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Alimentazione

Le sanzioni porteranno alla fame nel mondo: parla l’ambasciatore brasiliano all’ONU

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L’ambasciatore del Brasile alle Nazioni Unite Ronaldo Costa Filho ha fatto specifico riferimento al pericolo di una carestia mondiale che si esacerba a causa dell’impatto delle sanzioni imposte nella fretta di punire la Russia per il suo intervento in Ucraina.

 

L’ambasciatore ha citato il rischio di carestia globale causata dalle carenze di fertilizzanti e di grano durante la riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, sulla questione della convocazione di una Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su Ucraina e Russia.

 

Costa ha votato a favore della risoluzione promossa dal Regno Unito e USA , ma ha espresso «preoccupazioni circa i tempi e il contributo» di tale riunione dell’Assemblea Generale, dato che il Consiglio di Sicurezza «ha ancora un ruolo».

 

Il diplomatico di Brasilia ha quindisollecitato un cessate il fuoco, il sostegno umanitario e il sostegno a un «processo di dialogo» per risolvere la crisi.

 

L’ambasciatore individuato nello specifico che esistono pericoli derivanti «dalla fornitura di armi, dal ricorso agli attacchi informatici e dall’applicazione di sanzioni selettive, che potrebbero interessare settori come i fertilizzanti e il grano, con un forte rischio di carestia».

 

Costa Filho ha quindi avvertito che la fornitura di armi e l’imposizione di sanzioni, etc., «aumentano i rischi di un confronto più ampio e diretto tra NATO e Russia», ed è quindi nostro «dovere» fermare e invertire tale escalation della crisi.

 

Russia e Bielorussia rappresentano una grande quota della produzione mondiale di fertilizzanti – senza i quali, bisognerebbe ricordarlo, non è possibile produrre cibo. In un articolo tradotto e pubblicato da Renovatio 21, l’analista William F. Engdahl si chiede se non si tratti di un attacco organizzato alle forniture globali di fertilizzanti.

 

Cinque giorni fa è stato detto che la speculazione aveva abbattuto il prezzo del grano del 20% in un sol giorno. La produzione di semi oleosi sta crollando, al punto che i cartelli internazionali della soia stanno chiudendo i loro impianti in Cina.

 

Come riportato da Renovatio 21, grandi manovre sull’alimentazione mondiale sono in corso da anni da parte di entità globaliste come il World Economic Forum, la Fondazione Rockefeller e le realtà intorno a Bill Gates, che nel 2020 è divenuto il più grande proprietario terriero d’America.

 

L’agricoltura è altresì in crisi in Asia, in Cina ed in Sri Lanka, per esempio.

 

La guerra al granaio d’Europa contribuirà al Grande Reset alimentare, dove il cibo sarà progettato geneticamente e distribuito unicamente da alcune realtà.

 

La fame è già una realtà che, dice la FAO, attanaglia un terzo degli abitanti del mondo arabo. A causa delle scelte americane, la fame è tornata anche in Afghanistan, dove famiglie affamate vendono le figlie o i propri organi.

 

 

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Alimentazione

Il governo irlandese vuole sterminare 200 mila mucche per il cambiamento climatico

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I legislatori irlandesi stanno spingendo una proposta per uccidere quasi 200.000 mucche da latte per raggiungere i loro obiettivi sul cambiamento climatico. Il piano mira a eliminare 65.000 mucche all’anno in tre anni di modo da far diminuire le emissioni di gas serra negli allevamenti entro il 2030. Lo riporta la testata Irish Indipendent.

 

La riduzione della popolazione bovina è programmata quindi per impedire l’avanzata del cambiamento climatico, che, dicono gli esperti dell’ambiente, è causato in una certa porzione dai peti bovini, un tema dove Bill Gates sta investendo i suoi danari (oltre che nella carne sintetica che potrebbe sostituire quella di animale).

 

«Il governo ha fissato l’obiettivo di ridurre di un quarto le emissioni dell’agricoltura in Irlanda entro il 2030» scrive la testata agricola britannica Farmers Weekly. «Una proposta per raggiungere questo obiettivo è ridurre del 10% la mandria da latte nazionale, l’equivalente di rimuovere 65.000 mucche all’anno per tre anni».

 

Il dipartimento dell’Agricoltura irlandese ha quindi minimizzato la voce secondo cui si appronterebbe la strage di centinaia di migliaia di mucche per stare nei numeri climatici, sostenendo che si trattava semplicemente di un «documento di modellazione».

 

«È stato riferito ieri che le mucche dovrebbero essere “abbattute” a un costo di 600.000 euro per i contribuenti nei prossimi tre anni per raggiungere gli obiettivi di emissioni climatiche», ha riferito l’Irish Mirror. La testata Farming Indipendent, che ha pubblicato questi numeri, affermato di aver ottenuto tali cifre da un documento interno attraverso una richiesta di libertà di informazione.

 

Come sa il lettore di Renovatio 21, non si tratta di ipotesi astruse e complottismi: quanto accaduto nell’ultimo anno ai contadini olandesi lo dimostra pienamente.

 

Gli allevatori neerlandesi hanno protestato per mesi contro la politica di chiusura forzata degli allevamenti bovini (mentre nelle scuole del Paese avanzano menu a base di insetti…), con la polizia che è arrivata a sparare sui trattoriurtarli con le ruspe, mentre sono state filmate camionette delle forze dell’ordine portar via con la forza i manifestanti tramite agenti in borghese. La repressione della polizia olandese del movimento dei contadini segue quella contro chi protestava per le restrizioni pandemiche: abbiamo visto anche lì le forze dell’ordine sparare, picchiare e far sbranare i dimostranti con cani poliziotto.

 

Le proteste olandesi avevano avuto eco in tutto il mondoarrivando a contagiare anche gli allevatori tedeschi.

 

È emerso in seguito che potrebbe esservi stata un’ingerenza della UE nella questione, con un eurocrate non eletto aveva consigliato al governo Rutte di portare avanti piani per attuare la chiusura delle fattorie in cambio di maggiore «flessibilità» dal blocco sui regolamenti europei.

 

Come noto, gli allevatori hanno formato un loro partito e vinto clamorosamente l’ultima tornata elettorale.

 

Il governo americano non è estraneo a questo progetto. Il plenipotenziario per il clima del presidente Biden, John Kerry, ha avvertito la scorsa settimana che gli agricoltori devono smettere di coltivare così tanto cibo per ridurre le emissioni di gas serra secondo il goal 2030 del «net zero».

 

In uno strano episodio di due mesi fa, un’esplosione ha distrutto un enorme allevamento in Texas, uccidendo 18 mila mucche.

 

 

 

 

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Alimentazione

Il Pakistan rischia una crisi alimentare come i Paesi in guerra

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

L’allarme lanciato da Fao e World Food Programme. Gli effetti a lungo termine delle alluvioni della scorsa estate, da cui il Paese deve ancora riprendersi, si intrecciano con l’instabilità politico-finanziaria. La mancanza di valuta estera e il deterioramento del potere d’acquisto impediscono di importare e comprare generi alimentarli, facendo al contrario aumentare l’inflazione.

 

 

Il Pakistan soffre di insicurezza alimentare come se fosse un Paese in guerra a causa dell’instabilità politica, degli shock economici e in conseguenza alle devastanti alluvioni dello scorso anno da cui il Paese non si è ancora ripreso.

 

L’ultimo rapporto di allerta sulla fame pubblicato ieri dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dal World Food Programme (WFP) sottolinea che l’insicurezza alimentare acuta è destinata ad aumentare nei prossimi mesi in 22 Paesi del mondo, la maggior parte dei quali prostrati da conflitti: Burkina Faso, Haiti, Mali, Sudan e Sud Sudan, Afghanistan, Nigeria, Somalia, Yemen sono le nazioni per cui è stata alzata la massima allerta.

 

Ma anche la Repubblica Centrafricana, il Congo, l’Etiopia, il Kenya, il Pakistan e la Siria rientrano tra i Paesi che destano forte preoccupazione, insieme al Myanmar, da oltre due anni devastato dalla guerra civile scaturita dal colpo di Stato militare del primo febbraio 2021. Si tratta di aree in cui un gran numero di persone in situazione di insicurezza alimentare acuta rischia un peggioramento delle proprie condizioni a causa di fattori politici, economici e ambientali che minano la vita della popolazione.

 

La sicurezza alimentare viene misurata in base a un indice chiamato a livello internazionale IPC (Integrated Food Security Phase Classification o classificazione di fase della sicurezza alimentare integrata). Le fasi sono cinque: si va dalla generale sicurezza alimentare all’insicurezza moderata, passando poi alla fase acuta, fino all’emergenza e infine alla carestia.

 

In Pakistan, le Nazioni unite hanno raccolto dati da 3 province del Paese dove, tra settembre e dicembre 2022, 6 milioni di persone hanno sofferto di insicurezza alimentare acuta e 2,6 milioni hanno dovuto affrontare una situazione di emergenza in uno Stato di oltre 230 milioni di abitanti.

 

L’ONU ritiene che le condizioni rischiano di peggiorare entro la fine dell’anno a causa della crisi politico-finanziaria che sta riducendo il potere d’acquisto delle famiglie e quindi la possibilità di comprare beni alimentari. Islamabad dovrà infatti rimborsare 77,5 miliardi di dollari di debito estero entro giugno 2026, un importo considerevole se si considera che nel 2021 il PIL del Pakistan era di 350 miliardi di dollari.

 

L’instabilità politica, caratterizzata dal confronto tra il governo, appoggiato dall’esercito, e l’ex primo ministro Imran Khan, il cui arresto a inizio mese ha scatenato violente proteste in tutto il Paese, impedisce l’erogazione di una nuova linea di credito da parte del Fondo monetario internazionale o da parte di Paesi partner. Si prevede inoltre un aumento dei disordini prima delle elezioni previste a ottobre di quest’anno, mentre in alcune aree aumenta l’insicurezza a causa della minaccia terroristica.

 

Per fare un confronto, nel vicino Afghanistan, senza più fondi internazionali e in crisi economica a seguito della riconquista dei talebani ad agosto 2021, si prevede che 15,3 milioni di persone dovranno affrontare una situazione di insicurezza alimentare acuta tra maggio e ottobre 2023, mentre circa 2,8 milioni di persone si troveranno in situazione di emergenza.

 

La carenza di riserve estere e il deprezzamento della valuta stanno riducendo la capacità di importare beni alimentari, causando al contrario un aumento dell’inflazione e costringendo il governo del Pakistan a imporre tagli all’energia per mancanza di carburante.

 

L’inflazione dei beni alimentari è passata dall’8,3% di ottobre 2021, al 15,3% a marzo 2022, poi al 31,7% a settembre 2022, e infine ha raggiunto il 35% a dicembre 2022. Gli operai, che in media guadagnano due dollari al giorno, hanno perso il 30% del loro potere d’acquisto.

 

Ma all’origine di questa situazione ci sono le alluvioni della scorsa estate che hanno inondato due terzi del Paese e hanno provocato la morte di oltre 11 milioni di capi di bestiame e la distruzione di oltre 9,4 milioni di acri di terra coltivata (circa l’80% di tutti i terreni agricoli del Paese) nelle province del Balochistan e del Sindh, aree già insicure in termini di disponibilità di cibo.

 

Secondo la Banca mondiale, in tutta l’Asia meridionale la produzione alimentare è stata interrotta a causa delle piogge monsoniche superiori al normale, mentre in altre aree si sono verificate precipitazioni inferiori.

 

 

 

 

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Alimentazione

L’ONU riduce le razioni alimentari dei profughi Rohingya

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Il Programma Alimentare Mondiale ha dichiarato di essere stato costretto per la mancanza di fondi, nonostante la regione sia appena stata devastata dal passaggio del ciclone Mocha. Secondo alcuni osservatori molti rifugiati potrebbe sentirsi costretti a tornare nello Stato Rakhine, in Myanmar, dove però la situazione resta difficile a causa del conflitto civile.

 

 

La comunità birmana dei Rohingya ha espresso preoccupazione per la decisione delle Nazioni unite di ridurre nuovamente le razioni alimentari di assistenza previste il milione di profughi ospitati nel campo di Cox’s Bazar, in Bangladesh.

 

l Programma alimentare mondiale (PAM) ha dichiarato di essere stato costretto a ridurre il sostegno a causa della mancanza di fondi: si tratta del secondo taglio in tre mesi, e arriva in un momento di grande difficoltà per la popolazione locale a seguito del passaggio del ciclone Mocha, che il 14 maggio ha colpito lo Stato birmano al confine del Rakhine. Secondo le stesse Nazioni unite almeno 800mila persone necessitano di assistenza umanitaria urgente.

 

Il portavoce dell’organizzazione, Kun Lee, ha spiegato ai media che dopo essere passati da 12 a 10 dollari al mese, i sussidi saranno ridotti da 10 a 8 dollari al mese a partire dal primo giugno. Saranno necessari 56 milioni di dollari per continuare a fornire razioni complete, ha aggiunto.

 

Peter Saiful, un cristiano di etnia Rohingya (nonostante la comunità sia in prevalenza di fede islamica) parlando con AsiaNews ha elencato i rischi che derivano dalla scelta dell’ONU: «molti gruppi criminali spingono i Rohingya a fare un uso improprio dei sussidi e i giovani possono venire adescati. Inoltre, dal momento che il governo del Bangladesh non permette ai Rohingya di lavorare, alcuni potrebbero fuggire dai campi nel tentativo di fare soldi in zone isolate del Paese. Infine, senza il cibo necessario a sopravvivere, potrebbero aumentare le malattie o addirittura alcuni potrebbero accettare di tornare in Myanmar nonostante non sia un ambiente sicuro».

 

Il primo febbraio 2021 la giunta militare del Myanmar ha estromesso il precedente governo e preso il potere con un colpo di Stato, dando avvio a un cruento conflitto civile. I Rohingya, una comunità concentrata nello Stato occidentale del Rakhine, perseguitata e resa apolide dal governo birmano, sono scappati in Bangladesh a partire dal 2017 per sfuggire alle violenze dei militari contro di loro.

 

«Il Bangladesh non può costringere i Rohingya ad andarsene se non con il rimpatrio volontario. Nessun Rohingya ha accettato di tornare in Myanmar» ha commentato Peter Saiful, che è membro della Chiesa protestante Bethel. «Potrebbe esserci dietro il tentativo di costringere il Programma Alimentare a ridurre le razioni di cibo e i beni di prima necessità per spingere i Rohingya a rientrare», ha aggiunto.

 

La scorsa settimana la prima ministra Sheikh Hasina ha dichiarato alla BBC che i Rohingya sono stati accolti in Bangladesh nel rispetto dei diritti umani: «quando erano in pericolo abbiamo permesso loro di entrare nel nostro Paese, abbiamo preso provvedimenti per loro. Almeno 40mila donne erano incinte. Abbiamo dato loro cibo e assistenza sanitaria. All’inizio si è fatto avanti nessuno, ma la gente del nostro Paese li ha aiutati», ha dichiarato la premier.

 

Nel frattempo le condizioni di vita nei campi si sono progressivamente deteriorate: negli ultimi cinque anni e mezzo sono stati registrati almeno 164 omicidi.

 

Alcuni Rohingya sono coinvolti nel traffico di droga e di esseri umani e sembra che dietro alle violenze ci siano faide tra diversi gruppi per il controllo del commercio di stupefacenti all’interno del campo.

 

Inoltre, negli ultimi mesi, alcuni soldati bangladeshi sono stati uccisi durante le imboscate delle milizie etniche del Myanmar. Per questa ragione Dhaka vede sempre meno di buon occhio la presenza di così tanti profughi sul proprio territorio.

 

 

 

 

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Immagine di Mohammad Tauheed via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

 

 

 

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