Alimentazione
«La produzione alimentare francese si fermerà»
«La produzione alimentare si fermerà» era il titolo di un articolo pubblicato da Le Figaro nel settembre 2022. Il monito, tre mesi dopo, sta divenendo realtà.
Dopo le industrie pesanti, come i rari produttori francesi di zinco, alluminio e vetro – colpiti da impennate dei prezzi dell’energia e mantenuti artificialmente in vita dal sostegno del governo – i trasformatori agroalimentari sono ora al capolinea.
Ieri lo specialista francese di conserve Cofigeo, che ha un fatturato di 300 milioni di euro, ha annunciato che chiuderà «temporaneamente» dal 2 gennaio 4 dei suoi 8 stabilimenti in Francia, che rappresentano circa l’80% della sua produzione. Di conseguenza, 800 dei 1.200 dipendenti di Cofigeo riceveranno un contratto di attività parziale di lunga durata (APLD), in pratica la cassa integrazione transalpina.
La decisione è una risposta al «drammatico aumento dei costi energetici (gas ed elettricità necessari per la cottura e la sterilizzazione delle stoviglie), che saranno moltiplicati per 10 dall’inizio dell’anno», ha affermato il gruppo in una nota. «Passerà da 4 a 40 milioni di euro da un giorno all’altro», ha detto a Le Figaro Mathieu Thomazeau, il suo presidente.
Si tratta di una catastrofe per il settore. Altri gruppi alimentari potrebbero trovarsi in grossa difficoltà a gennaio. Nonostante i vari richiami, non sembra che il governo di Parigi abbia saputo rispondere.
Già a settembre, Le Figaro riportava che «dopo che i prezzi dell’elettricità e del gas naturale che forniscono caseifici, zuccherifici e conservifici in Francia sono aumentati rispettivamente del 350% e del 380% in un anno, si stanno manifestando le prime crepe nell’industria alimentare». A quel tempo, i produttori lattiero-caseari avevano fatto sapere che le interruzioni di corrente potevano portarli a buttare il latte.
La bolletta energetica del colosso lattiero-caseario francese Lactalis raggiunge il miliardo di euro all’anno. Per il gruppo bretone Sill (Petit Basque, Malo), è balzata dell’800% dal 2021.
Negli zuccherifici, il timore della riduzione del carico invernale ha portato i produttori di zucchero ad avviare prima le campagne di raccolta e trasformazione delle barbabietole da zucchero, anche a costo di sacrificare rendimenti.
Oltre all’aumento dei costi energetici, l’altra preoccupazione è che le linee di produzione si fermeranno semplicemente per mancanza di prodotti provenienti dalle fattorie. La siccità ha ridotto la produzione di ortaggi da campo (fagiolini, piselli, etc.) fino al 50% quest’anno.
Di conseguenza, i conservifici che li trasformano e li confezionano ora ricevono solo la metà del loro fabbisogno. Alcuni di loro lavorano già solo tre giorni alla settimana. Tanto da temere carenze sugli scaffali prima del prossimo raccolto del 2023.
Negli ultimi giorni il fragile equilibrio del settore si è fatto ancora più teso, con grosse minacce di interruzione dei fertilizzanti per la prossima annata agraria.
Le fabbriche europee di fertilizzanti hanno interrotto la produzione del 50% dei loro prodotti e hanno fortemente limitato la produzione di ammoniaca a causa del prezzo proibitivo del gas.
Ciò solleva la minaccia di carenze per il prossimo inverno. Per evitare il collasso totale, molti settori (latte, carne) chiedono di essere riconosciuti come «mestieri di interesse generale» e di essere esentati dal razionamento energetico.
Come riportato da Renovatio 21 aveva riportato della crisi di circa metà dei reattori nucleari francesi ancora sei mesi fa. Già a gennaio, Renovatio 21 aveva riferito di una strana serie di «danni inaspettati» e riparazioni alle centrali atomiche francesi.
Parigi ancora due anni fa aveva dichiarato apertamente la sua intenzione di continuare il percorso con il nucleare. Quest’anno il presidente Macron ha parlato addirittura di «rinascita dell’industria nucleare francese». Cionondimeno, egli ha poi avvertito di razionamenti energetici in arrivo, invitando brutalmente la popolazione ad accettare «la fine dell’abbondanza».
La EDF, tornata da pochissimo sotto il controllo dello Stato, ha poi bizzarramente rifiutato la proposta del governo di Londra di procrastinare la dismissione programmata della centrale atomica inglese di Hinkley Point B, di proprietà del colosso statale francese.
L’estate scorsa era emerso come i francesi stessero cercando di mantenere in funzione le centrali nucleari nonostante l’ondata di caldo, che non assicurava acque di temperatura sufficientemente bassa per il sistema di raffreddamento dei reattori.
Come riportato da Renovatio 21, si sta allargando il numero di amministratori francesi, come il sindaco di Montataire Jean-Pierre Bosino, che minaccia di smettere di pagare le bollette dell’elettricità.
L’Italia dipende dall’elettricità francese per il 6%. Ha destato scalpore la possibilità che la Francia possa chiudere il rubinetto dell’energia per l’Italia, mandando potenzialmente la rete elettrica italiana o parte di essa in blackout.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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