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La misteriosa strage delle spie sul Lago Maggiore: che ci facevano in barca venti agenti segreti italiani e del Mossad?

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È un mistero grande, e tragico, quello che ha coinvolto i servizi segreti italiani e israeliani nelle ultime ore. Tragico perché ci sono dei morti.

 

Come noto, una barca turistica lunga circa 15 metri – una cosiddetta «houseboat» – di nome «Good… uria» è improvvisamente affondata alle 19:20 di domenica scorsa sul Lago Maggiore, all’altezza di Sesto Calende, provincia di Varese. L’imbarcazione, salpata da un cantiere della zona, aveva fatto rotta per l’Isola dei Pescatori, una delle Isole Borromee.

 

«Sulla barca c’erano soltanto donne e uomini dell’intelligence italiana e israeliana: in apparenza una normale divagazione, un’umana tregua dopo intensi giorni di missioni, forse di infiltrazioni» scrive sibillino il Corriere della Sera. Infiltrazioni di cosa?

 

Secondo Il Fatto quotidiano, che cita relazioni dei carabinieri ai magistrati, sulla barca «c’erano 13 israeliani e 8 italiani, tutti agenti segreti», oltre allo Skipper e alla sua moglie originaria di Rostov, Russia, deceduta nell’incidente. In tutto erano 23 persone, più il capitano e la moglie; secondo quanto scrivono alcune testate l’houseboat avrebbe potuto ospitarne 15, ma non è questa eventuale inosservanza a colpire.

 

Risultano morte quattro persone: un uomo e una donna appartenenti all’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna: i nostri servizi esteri), un agente del Mossad ufficialmente in pensione, e la cittadina russa. I nomi dei due morti italiani sono stati fatti in un comunicato di Alfredo Mantovano, l’uomo del premier Meloni per i servizi segreti.

 

Si sarebbe trattato di una tromba d’aria con raffiche di vento a 70 all’ora, che avrebbe fatto «scuffiare» la barca, cioè rovesciato lo scafo.

 

Sempre secondo il Corriere della Sera, risulterebbe proprietaria della barca una società creata il 5 aprile scorso dallo skipper e da sua moglie, previo versamento simbolico di 475 euro di capitale sociale.

 

I giornali mainstream hanno parlato inizialmente di una «rimpatriata», e a noi scappava un po’ da ridere. Un po’ perché non ci era perfettamente chiaro come spie italiane e israeliane potessero aver fatto il liceo assieme, oppure se avevano fatto assieme qualcosa, tanto da generare sentimenti di cameratismo, ci sarebbe piaciuto sapere cosa.

 

Un po’ sorridevamo perché chi ha parlato di una «gita al lago fra amici» non conosce una vecchia regola del mondo dei servizi: «there are friendly countries, there are no friendly intelligence services». Ci sono Paesi amici, non ci sono servizi segreti amici.

 

Tuttavia, ora anche i giornaloni iniziano ad ammettere che «non era una comune gita in barca della domenica, non era nemmeno una rimpatriata tra colleghi, ma una vera e propria riunione di lavoro – ovviamente segreta – tra 007 italiani e israeliani» scrive Il Messaggero. «E come nei film di spionaggio, sono immediatamente spariti tutti i superstiti del naufragio sul lago Maggiore e le tracce a loro riconducibili, che potevano svelarne l’identità o i movimenti».

 

E quindi, cosa stavano facendo laggiù i nostri agenti con quelli dello Stato ebraico? Probabilmente non lo sapremo mai: i sopravvissuti israeliani sono stati evacuati immediatamente con un jet privato atterrato a Milano e poi ripartito verso Tel Aviv. Il furgoncino che avevano affittato, hanno scritto i giornali, è rimasto lì abbandonato sulla banchina da cui si sono imbarcati per il viaggio al lago maledetto.

 

In gergo si dice «esfiltrazione». Portati via immantinente da un Paese.

 

I nomi delle spie sopravvissute di entrambi i Paesi non sono ovviamente noti. Nelle abitazioni che avevano preso in affitto «non ci sono più tracce del loro passaggio, così come non ci sono documenti di chi – tra gli agenti segreti italiani e israeliani – è stato medicato e subito dimesso dagli ospedali della provincia di Varese».

 

«Gli italiani sono stati evacuati in tutta fretta dai pronto soccorso e dagli hotel tra Sesto Calende e la Malpensa, dove non risulta traccia del loro pernottamento» scrive Repubblica che nota come gli agenti italiani e israeliani, sbalzati fra le acque lacustri, sono stati salvati da altri natanti, motoscafi, perfino moto d’acqua.

 

Il relitto, va notato, non è stato subito recuperato: fluttua a 16 metri di profondità e a 150 metri dalla riva. Le operazioni per riportarlo a galla con palloni ad aria compressa sarebbero fallite.

 

«Se all’interno del relitto dovesse essere trovata qualche valigetta contenente dei documenti degli 007, in caso fossero ancora leggibili nonostante l’acqua, la presidenza del Consiglio dei ministri potrebbe invocare il segreto di Stato» scrive ancora Il Messaggero. Di nostro, immaginiamo che, eventualmente, ci sia stato un certo traffico di sub non solo italiani e/o israeliani in quel ramo del lago.

 

Non è la prima volta che saltano fuori strane storie lombarde di servizi israeliani. L’«ombra del Mossad» era stata invocata da qualche giornale, anche nel caso del piccolo Eitan, il bambino unico sopravvissuto della strage di Mottarone, quella della funivia crollata. Come riportato dalle cronache, il nonno materno – definito da Il Giornale come «ex militare, con un piede nei servizi segreti» – portò via Eitan, che è anche cittadino italiano, imbarcandolo in un volo privato in Svizzera.

 

Difficile comprendere bene il quadro: un evento meteorologico improvviso che attacca una barca di spie in un lago lombardo è qualcosa che non abbiamo visto in nessuna spy-story, né in film, né in romanzi.

 

Israele, che dispone di servizi segreti tra i più temuti al mondo, ha tuttavia una storia dove talvolta sono emerse la sfortuna o la goffaggine dei suoi agenti.

 

Nel 1973, nella città norvegese di Lillehammer, sicari israeliani assassinarono il cameriere marocchino Ahmed Bouchikhi (fratello del futuro fondatore del famoso gruppo di musica gitana Gypsy King) scambiandolo per il terrorista Ali Hassan Salameh, che andava eliminato assieme a tutta una lista di personaggi ritenuti responsabili per il Massacro alle Olimpiadi di Monaco – la famosa operazione «Ira di Dio» portata al cinema da Steven Spielberg nel film Munich.

 

Bouchikhi fu ucciso per strada sotto gli occhi della moglie da agenti israeliani, ufficialmente non appartenenti al Mossad. I componenti del commando furono arrestati dalla polizia norvegese, e condannati a anni di carcere, ma furono tutti scarcerati dopo 22 mesi di detenzione. La vedova, la figlia e un figliastro nel 1996 furono indennizzati dallo Stato di Israele con 400 mila dollari.

 

L’«affare Lillehammer», considerato uno dei più grandi fiaschi dei servizi del dopoguerra, è completamente assente dalla pellicola hollywoodiana di Spielberg, dove tuttavia viene raccontato che Salameh era in realtà protetto dalla CIA.

 

 

È stato riportato che il virus Stuxnet che ha colpito milioni di sistemi in tutto il mondo all’altezza del 2010 sia in realtà un’arma cibernetica israelo-americana sfuggita – secondo il documentario Zero Days – a causa dell’ostinazione delle spie elettroniche di Tel Aviv, durante l’attacco alle centrifughe di arricchimento dell’uranio dell’Iran di Ahmadinejad.

 

Misteri su misteri. Come qui, con tre persone annegate nel lago Maggiore. Il lettore non si sorprenda se, come l’houseboat delle spie, anche questa storia si inabisserà con gran rapidità.

 

 

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Trump conferma l’autorizzazione delle operazioni della CIA in Venezuela

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha confermato di aver autorizzato operazioni della CIA in territorio venezuelano. Lo riporta il New York Times.

 

Secondo il quotidiano neoeboraceno, la decisione consentirebbe agli agenti dell’intelligence di condurre operazioni letali contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro, accusato dall’amministrazione Trump di gestire cartelli «narco-terroristici» e di inondare gli Stati Uniti con cocaina e fentanyl.

 

Durante un incontro nello Studio Ovale, un giornalista ha chiesto a Trump: «Perché hai autorizzato la CIA a operare in Venezuela?»

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«Ho dato il via libera per due ragioni, in realtà», ha risposto Trump. «Primo, loro [il Venezuela] hanno svuotato le loro carceri mandando i detenuti negli Stati Uniti».

 

«L’altro problema sono le droghe. Dal Venezuela arriva una grande quantità di droga, molta della quale via mare, ma la fermeremo anche via terra», ha aggiunto.

 

Trump ha evitato di specificare se la CIA abbia l’autorizzazione a «eliminare Maduro».

 

«Non voglio rispondere a una domanda simile. Non sarebbe assurdo per me farlo?», ha dichiarato. Durante il suo primo mandato, Trump ha imposto dure sanzioni al Venezuela e di recente ha aumentato a 50 milioni di dollari la ricompensa per informazioni che portino all’arresto di Maduro.

 

Come riportato da Renovatio 21, Stati Uniti hanno schierato una flotta navale nei Caraibi orientali e, da settembre, hanno distrutto almeno cinque imbarcazioni sospettate di contrabbandare droga dal Venezuela.

 

Maduro ha smentito le accuse di collaborare con i cartelli e ha accusato gli Stati Uniti di volerlo destituire, sottolineando che l’esercito venezuelano è pronto a contrastare un’eventuale invasione.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione washingtoniana ha rotto le relazioni diplomatiche con Caracas, che a sua volta ha avvertito della possibilità di attacchi da parte di estremisti contro l’ambasciata.

 

Secondo il NYT negli scorsi mesi Maduro avrebbe fatto ampie concessioni economiche agli USA, che epperò sarebbero fermi sull’idea che il presidente venezuelano lasci l’incarico.

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Il Venezuela ha denunziato voli «illegali» di caccia F-35 americani nei suoi spazi aerei negli ultimi giorni. Si moltiplicano intanto le notizie di preparativi di ulteriore attacchi al narcotraffico venezuelano, con minaccia diretta di Trump agli aerei di Caracas che avevano sorvolato una nave da guerra USA mandata nell’area.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Trump ha dichiarato che «gli attacchi degli Stati Uniti alle imbarcazioni venezuelane sono un atto di gentilezza» e che il Paese è in «conflitto armato» con i cartelli della droga.

 

Secondo alcuni analisti, la nuova «guerra alla droga» altro non è che una copertura della riattivata Dottrina Monroe, che prevede l’egemonia assoluta degli USA sul suo emisfero – qualcosa del resto di detto apertamente quando si parla della cosiddetta «difesa emisferica» dell’amministrazione Trump, con varie opzioni di annessioni di PanamaGroenlandiaCanada, e perfino il Messico.

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Il vertice del KGB bielorusso parla dei colloqui con gli USA

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Il conflitto in Ucraina è un tema centrale nel dialogo in corso tra Washington e Minsk, ha dichiarato ai giornalisti Ivan Tertel, capo del servizio di sicurezza bielorusso (KGB). Lo riporta la stampa russa.   Le due nazioni stanno affrontando anche questioni di sicurezza regionale più ampie, ha aggiunto, sottolineando che il dialogo ha già contribuito a stabilizzare la zona.   Gli Stati Uniti riconoscono l’esperienza regionale di Minsk, che potrebbe essere utile sia per risolvere il conflitto in Ucraina sia per ridurre le tensioni nell’area, ha affermato Tertel dopo una riunione di governo presieduta dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko martedì. Entrambe le parti, ha aggiunto, sono interessate a porre fine alle ostilità.   «Possiamo offrire il nostro contributo», ha dichiarato Tertel, sottolineando che Minsk «comprende sia la prospettiva russa che quella ucraina». Grazie alla sua alleanza con la Russia, ai rapporti stretti con l’Ucraina e al dialogo attivo con gli Stati Uniti, la Bielorussia «potrebbe trovare un consenso in questa situazione estremamente complessa», ha detto.

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Le due nazioni stanno cercando «soluzioni reciprocamente accettabili» in vari ambiti, ha proseguito Tertel, evidenziando che sono già stati raggiunti accordi su diversi temi. Sia Minsk che Washington adottano un «approccio pragmatico e razionale» basato sugli interessi nazionali, secondo il capo della sicurezza.   Tertel ha inoltre rivelato che sia Lukashenko sia il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sono «profondamente coinvolti» nel dialogo. «Abbiamo tutte le opportunità per una svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti», ha dichiarato, aggiungendo che Minsk è «aperta» al dialogo anche con altre nazioni occidentali.   Martedì, Lukashenko ha ribadito che Minsk è pronta per un «grande accordo» con Washington, a patto che i suoi interessi siano rispettati.   Questi sviluppi si inseriscono in un contesto di miglioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Bielorussia, dopo un periodo di forti tensioni durante la presidenza di Joe Biden, predecessore di Trump.   A settembre, Washington ha concesso un’esenzione dalle sanzioni alla compagnia aerea bielorussa Belavia, nell’ambito di un accordo che ha visto Minsk rilasciare oltre 50 prigionieri, inclusi quelli accusati di aver incitato disordini. Inoltre, ufficiali militari statunitensi hanno partecipato alle esercitazioni russo-bielorusse Zapad-2025 nello stesso mese.

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  Immagine di Bestalex via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
   
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La Danimarca vuole vietare i social agli adolescenti

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Il governo danese ha annunciato l’intenzione di vietare l’uso di diverse piattaforme di social media ai minori di 15 anni, come dichiarato dal primo ministro Mette Frederiksen.

 

Nel suo discorso al parlamento di martedì, Frederiksen ha espresso preoccupazione per l’impatto dei social media sui giovani. «I telefoni cellulari… stanno rubando l’infanzia dei nostri figli», ha affermato, aggiungendo che «abbiamo scatenato un mostro», notando che quasi tutti gli studenti danesi di seconda media, generalmente tra i 13 e i 14 anni, possiedono già un cellulare.

 

Tuttavia, il primo ministro non ha fornito dettagli specifici sul divieto proposto, né su come sarà implementato o quali piattaforme saranno coinvolte.

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La decisione arriva in concomitanza con un rapporto sul benessere commissionato dal governo, che ha rivelato che il 94% dei giovani danesi aveva un profilo sui social media prima dei 13 anni, nonostante le restrizioni sull’età minima di molte piattaforme. Il rapporto ha anche evidenziato che i bambini tra i 9 e i 14 anni trascorrono in media circa tre ore al giorno su TikTok e YouTube.

 

Un rapporto del 2025 dell’Autorità danese per la concorrenza e i consumatori ha mostrato che il 10% dei giovani utenti spesso si pente del tempo trascorso online, il 21% ha difficoltà a disconnettersi e il 29% supera il tempo che intendeva dedicare alle piattaforme preferite.

 

Secondo Statista, nel 2024 Facebook è rimasto il social network più utilizzato in Danimarca, con l’83% della popolazione, seguito da Instagram al 65%, Snapchat al 51% e TikTok al 34%.

 

Nel 2024, un’iniziativa popolare, sostenuta da 50.000 firme, ha proposto di vietare TikTok, Snapchat e Instagram ai minori. A febbraio, seguendo le raccomandazioni della Commissione per il benessere, la Danimarca ha introdotto misure per vietare i telefoni cellulari nelle scuole.

 

Come riportato da Renovatio 21, uno studio emerso pochi mesi fa prova che i social danneggiano soprattutto il sonno e la salute mentale delle bambine.

 

Uno studio sui comportamenti salutari nei bambini in età scolare, supportato dall’OMS, ha rilevato che nel 2022 l’11% degli adolescenti in Europa, Asia centrale e Canada ha riportato un uso problematico dei social media, in netto aumento rispetto al 7% del 2018. Questo comportamento simile alla dipendenza, caratterizzato da perdita di controllo, sintomi di astinenza e conseguenze negative sulla vita, era più comune tra le ragazze (13%) rispetto ai ragazzi (9%).

 

Come riportato da Renovatio 21, vari studi hanno mostrato che gli smartfoni sono collegati ad ansia e depressione negli adolescenti.

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Come riportato da Renovatio 21, in questi ultimi mesi sono stati condotti anche studi sulla confisca degli smartphoni a giovani con personalità narcissitica.

 

Come riportato da Renovatio 21, un altro studio sul tema di pochi anni fa spiegava che il tempo che trascorriamo sul telefono potrebbe minacciare la nostra salute a lungo termine. Un numero crescente di prove suggerisce che il tempo che passiamo sui nostri smartphone interferisce con il sonno, autostima, relazioni, memoria, capacità di attenzione, creatività, produttività e capacità di risoluzione dei problemi e decisionali.

 

Uno studio condotto dall’autorità governativa di regolamentazione delle comunicazioni nel Regno Unito ha rilevato che un quarto dei bambini di soli 3-4 anni possiede uno smartphone.

 

Vi è da considerare anche il problema del tracciamento delle attività dei ragazzi, perché lo spionaggio permesso alle app è, secondo CHD, di «scala scioccante».

 

Curiosamente, anche il governo italiano ha definito lo smartphone per gli studenti come una droga «non diversa dalla cocaina».

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