Geopolitica
La minaccia cinese spinge l’import di armi nell’Asia-Pacifico
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Il 42% delle forniture mondiali di armi finiscono in Asia e Oceania. Calano l’export russo e quello di Pechino; in aumento quello di USA, Francia e Germania. Boom di forniture in Medio oriente. Effetto pandemia: difficile stabilire se la crescita delle vendite riprenderà nei prossimi anni.
L’Asia-Pacifico è la regione che importa più armi al mondo, un primato dovuto in larga parte ai timori di molti Paesi per la crescita militare cinese
L’Asia-Pacifico è la regione che importa più armi al mondo, un primato dovuto in larga parte ai timori di molti Paesi per la crescita militare cinese.
Lo rivela oggi il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), secondo cui le vendite di armi a livello globale sono rimaste stabili tra il quinquennio 2011-2015 e quello 2016-2020: ciò non avveniva dal periodo 2001-2005.
Dallo studio emerge che il 42% delle forniture mondiali di armi finiscono in Asia e Oceania. Oltre a Pechino, i principali acquirenti sono India, Australia, Corea del Sud e Pakistan: a parte Islamabad, si tratta di tutti Paesi che hanno dispute o problemi con il governo cinese.
La Cina è il più grande importatore di armi in Asia orientale, ma la crescita maggiore negli ultimi anni è stata registrata dalla Corea del Sud (+210%). Con un +124% anche il Giappone ha accresciuto le importazioni. Seoul deve fronteggiare la minaccia nordcoreana; Tokyo è sotto pressione cinese per il controllo delle isole Senkaku nel Mar Cinese orientale.
Oltre a Pechino, i principali acquirenti sono India, Australia, Corea del Sud e Pakistan: a parte Islamabad, si tratta di tutti Paesi che hanno dispute o problemi con il governo cinese
Nel periodo considerato l’export cinese e russo è calato, a differenza di quello di Stati Uniti, Francia e Germania. Mosca rimane il secondo esportatore di armi al mondo, preceduta dagli USA. Tra il 2015 e il 2020 la quota russa di vendite globali è passata dal 22 al 20%. Il calo si spiega con il crollo delle forniture all’India (-53%), storico cliente del Cremlino. Le perdite della Russia rispetto al mercato indiano non sono state compensate dagli incrementi nelle vendite in Cina, Algeria ed Egitto.
Pechino occupa il 5° posto nella graduatoria stilata dal SIPRI. Pechino ha visto calare del 7,8% le vendite di armamenti: al momento essa copre il 5,2% dell’export mondiale; Pakistan e Bangladesh sono i suoi principali compratori.
Il Medio oriente ha registrato un significativo aumento delle importazioni (+25%), trainato da Arabia Saudita (+61%), che è il primo acquirente di armi al mondo, e Qatar (+361%). Il 47% dei trasferimenti USAè diretto nella regione.
Il Medio oriente ha registrato un significativo aumento delle importazioni (+25%), trainato da Arabia Saudita (+61%), che è il primo acquirente di armi al mondo, e Qatar (+361%)
I ricercatori del SIPRI non hanno elementi precisi per stabilire se la crescita delle vendite riprenderà nei prossimi anni. Gli effetti negativi del COVID-19 potrebbero spingere alcuni Paesi a ridurre la spesa militare. Lo scorso anno, al picco della pandemia, diversi governi non hanno avuto però remore a siglare importanti contratti nel settore.
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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
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Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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