Cina
La Nuova Zelanda accusa la Cina di aver hackerato il suo Parlamento
L’agenzia di spionaggio neozelandese ha affermato che un gruppo di hacker sponsorizzato dal governo cinese ha effettuato un attacco informatico contro il Parlamento del paese, rubando dati su alcuni dei suoi parlamentari. Pechino ha respinto l’accusa, che a suo dire non è supportata da alcuna prova.
La presunta violazione si è verificata nel 2021 e ha preso di mira l’ufficio di consulenza parlamentare e il servizio parlamentare, ha dichiarato lunedì il ministro Judith Collins dell’Ufficio per la sicurezza delle comunicazioni governative (GCSB).
La «attività informatica dannosa» è stata rapidamente rilevata dalle autorità neozelandesi, che hanno impedito agli hacker di accedere a dati di natura «strategica o sensibile», ha affermato.
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Secondo Collins, responsabile dell’attacco è stato un gruppo chiamato Advanced Persistent Threat 40 (APT 40), che secondo il GCSB è collegato al Ministero della Sicurezza di Stato cinese.
«L’uso di operazioni di spionaggio informatiche per interferire con le istituzioni e i processi democratici ovunque è inaccettabile», ha affermato.
Il ministro del GCSB ha detto che Wellington ha affrontato Pechino riguardo al presunto attacco informatico, ma ha sottolineato che la Nuova Zelanda non ha intenzione di sanzionare la Cina per l’incidente.
La dichiarazione di Collins è arrivata lo stesso giorno in cui il Dipartimento di Giustizia americano ha diffuso le foto di sette cittadini cinesi ricercati con l’accusa di essersi infiltrati nelle comunicazioni di obiettivi britannici e americani per un periodo di 14 anni attraverso e-mail dannose.
Si diceva che gli uomini fossero membri di un’entità descritta come un gruppo di hacking sponsorizzato dallo stato, noto come APT 31 o «Violet Typhoon», il «Tifone viola», riporta RT.
Il ministro del GCSB ha sottolineato l’importanza di una risposta collettiva da parte dell’Occidente alla presunta minaccia alla sicurezza informatica posta dalla Cina, affermando che «è importante che le democrazie liberali difendano altre democrazie liberali».
L’ambasciata cinese in Nuova Zelanda ha respinto le accuse di Wellington definendole «infondate e irresponsabili», affermando che Pechino ha espresso «forte insoddisfazione e risoluta opposizione» alle autorità dell’isola.
«Quando si indaga e si determina la natura dei casi informatici, è necessario disporre di prove adeguate e oggettive, invece di diffamare altri Paesi quando i fatti non esistono, e ancor meno politicizzare o addirittura trasformare in armi le questioni di sicurezza informatica», ha affermato l’ambasciata in una dichiarazione martedì.
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Pechino non si intromette negli affari interni degli altri Paesi e «accusare la Cina di ingerenze straniere è completamente sbagliato», hanno aggiunto i diplomatici cinesi con un evidente riferimento agli Stati Uniti.
La Cina è pronta a promuovere la cooperazione con Wellington «sulla base del rispetto reciproco» e spera che anche la Nuova Zelanda lavori nella stessa direzione, astenendosi dalla «diplomazia del megafono», si legge nella dichiarazione.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato hacker legati alla Repubblica Popolare Cinese erano stati accusati di aver rubato 60 mila email del dipartimento di Stato USA. A maggio 2023 Microsoft aveva rivelato che un gruppo di hacker statali cinesi ha condotto una sofisticata operazione di sorveglianza sulle principali risorse infrastrutturali statunitensi.
Nel 2022 la Cina si è veementemente opposta al coinvolgimento del Giappone nella Difesa cibernetica NATO, di cui ha voluto far parte anche la Corea del Sud. I due Paesi asiatici hanno voluto cioè far parte del Centro di Eccellenza per la Difesa Informatica Cooperativa (CCDCOE) della NATO, cioè il comando per la guerra cibernetica del Patto Atlantico. La conclusione che qualcuno poteva trarre è che la Microsoft possa coordinare, oltre che con gli USA; anche con la UE, l’Ucraina e la NATO.
A gennaio 2023 un attacco cibernetico ritenuto provenire dalla Cina aveva colpito istituzioni accademiche sudcoreane.
Lo scorso giugno era stata rivelata la possibilità di un possibile attacco cibernetico contro sistemi militari USA di stanza a Guam, l’isola del Pacifico che è territorio e base militare degli Stati Uniti. Secondo alcuni osservatori poteva trattarsi di un’operazione il cui vero obiettivo potrebbe essere Taiwan.
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Immagine di Prosperosity via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Creative Commons Attribution 4.0 International
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
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Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
Le principali app di incontri gay in Cina, Blued e Finka, sono state eliminate dall’Apple Store locale su ordine dell’autorità di regolamentazione internet di Pechino. Lo riporta Wired. Nel contesto è tuttavia utile ricordare che sino a qualche anno fa la Cina controllava l’app di incontri gay più diffusa al mondo.
Lanciata nel 2012, Blued è la più grande app di incontri gay in Cina, che in passato contava oltre 60 milioni di utenti nel mondo, prima che i controlli statali più rigidi ne riducessero la portata globale. Finka, concorrente più recente e popolare tra i giovani, è diventata una delle piattaforme LGBT in più rapida crescita in Cina grazie alle funzioni di social networking e all’interfaccia in stile gaming.
Secondo Wired, Apple ha rimosso entrambe le app dal suo App Store cinese su disposizione della Cyberspace Administration of China (CAC), che supervisiona i contenuti online e la sicurezza dei dati.
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L’articolo della rivista statunitense non specifica quando o perché sia stato emesso l’ordine, ma utenti dei social cinesi hanno notato la scomparsa delle app dagli store online durante il fine settimana. Le app, secondo quanto riferito, restano funzionanti per gli utenti esistenti, ma non sono più scaricabili per nuovi utenti.
Apple ha confermato la rimozione in una dichiarazione rilasciata lunedì.
«Rispettiamo le leggi dei Paesi in cui operiamo. In base a un ordine del CAC, abbiamo rimosso queste due app solo dallo store cinese», ha dichiarato un portavoce di Apple in un’e-mail alla testata. L’azienda ha aggiunto che entrambe le app erano già state ritirate da altri mercati. Né Blued né Finka hanno risposto alle richieste di commento.
La Cina ha depenalizzato l’omosessualità negli anni ’90, ma continua a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sotto la presidenza di Xi Jinping, le autorità hanno intensificato gli sforzi per promuovere i valori familiari tradizionali e contrastare quella che definiscono «influenza occidentale». La campagna mira ad aumentare i tassi di natalità, rafforzare i ruoli di genere e scoraggiare stili di vita ritenuti incompatibili con i valori tradizionali. Gli attivisti LGBTQ+ cinesi affermano che la campagna ha alimentato censura e sorveglianza, con la chiusura di molti gruppi gay, il divieto di eventi Pride, la rimozione di contenuti omosessuali dai media e lo scioglimento di associazioni universitarie.
La maggior parte delle app di incontri LGBT è già bloccata in Cina. Grindr, con sede negli Stati Uniti, è stata rimossa dall’App Store cinese di Apple nel 2022 dopo l’inasprimento delle norme sulla sicurezza informatica e sulla privacy dei dati, che impongono l’archiviazione locale dei dati degli utenti. ZANK, un tempo tra le principali app di incontri gay in Cina, è stata chiusa nel 2017 per «diffusione di contenuti pornografici».
Renovatio 21 ha spesse volte parlato di Grindr, l’applicazione usata dalla comunità omosessuale. La possibilità che i suoi dati fossero usati per fini di ricatto verso migliaia (milioni…) di persone con lavori sensibili per il governo spinse Trump, allora presidente, a chiedere ai cinesi, che l’avevano comprata, di averla indietro. I cinesi, incredibilmente, obbedirono, ma non è chiaro se possano essersi sbarazzati dei dati.
Grindr, che ad un certo punto pareva potesse essere comperata dall’apparentemente inarrestabile azienda italiana Bending Spoons, già coinvolta nell’app governativa di tracciamento COVID «Immuni» e partecipata da grandi famiglie del capitalismo nazionale, sarebbe subentrata anche in alcuni scandali che riguardavano la politica e pure il mondo religioso.
Renovatio 21 ha ipotizzato che parte del rapporto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, sbocciata negli accordi sino-vaticani, potrebbe essere dovuta al kompromat da Grindr che i comunisti cinesi detengono su tanti consacrati segretamente omosessuali.
Su Grindr infatti si dice che siano presenti quantità massive di sacerdoti. Il fatto è tornato alla ribalta di recente con il caso di un sacerdote USA, noto per le posizioni intransigenti verso lo sdoganamento cattolico di Sodoma, beccato sulla piattaforma. Ma anche in Italia sarebbero stati trovati consacrati di un certo spessore. Di uno in particolare, scriveva il Giornale, che raccoglieva il sussurro di Dagospia: «nella sua seconda vita si dava alle droghe (ecstasy, ma anche crack, Ghb e chetamina) e alla conquista di amanti (rigorosamente di sesso maschile) su Grindr». Una storia con parole che sembrano riemergere anche ora.
L’uso intensivo della app di incontri gay da parte perfino dei seminaristi è raccontato da un recente libro del sociologo Marco Marzano, La casta dei casti.
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Nata a Los Angeles nel 2009, Grindr per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società. Nel 2016 la società aveva venduto una quota del 60% nella società per 93 di dollari milioni a un gruppo di sviluppo di videogiochi cinese, Kunlun Tech Co.
L’acquisizione di una tale massa di dati sensibili non passò inosservata. Nel 2019 governo Trump chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate? Quanti funzionari, generali, ministri, soldati, uomini delle pulizie hanno una doppia vita e quindi possono essere manipolati?
I cinesi, piuttosto incredibilmente, accettarono l’ordine di Trump. Il gruppo Kunlun cercò un compratore per liberarsi dell’applicazione. Nel marzo 2020, Kunlun annunciò che avrebbe venduto la sua quota del 98,59% in Grindr alla San Vicente Acquisition LLC con sede negli Stati Uniti per 608,5 milioni di dollari. Il lead investor, Raymond Zage, viene dall’Illinois ma ha base ora a Singapore – un luogo dove gli interessi della Cina Popolare non sono sconosciuti.
All’altezza del 2018, Grindr indicava perfino se l’utente fosse sieropositivo o meno: la feature venne ritirata, perché i giornali sinceri e democratici rabbrividirono per mancanza di privacy sanitaria (cosa che adesso fa ridere…), senza capire che probabilmente dietro a questa nuova spunta poteva schiudersi il mondo dei bugchasers e dei giftgivers, coloro che volontariamente contagiano o si fanno contagiare con l’HIV.
Da Grindr deriva Tinder, la app di incontri usata dagli eterosessuali: anche quella è sicuramente stata causa di migliaia di disastri famigliari, perché può esporre la doppia vita di «cacciatore» di appuntamenti di un coniuge. Tuttavia Tinder, nonostante la disperazione che produce la promiscuità della hook-up culture («cultura del rimorchio») che ha generato, non è stato in grado di impensierire i servizi di Intelligence USA. Grindr, invece, sì.
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
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