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Geopolitica

La Russia si prepara ad alzare il sipario

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

La Russia avanza a grandi passi per rendere operativi gli accordi di Ginevra dello scorso giugno. Fa rientrare la Siria nel consesso delle nazioni; si prepara a espellerne la Turchia, nonché a riconciliare Israele e Iran; consolida la propria presenza in Africa e distribuisce armi assolute in Asia. Gli Stati Uniti non sono più i padroni del mondo. Chi non sta al passo degli attuali scombussolamenti farà parte della schiera dei perdenti nell’èra che si sta preparando.

 

 

L’attuazione delle conclusioni del summit USA-Russia di Ginevra del 16 giugno 2021, la cosiddetta Yalta II, continua. Sembra che le concessioni di Washington a Mosca siano molto più rilevanti di quanto immaginato.

 

Il presidente Vladimir Putin continua il riordino del mondo, non solo nel Medio Oriente Allargato, ma anche in Africa e Asia. In quattro mesi si sono potuti osservare cambiamenti sostanziali.

 

Come da tradizione, la Russia non fa annunci, ma svelerà tutto in blocco, quando le cose saranno ormai irreversibili.

 

 

Gli anglosassoni hanno accettato la sconfitta

A inizio settembre gli Stati Uniti avevano lasciato intendere di autorizzare di fatto lo Hezbollah a violare l’embargo USA di Siria e Iran per procurarsi combustibile iraniano attraverso la Siria. In seguito la Giordania ha riaperto le frontiere con la Siria.

 

Infine la stampa anglosassone ha dato il via a una serie di articoli che sdoganano il presidente Bashar al-Assad dai crimini di cui era accusato e lo riabilitano. Tutto è iniziato con un articolo su The Observer – edizione domenicale di The Guardian – intitolato «Il reietto Assad spacciato in Occidente come chiave della pace in Medio Oriente». (1)

 

Passo dopo passo, si è arrivati a Newsweek, che ha pubblicato in copertina la foto del presidente siriano, con il titolo «Rieccolo», seguito dal sottotitolo esplicito «Sull’onda del trionfo sugli Stati Uniti, il leader siriano Bashar al-Assad reclama un posto sulla scena mondiale». (2)

 

La versione on-line del settimanale rincara la dose con la didascalia a una foto ove si parla del «presunto» attacco della Gutha, che i presidenti statunitense e francese, Barack Obama e François Hollande, avevano imputato al «regime criminale», accusandolo di aver oltrepassato «la linea rossa». Addio quindi alla retorica decennale del «Bashar deve andarsene!».

 

La stampa anglosassone ha ormai digerito la disfatta militare, ammessa a giugno a Ginevra dallo stesso presidente Joe Biden. Il resto dell’Occidente non potrà che allinearsi

La stampa anglosassone ha ormai digerito la disfatta militare, ammessa a giugno a Ginevra dallo stesso presidente Joe Biden. Il resto dell’Occidente non potrà che allinearsi.

 

La riabilitazione della Siria sul piano internazionale è in corso: Interpol ha preso misure correttive per mettere fine all’emarginazione di Damasco; re Abdallah II di Giordania e sceicco Mohamed bin Zayed degli Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere che si sono incontrati con il presidente Assad.

 

L’Alto Commissario dell’ONU per i Rifugiati, Filippo Grandi, si è con discrezione recato a Damasco per discutere finalmente del rientro degli espatriati, cui gli Occidentali si sono opposti per decenni, pagando profumatamente i Paesi ospitanti, soprattutto allo scopo di non consentirne il rientro in patria.

 

 

La Turchia vittima del proprio doppiogioco

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha presentato al parlamento il prolungamento della missione delle forze armate turche contro i terroristi del PKK in Siria e Iraq, Paesi che Ankara occupa illegalmente.

 

Erdoğan fa il doppiogioco: membro della NATO, negozia con Washington l’acquisto di 80 aerei da combattimento e di 60 kit per modernizzare la flotta; al tempo stesso però negozia con Mosca, da cui ha già comperato gli S-400; un gioco pericoloso che volge al termine.

 

Washington e Mosca mandano armi in Siria e potrebbero coalizzarsi per rimettere Ankara al proprio posto, come fecero nel 1956, durante la spedizione di Suez, con Londra, Tel Aviv e Parigi

Washington e Mosca mandano armi in Siria e potrebbero coalizzarsi per rimettere Ankara al proprio posto, come fecero nel 1956, durante la spedizione di Suez, con Londra, Tel Aviv e Parigi.

 

La Russia è consapevole che, nonostante le apparenze, non riuscirà a separare la Turchia dagli USA. Infatti Mosca combatte l’esercito turco in Libia e Siria, non si è dimenticata dell’impegno personale del presidente Erdoğan in Cecenia e, più in generale, del contrasto tra la Russia e gli ottomani.

 

La battaglia di Deraa, nel sud della Siria, si è conclusa a favore dell’esercito siriano, consentendo alla Giordania di riaprire le frontiere. Gli jihadisti di stanza a Deraa hanno preferito deporre le armi piuttosto che rifugiarsi a Idlib e mettersi sotto protezione turca. Ora le truppe siriane si stanno ammassando attorno al governatorato occupato di Idlib, pronte a liberare il territorio.

 

La stampa occidentale non ha fornito notizie sulla terribile battaglia di Deraa, dando per scontato che la città non avrebbe potuto essere liberata senza il discreto ritiro d’Israele e Stati Uniti. La popolazione, stremata dalle sofferenze, sembra al momento odiare sia i connazionali sia gli alleati di ieri che l’hanno abbandonata.

 

La Turchia si sta via via inimicando tutti i partner. In Africa compete con Stati Uniti e Francia. Il suo esercito combatte in Libia. In Somalia dispone di una base militare. Accoglie militari del Mali e li addestra, vende armi all’Etiopia e al Burkina Faso, ha firmato un accordo di cooperazione con il Niger; per tacere della sua base militare in Qatar e dell’impegno in Azerbaijan.

 

La vicenda Osman Kavala – dal nome dell’affarista di sinistra diventato uomo di George Soros in Turchia, arrestato nel 2017 – è foriera di guai. Una decina di Stati – fra cui Stati Uniti, Francia e Germania – hanno diffuso sui social network una lettera per chiedere la liberazione immediata dell’imputato, accusato di essere implicato nel tentativo di colpo di Stato militare del 15 luglio 2016. Il 22 ottobre il presidente Erdoğan ha reagito apostrofando con la solita arroganza gli ambasciatori dei Paesi coinvolti: «Tocca a voi dare lezioni alla Turchia? Ma chi vi credete di essere?».

 

La posizione personale del presidente Erdoğan sembra diventare sempre più delicata. Nel suo stesso partito tira aria di fronda. I suoi potrebbero dargli il benservito se le cose a Idlib volgessero al peggio.

 

 

Il Libano in bilico tra un futuro radioso e la guerra civile

Il presidente Joe Biden sembra intenzionato a lasciare il Libano alla Russia e a sfruttare le riserve di gas e petrolio a cavallo fra Libano e Israele. Ha mandato l’israeliano-statunitense Amos Hochstein, suo consigliere di lunga data, a fare la spola fra Beirut e Tel Aviv.

 

Il ricorso a questo personaggio attesta l’estrema importanza di quanto c’è in gioco. Hochstein, ex ufficiale dello Tsahal, è stato consigliere dell’allora vicepresidente Biden e in tale veste già nel 2015 gestì lo stesso dossier, sfiorando l’accordo. Oggi quest’uomo d’affari amorale può riuscirvi perché conosce bene sia il versante politico della vicenda sia i vincoli tecnici che implica lo sfruttamento degli idrocarburi. Hochstein spinge per lo sfruttamento dei giacimenti senza tuttavia risolvere la spinosa questione delle frontiere. Attraverso una convenzione preliminare, Libano e Israele potrebbero optare per una gestione condivisa e una ripartizione dei benefici.

 

Nel Libano i leader dei gruppi confessionali tentano qualsiasi manovra pur di prolungare il proprio declinante potere, anche a costo di compromettere il futuro del Paese

Nel Libano i leader dei gruppi confessionali tentano qualsiasi manovra pur di prolungare il proprio declinante potere, anche a costo di compromettere il futuro del Paese.

 

Il parlamento libanese ha approvato nottetempo due emendamenti alla legge elettorale. Il primo, per anticipare al 27 marzo le elezioni legislative, inizialmente previste per l’8 maggio. I mussulmani chiedevano infatti di poter svolgere una campagna elettorale efficace, dal momento che la data prevista cadeva in pieno Ramadan.

 

La nuova data sembra però un modo per impedire al generale Abbas Ibrahim, capo del controspionaggio, di essere eletto e succedere al presidente del parlamento Nabbi Berry. La Costituzione prevede infatti che gli alti funzionari possano entrare in politica non prima di sei mesi dalla cessazione dell’incarico.

 

Il presidente Emmanuel Macron ha previsto di dispiegare truppe francesi per «garantire la sicurezza» dei seggi elettorali. L’8 maggio però Macron probabilmente non sarà più presidente e il successore potrebbe non approvarne la decisione. Il 27 marzo invece Macron sarà ancora alle leve del comando.

 

Il secondo emendamento modifica la modalità di voto dei libanesi all’estero. Non eleggeranno candidati esteri, ma voteranno i candidati della circoscrizione di origine. Alcuni sperano che la riforma modificherà sostanzialmente i risultati. Per la verità il cambiamento è poco rilevante giacché il sistema elettorale libanese fissa in anticipo il numero di deputati per gruppo confessionale, senza alcun rapporto con il peso demografico. Il Libano è un istruttivo esempio di elezioni non-democratiche.

 

L’altra grande diatriba riguarda l’inchiesta sull’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020.

 

Il giudice Tarek Bitar si scontra con tantissime immunità, cominciando da quella dell’ex primo ministro Hassan Diab, che al termine dell’incarico è fuggito negli Stati Uniti ed è oggetto di mandato di cattura.

 

Lo Hezbollah – che già ha pagato lo scotto dell’inchiesta sull’assassinio di Rafic Hariri – non vuole che l’istruttoria in corso segua lo stesso binario, ma deve fare i conti con il segreto istruttorio. Alla fine ha chiesto con veemenza una dichiarazione d’incompetenza del giudice e organizzato una manifestazione a sostegno. Arrivato al quartiere cristiano il corteo se l’è presa con membri delle Forze Libanesi di Samir Geagea, che hanno ucciso sette sciiti e ne hanno ferito una trentina. Si riaffaccia lo spettro della guerra civile.

 

Non si sa se le Forze Libanesi abbiano agito di propria iniziativa oppure su istigazione dell’Arabia Saudita, di cui il cristiano Samir Geagea è diventato ardente sostenitore.

 

 

Il lento avvicinamento di fratelli nemici, Israele e Iranì

Mosca affronta a tutto tondo la questione del conflitto fra Israele e Iran. Questi due Stati si scambiano discorsi ultra-bellicosi, ma quel che mettono in pratica è cosa diversa. In realtà agiscono di concerto per contrastare determinate tendenze politiche in casa propria. La caduta di Benjamin Netanyahu (discepolo del teorico colonialista Vladimir Jabotinsky) apre la via alla riconciliazione.

 

Mentre gli Stati Uniti hanno adottato sanzioni contro Teheran per costringerla ad abbandonare il programma nucleare militare, la Russia non ha mai creduto che l’Iran l’abbia portato avanti dopo il 1988

Mentre gli Stati Uniti hanno adottato sanzioni contro Teheran per costringerla ad abbandonare il programma nucleare militare, la Russia non ha mai creduto che l’Iran l’abbia portato avanti dopo il 1988.

 

Durante i negoziati 5+1 del 2013-15, sfociati nell’Accordo di Vienna sul nucleare iraniano, Mosca non esigeva la fine del programma nucleare, ma che fosse messo sotto controllo per evitare la trasformazione in programma militare. Oggi la Russia è ancora su questa posizione. Le discussioni attuali riguardano dettagli tecnici, per esempio l’installazione di videocamere di controllo nelle centrali iraniane.

 

La lentezza di Teheran nel trattare il problema gioca a suo sfavore. Certamente il governo Raisi nel frattempo negozia con l’Arabia Saudita, che a sua volta tira per le lunghe la normalizzazione delle relazioni con Israele.

 

Il presidente Ebrahim Raisi spera di ottenere una partizione dei ruoli con Riad e di darne l’annuncio quando cederà sulla sorveglianza nucleare. Ma i sauditi sono impazienti e possono anche causare fastidi, come s’è visto con l’attacco ai manifestanti dello Hezbollah a Beirut.

 

Quanto agli israeliani, sottolineano che Teheran, diversamente da quanto afferma, non si appoggia semplicemente sulle comunità sciite straniere, bensì su ogni forza anti-israeliana, sciita o non sciita. Infatti l’Iran fornisce armi ad Hamas, sunnita. Si tratta di un’alleanza assai pericolosa, perché Hamas è il ramo palestinese della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, sostenuto da Turchia e Qatar, ma non dall’Arabia Saudita.

 

Ora nella comunità mussulmana non ci sono più due campi (sciiti e sunniti), bensì tre: Iran, Arabia Saudita, nonché Turchia-Qatar.

 

Mosca agisce con pazienza con Tel Aviv. Vuole portare Israele alla restituzione del Golan sottratto alla Siria, fornendo garanzie sulla non-aggressività dell’Iran e sul suo ritiro dalla Siria.

 

 

Il Mali teme la Francia e cerca la protezione della Russia

La disfatta occidentale in Siria ha conseguenze impreviste in Africa, ove tutti hanno compreso che l’ordine che governava il mondo è stato rovesciato e che è più vantaggioso allearsi con Mosca piuttosto che con gli Occidentali. Se taluni Stati africani cercano di diversificare i sostegni militari rivolgendosi alla Turchia, la Repubblica Centrafricana e il Mali sono stati i primi ad aver rimesso in discussione l’aiuto dell’Occidente.

 

Dal 2018 la Russia affianca il governo della Repubblica Centrafricana nella risoluzione dei conflitti tribali – alimentati dalla Francia – che hanno fatto piombare il Paese nella guerra civile

Dal 2018 la Russia affianca il governo della Repubblica Centrafricana nella risoluzione dei conflitti tribali – alimentati dalla Francia – che hanno fatto piombare il Paese nella guerra civile. Ma Mosca si è rifiutata di far intervenire le proprie truppe fintanto che la situazione è instabile; ha perciò preferito inviare un’agenzia militare privata, il Gruppo Wagner di Evguenij Prigozhin.

 

Nel 2019 il governo ha sottoscritto un accordo di pace con i 14 principali gruppi armati del Paese. Il Paese si è stabilizzato, ma il governo ne controlla soltanto una minima parte.

 

Il Mali è vittima diretta del rovesciamento nel 2011 della Jamahiriya Araba Libica. Muammar Gheddafi agiva per la riconciliazione fra arabi e neri, sicché il suo assassinio ha risvegliato conflitti di secoli, causando in Libia il ripristino della schiavitù e ridestando in Mali la volontà di dominio degli arabi sulle popolazioni di colore. Un conflitto che si manifesta attraverso la spinta jihadista araba nel nord del Paese.

 

Al momento, le forze francesi dell’operazione Barkhane tentano d’impedire la formazione di un Emirato islamico nel Sahel. Ciò in pratica significa scongiurare la conquista di una zona a popolazione nera stanziale da parte di jihadisti arabi nomadi, senza però combatterne le organizzazioni.

 

L’8 ottobre il primo ministro maliano, Choguel Kokalla Maïga, ha sputato il rospo dichiarando a RIA Novosti che la Francia addestra gli jihadisti nel campo di Kidal, il cui accesso è vietato alle forze maliane (3).

 

L’intervista è stata ripresa ampiamente dalle televisioni russe, ma non ha raggiunto le onde francesi. Le Monde si è limitato a pubblicare una precisazione di Choguel Kokala Maïga, che smentisce i negoziati con il Gruppo Wagner, ma al tempo stesso conferma i colloqui con Mosca… a proposito del Gruppo Wagner.

 

L’accusa di strumentalizzazione degli jihadisti è molto plausibile: all’inizio della missione la Francia trattenne i propri soldati per lasciare tempo agli addestratori qatarioti degli jihadisti di ritirarsi.

 

Altri jihadisti, questa volta in Siria, organizzarono manifestazioni per denunciare il doppiogioco della Francia, che da un lato li sosteneva in Medio Oriente e dall’altro proclamava di volerli combattere in Africa. Quando il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, espresse il proprio stupore all’omologo francese dell’epoca, Laurent Fabius, questi rispose ridendo che si trattava di realpolitik.

 

La giunta del colonnello Assimi Goïta (discepolo del rivoluzionario terzomondista Thomas Sankara) sta negoziando con la Russia per difendere il Paese dagli jihadisti inquadrati dalla Francia. Mosca dovrebbe agire come nella Repubblica Centrafricana: inviare un migliaio di uomini del Gruppo Wagner per ristabilire la pace civile. Il servizio reso dalla società militare russa dovrebbe essere pagato dall’Algeria.

 

 

L’equilibrio delle forze rimesso in discussione

Una appresso l’altra, Cina (4) e Corea del Nord avrebbero lanciato missili ipersonici. La Cina smentisce, la Corea invece lo proclama a gran voce.

 

Gli esperti, i parlamentari, nonché i generali americani sono terrorizzati perché gli USA non riescono a controllare questa tecnologia che li rende vulnerabili.

 

Si tratta di un tipo di missile che nasce dalla tecnologia sovietica. Nel 2019 il presidente Vladimir Putin aveva annunciato all’Assemblea Federale che la Russia sarebbe stata presto in grado di governare questi missili con cariche atomiche, capaci di colpire ovunque sulla terra, senza essere intercettati (6). Dal momento che è impossibile che Cina e, a maggior ragione, Corea del Nord abbiano raggiunto improvvisamente un livello tecnico così elevato, gli esperti sono unanimemente concordi nel ritenere che la Russia abbia fornito loro una versione della propria arma.

Gli Occidentali non solo hanno subito in Siria una terribile disfatta, che li obbliga ad accettare un nuovo ordine mondiale, ma si ritrovano con uno scudo antimissili impotente e altre armi obsolete

 

Un trasferimento di tecnologia che sarebbe avvenuto prima dell’annuncio dell’Alleanza Australia/Regno Unito/USA (AUKUS) e che annulla gli sforzi di Washington di fronte a Beijing e Pyongyang.

 

Gli Occidentali non solo hanno subito in Siria una terribile disfatta, che li obbliga ad accettare un nuovo ordine mondiale, ma si ritrovano con uno scudo antimissili impotente e altre armi obsolete.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) «Assad the outcast being sold to the west as key to peace in Middle East», Martin Chulot, The Observer, 26 settembre 2021.

2) «Bashar is Back», Tom O’Connor, Newsweek, 22 ottobre 2021.

4)  «China’s leap in hypersonic missile technology shakes US intellligence», Demetri Sevastopoulo & Kathlin Hille, Financial Times,  18 ottobre 2021.

5) «Vladimir Putin Address to Russian Federal Assembly», Voltaire Network, 20 febbraio 2019.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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Geopolitica

L’UNICEF denuncia come Israele ignora il cessate il fuoco ONU e continua il massacro di Gaza

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In una conferenza stampa tenuta il 26 marzo a Rafah James Elders, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), ha fornito un rapporto completo sulla devastazione a cui sta assistendo ora, dopo un’assenza di tre mesi. Lo riporta EIRN.

 

Elders ha riferito che i combattimenti notturni tra lunedì sera, 25 marzo e martedì 26 marzo avevano prodotto «un numero a due cifre di bambini uccisi», avvenuti «solo poche ore dopo l’approvazione della risoluzione» del Consiglio di Sicurezza.

 

Il funzionario UNICEF ha dichiarato che a Rafag ora si «discute infinitamente di un’operazione militare su larga scala». Questa è «una città di bambini. Ci sono 600.000 ragazze e ragazzi», ha detto, ma è «irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in ogni altro spazio vuoto disponibile»

 

«A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per quanto riguarda le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Questo è un disprezzo infernale per i bisogni umani fondamentali e la dignità».

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«Un’offensiva militare a Rafah?» si è chiesto l’Elders. «Offensiva è la parola giusta. Rafah, sede di alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici rimasti a Gaza».

 

Il portavoce UNICEF ha anche visitato Khan Younis, a nord di Rafah, che secondo lui era irriconoscibile. «Esiste a malapena più. Nei miei 20 anni con le Nazioni Unite, non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni direzione. Annientamento totale».

 

L’ospedale Nasser, «un luogo così critico per i bambini feriti dalla guerra», non è più operativo. Infatti, solo un terzo degli ospedali di Gaza sono «parzialmente funzionanti». Cinque ospedali sono sotto assedio da parte delle forze israeliane.

 

Visitando la città di Jabalia, nel nord di Gaza, Elders ha riferito che tra l’1 e il 22 marzo, a un quarto delle 40 missioni di aiuto umanitario nel Nord di Gaza è stato negato l’ingresso nella Striscia. Ha assistito a centinaia di camion delle Nazioni Unite e di ONG internazionali, che trasportavano aiuti umanitari salvavita, rimasti indietro sul lato israeliano del confine, in attesa di entrare a Gaza.

 

Se il vecchio valico di Erez, a 10 minuti di distanza, fosse aperto, «potremmo risolvere questa crisi umanitaria nel nord nel giro di pochi giorni», ha detto Elders. Il portavoce dell’UNICEF ha concluso: «la privazione, la disperazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E i nervi delle persone sono scossi da attacchi incessanti».

 

«L’indicibile viene regolarmente detto a Gaza. Dalle adolescenti che sperano di essere uccise; sentirsi dire che un bambino è l’ultimo sopravvissuto dell’intera famiglia. Tale orrore non è più unico qui (…) In tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda, e le agenzie sorelle delle Nazioni Unite e l’UNICEF continuano a farlo».

 

«Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. Alla gente di Gaza deve essere permesso di vivere» ha dichiarato il funzionario onusiano.

 

«Nei tre mesi tra le mie visite, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità nei suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora scrivere urgentemente un capitolo diverso».

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Geopolitica

Putin: non ci sono «nazioni ostili» per la Russia, solo «élite ostili»

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La Russia non ha intenzione di cancellare la cultura di nessun paese, ha detto mercoledì il presidente Vladimir Vladimirovich Putin durante un viaggio di lavoro nella regione di Tver. Mosca capisce la differenza tra il popolo e le élite e rispetta la cultura di ogni nazione e considera la propria come parte del patrimonio mondiale, ha aggiunto l’uomo del Cremlino, secondo quanto riportato da RT.   Il presidente stava parlando con gli artisti regionali quando è stata sollevata la questione dei tentativi di «cancellare» la cultura russa da parte di alcuni paesi occidentali. Secondo Putin, Mosca non ha intenzione di rispondere allo stesso modo.   «Non abbiamo nazioni ostili, abbiamo élite ostili in quelle nazioni», ha detto il presidente, aggiungendo che il governo russo «non ha mai cercato di cancellare» alcun artista o spettacolo culturale straniero. «Al contrario, crediamo che la cultura russa faccia parte di quella globale e ne siamo orgogliosi».

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Le autorità russe cercano di tenere conto del contesto culturale globale e di «non escludere nulla», ha continuato. Coloro che cercano di abolire la cultura di una nazione abitata da circa 190 milioni di persone «non sono saggi», ha detto il presidente, riferendosi alle azioni occidentali durante il conflitto in Ucraina.   Le nazioni occidentali hanno ripetutamente cercato di vietare le esibizioni di artisti e musicisti russi, così come di quelli ritenuti sostenitori di Mosca. Più di recente, il cantante italiano Enzo Ghinazzi, meglio conosciuto come Pupo, si è visto annullare un’imminente esibizione in Lituania per un concerto tenuto al Cremlino a marzo.   Pupo era arrivato in Russia per «trasmettere il messaggio che la pace tornerà nel mondo», disse all’epoca all’agenzia russa TASS. Il cantante toscano si era anche pronunciato contro un «embargo sulla cultura di qualsiasi popolo», definendo tale posizione «sbagliata». La sede lituana destinata ad ospitare la sua esibizione ha successivamente annunciato che sarebbe stata cancellata, definendola una «buona notizia» per coloro che si opponevano alla campagna militare della Russia in Ucraina.   Pupo è popolarissimo in Russia come in altri Paesi del passato blocco sovietico, dove la canzone «Gelato al cioccolato spopola», ma non è chiaro quanto sia qui diffusa la teoria, smentita a più riprese dagli interessati, secondo cui il pezzo sarebbe stato scritto da Cristiano Malgioglio dopo un viaggio in Africa. Qualcuno può pensare, addirittura, che la canzone possa diventare incompatibile con le attuali leggi russe.   Tuttavia, mentre Pupo canta, il resto del mondo censura russofobicamente senza alcuna pietà.   All’inizio dello stesso mese, la Corea del Sud ha cancellato una serie di spettacoli di Svetlana Zakharova, una famosa ballerina del Teatro Bolshoi russo, dopo che l’Ucraina aveva espresso rabbia per gli eventi pianificati.   Molte istituzioni culturali occidentali hanno cercato di rimuovere completamente le opere legate alla Russia dalle loro gallerie e teatri sin da quando è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina nel febbraio 2022.

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L’Orchestra Filarmonica di Cardiff in Galles ha eliminato la musica di Tchaikovskij da un concerto, la Royal Opera House britannica ha cancellato una tournée del Bolshoi Ballet e la Carnegie Hall e la Metropolitan Opera di New York hanno smesso di consentire alla maggior parte dei musicisti e delle organizzazioni russe di esibirsi.   Nel settembre 2022 in Australia un pittore australiano costretto a rimuovere il suo murale che mostra soldati russi e ucraini che si abbracciavano.   È successo, nell’estate di due anni fa, anche in Italia: è il caso del Teatro Comunale di Lonigo, dove doveva andare in scena Il lago dei cigni. Lo spettacolo, con protagonisti artisti ucraini, invece è saltato e sostituito con un balletto francese, su ordine diretto del governo di Kiev, che a quanto sembra decide anche quello che devono e non devono vedere gli spettatori italiani, anche se hanno già pagato il biglietto. «Oltre a Lonigo annullate anche tutte le altre date in Italia. In breve ai ballerini ucraini è stato ordinato dal loro Paese di non rappresentare più l’autore russo» ha scritto Vicenza Today.   La campagna ha raggiunto un livello tale da attirare critiche da parte di alcuni leader occidentali. Nell’aprile 2023, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo definì un «gesto sbagliato». Nell’agosto dello stesso anno, il cancelliere tedesco Olao Scholz si oppose a tali iniziative definendo la cultura russa parte della «nostra comune storia europea».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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Geopolitica

Il presidente serbo lancia l’allarme: minacce dirette alla Serbia e ai serbi bosniaci

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La Serbia sta attraversando giorni estremamente difficili, ha dichiarato il presidente Aleksandar Vucic, aggiungendo che sono in gioco gli interessi nazionali del Paese. Lo riporta RT.

 

La Nazione balcanica si è costantemente opposta ai tentativi della sua provincia separatista del Kosovo di aderire agli organismi internazionali, ma la regione ha recentemente fatto progressi in questo senso.

 

Mercoledì il leader serbo ha pubblicato un messaggio criptico su Instagram, avvertendo che «si prospettano giorni difficili per la Serbia» e che «in questo momento non è facile dire che tipo di notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore».

 

 

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Gli sviluppi «minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali sia della Serbia che della [Republika] Srpska», ha osservato Vucic, senza fornire ulteriori dettagli, dicendo solo che presenterà ai suoi concittadini le sfide future nei prossimi giorni.

 

La Republika Srpska è una regione parzialmente autonoma dominata dai serbi all’interno della Bosnia ed Erzegovina.

 

«Sarà dura… Combatteremo, la Serbia vincerà», ha aggiunto Vucic.

 

Anche se non è chiaro a cosa si riferisse Vucic, è pronto a incontrare mercoledì alti diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, secondo il sito web Pink.rs. Si prevede che l’ordine del giorno dell’incontro verterà sulla richiesta del Kosovo di aderire al Consiglio d’Europa, organismo internazionale di vigilanza sui diritti umani.

 

Secondo Pink, Vucic «non perderà l’occasione di ripetere (…) che si è trattato di una mossa perfida che ha anche un peso simbolico poiché è stata compiuta proprio il giorno che è stato scritto a lettere nere nella memoria collettiva dei serbi».

 

Il giornale si riferiva al 25° anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti della NATO contro l’ex Jugoslavia per quello che il blocco ha definito «uso sproporzionato della forza» contro un’insurrezione di etnia albanese in Kosovo.

 

Verrà discussa anche la decisione della commissione permanente dell’Assemblea parlamentare della NATO di elevare la regione separatista del Kosovo allo status di membro associato. La decisione finale sulla questione è attesa per la fine di maggio.

 

Nel frattempo Radio Sarajevo ha fatto intendere che il presidente serbo avrebbe reagito alla decisione dell’alto rappresentante della Bosnia ed Erzegovina Christian Schmidt di modificare la legge elettorale del paese. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante è un’organizzazione internazionale che sovrintende all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine a una sanguinosa guerra nella Nazione balcanica.

 

Schmidt ha dichiarato martedì che utilizzerà la sua autorità per introdurre riforme del voto digitale come parte di un progetto pilota nel paese.

 

La mossa è stata accolta con il rifiuto del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che ha detto che Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, aggiungendo che «appartiene alle persone che vivono in Bosnia ed Erzegovina».

 

In una intervista all’agenzia russa TASS dello scorso mese il Vucic aveva dichiarato che la comunità internazionale non è più interessata a porre fine ai conflitti e vede invece la pace come un ideale «indesiderato».

Come riportato da Renovatio 21, settimane fa il presidente serbo aveva rincarato la dose accusando l’Occidente di perseguire una politica di «militarizzazione totale» per sconfiggere la Russia, che mette la regione e il mondo sull’orlo del disastro e sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.

 

«Quello che sta succedendo adesso è una follia», aveva detto ai media regionali. «Tutti pensavano che Putin sarebbe stato sconfitto facilmente. Ora vedono che non è così».

 

Sei mesi fa il presidente serbo aveva detto che le forze di pace NATO hanno dato agli albanesi del Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto un anno fa il Vucic.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Italia pare essere già schierata nel teatro balcanico: il premier Giorgia Meloni aveva prima alzato la voce quando truppe italiane del contingente KFOR erano state ferite in un moto dei serbi kosovari, poi l’estate scorsa ha compiuto un bizzarro, enigmatico viaggio privato dal premier albanese Edi Rama, risaputo uomo proveniente dalle file dello speculatore internazionale Giorgio Soros.

 

In una intervista di mesi fa con Tucker Carlson il presidente ungherese Viktor Orban aveva rivelato che con il presidente serbo Vucic sarebbe d’accordo nel considerare un attacco al gasdotto South Stream, che porta il gas dalla Russia in Ungheria e Serbia, come un atto di guerra, al quale, dice, «reagiremo».

 

Tre mesi fa si era assistito ad un probabile tentativo di «maidanizzazione», a Belgrado a seguito delle elezioni. Alti funzionari serbi avevano descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic aveva affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.

 

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Immagine di European Union via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata

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