Le elezioni presidenziali siriane sono state una celebrazione della vittoria contro le aggressioni straniere. Una conferma dell’autorità di Bashar al-Assad, non tanto per le idee politiche, ma per il coraggio e la tenacia come capo di guerra. I perdenti di questa guerra, gli Occidentali, continuano a non accettarlo, perciò considerano anche queste ultime elezioni non valide, quindi mai avvenute. Si ostinano a considerare la classe dirigente siriana un’accolita di aguzzini che non vuole riconoscere i propri crimini.
Geopolitica
Le elezioni presidenziali nella Repubblica Araba Siriana
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21
Nella Repubblica Araba Siriana si sono appena svolte le elezioni presidenziali, a dispetto dell’ostilità degli Occidentali, che insistono a volere smembrare il Paese, nell’intento di rovesciarlo e instaurare un governo di transizione, sull’esempio di quanto accadde alla fine della seconda guerra mondiale con la Germania e il Giappone (1). Secondo gli osservatori internazionali, designati dai Paesi che hanno un’ambasciata in Siria, il voto si è svolto correttamente. Bashar al-Assad ha ottenuto la rielezione per un quarto mandato con un imponente numero di voti.
Sono fatti che meritano alcune spiegazioni. La sostanza di questo articolo avrebbe potuto essere scritta nel 2014, all’indomani delle precedenti elezioni presidenziali. Gli Occidentali non hanno cambiato posizione su nulla, nonostante la sconfitta militare.
Gli Occidentali non hanno cambiato posizione su nulla, nonostante la sconfitta militare.
Il contesto
Nel 2010, ossia prima della guerra, la Repubblica Araba Siriana era uno Stato in forte sviluppo demografico ed economico. Il suo presidente era il capo di Stato arabo più popolare nel Paese e nella regione. Si spostava con la moglie in qualunque località della Siria senza scorta. In Occidente era considerato un esempio positivo di semplicità e modernità.
Quando, in base a false informazioni, le Nazioni Unite autorizzarono gli Occidentali a intervenire in Libia, la rete televisiva del Qatar, Al-Jazeera, per mesi esortò invano i telespettatori siriani a sollevarsi contro il partito Baas.
Dopo la caduta della Jamahiriya Araba Libica sotto le bombe della NATO, in Siria gruppi armati distrussero i simboli dello Stato e attaccarono civili. Come già in Libia, anche in Siria nelle strade si rinvennero corpi smembrati. Alla fine, su incitazione di Al-Jazeera, di Al-Arabiya e dei Fratelli Mussulmani, i siriani cominciarono a manifestare contro Bashar al-Assad, non per una ragione precisa, ma solo perché che non era «un vero mussulmano», ma un «infedele alauita». Mai fu rivendicato il diritto alla democrazia, un concetto che gli islamisti aborrono.
Le Nazioni Unite trasferirono in Turchia, come «rifugiati», soldati armati del Gruppo dei Combattenti Islamici in Libia (GCIL) − issato al potere a Tripoli dalla NATO − che in seguito fonderanno l’Esercito Siriano Libero
Ciononostante, cominciarono a nascere altre manifestazioni, organizzate dal PNSS (Partito Nazionalista Sociale Siriano), che denunciavano l’organizzazione amministrativa e il ruolo illecito dei servizi segreti. Le Nazioni Unite trasferirono in Turchia, come «rifugiati», soldati armati del Gruppo dei Combattenti Islamici in Libia (GCIL) − issato al potere a Tripoli dalla NATO − che in seguito fonderanno l’Esercito Siriano Libero (2).
Ebbe così inizio la “guerra civile”, accompagnata dal coro dei dirigenti occidentali che scandivano «Bashar deve andarsene» (non «Democrazia!»).
Per due anni la popolazione siriana dovette confrontarsi con due versioni dei fatti. Da un lato i media siriani, che denunciavano un attacco esterno ma non davano conto delle manifestazioni contro l’organizzazione statale; dall’altro i media arabi che annunciavano l’imminente caduta del «regime» e l’instaurazione di un governo della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. Di fatto, soltanto una piccola parte della popolazione sosteneva quest’organizzazione segreta. I disordini facevano più vittime fra la polizia e l’esercito che tra la popolazione civile. Gradatamente i siriani si resero conto che, quali che fossero i torti della loro Repubblica, era questa a proteggerli, non certo gli jihadisti.
Gradatamente i siriani si resero conto che, quali che fossero i torti della loro Repubblica, era questa a proteggerli, non certo gli jihadisti
Durante i tre anni di questa «guerra civile», gli jihadisti, armati e coordinati dalla NATO a partire da Izmir (Turchia), inquadrati da ufficiali turchi, francesi e britannici, occupavano le campagne, mentre l’Esercito Arabo Siriano difendeva la popolazione, radunatasi nelle città.
Su richiesta della Siria, nel 2014 intervenne l’aviazione russa per bombardare le installazioni sotterranee costruite dagli jihadisti. L’Esercito Arabo Siriano poté così cominciare a riconquistare il proprio territorio. Sempre nel 2014, la NATO favorì la trasformazione di un gruppo jihadista iracheno, che assunse il nome di Daesh, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (3). In un anno, gli jihadisti stranieri che combattevano contro la Repubblica Araba Siriana divennero oltre 250 mila: assurdo continuare a chiamare questo conflitto «guerra civile».
Nel 2014 la Repubblica Araba Siriana istituì il ministero per la Riconciliazione, guidato dal leader del PNSS, Ali Haïdar. Nei successivi sette anni di guerra la Repubblica si adoperò per amnistiare i siriani che avevano collaborato con gli invasori e per reintegrarli nella società.
In un anno, gli jihadisti stranieri che combattevano contro la Repubblica Araba Siriana divennero oltre 250 mila: assurdo continuare a chiamare questo conflitto «guerra civile»
Oggi il Paese è diviso in quattro parti: la parte essenziale controllata dal governo di Damasco; a nord-ovest il governatorato di Idlib − ove sono raggruppati gli jihadisti − protetto dall’esercito d’occupazione turco; a nord-est la zona d’occupazione dell’esercito statunitense e delle milizie kurde; infine a sud l’altopiano del Golan, che Israele, con atto unilaterale, si annesse prima della guerra.
La posizione delle potenze straniere
Secondo il diritto internazionale, la presenza in Siria di Russia e Iran è legale; invece Israele, Turchia e Stati Uniti ne occupano illecitamente parti di territorio.
Gli Stati Uniti, che avevano radunato la più grande coalizione militare della storia − paradossalmente denominata «Amici della Siria» − non sono riusciti a mantenere coesi i Paesi aderenti, che progressivamente hanno riacquistato autonomia e ricominciato a perseguire obiettivi propri:
Secondo il diritto internazionale, la presenza in Siria di Russia e Iran è legale; invece Israele, Turchia e Stati Uniti ne occupano illecitamente parti di territorio
- Il Pentagono voleva distruggere lo Stato siriano, conformemente alla dottrina Rumsfeld/Cebrowski (4).
- La Turchia sperava di annettere territori ottomani perduti, definiti dal “giuramento nazionale” del 1920 (5).
- Il Regno Unito cercava di ristabilire gli interessi imperiali.
- La Francia desiderava ripristinare il mandato affidatole nel 1922 dalla Società delle Nazioni (6).
Dopo dieci anni di guerra, in cui hanno parlato le armi, è ora evidente che il popolo siriano vuole mantenere la Repubblica e che quest’ultima è entrata nell’orbita della Russia. Gli Occidentali non riusciranno, nel breve e medio termine, a plasmare il Paese a proprio piacimento
Dopo dieci anni di guerra, in cui hanno parlato le armi, è ora evidente che il popolo siriano vuole mantenere la Repubblica e che quest’ultima è entrata nell’orbita della Russia. Gli Occidentali non riusciranno, nel breve e medio termine, a plasmare il Paese a proprio piacimento. Era lecito aspettarsi che le potenze occidentali prendessero atto della sconfitta e cambiassero atteggiamento mentale. Nient’affatto. In politica, come nella scienza, le dottrine non spariscono perché sconfitte o smentite, ma solo quando sparisce la generazione che le sostiene.
Gli Occidentali insistono perciò a diffondere false notizie e ad accusare il presidente al-Assad, nonché la Repubblica, di essere dei carnefici, proprio come il III Reich definiva Charles De Gaulle un servo degli ebrei e degli inglesi, a capo d’una banda di mercenari e seviziatori.
Appena prima delle elezioni siriane, Washington e Bruxelles hanno concordato una posizione comune: lo scrutinio non può essere legittimo perché contrario alla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ebbene, questo testo (7), adottato sei anni fa, non cita mai le elezioni presidenziali. Stabilisce invece che il futuro della Siria spetta unicamente ai siriani e conferma la legittimità della lotta della Repubblica contro i gruppi jihadisti. Si dà il caso che alla risoluzione siano seguite in Svizzera, e poi parallelamente in Russia, trattative tra le parti in causa siriane. Le delegazioni avevano convenuto di riformare la Costituzione, ma non vi sono riuscite. I Collaboratori della NATO (gli «oppositori») hanno progressivamente deposto le armi, sicché oggi non ci sono delegati titolati a portare avanti i negoziati.
Era lecito aspettarsi che le potenze occidentali prendessero atto della sconfitta e cambiassero atteggiamento mentale. Nient’affatto. In politica, come nella scienza, le dottrine non spariscono perché sconfitte o smentite, ma solo quando sparisce la generazione che le sostiene
I rifugiati siriani
Nel 2010 vivevano in Siria 20 milioni di cittadini siriani, nonché 2 milioni di rifugiati palestinesi e iracheni. Nel 2011 la Turchia ha costruito alla frontiera siriana nuovi quartieri e ha sollecitato i siriani a stabilirvisi, in attesa del ripristino della pace nel loro Paese. Ankara stava soltanto mettendo in atto una tattica della NATO (8): sottrarre popolazione civile alla Siria.
In seguito, la Turchia ha fatto una selezione fra i rifugiati, utilizzando i sunniti nelle fabbriche e spedendo gli altri in Europa. Nel medesimo tempo molti altri siriani hanno lasciato il Paese per sfuggire alla guerra, rifugiandosi in Libano e Giordania. I dati dell’UNHCR dicono che oggi i rifugiati siriani all’estero sono 5,4 milioni.
Considerato il disordine che regna in Siria, è impossibile stabilire con precisione il numero dei morti causati dalla guerra: i siriani uccisi sarebbero 400 mila, forse più, gli jihadisti stranieri almeno 100 mila. Non si conosce nemmeno il numero e la nazionalità degli abitanti dei territori sotto controllo turco e statunitense. Durante la guerra gli Occidentali hanno diffuso cifre assurde: si è parlato di un milione di «democratici» nella Ghuta orientale, ma alla caduta di questa vi si trovavano soltanto 140 mila persone (90 mila siriani e 50 mila stranieri). Il dato di 3 milioni di persone che si trovano nelle zone occupate, fornito dagli Occidentali, non è probabilmente più affidabile.
I siriani uccisi sarebbero 400 mila, forse più, gli jihadisti stranieri almeno 100 mila. Non si conosce nemmeno il numero e la nazionalità degli abitanti dei territori sotto controllo turco e statunitense
In ogni caso, la Repubblica Araba Siriana calcola che i cittadini siriani attuali sono 18,1 milioni. Ma molte persone non hanno dato segno di vita alle autorità siriane, forse vivono ancora come rifugiati all’estero.
Gli Occidentali, che si sono dimenticati della tattica demografica da loro messa in atto e sono intossicati dalla propaganda, sono persuasi che i rifugiati abbiano lasciato la Siria per sfuggire alla «dittatura». Tuttavia, all’ambasciata del Libano, in occasione del voto per le presidenziali si sono viste incredibili manifestazioni di esultanza per la vittoria contro gli aggressori stranieri, nonché di fedeltà alla Repubblica. Scene analoghe si svolsero durante le elezioni del 2014.
La stragrande maggioranza dei rifugiati siriani ha ripetutamente proclamato di aver fuggito gli jihadisti, non il «regime».
La stragrande maggioranza dei rifugiati siriani ha ripetutamente proclamato di aver fuggito gli jihadisti, non il «regime»
La candidatura di Bashar al-Assad
Al contrario di quanto comunemente si crede, Bashar al-Assad non ha ereditato la presidenza. Del resto non era destinato alla politica: viveva a Londra dal 1992, dove faceva l’oculista. Dedito ai pazienti, si rifiutò sempre di aprire uno studio per ricchi e continuò a lavorare in ospedale, al servizio di tutti.ù
Alla morte del fratello Bassel, accettò tuttavia di rientrare in Siria ed entrò in un’accademia militare. Nel 1998 il padre, il presidente Hafez al-Assad, lo mise a capo della Società Informatica Siriana e poi gli affidò missioni diplomatiche. Quando Hafez morì, Bashar non era designato alla successione.
Tuttavia, a fronte del periodo d’incertezza che aveva investito il Paese, su pressione del partito unico dell’epoca, il Baas, Bashar al-Assad accettò la presidenza della Repubblica; una decisione ratificata dal popolo non con elezioni, ma attraverso un referendum.
Diventato presidente, al-Assad s’impegnò nella liberalizzazione e modernizzazione del Paese, comportandosi né meglio né peggio dei dirigenti occidentali. Ma nel 2011, quando gli Occidentali gli offrirono privilegi in cambio dell’allontanamento, il presidente non si piegò ma si ribellò. La famiglia Assad (che in arabo significa «Leone») è nota per il senso del dovere e il controllo della paura.
Il voto non poteva essere che un plebiscito: il ringraziamento della Nazione all’uomo che l’ha salvata. Ha votato il 76,64% degli iscritti a votare e il 95,1% ha scelto Bashar al-Assad. Un numero di consensi molto superiore al 2014
E Bashar al-Assad, sino a questo momento personaggio di basso profilo, si rivelerà un dirigente eccezionale, passando, come Charles De Gaulle, dallo status di uomo ordinario a quello di liberatore del Paese.
Le elezioni presidenziali del 2021
La legislazione siriana ha stabilito che soltanto i cittadini rimasti in Siria negli ultimi dieci anni, ossia durante la guerra, hanno il diritto di candidarsi. Un modo per delegittimare coloro che sono andati a vendersi agli Occidentali. E così i candidati alle elezioni presidenziali del 2021 sono stati soltanto tre. Tutti hanno avuto modo di mettere in luce i problemi sociali causati dalla guerra e di dibattere su come risolverli.
Ma il voto non poteva essere che un plebiscito: il ringraziamento della Nazione all’uomo che l’ha salvata. Ha votato il 76,64% degli iscritti a votare e il 95,1% ha scelto Bashar al-Assad. Un numero di consensi molto superiore al 2014.
La folla ha celebrato ovunque la vittoria: la vittoria alle elezioni presidenziali e la vittoria contro gli invasori.
La folla ha celebrato ovunque la vittoria: la vittoria alle elezioni presidenziali e la vittoria contro gli invasori.
Gli Occidentali non l’ammettono. Sono ossessionati dai crimini da loro stessi commessi e che tentano di mascherare: la maggior parte delle abitazioni, intere città, non sono che mucchi di macerie; 1,5 milioni di siriani sono handicappati e almeno 400 mila sono morti.
Thierry Meyssan
Thierry Meyssan ha vissuto dal 2011 al 2020 a fianco dei siriani, sotto le bombe della NATO e d’Israele, sotto gli attacchi di Al Qaeda e di Daesh. Ha scritto un libro autorevole, Sotto i nostri occhi, dedicato alla strategia degli Occidentali in Medio Oriente e, in particolare, alla guerra contro la Siria.
1) «La Germania e l’ONU contro la Siria», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.
2) «L’esercito libero siriano è comandato dal governatore militare di Tripoli», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 19 dicembre 2011.
3) «I Fratelli Mussulmani come ausiliari del Pentagono», di Thierry Meyssan, Traduzione Alice Zanzottera, Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 luglio 2019.
4) «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.
5) « Serment national turc», Réseau Voltaire, 28 gennaio 1920.
6) «Il faut envoyer l’ONU pour pacifier la Syrie», intervista di Valéry Giscard d’Estaing con Henri Vernet e Jannick Alimi, Le Parisien, 27 septembre 2015. «Perché la Francia vuole rovesciare la Repubblica araba siriana?», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 12 ottobre 2015.
7) « Résolution 2254 (Plan de paix pour la Syrie)», Réseau Voltaire, 18 décembre 2015.
8) «Strategic Engineered Migration as a Weapon of War», Kelly M. Greenhill, Civil War Journal, Volume 10, Issue 1, July 2008. «Understanding the Coercive Power of Mass Migrations», in Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion and Foreign Policy, Kelly M. Greenhill, Ithaca, 2010. «Migration as a Coercive Weapon: New Evidence from the Middle East», in Coercion : The Power to Hurt in International Politics, Kelly M. Greenhill, Oxford University Press, 2018.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «Le elezioni presidenziali nella Repubblica Araba Siriana», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 1 giugno 2021
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Geopolitica
Orban: l’UE annega nella corruzione
L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.
Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.
Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.
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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.
Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».
«Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».
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Geopolitica
Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»
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Geopolitica
Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini
Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.
La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.
Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.
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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.
L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.
Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.
Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.
Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.
Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.
Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.
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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.
Come riportato da Renovatio 21, le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.
Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.
Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.
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