, l’Olocausto».

 

Nel frattempo, nel mondo impazzano le accuse per l’uccisione di migliaia di bambini, per bombe o per fame, nella campagna militare israeliana a Gaza.

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Quadro su San Simonino da Trento, chiesti sei mesi di carcere per il pittore Gasparro

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La Procura di Bari ha richiesto una condanna a sei mesi di carcere, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, per il pittore barese Giovanni Gasparro, imputato in un processo per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa. In particolare, Gasparro dovrà rispondere di alcuni commenti pubblicati sulla sua pagina Facebook, relativi alle immagini del suo dipinto «Martirio di San Simonino da Trento».   Gasparro, artista figurativo e maestro dell’arte sacra contemporanea, è senza dubbio il più grande pittore italiano vivente.   Secondo il capo di imputazione, l’artista «propagandato e divulgato idee fondate sull’odio antisemita, atte ad influenzare le opinioni di un più vasto pubblico, scatenando e suscitando reazioni e commenti di cui vari dal chiaro contenuto antisemita di numerosi followers».

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L’opera del 2020 raffigura l’uccisione di un bambino di Trento, noto come Simonino, scomparso misteriosamente la notte del 23 marzo 1475 e ritrovato morto dopo trenta giorni, con una ferita sanguinante al costato, afferrato e circondato da membri della comunità ebraica che raccolgono il sangue della ferita in una bacinella. Simonino fu venerato come beato dalla Chiesa cattolica fino al 28 ottobre 1965, quando, durante il Concilio Vaticano II, il suo culto fu abolito.   Nella prossima udienza, fissata per il 13 novembre, è prevista la discussione dell’avvocato difensore dell’imputato, Salvatore D’Aluiso.   Gasparro è stato pittore scelto nel 2024 per il «drappellone» del Palio di Siena, ruolo in passato affidato a nomi come Guttuso e Botero. Nel 2014 aveva vinto il premio «Eccellenti Pittori – Brazzale» con un allegorico ritratto di Pio VII, intitolato «Quum Memoranda».   In un’intervista a La Nazione del luglio 2024 Gasparro rivelava che vi era stato un procedimento a Milano archiviato.   «Il GIP del Tribunale di Milano, a seguito di una querela sporta dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica e dall’Associazione Italiana Giuristi ed Avvocati Ebrei del capoluogo lombardo, in accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, con ordinanza del 25 marzo 2022, ha archiviato, per infondatezza della notizia di reato, il procedimento incardinatosi a mio carico, per il reato di cui all’art.604 bis del Codice Penale in riferimento alla pubblicazione dell’opera denominata “Martirio di San Simonino da Trento”» ha detto l’artista al giornale fiorentino.   «Nella stessa ordinanza si legge che “le integrazioni di indagine individuate dalla persona offesa, debbano ritenersi superflue e non ammissibili” e “la condotta del Gasparro, non rilevante penalmente, ma libero esercizio del diritto di espressione dello stesso”» proseguiva il virgolettato dell’articolo. «Si legge ancora che “la diffusione via internet dell’opera non può ritenersi condotta istigatrice dell’odio razziale o etnico, ma rilevante solo dal punto di vista estetico, non rivestendo rilievo informativo”».

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«Nel medesimo provvedimento, il Giudice afferma che il mio dipinto che ritrae il “Martirio di san Simonino di Trento” non può considerarsi un’opera antisemita e ciò, persino a prescindere dalla veridicità storica dell’episodio effigiato del martirio del piccolo Simone. Quindi, in termini giudiziari, la realizzazione del dipinto e la sua diffusione rappresentano comportamenti leciti» concludeva Gasparro, che rivelava altresì di aver ricevuto sabotaggi e messaggi di ogni sorta.   «Segnalo, altresì, che per quest’opera dipinta nel 2019, sono stato bersaglio di minacce, anche di morte, pervenutemi in tutte le lingue e su tutti i miei canali di comunicazione. Conservo, con immutata e profonda sofferenza dell’animo, tutte le documentazioni di tali ignobili e delittuosi messaggi» aveva detto l’anno scorso il pittore, svelando che in ballo probabilmente non c’erano solo degli innocui leoni da tastiera: «hanno provato ad hackerare i miei siti web, a farmi revocare i premi internazionali vinti, limitare le mie partecipazioni a concorsi e commissioni pubbliche e private, a togliere le mie pale dagli altari delle chiese. Sono stato persino pedinato, allorquando mi trovavo nei paraggi e persino nella cattedrale di Bari».   «Per quattro lunghi anni, ho volutamente negato ogni intervista al riguardo, anche a testate nazionali, o addirittura statunitensi, israeliane e di altri Paesi» dice Gasparro. I principali organi di stampa israeliani, come il Times of Israel e il Jerusalem Post, tra i quotidiani in lingua inglese più letti in Israele, insieme all’Algemeiner, settimanale della comunità ebraica statunitense, hanno riportato la notizia citando le dure critiche di diversi rappresentanti della comunità ebraica internazionale.   Il Simon Wiesenthal Center, organizzazione dedicata alla ricerca sull’Olocausto e sull’antisemitismo contemporaneo, ha esortato la Chiesa a condannare Gasparro per la sua opera: «non è arte, è odio», hanno dichiarato dal centro, che ha anche inviato una lettera formale al Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, per esprimere il proprio sdegno sulla questione. «Alla vigilia della Pasqua ebraica e della Pasqua cristiana», ha aggiunto Abraham Cooper, decano del Simon Wiesenthal Center, «questo artista italiano ha deciso di promuovere questa calunnia contro gli ebrei, violenta, lurida e smentita da tempo, attraverso la sua arte? Abbiamo chiesto a Facebook di non mettere a disposizione la loro piattaforma per un falso che ha portato all’uccisione e alla menomazione di molti ebrei per centinaia di anni».   «Si è perseguita una strumentale interpretazione del contenuto della mia opera, che invece, ha un carattere esclusivamente artistico e devozionale, come centinaia di altre mie creazioni, fruibili pubblicamente in tutto il mondo e sul web, assolutamente scevro del benché più recondito sentimento di odio razziale nei confronti di chicchessia, comprese le comunità ebraiche».   «In tutta coscienza, posso quindi affermare di non nutrire oggi e di non aver mai nutrito alcun sentimento negativo verso chi professa il culto diverso dal mio, senza però avere la pretesa di imporre la mia fede con la coercizione e la violenza. Né istigo gli altri a farlo. Sono semplicemente un pittore cattolico che si cimenta prevalentemente con l’arte sacra, non faccio politica, non l’ho mai fatta, né voglio farla. Non parteggio per alcuna forza politica italiana. Dipingo scene evangeliche, mistiche e di santi ed anche di quelli che furono martirizzati, indipendentemente da chi ne determinò il martirio» aveva detto Gasparro.   Il tema del sacrificio rituale ebraico sembra più che mai attuale, al punto da essere citato direttamente anche dal premier Netanyahu, che in una delle sue multiple dichiarazioni in cui assicura che Israele non ha ucciso Charlie Kirk ha infilato anche la storia della leggenda dell’omicidio rituale come prova nelle falsità circolanti nei secoli riguardo gli ebrei.

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Come riportato da Renovatio 21, commenti contro la politica di devastazione di Netanyahu («I morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno») sono giunti da Ariel Toaff, figlio del già rabbino capo di Roma e «amico» di Giovanni Paolo II Elio Toaff, professore di storia medievale ad Haifa che vide ritirato il suo saggio edito da Il Mulino Pasque di sangue, dove appunto analizzava elementi di veridicità nel processo agli ebrei condannati per la morte di San Simonino.   In rete nel frattempo alcuni commentano che la richiesta di condanna di Gasparro per San Simonino arriva mentre i bambini di Gaza muoiono in mondovisione, con enti transnazionali e ONG a parlare di un «cimitero di bambini» e di bimbi che muoiono letteralmente di fame (fatto che sembra aver mosso anche il presidente americano Donald Trump). Il ministero della Salute di Gaza sei mesi fa ha pubblicato il nome di oltre 15.000 bimbi uccisi dagli attacchi israeliani dall’ottobre 2020.   Il tema dei bambini, insomma, rimane comunque al centro dell’attualità riguardo allo Stato ebraico.  

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Immagine: Giovanni Gasparro, Martirio di San Simonino da Trento (2019), particolare    
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