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La strage della famiglia adottiva con due mamme

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Una giuria speciale della California ha dichiarato ad inizio aprile che due donne si sono uccise coinvolgendo nell’omicidio-suicidio i loro sei figli adottati. I fatti risalgono al marzo 2018. La macchina delle due donne, unite in matrimonio omosessuale come da nuova legge americana, è stata ritrovata sotto un dirupo di 30 metri.

 

Le due donne bianche avevano adottato sei bambini di colore, tutti morti.

 

Sarah Hart aveva assunto 42 dosi di Benadryl, mentre Jennifer Hart, l’autista, aveva una concentrazione di alcol nel sangue dello 0,102% quando ha spinto la macchina giù dalla scogliera. In California, è illegale per i conducenti avere un livello di 0,08 percento o superiore.

 

Jennifer – la figura dominante della coppia – viaggiava con i bambini ai festival musicali diverse settimane l’anno; Sarah era una commessa dei negozi Kohl. La famiglia riceveva circa $ 2000 al mese in assistenza all’adozione.

 

La storia, raccontata dal New York Times dal quale attingiamo, è tuttavia è ben più agghiacciante del semplice omicidio-suicidio per incidente stradale.

Le due donne bianche avevano adottato sei bambini di colore. Ora sono tutti morti.

 

Alle 15.38 di lunedì 26 marzo 2018 una turista tedesca chiamò la polizia da Juan Creek, lungo l’autostrada panoramica californiana Highway 1. Aveva notato qualcosa di strano: sembrava un veicolo sportivo o un’utilitaria ribaltato nell’oceano Pacifico.

 

All’arrivo della pattuglia, gli agenti trovarono il SUV. Jennifer Hart era al volante e sua moglie, Sarah Hart, intrappolata fra il tettuccio e i sedili posteriori. Erano entrambe senza vita.

 

Una coppia di madri omosessuali – una dittatoriale ed eccentrica, l’altra costantemente al lavoro e raramente a casa – che distribuivano pene crudeli e perennemente negavano il cibo ai loro sei figli.

Nell’arco di tre settimane la polizia scoprì anche i resti di quattro dei sei figli delle Hart – Mark, 19 anni; Jeremiah, 14 anni; Abigail, 14 anni; Ciera, 12 anni – e ne dichiararono il decesso. Scoprirono anche resti ossei in una scarpa da donna, e confermarono che si trattava dei resti di Hannah, 16 anni. Devonte, 15 anni, a gennaio era ancora considerato scomparso, ma si presume sia morto.

 

Jennifer, 38 anni, era ubriaca nel momento dell’accaduto e Sarah, 38, e due dei bambini avevano nel sangue una quantità di antistaminici tale da causare assopimento.

 

Punizioni e crudeltà

Le oltre 1.000 pagine di documenti investigativi divulgati dalla polizia dello stato di Washington – ultima dimora della famiglia omogenitoriale – mostrano un ritratto vivido della coppia e dei loro figli adottivi. Dipingono Jennifer e Sarah come madri adottive sottoposte a una crescente tensione, che fuggivano ai primi segnali di problemi e facevano terra bruciata intorno ai figli man mano che le indagini si intensificavano.

 

I bambini dovevano alzare la mano prima di parlare, erano nei guai se ridevano a tavola e in un caso fu loro proibito di dire ad uno dei bambini, Markis, «Buon compleanno» il giorno del suo compleanno.

Dozzine di pagine di rapporti redatti  da funzionari per l’assistenza ai minori dipingono il ritratto di una coppia di madri omosessuali – una dittatoriale ed eccentrica, l’altra costantemente al lavoro e raramente a casa – che distribuivano pene crudeli e perennemente negavano il cibo ai loro sei figli.

 

Gli investigatori hanno anche intervistato almeno due donne che conoscevano la famiglia, e hanno dipinto un inquietante ritratto della vita domestica di questa famiglia omogenitoriale. Hanno detto agli investigatori che i bambini dovevano alzare la mano prima di parlare, erano nei guai se ridevano a tavola e in un caso fu loro proibito di dire ad uno dei bambini, Markis, «Buon compleanno» il giorno del suo compleanno.

 

In un altro episodio, è stato raccontato agli investigatori, Jennifer era rimasta con i bambini a casa sua. Ordinarono la pizza, ma Jennifer avrebbe permesso ai suoi figli di avere solo una piccola fetta ciascuno. La mattina dopo, però, la pizza era sparita – e Jennifer era arrabbiata, secondo i documenti. Disse alla donna che nessuno dei bambini avrebbe fatto colazione perché nessuno di loro aveva ammesso di aver mangiato la pizza. La donna ha detto che Jennifer avrebbe poi costretto tutti i bambini a sdraiarsi sul loro letto per circa cinque ore come punizione.

 

Scrive il NYT: «Come, si chiedono i conoscenti, una famiglia che sembrava così felice e normale nelle foto può nascondere una vita così oscura?

Affido con tendenze suicide

 Secondo la dettagliosa ricostruzione del NYT, Jennifer Jean Hart e Sarah Margaret Gengler crebbero a 150 miglia di distanza nel South Dakota e si incontrarono alla Northern State University. Già nel  2005 convivevano ad Alexandria, Minnesota.

 

Dai documenti delle indagini emerge che ebbero in affido una sedicenne, che venne loro tolta per «tendenze suicide e minacce». La coppia era in procinto di adottare e disse: «Non vogliamo energia negativa intorno ai nostri bambini», come riportano i documenti.

 

L’assistente sociale aveva «caldamente raccomandato» la famiglia per l’adozione di un secondo gruppo di gemelli

Markis, Hannah e Abigail vennero affidati alle Hart il 4 marzo 2006 e la procedura di adozione venne completata sei mesi dopo. In un anno, le due donne trascorsero almeno 15 ore a prepararsi su temi come «l’esaltazione della diversità etnica» e «aiutare i bambini vittime di abusi».

 

«La famiglia Hart coglieva ogni occasione per valorizzare il patrimonio etnico dei figli», aveva scritto un assistente sociale in un rapporto per il Permanent Family Research Center, casa famiglia e agenzia di adozioni a Fergus Falls, Minnesota, che venne chiusa dopo una denuncia per violazioni del codice. L’assistente sociale aveva «caldamente raccomandato» la famiglia per l’adozione di un secondo gruppo di gemelli.

 

Jeremiah, Devonte e Ciera vennero adottati nel giugno 2008, come si legge nei documenti; Jennifer e Sarah si sposarono in Connecticut, dove il matrimonio omosessuale era già legale, l’anno seguente.

 

In una e-mail datata marzo 2009, Jennifer comunicava il nuovo progetto della famiglia: Sarah «sta cercando di rimanere incinta», scrisse.

 

«Ne parliamo da ormai 10 anni, ora abbiamo scelto il donatore», scrisse Jennifer. «Questo mese farà per la prima volta tutto il percorso. È abbastanza snervante».

 

Ma in luglio, scrisse in un’altra mail, il dottore «non riusciva più a sentire il battito».

 

Sei giorni dopo, aggiornò il suo destinatario: «Il bambino non ce l’ha fatta».

 

Ogni turbolenza veniva mascherata da video pubblici e post sui social media che le faceva apparire come una famiglia felice

Violenza domestica

Nell’agosto 2010, in una mail a un’altra donna, Jennifer si lamentava di Sarah perché aveva «detto cose molto offensive».

 

«Per un periodo mi sono sentita poco apprezzata e data per scontata nella relazione … e a volte non mi sentivo amata – scrisse – nel profondo del mio cuore so quanto mi ama … ma non è in grado di dimostrarmelo».

 

«Sentivo che stavo crescendo i bambini da sola – aggiunse –Ho bisogno di staccare».

 

Pochi mesi dopo, il Minnesota Child Welfare ricevette sei denunce di abusi e negligenze commessi dalle Hart – due delle quali ritenute verosimili. In un episodio, Sarah ammise di aver alzato le mani su Abigail. Dai rapporti si apprende che Sarah fu ritenuta colpevole del reato minore di violenza domestica. La disputa era iniziata per un penny, un centesimo di dollaro: i genitori ne scoprirono uno nella tasca di Abigail e la accusarono di mentire su come l’aveva preso. Ne seguì una sculacciata, che secondo le dichiarazioni documentate di Sarah Hart «andò fuori controllo».

In un episodio, Sarah ammise di aver alzato le mani su Abigail. Dai rapporti si apprende che Sarah fu ritenuta colpevole del reato minore di violenza domestica

 

La famiglia fece il primo grande trasloco a West Linn, Oregon, dove un anonimo comunicò alle autorità che i figli delle Hart apparivano malnutriti. Gli investigatori dell’Oregon avviarono un’inchiesta e interrogarono alcune donne che conoscevano la famiglia, che descrissero le Hart come genitori militari che imponevano ai figli una disciplina molto rigida. «Erano addestrati come Robot», riporta un articolo dell’anno passato.

 

Il discorso della privazione del cibo emerse più volte.

In un episodio del 2011, Hannah disse a un’infermiera della scuola che non aveva mangiato. Jennifer Hart si arrabbiò e spinse una banana e delle noci nella bocca del la bambina. Di fronte a questo fatto, Sarah Hart sostenne che la figlia Hannah stava «giocando alla food card» e che avrebbe dovuto semplicemente bere dell’acqua.

Un operatore per l’assistenza ai minori riferì che la scuola per bambini smise di chiamare le due madri, perché i funzionari temevano che i bambini sarebbero stati puniti.

 

Alla fine, un operatore per l’assistenza ai minori riferì che la scuola per bambini smise di chiamare le due madri, perché i funzionari temevano che i bambini sarebbero stati puniti. Alla fine, le signore Hart tirarono via i bambini da scuola, iniziarono a fare homeschooling e poi si trasferirono.

 

Ogni turbolenza veniva mascherata da video pubblici e post sui social media che le faceva apparire come una famiglia felice, seppur eccentrica. I video di YouTube pubblicati da Jennifer, infatti, mostrano Devonte che balla mentre gli altri figli intonano We Are So Provided For.

 

Ma a una manifestazione del 2014 a Portland, Oregon, contro le violenze della polizia, Devonte venne fotografato con espressione sofferente abbracciato a un poliziotto bianco. L’immagine diventò virale e segnò il momento per trasferirsi di nuovo.

Un anonimo comunicò alle autorità che i figli delle Hart apparivano malnutriti

 

Il problema, notò un assistente sociale del Minnesota, era che Jennifer e Sarah Hart «sembravano normali». Una vicina settantunenne le definisce «ragazze molto amichevoli», tuttavia dice al quotidiano americano che non conosceva bene i loro figli perché le madri «non li lasciavano uscire di casa molto spesso». Quando lo facevano, i bambini erano «molto disciplinati». «Scendevano tutti gli scalini a file singolo e uscivano nella fila singola del cortile». Il comportamento dei bambini la infastidiva, perché «non era quello dei bambini normali».

 

L’uccisione dei bambini

Nel maggio 2017 le Hart vivevano in un terreno di oltre 2 acri a Woodland, Washington. Le uniche due abitazioni nelle vicinanze erano chiuse da file di alberi e steccati. Bruce e Diana DeKalb vivevano in una di queste. Dissero agli investigatori che erano eccitati all’idea di avere dei nuovo vicini, ma li vedevano così di rado che si chiedevano se davvero una famiglia si fosse trasferita.

 

Era vero. All’1.30 di notte nell’agosto del 2017, Hannah suonò alla porta dei DeKalb e si precipitò all’interno. Le mancavano due denti ed era talmente magra che sembrava avere 6 o 7 anni, dissero i DeKalb in un’intervista.

All’1.30 di notte nell’agosto del 2017, Hannah suonò alla porta dei DeKalb e si precipitò all’interno. Le mancavano due denti ed era talmente magra che sembrava avere 6 o 7 anni, dissero i DeKalb in un’intervista.

 

 «Potete portarmi a Seattle?» aveva chiesto al signor DeKalb, 63 anni.

Hannah raccontò di aver saltato dalla finestra del secondo piano per scappare. Disse di essere stata frustata e che le sue madri erano razziste.

 

Pochi minuti dopo, le madri di Hannah si presentarono alla porta e Hannah si nascose in camera da letto. Alla fine, la signora DeKalb concesse un po’ di tempo a Jennifer e Hannah per parlare da sole. Quando tornarono, Hannah si scusò e tornarono a casa.

 

Hannah e la famiglia tornarono la mattina seguente con una lettera di scuse. Jennifer spiegò che Hannah era bipolare e che non aveva accettato la morte del loro gatto. Infatti, insistette Jennifer, i bambini amavano la nuova casa, proprio come amavano l’avventura. I bambini annuirono.

 

«Era così convincente», disse la signora DeKalb, 59 anni, riferendosi a Jennifer. Ma era ancora preoccupata. Nei mesi che seguirono, nessuno dei bambini parlò con lei.

 

La famiglia ha acquisito notorietà internazionale da una foto ampiamente condivisa del figlio Devonte Hart che abbraccia un sergente di polizia bianco durante una dimostrazione del 2014 a Portland, Oregon.

Poi, nel marzo 2018, Devonte iniziò a bussare alla loro porta in cerca di cibo.

Devonte disse che le madri avevano nascosto il cibo per punizione, ma chiese di non far sapere alla «mamma» che era stato lì. Quando la DeKalb chiese quale mamma, lui spiegò che c’erano «mamma e Sarah», e che «mamma era la responsabile degli abusi». Sarah non era d’accordo ma «tollerava» il comportamento di Jennifer.

 

«Dal profondo del cuore, assolutamente, credo a quello che mi ha detto», disse la signora DeKalb.

 

Devonte chiese anche di non chiamare la polizia perché temeva che la famiglia sarebbe stata divisa. Ma nei giorni successivi la signora DeKalb disse di avere intenzione di farlo. La notte seguente, quando Devonte si presentò alla loro porta, chiese: «Hai già chiamato?»

 

Devonte venne fotografato con espressione sofferente abbracciato a un poliziotto bianco. L’immagine diventò virale e segnò il momento per trasferirsi di nuovo.

Fu il signor DeKalb a contattare l’agenzia statale per la tutela dei minori il 23 marzo 2018.

In seguito furono travolti da un pensiero orribile: «Siccome le abbiamo segnalate, loro hanno preso i bambini e li hanno uccisi».

 

La fine

Non c’era niente di strano nell’atteggiamento di Sarah quel venerdì, disse agli investigatori uno dei colleghi di Sarah, che lavorava nel negozio Kohl’s. Altri invece ricordano che in passato faceva strane lamentele sui bambini e diventava visibilmente turbata dopo le chiamate di Jennifer.

 

Sarah lamentava che i bambini «non facevano nulla da soli», che avevano «problemi con il cibo» e che non potevano entrare in cucina.

Il vicedirettore disse anche che Sarah si preoccupava molto quando Jennifer chiamava o le mandava messaggi durante il lavoro, a volte usciva dalla stanza in lacrime e a pezzi dopo le telefonate.

Sarah lamentava che i bambini «non facevano nulla da soli», che avevano «problemi con il cibo» e che non potevano entrare in cucina.

 

Sarah raccontò al capo che Jennifer soffriva di depressione e disse a un altro collega che Jennifer «stava a letto a piangere tutto il giorno». Nei documenti delle indagini si legge che un parente stretto di Jennifer era «preoccupato per la sua salute mentale».

 

Il vicedirettore raccontò agli investigatori una conversazione con Sarah che gli rimase impressa: una volta gli aveva detto che «sperava che qualcuno le avesse detto che andava bene lo stesso non avere una famiglia numerosa».

 

«Allora – disse Sarah – non avremmo adottato i bambini».

 

Il SUV lanciato giù dalla scogliera

Con tutto quello che stava accadendo a casa, disse il direttore, «Sarah non aveva mai saltato il lavoro».

 

I video esaminati dagli investigatori mostrano Sarah Hart lasciare Kohl’s intorno alle 17:26 del 23 marzo su una Pontiac bianca. Un ufficiale del servizio di tutela dei minori, attivato dalla chiamata del signor DeKalb, arrivò alla casa delle Hart circa 10 minuti prima e vide il SUV color oro imboccare la strada e accostarsi vicino alla casa, secondo il rapporto. L’assistente sociale bussò alla porta principale. Nessuna risposta. Lasciò il suo biglietto da visita. Prima delle 3 del mattino seguente Sarah Hart inviò un messaggio ad almeno tre colleghi: «Pensavo di riuscire a venire a lavorare, ma sono troppo ammalata».

 

Le autorità esaminarono il video di quella che sembra Jennifer a un negozio Safeway la mattina di domenica 25 marzo. Il supermercato era a circa 25 miglia da Juan Creek sulla Highway 1.

 

Gli inquirenti tornarono alla casa delle Hart il giorno successivo. Il SUV era sparito; una turista tedesca l’avrebbe ritrovato qualche ora dopo, ribaltato sulla scogliera a strapiombo nell’oceano Pacifico. 

 

 

 

 

 

 

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Essere genitori

La dipendenza dagli schermi è collegato a un rischio più elevato di suicidio nei bambini: studio

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Secondo una nuova ricerca pubblicata su JAMA, non è solo il tempo trascorso davanti allo schermo a predire i problemi di salute mentale, ma «la qualità e la dipendenza emotiva dall’uso dello schermo» che contano di più.

 

Secondo uno studio pubblicato il 18 giugno su JAMA, i bambini che utilizzano in modo compulsivo i social media o i cellulari avevano da due a tre volte più probabilità di manifestare idee o comportamenti suicidari rispetto ai loro coetanei.

 

Ciò che ha sorpreso di più i ricercatori è stato che il tempo trascorso davanti a uno schermo non era di per sé un fattore predittivo di problemi di salute mentale, ha affermato Yunyu Xiao, Ph.D, autore principale dello studio sottoposto a revisione paritaria e professore associato di psichiatria e scienze della salute della popolazione presso il Weill Cornell Medical College.

 

«Non è la quantità totale di tempo trascorso davanti agli schermi a predire comportamenti suicidi o problemi di salute mentale», ha detto Xiao a The Defender. «Sono invece la qualità e la dipendenza emotiva dall’uso degli schermi, non la quantità, a contare di più».

 

Gli Stati Uniti emetteranno un avviso ai genitori sui social media?

La pubblicazione dello studio è avvenuta il giorno dopo che il governo olandese aveva consigliato ai genitori di tenere i figli di età inferiore ai 15 anni lontani dalle piattaforme di social media come TikTok e Instagram a causa di problemi fisici e psicologici, tra cui depressione, attacchi di panico e scarsa qualità del sonno.

 

Alla domanda se pensasse che gli Stati Uniti avrebbero dovuto emettere un avviso simile, Xiao ha risposto: «è una domanda importante», poiché lo studio ha dimostrato che «i comportamenti di uso compulsivo, comuni sulle piattaforme con scorrimento infinito, contenuti algoritmici e funzionalità di convalida sociale, possono aumentare il rischio per la salute mentale durante una delicata finestra di sviluppo».

 

Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) non ha emanato linee guida per i genitori simili a quelle olandesi. Tuttavia, la portavoce dell’HHS, Vianca N. Rodríguez Feliciano, ha affermato che il recente rapporto Make America Healthy Again (MAHA) ha riconosciuto la presenza di ricerche che collegano i social media a un aumento dei problemi di salute mentale, incluso il disagio emotivo.

 

Rodriguez Feliciano ha affermato che il segretario dell’HHS Robert F. Kennedy Jr. è «profondamente impegnato» ad «affrontare il crescente impatto dei social media sulla salute mentale dei giovani».

 

Secondo la ricerca più recente, pubblicata nel luglio 2024 dai National Institutes of Health, il suicidio è la quinta causa di morte tra i preadolescenti negli Stati Uniti.

 

Nel 2023, il direttore generale della sanità degli Stati Uniti ha pubblicato un avviso sui social media e la salute mentale dei giovani, ma offre solo suggerimenti per i genitori. L’avviso non è stato aggiornato per riflettere i dati più recenti.

 

Secondo l’ordine esecutivo del 13 febbraio del presidente Donald Trump, la Commissione MAHA dovrebbe annunciare la «Strategia per far tornare sani i nostri bambini» entro 80 giorni dal rapporto MAHA.

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Quasi 1 giovane su 2 ha dichiarato di usare i cellulari in modo “fortemente dipendente”

Lo studio JAMA ha seguito oltre 4.200 giovani provenienti da 21 diverse località degli Stati Uniti che hanno preso parte allo studio ABCD (Adolescent Brain Cognitive Development), pubblicizzato come il «più grande studio a lungo termine sullo sviluppo del cervello e sulla salute infantile» del Paese.

 

I bambini avevano 9 o 10 anni quando hanno partecipato allo studio ABCD. Ogni anno, dal 2016 al 2022, hanno compilato un sondaggio sull’uso di cellulari, social media e videogiochi.

 

L’indagine ha valutato la «dipendenza» dei ragazzi chiedendo loro di valutare quanto fossero d’accordo con affermazioni come: «Sento sempre di più il bisogno di usare le app dei social media», «Il pensiero di restare senza telefono mi angoscia» e «Gioco ai videogiochi per dimenticare i miei problemi».

I ricercatori hanno utilizzato l’analisi statistica per identificare le tendenze, che hanno chiamato “traiettorie”, nel comportamento digitale dei bambini, per verificare se tali tendenze fossero collegate a problemi di salute mentale.

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Secondo il rapporto:

 

«Quasi 1 giovane su 2 ha avuto un elevato tasso di dipendenza dai telefoni cellulari e oltre il 40% ha avuto un elevato tasso di dipendenza dai videogiochi».

 

«Molti altri hanno avuto un consumo compulsivo crescente nel periodo di osservazione di 4 anni, che si è concluso con un consumo compulsivo elevato; quasi 1 su 3 ha avuto questa tendenza per i social media e 1 su 4 per i telefoni cellulari».

 

Sia l’uso compulsivo «elevato» che quello «crescente» dei social media e dei cellulari sono stati associati a rischi da due a tre volte maggiori di ideazione e comportamenti suicidari rispetto all’uso compulsivo «basso».

 

Per quanto riguarda i videogiochi, hanno scoperto che la tendenza alla dipendenza «elevata» era collegata anche a un rischio più elevato di ideazione e comportamenti suicidari.

 

I ricercatori hanno affermato che molti studi precedenti si concentravano sul monitoraggio del tempo trascorso davanti agli schermi, mentre il loro studio è stato il primo a esaminare l’uso compulsivo degli schermi da parte dei bambini.

 

«La conclusione più importante», ha detto Xiao, «è che non tutto il tempo trascorso davanti a uno schermo è dannoso… anzi, molti giovani usano gli schermi per scopi creativi, educativi o sociali senza problemi. Tuttavia, quando l’uso dello schermo diventa compulsivo, interferisce con la vita quotidiana ed è difficile da controllare, può essere il segnale di un rischio per la salute mentale».

 

Gli autori hanno sottolineato che lo studio si avvale di dati auto-riportati, che alcuni ricercatori hanno ritenuto più soggetti a distorsioni rispetto ad altri tipi di dati.

 

La loro analisi non ha preso in considerazione altri fattori che potrebbero influire sulla salute mentale dei bambini e sull’uso del digitale, come il cyberbullismo e le esperienze negative vissute durante l’infanzia.

 

Le radiazioni dei dispositivi elettronici aggravano i danni psicologici

Miriam Eckenfels, direttrice del programma sulle radiazioni elettromagnetiche (EMR) e wireless di Children’s Health Defense (CHD), ha affermato che il tempo trascorso davanti allo schermo espone i bambini anche alle radiazioni elettromagnetiche (EMR ), che hanno un impatto neurologico e comportamentale.

 

«Ognuno di questi fattori è dannoso, ma se messi insieme peggiorano la situazione», ha affermato Eckenfels.

 

Ha citato uno studio recente sottoposto a revisione paritaria che ha dimostrato che tenere un cellulare vicino al corpo di una donna sana causava un’anomala coagulazione del sangue, anche quando il cellulare era a un pollice dalla pelle.

 

«Un altro studio recente ha collegato l’aumento dei sentimenti di aggressività, rabbia e allucinazioni tra gli adolescenti negli Stati Uniti e in India all’età sempre più precoce in cui i bambini acquistano i cellulari», ha affermato Eckenfels.

 

«E sebbene le persone possano regolare il tempo che trascorrono davanti allo schermo dei dispositivi, sono involontariamente esposte ai campi elettromagnetici a causa dell’espansione sconsiderata delle antenne cellulari nei quartieri degli Stati Uniti».

 

 

Suzanne Burdick

Ph.D.

 

© 24 giugno 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Mascherine COVID, i bambini sono meno capaci di distinguere le espressioni facciali: studio

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Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, le rigide politiche sull’uso delle mascherine durante il COVID-19 hanno reso i bambini cresciuti durante la pandemia meno capaci di distinguere le emozioni dietro le espressioni facciali.   Nello studio, pubblicato sulla rivista Developmental Cognitive Neuroscience, i ricercatori dell’Università di Utrecht nei Paesi Bassi hanno studiato i dati di 349 neonati di età compresa tra 4 e 6 mesi, 351 neonati di età compresa tra 9 e 11 mesi e 235 bambini di età compresa tra 2 e 4 anni, confrontando la capacità di elaborare i volti prima e durante la pandemia.   Ciò che hanno riscontrato è stata «nessuna differenza significativa» nella capacità di riconoscere i volti come volti, ma «a prescindere dall’età», i soggetti testati durante la pandemia «non hanno differenziato neurocognitivamente tra espressioni di felicità e di paura. Questo effetto è stato attribuito principalmente a una ridotta ampiezza nella risposta ai volti felici», suggerendo che «i bambini post-pandemici hanno una ridotta familiarità o attenzione verso le espressioni facciali felici».

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All’inizio della pandemia di COVID-19, il governo federale ha raccomandato di indossare la mascherina in presenza di altre persone, raccomandazione che molti stati e località avevano già adottato per imporre l’obbligo di mascherina in una vasta gamma di assembramenti pubblici. Ma le prove dimostrano da tempo che l’uso della mascherina è stato ampiamente inefficace nel limitare la diffusione del virus.   Tra queste prove c’è l’ammissione del settembre 2020 da parte dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) secondo cui non ci si può affidare alle mascherine per proteggersi dal COVID quando si trascorre 15 minuti o più a meno di due metri da qualcuno.   Uno studio del 2020 pubblicato dalla rivista peer-reviewed del CDC Emerging Infectious Diseases ha rilevato che «non sono state trovate prove che le mascherine chirurgiche siano efficaci nel ridurre la trasmissione dell’influenza confermata in laboratorio, né quando indossate da persone infette… né da persone nella comunità in generale per ridurne la suscettibilità».   Nel maggio 2021, un altro studio ha rilevato che, nonostante le disposizioni fossero ampiamente rispettate, l’uso non ha prodotto i benefici attesi. «L’obbligo e l’uso delle mascherine non sono stati associati a una minore diffusione del SARS-CoV-2 tra gli stati degli Stati Uniti» da marzo 2020 a marzo 2021, si legge nello studio. Anzi, i ricercatori hanno riscontrato risultati nettamente negativi, con le mascherine che aumentano «disidratazione… mal di testa e sudorazione e diminuiscono la precisione cognitiva», oltre a compromettere l’apprendimento sociale nei bambini.  
  Oltre 170 studi hanno dimostrato che le mascherine sono state inefficaci nel bloccare il COVID, anzi sono state dannose, soprattutto per i bambini, i cui effetti collaterali sono pressoché nulli a causa del COVID stesso. Al contrario, le prove suggeriscono che la capacità di vedere i volti è fondamentale per lo sviluppo precoce.   «I potenziali danni educativi delle politiche di obbligo di mascherina sono molto più consolidati, almeno a questo punto, dei loro possibili benefici nel fermare la diffusione del COVID-19 nelle scuole», afferma il professor Vinay Prasad, epidemiologo dell’Università della California-San Francisco. «La prima infanzia è un periodo cruciale in cui gli esseri umani sviluppano competenze culturali, linguistiche e sociali, inclusa la capacità di percepire le emozioni sui volti degli altri».   L’anno scorso, la sottocommissione speciale sulla pandemia di coronavirus della Commissione di vigilanza e responsabilità della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha pubblicato quella che ha definito «l’analisi più approfondita della pandemia condotta finora». Tra le altre cose, ha rilevato che l’uso delle mascherine, la chiusura delle scuole e i lockdown hanno causato danni significativi all’economia, alla salute fisica e mentale, all’istruzione e allo sviluppo sociale dei bambini, superando di gran lunga qualsiasi beneficio avessero potuto apportare.   Come riportato durante i mesi pandemici da Renovatio 21, vari specialisti hanno raccontato che la mascherina ha creato una generazione di bambini con problemi di linguaggio e di relazione.   È stato infatti provato che i bambini hanno difficoltà nel riconoscimento i volti a causa della mascherina ubiqua nel momento del loro cruciale sviluppo cognitivo. È stato inoltre notato un aumento esponenziale di bambini che necessitano dell’aiuto della logopedia, in quanto le mascherine, coprendo la bocca, hanno impedito loro di guardare i labiali per imparare a parlare. Uno studio ha attestato in generale che i bambini nati in lockdown avevano meno probabilità di parlare prima di compiere un anno.   Uno studio di due anni fa ha sostenuto che le mascherine possono aumentare i nati morti, la disfunzione testicolare e il declino cognitivo nei bambini.   Come riportato da Renovatio 21, negli anni si sono susseguiti studi che attestavano come non vi fosse nessuna prova che le mascherine proteggessero i bambini dal COVID.

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Una nuova ricerca rivela come i vaccini possano causare la morte in culla

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

I ricercatori che hanno scoperto che in alcuni neonati i percorsi sottosviluppati degli enzimi epatici potrebbero rendere più difficile per loro elaborare gli ingredienti tossici presenti nei vaccini, una condizione che potrebbe portare alla SIDS, hanno affermato che il loro studio, pubblicato sull’International Journal of Medical Sciences, potrebbe portare a interventi terapeutici in grado di salvare vite umane.

 

Secondo un nuovo studio pubblicato sull’International Journal of Medical Sciences, in alcuni neonati i percorsi sottosviluppati degli enzimi epatici potrebbero rendere più difficile per loro elaborare gli ingredienti tossici presenti nei vaccini, una condizione che potrebbe portare alla sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS).

 

Lo studio ha esaminato la letteratura scientifica esistente, i dati farmacogenetici e gli studi epidemiologici per analizzare in che modo gli enzimi immaturi o variabili del citocromo P450 (CYP450) dei neonati influenzano il modo in cui metabolizzano gli eccipienti o gli ingredienti inattivi del vaccino e le implicazioni per la risposta immunitaria e gli esiti sulla sicurezza.

 

Gli enzimi CYP450, presenti principalmente nel fegato, sono essenziali per il metabolismo dei farmaci.

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Gli autori sottolineano che in genere si ritiene che gli eccipienti (ingredienti inattivi utilizzati come conservanti o per aumentare l’efficacia di un vaccino) siano presenti in quantità talmente ridotte da non influenzare il modo in cui l’organismo metabolizza il vaccino.

 

Tuttavia, sostengono che la crescente complessità delle formulazioni dei vaccini e l’elevato numero di iniezioni somministrate ai neonati sollevano preoccupazioni circa gli effetti che gli eccipienti potrebbero avere sulle persone vulnerabili.

 

Studi su neonati deceduti per SIDS hanno rilevato anomalie del tronco encefalico e del midollo nella maggior parte dei casi. Entrambe queste anomalie possono essere causate da infezioni o infiammazioni.

 

Nello studio, gli autori ipotizzano che una ridotta funzionalità del CYP450 possa rendere difficile per alcuni bambini eliminare gli ingredienti tossici dei vaccini. Ciò potrebbe portare a un’esposizione prolungata all’infiammazione, rendendo i bambini più vulnerabili a tali anomalie.

 

Questi bambini non sono in grado di tollerare in modo sicuro i vaccini attualmente raccomandati.

 

«Il risultato è un meccanismo biologicamente plausibile che collega la vaccinazione precoce alla morte improvvisa del neonato, in particolare nei soggetti con vulnerabilità genetiche o dello sviluppo», secondo l’ epidemiologo Nicolas Hulscher, che per primo ha presentato lo studio.

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Capacità dei neonati di metabolizzare le tossine non completamente sviluppata, altamente variabile

I neonati nascono con un sistema enzimatico CYP450 immaturo che matura nei primi anni di vita. I neonati pretermine e altri neonati possono avere una capacità del CYP450 particolarmente limitata.

 

Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso Children’s Health Defense, ha affermato che il percorso di disintossicazione del CYP450 è incompleto alla nascita perché, fino a poco tempo fa, l’organismo dei neonati non aveva bisogno di confrontarsi con più tossine.

 

«In assenza della medicina moderna, il neonato consuma solo il latte materno», ha affermato, e quindi non avrebbe bisogno di metabolizzare eccipienti tossici.

 

Gli autori hanno notato che, oltre al fatto che i percorsi sono sviluppati solo parzialmente in tutti i neonati, alcuni neonati ereditano anche geni diversi che possono influenzare i loro sistemi CYP450.

 

Le differenze genetiche possono portare a polimorfismi del CYP450, ovvero a diverse espressioni del sistema enzimatico, che possono rendere alcuni neonati particolarmente limitati nella loro capacità di eliminare le tossine.

 

Gli eccipienti sono generalmente presenti in tracce in qualsiasi vaccino, ma l’esposizione cumulativa a più vaccini nella prima infanzia può facilmente superare le soglie di sicurezza, in particolare nei neonati con polimorfismi del CYP450, hanno affermato gli autori.

 

Ai neonati prematuri, che hanno maggiori probabilità di avere vie CYP450 sottosviluppate, vengono spesso somministrati più vaccini rispetto agli altri neonati, perché hanno risposte immunitarie alterate e non riescono a raggiungere i marcatori immunitari desiderati senza ulteriori dosi di vaccino, hanno scritto gli autori.

 

«Il periodo di gestazione umana si è accorciato nella medicina moderna, con tagli cesarei programmati per anticipare l’inizio del travaglio», ha affermato Jablonowski. «È pratica medica comune somministrare vaccini in modo più aggressivo ai neonati prematuri, quando la loro costituzione è meno in grado di gestirli».

 

«Un bambino nato oggi negli Stati Uniti dovrebbe convivere con le tossine contenute nel vaccino contro l’epatite B fin dalla nascita. E due mesi dopo – quello che può essere descritto come un assalto tossico – con i vaccini contro virus respiratorio sinciziale, epatite B, rotavirus, difterite, tetano, pertosse, Hib, pneumococco e poliovirus».

 

Il CYP450 non è responsabile del metabolismo di tutti gli eccipienti. Tuttavia, svolge un ruolo per molti di essi, inclusi gli adiuvanti come i sali di alluminio, ampiamente utilizzati nei vaccini e considerati sicuri dagli enti regolatori. Svolge anche un ruolo nel metabolismo della formaldeide e del polisorbato 80.

 

Gli autori del nuovo studio hanno anche osservato che l’attivazione immunitaria dovuta alla vaccinazione stessa può sopprimere l’attività dell’enzima CYP450.

 

«Ciò innesca un pericoloso circolo vizioso: la stessa attivazione immunitaria innescata dalla vaccinazione compromette ulteriormente la capacità del neonato di disintossicarsi dagli eccipienti tossici, amplificando la tossicità sistemica», ha scritto Hulscher.

 

Jablonowski ha osservato che «il Tylenol, ancora somministrato in modo esasperante a neonati come i gemelli Shaw, interagisce anche con il pathway del CYP450. L’ultima cosa che si vuole è intasare i meccanismi di eliminazione delle tossine quando si inondano i neonati di tossine».

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Il CYP450 potrebbe essere collegato alla SIDS e ad altri disturbi dello sviluppo neurologico

Ogni anno, negli Stati Uniti si registrano più di cinque decessi infantili ogni 1.000 nati vivi, un tasso di gran lunga superiore a quello di altri Paesi ad alto reddito. Dopo malformazioni congenite e prematurità, la SIDS è la terza causa di morte infantile.

 

I dati del VAERS rivelano che oltre il 75% dei casi di SIDS segnalati si verifica entro una settimana dalla vaccinazione, con un picco il secondo giorno, secondo Hulscher, mentre i restanti casi si verificano entro due mesi dalla vaccinazione. Ciò suggerisce fortemente un legame biologico con i vaccini, ha scritto.

 

Le prove dimostrano inoltre che, poiché non esistono protocolli post-mortem coerenti, le indagini sulle morti indesiderate in età adulta spesso non riescono a individuare tutti i casi e le possibili cause neuropatologiche, il che potrebbe oscurare il collegamento con i vaccini, hanno osservato gli autori del rapporto.

 

Gli autori hanno scoperto che le prove contenute nella ricerca sottoposta a revisione paritaria supportano la loro ipotesi secondo cui la soppressione degli enzimi CYP450 indotta dall’infiammazione solleva interrogativi sulla vulnerabilità metabolica nei neonati e suggerisce che potrebbe essere collegata alla SIDS, nonché ad altri disturbi dello sviluppo neurologico e problemi di salute infantile.

 

Sostengono che una limitata capacità metabolica nei primi anni di vita aumenta gli effetti dell’esposizione a sostanze tossiche e potrebbe essere collegata a condizioni quali il disturbo dello spettro autistico (ASD), il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), l’epilessia e i disturbi dell’apprendimento.

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Lo studio solleva la possibilità di interventi terapeutici

Gli autori sollecitano ulteriori ricerche su questi temi e sostengono che tali ricerche potrebbero avere importanti implicazioni per gli interventi terapeutici.

 

Gli attuali programmi di vaccinazione non tengono conto delle variazioni nella capacità dei neonati di metabolizzare i vaccini, né dell’impatto dei polimorfismi negli enzimi chiave, che possono avere gravi conseguenze per i neonati che sono scarsi metabolizzatori, hanno scritto.

 

I loro risultati sollevano la possibilità che i neonati possano essere sottoposti a screening per i polimorfismi genetici correlati al CYP450. Ciò consentirebbe ai medici di modificare il dosaggio dei farmaci per ridurre al minimo gli effetti avversi e salvare vite umane.

 

Aiuterebbe a sostenere la medicina di precisione, hanno affermato, aggiungendo:

 

«Comprendere l’impatto metabolico degli eccipienti dei vaccini e l’esposizione cumulativa potrebbe contribuire a pratiche di immunizzazione più sicure. Integrare queste conoscenze nella pratica clinica potrebbe in definitiva migliorare i risultati clinici dei pazienti, allineando gli interventi terapeutici ai profili metabolici individuali».

 

L’integrazione della «farmacogenomica», ovvero lo studio di come i geni influenzano il modo in cui una persona risponde ai farmaci, nella valutazione del rischio dei vaccini potrebbe avere un impatto significativo sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini per tutti i neonati.

 

«Nel complesso, questi risultati supportano l’urgente rimozione degli eccipienti tossici dai vaccini e una completa ristrutturazione del programma di ipervaccinazione infantile, come passi necessari per rendere l’America di nuovo sana», ha affermato Hulscher.

 

Jablonowski concorda. «Incorporare la farmacogenomica e la metabolomica nella valutazione del rischio vaccinale è un’idea sensata che si distingue dalle pratiche di immunizzazione altrimenti sconsiderate».

 

Brenda Baletti

Ph.D.

 

© 3 giugno 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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