Spirito
La Santa Sede tra ecologia e statistiche – un’analisi

Abbiamo potuto leggere in questi giorni le statistiche sulla situazione della Chiesa in Europa e nel mondo, il declino delle vocazioni e della vita religiosa.
Abbiamo anche letto come dei «conservatori» lamentino questo stato di cose, si trovino perfino a rinnegare i successi appariscenti ma poco profondi del pontificato wojtyliano, dichiarando la miopia del Papa e della gerarchia di fronte a questo fallimento della «tattica» post-conciliare.
Non crediamo si possa minimizzare l’importanza di un tale evento, che unisce i nuovi obiettivi della gerarchia con l’ecumenismo più profondo, quello dell’azione concertata delle religioni per il bene della «casa comune», che esclude ogni interesse soprannaturale, ed ogni considerazione della Verità rivelata
A nostro avviso però questa lettura «conservatrice» pecca su un punto fondamentale. Dà infatti per scontato che lo scopo dell’aggiornamento e dell’avvicinamento al mondo sia sempre quello di «portare la gente in chiesa», magari di suscitare vocazioni e far fiorire una qualche sorta di vita cattolica.
Glasgow o i veri scopi della nuova religione
L’impegno della Santa Sede su tutt’altri fronti dovrebbe farci capire che di tutto questo da molto tempo non importa più nulla, stando alle linee guida e agli input che provengono dall’alto. Non abbiamo dubbi che possa importare all’uno o all’altro vescovo, o parroco. Ma per chi segue la linea, gli obiettivi sono molto diversi.
L’incontro COP26 di Glasgow, cui la Santa Sede ha dedicato tutte le sue energie, facendo da presidenza del parlamento delle religioni che ha presentato a quel consesso le sue proposte ed impegni, ci dice tutt’altro.
Il Cardinal Parolin, che ha letto a Glasgow il messaggio del Papa, ha spiegato con semplicità a cosa essi siano ormai impegnati: l’adozione da un lato di «una strategia di riduzione a zero delle emissioni nette», per quanto riguarda lo Stato della Città del Vaticano entro il 2050, e dall’altro (per quanto riguarda la Chiesa tutta) la promozione di «un’educazione all’ecologia integrale» che favorisca nuovi comportamenti e un nuovo «modello culturale di sviluppo incentrato sulla fraternità» e sull’alleanza uomo-natura.
Un impegno educativo, scrive il Papa, che vede un’ampia convergenza da parte dei rappresentanti di tante fedi e tradizioni religiose, firmatari di un Appello congiunto lo scorso 4 ottobre: «Voci differenti e con diverse sensibilità.
A coloro che entrano nei seminari moderni nei cinque continenti, siano essi in aumento o in diminuzione, se sono ancora in buona fede, occorrerà ricordare questo. Essi diventeranno gli ingranaggi di una propaganda ecologico-panteista che porti alle masse questo messaggio utile alla «Casa comune»
Un appello
A coloro che entrano nei seminari moderni nei cinque continenti, siano essi in aumento o in diminuzione, se sono ancora in buona fede, occorrerà ricordare questo. Essi diventeranno gli ingranaggi di una propaganda ecologico-panteista che porti alle masse questo messaggio utile alla «Casa comune».
Quantomeno questo è ciò a cui saranno principalmente formati, lì dove le direttive vaticane sono davvero ben seguite. Le testimonianze di tanti buoni sacerdoti nelle parrocchie, vittime del sistema modernista, ci dicono questo. Le direttive diocesane non parlano d’altro da molto tempo.
Che fare?
Ai giovani che ancora hanno una vocazione sincera al sacerdozio cattolico, va invece l’appello a trovare quella formazione sacerdotale integrale per salvaguardare la quale Monsignor Lefebvre ha sacrificato ogni onore ecclesiastico
Sottostare alle direttive in parrocchia per cercare comunque di fare un bene parziale?
Al clero in particolare è richiesto il coraggio del salto vero un’adesione integrale alla Tradizione della Chiesa e ai suoi dogmi, a rischio di perdere il consenso del mondo e dei superiori; ai giovani che ancora hanno una vocazione sincera al sacerdozio cattolico, va invece l’appello a trovare quella formazione sacerdotale integrale per salvaguardare la quale Monsignor Lefebvre ha sacrificato ogni onore ecclesiastico.
Solo così si potrà davvero e senza illusioni servire la causa della Chiesa Romana e del Cristo Re, e non quella di un mondo che ha divinizzato se stesso.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
Immagine di COP26 via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
Spirito
Mons. Eleganti critica duramente il Vaticano II e la nuova liturgia

Il vescovo Marian Eleganti era vescovo ausiliare della diocesi di Coira, in Svizzera, quando era vescovo il vescovo Vitus Huonder. Dopo il suo ritiro, ha criticato apertamente le politiche vaticane, incluso il disastroso Sinodo sulla sinodalità. Di recente, insieme ad altri tre vescovi, ha riparato la profanazione della Basilica di San Pietro da parte del pellegrinaggio LGBT.
Attacca il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica in un articolo pubblicato sul suo blog, dal titolo evocativo: «Vaticano II: la primavera annunciata non è arrivata». Con la sua consueta semplicità, mons. Eleganti racconta di aver servito la Messa nel rito tradizionale, prima di essere formato alla nuova Messa. Poi è arrivato il grande sconvolgimento. I sottotitoli sono della redazione.
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Un’infanzia segnata dal Concilio
«Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Chiesa della Santa Croce nella mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono demoliti davanti ai miei occhi infantili. Tutto ciò che rimase fu un altare comune, una sala del coro vuota, la croce nell’arco del coro, Maria e Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche e spoglie».
«Nuove vetrate inondavano la chiesa con il sole che sorgeva a est. Niente di più: era una deforestazione senza precedenti. Noi bambini trovavamo tutto questo normale e appropriato e risparmiavamo con fervore per il nuovo pavimento in pietra, così da dare il nostro contributo alla riforma o al rinnovamento della chiesa. L’euforia del Concilio veniva trasmessa dai sacerdoti; venivano convocati sinodi, ai quali io stesso partecipavo da adolescente. Non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo».
Un’accettazione sicura ma lucida
«All’età di 20 anni, come novizio [benedettino, ndr], ho sperimentato da vicino e dolorosamente le tensioni liturgiche tra tradizionalisti e progressisti tra i riformatori. Furono introdotte nuove professioni ecclesiastiche, come quella di assistente pastorale (principalmente per i coniugati)».
«Ricordo i miei commenti critici su questo perché le tensioni e i problemi che stavano lentamente emergendo tra ordinati e non ordinati erano prevedibili fin dall’inizio. Il calo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne rapidamente evidente».
«Da giovane, ho sostenuto con tutto il cuore il Concilio e in seguito ne ho studiato i documenti con fede e fiducia. Tuttavia, fin dall’età di vent’anni, ho notato diverse cose: la desacralizzazione del santuario, del sacerdozio, del Santissimo Sacramento, così come la ricezione della Santa Eucaristia, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari. Da giovane laico ancora poco versato in teologia, ho notato tutto questo molto presto».
«Sebbene il sacerdozio fosse la scelta che mi stava più a cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino all’età di 40 anni. Sono cresciuto con il Concilio, ho raggiunto l’età adulta e ho potuto osservarne gli effetti fin da quando ha avuto luogo. Oggi ho 70 anni e sono vescovo».
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La consapevolezza del fiasco conciliare
«Guardando indietro, devo dire che la primavera della Chiesa non è mai arrivata; ciò che è arrivato è stato invece un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa mancanza di forma liturgica e una certa arbitrarietà (alla quale io stesso ho in parte contribuito senza rendermene conto)».
«Guardando indietro, sono sempre più critico verso tutto, compreso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, pur invocandone costantemente lo spirito. Cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a lui negli ultimi 60 anni? Cosa è stato chiamato “vita” senza apportare vita, ma al contrario dissolvendola?»
«I cosiddetti riformatori volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la liturgia e rivalutare le posizioni morali. E continuano a farlo. Il segno distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella moralità e nella liturgia, l’allineamento con le norme secolari e una rottura spietata, post-conciliare, con tutto ciò che era venuto prima».
«Per loro, la Chiesa è, soprattutto, ciò che è stata dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si può tornare indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori sono sempre stati consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati. L’altare del popolo non è un’invenzione dei padri conciliari».
«Io stesso celebro la Santa Messa secondo il nuovo rito, anche in privato. Tuttavia, grazie alla mia attività apostolica, ho riscoperto l’antica liturgia della mia infanzia e ne noto la differenza, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente nell’orientamento».
«A posteriori, l’intervento postconciliare sulla forma molto coerente della liturgia, vecchia di quasi duemila anni, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta e provvisoria della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, che è stata associata a grandi perdite che devono essere colmate. È stato fatto anche per ragioni ecumeniche».
«Molte forze, anche protestanti, furono direttamente coinvolte in questo sforzo di allineare la liturgia tradizionale con la Cena del Signore protestante e forse anche con la liturgia del Sabato ebraico. Ciò fu fatto in modo elitario, dirompente e sconsiderato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza causare gravi fratture e divisioni nel corpo mistico di Cristo, che persistono ancora oggi».
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Giudica l’albero dai suoi frutti
«Una cosa è certa per me: se si può giudicare un albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e onesta della riforma liturgica postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, a immagine della nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio.
«Non hanno nemmeno problemi con la nostalgia, perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano attualmente le parrocchie, come celebrano la liturgia e cosa rimane della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia? Molto poco! Per questo motivo, non sono nemmeno progressisti».
«Dalla prospettiva odierna, il cattolicesimo liberale o progressismo degli anni Settanta – più recentemente sotto le mentite spoglie del “cammino sinodale” – ha fatto il suo corso e ha condotto la Chiesa in un vicolo cieco. La frustrazione è ancora maggiore. Lo possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate principalmente dagli anziani. I giovani sono assenti, tranne che in alcuni luoghi di culto molto affollati. La riforma sta avvenendo da sola, perché nessuno ci va più né ne legge i risultati».
«Come è possibile che la riforma postconciliare possa essere ancora oggi considerata in modo così acritico e limitato, a giudicare dai suoi frutti? Perché un esame onesto della tradizione e della nostra storia (della Chiesa) non è ancora possibile? Perché non si vuole vedere che siamo a un punto di svolta e che dovremmo fare il punto della situazione, soprattutto a livello liturgico?»
«”Essere o non essere”, in termini di fede e vita ecclesiale, si decide sulla base o sui fondamenti della liturgia. È qui che la Chiesa vive o muore. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965. Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Pensateci! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?»
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Spirito
Mons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»


Non c’è paradiso per i codardi!
La Vittoria della Lega Santa a Lepanto Intervento al Convegno dell’Associazione culturale «Veneto Russia» Settimo di Pescantina (VR), 11 Ottobre 2025
Salve, Regina, rosa de spina, rosa d’amor, Madre del Signor. Fa’ che mi no mora e che no mora pecador, che no peca mortalmente e che no mora malamente.
Preghiera del marinaio, recitata da tutta la flotta veneziana prima di muovere battaglia nelle acque di Patrasso.
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Spirito
Il cardinale Müller avverte che la Chiesa non deve essere sfruttata per l’ideologi» sotto la bandiera dell’«inclusività»

Il cardinale Gerhard Müller ha messo in guardia dagli eccessi nell’enfatizzare l’«inclusione» e ha commentato le controversie sulla messa latina tradizionale in un’intervista del 6 ottobre a Il Giornale.
Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha affermato che la Chiesa non deve essere strumentalizzata a fini ideologici, rifiutando quella che ha definito la politicizzazione della fede sotto la bandiera dell’inclusività.
«Tanti vogliono che la Chiesa parli solo di questioni della vita sociale, della politica. Certo, anche questi sono temi della missione, ma la sua missione primaria è predicare il Vangelo della salvezza e la vita eterna per tutti gli uomini»
Alla domanda sulle lettere di protesta indirizzate a Papa Leone XIV contro il cosiddetto «Giubileo LGBTQ», la risposta del cardinale è stata inequivocabile.
«Non so se il Papa dirà qualcosa, ma la situazione è molto chiara, non si può strumentalizzare l’Anno Santo e la Porta Santa per un’ideologia di questo tipo» ha dichiarato il porporato. «La Chiesa, in nome di Gesù Cristo, accetta tutti gli uomini e i loro problemi, ma Dio ha creato uomo e donna e solo questo matrimonio è l’unica possibilità di vivere coniugalmente. La Porta Santa non può essere usata per questioni politiche».
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Interrogato sull’adesione di Papa Leone al motto di Francesco «Todos, todos, todos» («tutti, tutti, tutti»), il cardinale Müller ha messo in guardia dall’uso improprio di questa frase come licenza morale.
«Tutti gli uomini sono chiamati a trovare Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ma con un cambiamento della propria vita. Il problema è che molti vogliono intendere questo tutti, tutti, tutti, come l’accettazione di uno stile di vita che va contro lo stile della vita cristiana», ha affermato il cardinale.
Passando alle controversie liturgiche, Müller ha affermato che la questione della Messa in latino non può essere risolta «risolvere con autoritarismo». Una soluzione, ha insistito, deve essere fondata sulla fede piuttosto che sulla politica. «Serve una riflessione chiara, teologica e non solo politica».
Il porporato ha anche messo in guardia dal trattare il papato come una performance o un ufficio politico. «Il Papa come Vescovo di Roma non è isolato come un autocrate, ma ha un collegio di cardinali che è il suo senato. I consigli che danno i cardinali sono molto importanti, non per i propri interessi, ma per aiutare intellettualmente e moralmente il Papa e la sua missione».
« Il Papa non è una figura per l’interesse pubblico, non si presenta secondo le regole di una star di Hollywood, ma come un buon pastore, che dà la sua vita per le pecore di Cristo».
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