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Storia

La grande tradizione americana di sparare ai candidati presidenziali. E ai presidenti

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Il tentato assassinio di Donald J. Trump non costituisce una grande novità negli Stati Uniti d’America.

 

In tre cicli elettorali consecutivi durante gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, i candidati alla presidenza furono bersaglio di assassini, ricorda il New York Times in una breve nota. Due, tra cui un presidente in carica, furono uccisi. Uno fu gravemente ferito.

 

L’ultimo episodio del genere risale al 1972, quando il governatore dell’Alabama George C. Wallace fu colpito a morte mentre era in campagna elettorale in un centro commerciale fuori Washington, DC. Il Wallace rimase parzialmente paralizzato a causa della sparatoria e dovette usare una sedia a rotelle fino alla sua morte, avvenuta nel 1998.

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Quattro anni prima, Robert F. Kennedy, senatore ed ex procuratore generale degli Stati Uniti, aveva appena vinto le primarie democratiche in California nel 1968 quando fu colpito a morte dopo aver pronunciato un discorso di vittoria all’Ambassador Hotel di Los Angeles. Suo figlio Robert F. Kennedy Jr. è attualmente in corsa per la presidenza come candidato indipendente e ha cercato senza successo la protezione del Secret Service, l’agenzia americana preposta alla sicurezza dei presidenti.

 

Il presidente John F. Kennedy, fratello maggiore di Robert F. Kennedy, fu colpito a morte da Lee Harvey Oswald durante una visita a Dallas nel novembre 1963 per rafforzare il sostegno alla sua candidatura alla rielezione nel 1964. Non tutti sanno che il termine «conspiracy theory» – cioè teorico del complotto, o «complottista» – fu coniata dalla CIA proprio per sviare l’attenzione da chi notava che molti particolari nella ricostruzione del presidenticidio non collimavano.

 

Meno noto è un altro tentativo di uccidere JFK: l’11 dicembre 1960, durante una vacanza a Palm Beach, in Florida, il Kennedy, allora presidente eletto, fu minacciato da Richard Paul Pavlick, un ex impiegato delle poste di 73 anni spinto dall’odio verso i cattolici. Il Pavlick intendeva far schiantare la sua Buick del 1950 carica di dinamite contro il veicolo di Kennedy, ma cambiò idea dopo aver visto la moglie e la figlia di Kennedy salutarlo. L’uomo anticattolico fu arrestato tre giorni dopo dai servizi segreti dopo essere stato fermato per infrazione alla guida; la polizia trovò la dinamite nella sua macchina e lo rinchiuse.

 

Secondo il Congressional Research Service, prima di sabato si erano verificati almeno 15 attacchi diretti a presidenti, presidenti eletti e candidati alla presidenza, cinque dei quali avevano causato vittime.

 

Nel 1975, ci furono due tentativi di assassinio del presidente Gerald R. Ford in meno di tre settimane. Nel primo, Lynette A. Fromme, un’accolita della setta di Charles Manson, cercò di sparare con una pistola al Ford mentre camminava dal suo hotel al Campidoglio di Sacramento, ma la camera non aveva proiettili.

 

Diciassette giorni dopo, Sara Jane Moore, che era stata coinvolta in diversi gruppi di sinistra, cercò di sparare al presidente fuori da un hotel a San Francisco, ma mancò il bersaglio quando un marine che era in piedi accanto a lei le fece alzare il braccio mentre sparava.

 

Nel marzo 1981, circa due mesi dopo il suo insediamento, il presidente Ronald Reagan fu colpito e gravemente ferito fuori da un hotel di Washington, DC, da John W. Hinckley Jr., che sosteneva di voler attirare l’attenzione dell’attrice Jodie Foster dopo averla vista nel film Taxi Driver. Il ragazzo aveva seguito la Foster iscrivendosi all’università di Yale, quella dove, peraltro, è attiva la società segreta studentesca Skull and Bones, dalla quale, secondo una vulgata storica finita in film come The Good Shepherd, sarebbe nata la CIA. Degli Skull and Bones sono membri riconosciuti i Bush.

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Poco noto il fatto che Hinkely fosse il figlio di John Hinckley Sr., politico e sostenitore finanziario della campagna elettorale di George H. W. Bush – che a quel tempo ricopriva la carica di vicepresidente – nelle primarie contro Ronaldo Reagan, fu riportato anche il loro legame d’affari nel settore petrolifero. Il fratello maggiore di Hinckley, Scott, era amico di Neil Bush, uno dei figli di George H. W. Bush; i due avevano in programma di pranzare insieme il giorno della sparatoria. Inoltre, Neil Bush ha vissuto per un periodo a Lubbock, in Texas, la stessa città dove John Hinckley risiedette verso la fine degli anni settanta.

 

Se Reagan fosse morto nell’attentato, il vicepresidente dell’epoca, George H. W. Bush, sarebbe diventato presidente. Lo Hinckley, dopo anni di manicomio criminale, è stato rilasciato senza condizioni nel 2022.

 

È noto che Reagan, attore hollywoodiano con un debole per le barzellette (era eccezionale a raccontare quelle societiche), fece una battuta ai chirurghi una volta entrato in sala operatoria per l’intervento di urgenza: «spero siate tutti repubblicani».

 

Andando indietro nel tempo, troviamo altri esempi di attentati ed omicidi politici di rilievo.

 

Il 14 ottobre 1912, l’ex gestore di tavera John Schrank (1876-1943) tentò di assassinare l’ex presidente degli Stati Uniti Teodoro (1858-1919) mentre faceva campagna per la presidenza a Milwaukee, nel Wisconsin. Il proiettile di Schrank conficcò nel petto di Roosevelt dopo essere penetrato nella custodia in acciaio degli occhiali di Roosevelt e aver attraversato una copia spessa 50 pagine (piegata una sola) del suo discorso intitolato La causa progressista più grande di qualsiasi individuo, che portava nella tasca della giacca.

 

Lo Schrank fu immediatamente disarmato e catturato; avrebbe potuto essere linciato se Roosevelt non avesse gridato a Schrank di rimanere illeso. Roosevelt ha assicurato alla folla che stava bene, quindi ha ordinato alla polizia di prendersi cura di Schrank e di assicurarsi che non gli fosse stata fatta violenza.

 

In quanto esperto cacciatore e anatomista, Roosevelt concluse correttamente che, poiché non stava tossendo sangue, il proiettile non aveva raggiunto il suo polmone. Quindi rifiutò il suggerimento di recarsi immediatamente in ospedale per pronunziare il suo discorso esattamente programmato.

L’assassinio presidenziale più storico rimane quelli di Abramo Lincoln (1809-1865), ucciso mentre si trovava a teatro dall’attore John Wikes Booth (1838-1865). Il Booth al momento di premere il grilletto sulla nuca del presidente avrebbe proferito la formula latina «sic semper tyrannis» («così sempre per i tiranni», che è il motto dello Stato della Virginia. Curiosamente, si era detto che la moglie di Tony Blair, Cherie Booth, fosse sua discendente, ma la cosa sembra smentita.

 

Il Lincoln aveva subito tentativi di assassinio anche il 23 febbraio 1861 e nell’agosto 1864.

 

Un altro assassinio presidenziale riuscito fu quello del presidente James A. Garfield (1831-1881), il ventesimo presidente degli Stati Uniti, presso alla stazione ferroviaria di Baltimora e Potomac a Washington, alle 9:20 di sabato 2 luglio 1881, meno di quattro mesi dopo il suo insediamento. Tale Charles J. Guiteau fu condannato per l’omicidio di Garfield e giustiziato per impiccagione un anno dopo la sparatoria. Il Guiteau credeva di aver svolto un ruolo precipuo nell’elezione del Garfield, per il quale sentiva di dover essere premiato con l’assegnazione di un consolato a Parigi o Vienna.

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Venti anni dopo, fu assassinato il presidente William McKinley (18403-1901) venerdì 6 settembre 1901 al Temple of Music di Buffalo, New York. McKinley, mentre partecipava all’Esposizione Panamericana, è stato colpito due volte all’addome a distanza ravvicinata da Leon Czolgosz, un anarchico, armato con un revolver calibro 32 nascosto sotto un fazzoletto. Il primo proiettile rimbalzò su un bottone o su una medaglia premio sulla giacca di McKinley e si conficcò nella sua manica; il secondo colpo gli ha trapassato lo stomaco. Sebbene inizialmente McKinley sembrasse in fase di ripresa, le sue condizioni peggiorarono rapidamente a causa della cancrena attorno alle ferite e morì il 14 settembre 1901 alle 2:15.

 

Vi sono altresì casi di morte di presidenti che si sospettano siano stati assassini.

 

Il 9 luglio 1850, il presidente Zaccaria Taylor (1784-1950) morì a causa di una malattia diagnosticata come colera morbus, che presumibilmente venne dopo aver mangiato ciliegie e latte durante una celebrazione del 4 luglio. Quasi immediatamente dopo la sua morte, iniziarono a circolare voci secondo cui Taylor era stato avvelenato dai meridionali pro-schiavitù, e teorie simili sono persistite nel 21° secolo.

 

Nel giugno 1923, durante un viaggio nella parte nordoccidentale degli Stati Uniti, il presidente Warren G. Harding (1865-1923) fu vittima di una intossicazione alimentare, che divenne polmonite subito dopo portandolo alla morte.

 

Il 30 gennaio 1835 un tentativo di uccidere il presidente Andrea Jackson (1767-1845) fu eseguito da un imbianchino del Campidoglio, ma ambo le pistole usate si incepparono. Più tardi qualcuno ha provato le due pistole ed entrambe hanno funzionato bene. Lawrence è stato arrestato dopo che Jackson lo ha picchiato duramente con il suo bastone. Lawrence fu dichiarato non colpevole per pazzia e rinchiuso in un istituto psichiatrico fino alla sua morte nel 1861.

 

Nel 1909 il presidente Guglielmo Taft (1857-1930) fu obbiettivo di un tentativo di assassinio mentre incontrava il presidente massone del Messico Porfirio Diaz. La sua sicurezza trovò un uomo che nascondeva una pistola lungo il percorso della processione presidenziale a El Paso, in Texas. Un’altra cospirazione per uccidere il Taft sarebbe saltata fuori nel 1919.

 

Anarchici argentini, guidati da Severino di Giovanni, pianificarono di far saltare il treno del presidente americano Erberto Hoover (1874-1964) mentre era in visita nel Paese il 19 novembre 1928.

 

Il 15 febbraio 1933, diciassette giorni prima della prima inaugurazione presidenziale di Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), Giuseppe Zangara sparò cinque colpi a Roosevelt a Miami, in Florida. I colpi di Zangara hanno mancato il presidente eletto, ma Zangara ha ferito mortalmente il sindaco di Chicago Anton Cermak e ferito altre quattro persone. Zangara si dichiarò colpevole dell’omicidio di Cermak e fu giustiziato sulla sedia elettrica il 20 marzo 1933. Non è mai stato stabilito in modo definitivo chi fosse l’obiettivo di Zangara, ma la maggior parte inizialmente presumeva che avesse sparato al presidente eletto. Un’altra teoria è che l’attentato potrebbe essere stato ordinato dall’incarcerato Al Capone e che Cermak, che aveva condotto una repressione contro il Chicago Outfit e la criminalità organizzata di Chicago più in generale, fosse il vero obiettivo.

 

Secondo i servizi segreti sovietici dell’NKVD – agenzia antesignana del KGB – piani di assassinio del Roosevelt sarebbero stati concepiti dalle Waffen-SS naziste, che avrebbero voluto colpire oltre al presidente USA anche Winstone Churchill e Giuseppe Stalin alla conferenza di Teheran nel 1943.

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Nel 1947 presidente Enrico Truman (1884-1972) fu invece al centro di un complotto di assassinio ordito da terroristi ebrei. Durante l’insurrezione ebraica in Palestina prima della formazione dello Stato di Israele, l’organizzazione paramilitare sionista Lehi avrebbe inviato una serie di lettere bomba indirizzate al presidente e al personale di alto rango della Casa Bianca.

 

Il 1 novembre 1950, due attivisti indipendentisti portoricani, Oscar Collazo e Griselio Torresola, tentarono di uccidere il presidente Truman alla Blair House, dove Truman viveva mentre la Casa Bianca era sottoposta a importanti lavori di ristrutturazione. Nell’attacco, Torresola ha ferito il poliziotto della Casa Bianca Joseph Downs e il poliziotto della Casa Bianca Leslie Coffelt ferito a morte.

 

Il presidente Riccardo Nixon (1913-1994) fu oggetto di un tentato assassinio mentre si trovava in Canada il 13 aprile 1972. Un uomo armato, Arthur Bremer, si avvicinò al corteo presidenziale, ma non riuscì a sparare. Il mese dopo il Bremer sparò e ferì gravemente il governatore dell’Alabama Giorgio Wallace, che rimase paralizzato.

 

Il 22 febbraio 1974 tale Samuel Byck progettò di uccidere Nixon facendo schiantare un aereo di linea commerciale contro la Casa Bianca. Ha dirottato un DC-9 all’aeroporto internazionale di Baltimora-Washington dopo aver ucciso un agente di polizia della Maryland Aviation Administration e gli è stato detto che non poteva decollare con i blocchi delle ruote ancora al loro posto. Dopo aver sparato a entrambi i piloti (uno dei quali morì in seguito), un ufficiale di nome Charles “Butch” Troyer sparò a Byck attraverso il finestrino della porta dell’aereo. È sopravvissuto abbastanza a lungo da uccidersi sparandosi.

 

Anche Jimmy Carter, George Bush padre e figlio, Bill Clinton, Obama e lo stesso Trump hanno subito le attenzioni di attentatori.

 

Questa grande tradizione made in USA sembra non dare cenni di voler terminare.

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Harvey contro Philby, storie di spie e lotte intestine agli albori della CIA

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L’FBI non riuscì ad aggiudicarsi il controllo dell’Intelligence americana nel dopoguerra ma non per questo John Edgar Hoover (1895-1972) si ritirò dalla competizione. Lo sforzo profuso da William Harvey (1915-1976) nell’estrarre delle prove soddisfacenti dalla spia sovietica Elizabeth Bentley (1908-1963) non diede i suoi frutti ma i successivi approfondimenti degli interrogatori misero in luce la reale penetrazione sovietica negli apparati statunitensi.    Harvey lasciò l’FBI e poco dopo entrò nella CIA, secondo la versione formale ebbe a ridire con Hoover in seguito al fiasco del caso Bentley. La versione di Joseph J. Trento nel suo The Secret History of the CIA invece racconta come Harvey divenne la talpa di Hoover all’interno della CIA. Sia Hoover che Harvey erano convinti che i vecchi membri dell’OSS passati alla CIA avevano un passato che li rendeva vulnerabili all’essere reclutati come spie sovietiche.    Kim Philby (1912-1988), britannico, uno dei più famosi agenti doppiogiochisti nella storia dello spionaggio, nella sua autobiografia descriveva le differenze tra gli uomini dell’FBI e della CIA: «gli uomini dell’FBI sono orgogliosi della loro ignoranza, di essere cresciuti nell’ordinarietà, bevono whiskey dissetandosi con la birra. Al contrario, gli uomini della CIA hanno un atteggiamento cosmopolita. Discutono sull’assenzio e servono un Borgogna appena sopra la temperatura ambiente. Non è solo una questione di frivolezza è una fondamentale spaccatura sociale tra le due organizzazioni».

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Harvey possedeva una tenacia che nessun altro aveva. Il vantaggio sui suoi colleghi era che lui stava combattendo contro un nemico al contrario degli altri. Per Harvey i servizi segreti sovietici dell’NKVD e in seguito il KGB  i servizi segreti sovietici, erano criminali. Lui era un poliziotto e la sua visione del controspionaggio rimaneva quella del poliziotto.    Bill Harvey era l’uomo giusto al momento giusto, proprio in quel momento la United States Army Security Agency, il precursore della NSA, National Security Agency, stava cominciando a decriptare un codice sovietico chiamato VENONA. Molti dei messaggi stavano confermando le dichiarazioni rilasciate dalla Bentley proprio ad Harvey. Il quadro che ne stava uscendo era che i Sovietici avevano spiato America e Inghilterra durante tutto il periodo bellico.    Harvey era stato commissionato a seguire il nuovo ufficio dell’OSO, Office of Special Operation, chiamato «Staff C» e dedito al controspionaggio. Il suo nuovo ufficio si trovava non lontano dal Lincoln Memorial e il suo nuovo collega era l’ex agente dell’OSS, reclutato dall’ufficio di Roma, James Jesus Angleton (1917-1987). Nonostante le differenze tra classi sociali e interessi i due legarono immediatamente.    Harvey era estremamente colpito dal lavoro di controspionaggio portato avanti da Angleton negli anni da agente dell’OSS ma la cosa che più affascinava e disturbava l’ex FBI era la sua strettissima relazione con la superspia Kim Philby. I loro incontri erano talmente abituali che si sentivano praticamente ogni giorno e i pranzi assieme avvenivano più volte a settimana. Philby a sua volta aveva stretti contatti anche con Allen Dulles e con il suo braccio destro, Frank Wisner, responsabile dei Clandestine Services   Nel 1949 quando il codice VENONA venne decriptato per la prima volta, Philby venne mandato dall’MI6 nella capitale americana per lavorare con la CIA sull’individuazione dei doppiogiochisti. In particolare il britannico avrebbe dovuto lavorare su HOMER, identificato come colpevole di aver sottratto informazioni dal progetto Manhattan a favore dei sovietici. Sia gli americani che gli inglesi erano convinti che fosse impiegato nell’ambasciata britannica a Washington.    Harvey iniziò a sviluppare crescenti sospetti su Philby e sul suo compagno di università a Cambridge, Donald Maclean (1913-1983), di cui era fermamente convinto fosse HOMER. Cercò il supporto di Angleton e di chiunque altro avesse volontà ad ascoltare nella CIA ma senza incontrare alcun appoggio. Improvvisamente Maclean venne promosso all’ambasciata inglese del Cairo e sostituito con Guy Burgess (1911-1963), anche lui compagno d’università di Philby a Cambridge.    I sospetti di Harvey crebbero sempre più, rendendosi conto che Philby aveva accesso al progetto VENONA e che contemporaneamente diverse operazioni clandestine non avevano portato i frutti sperati come in Albania, Lettonia, Lituania ed Estonia.   Philby nel frattempo aveva sposato una ragazza ebrea austriaca, comunista dichiarata, al suo matrimonio era presente anche Teddy Koellek futuro sindaco di Gerusalemme, che ammonì Angleton di rimuovere immediatamente Philby dalla sede della CIA. Ma Angleton, anche per non portare alla luce i suoi contatti con il Mossad, mantenne il riserbo sul loro scambio.    Una sera durante una cena a casa di Philby, complice l’elevato tasso alcolico di Burgess, i rapporti con Harvey si ruppero definitivamente. Successivamente alla cena, precisamente dal venticinque maggio 1951, Guy Burgess e Donald Maclean scomparvero. Era l’inizio della loro personale odissea verso l’Unione Sovietica e non sarebbero riapparsi in superficie per almeno altri cinque anni.    Il generale Smith, direttore della CIA in quel momento, pretese un documento scritto da chiunque avesse avuto rapporti personali con le talpe sovietiche. Bill Harvey dopo aver letto il resoconto di Angleton ci scrisse sopra: «qual’è il resto della storia?». I due ruppero i loro rapporto da quel momento in avanti, Harvey non riuscì a capire la posizione di Angleton, chiedendosi quale potesse essere il movente che avesse spinto il suo collega.

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La conclusione della storia scosse alle fondamenta le basi dell’intero sistema dell’intelligence inglese e americano. Il generale Smith ottenne che Philby venisse rimosso da Washington e contemporaneamente il controspionaggio inglese aprì un indagine su di lui.    Per Harvey però non si poteva parlare di vittoria, come con il caso Bentley non c’erano abbastanza prove per un accusa definitiva. Sarebbe dovuto diventare un eroe a Langley ma invece venne sempre trattato con sospetto per aver accusato un membro del club. Il futuro della CIA non sarebbe stato lui ma Allen Dulles e Richard Helms che impersonificavano appieno lo spirito dell’agenzia.   «La gerarchia della CIA rimaneva immutata nel suo sistema inglese», disse William Corson, autore e colonnello della CIA in pensione, «amicizia, OSS e la rete dei vecchi commilitoni. Questo era esattamente il modo in cui Dulles misurava le persone». Philby rimaneva un membro del club, mentre Harvey non lo sarebbe mai potuto diventare. Nessuno lo voleva più nella sede centrale e proprio per questo Harvey accettò il trasferimento a Berlino, dove il generale Smith gli accordò il controllo totale dell’ufficio.    La BBC pubblicò nel 2016 un video in cui Philby raccontava nel 1981 la sua esperienza a membri della Stasi. La spia descriveva la sua carriera come doppiogiochista di successo debitrice verso alcune variabili che gli vennero in aiuto.   La mitologica efficienza dell’MI6 era, durante la guerra, semplice propaganda, infatti potè ogni notte tornare a casa con i documenti segreti, fotografarli e consegnarli a corrieri sovietici senza mai incorrere in alcun ostacolo, sino a divenire a capo del dipartimento di controspionaggio con il compito di scovare spie sovietiche,libero dal rischio di accuse grazie all’appartenenza all’alta classe sociale inglese. Nessuno si sarebbe mai permesso di accusarlo con il rischio di venire distrutto da un terribile scandalo.   Marco Dolcetta Capuzzo

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Conflitti nell’Intelligence americana: la storia dell’OSS contro l’FBI e la creazione della CIA

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Con la fine della guerra e il profilarsi della futura suddivisione del pianeta in due mondi, la questione di chi avrebbe dovuto prendersi in carico la gestione dell’Intelligence nel dopoguerra prese il sopravvento negli alti piani dirigenziali americani. Nell’estate del 1947 la cosiddetta Red Scare, paura dei rossi comunisti, aveva preso piede negli States

 

Secondo Joseph J. Trento nel suo The Secret History of the CIA l’America si stava chiedendo quale fosse la direzione intrapresa dal governo a stelle e strisce. In Cina i Nazionalisti di Chiang Kai-shek, sostenuti dall’intelligence americana, stavano perdendo terreno a favore dei comunisti di Mao, i sovietici non dimostravano nessuna intenzione a lasciare la Germania ed era di pubblico dominio come Mosca fosse riuscita a sottrarre documenti segreti del Progetto Manhattan. Voci di corridoio dicevano che Hoover, direttore dell’FBI, non fosse contento.

 

J. Edgar Hoover fu uno degli uomini più potenti d’America per un lungo periodo di tempo. A ventiquattro anni nel 1919 gli venne assegnata la carica di capo della nuova General Intelligence Division del BOI (Bureau of Investigation), la cosiddetta Radical Division perché aveva come obiettivo principale quello di ricercare e distruggere le cellule di radicali presenti nell’intera repubblica federale nord-americana. Era entrato a far parte del BOI già nel 1921, nel 1924 ne era diventato il direttore.

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Nel 1935 il BOI divenne FBI e fino all’inizio della guerra rappresentò il più importante servizio di intelligence nel suolo americano. Famoso il suo lavoro sulla banca dati di impronte digitali e l’implementazione di laboratori per studiare le prove dei diversi casi. Notissimi anche i suoi rapporti con la malavita americana e i metodi affini alle sue frequentazioni sotterranee.

 

Con l’inizio della guerra, il capo della sezione dei servizi inglesi negli Stati Uniti, BSC (British Security Coordination), William Stephenson, aveva ricevuto l’ordine da Stewart Menzies, direttore del MI6, di connettersi al più alto livello possibile dei servizi americani, in quel momento rappresentati dall’FBI di Hoover.

 

La ricercatrice Whitney Webb raconta nel suo One Nation Under Blackmail come la BSC avesse consegnato a Hoover oltre centomila rapporti confidenziali in cambio di resoconti sui movimenti marittimi tedeschi. I rapporti tra i due però si ruppero definitivamente nel 1941 all’alba dell’entrata in guerra, da quel momento in avanti Stephenson cominciò a coltivare William «Wild Bill» Donovan.

 

Donovan era un famoso avvocato della grande mela, veterano della Grande guerra, il classico e consumato membro della «Eastern Establishment», la classe dirigenziale della costa levantina americana che comprendeva soggetti come Thomas E. Dewey o i fratelli Allen e John Foster Dulles. Venne nominato da Roosevelt a capo della COI (Office of the Coordinator of the Information) l’embrione da cui scaturì in seguito l’OSS, Office of Strategic Service, che Donovan diresse fino alla fine del conflitto. 

 

Sempre secondo varie fonti citate nel testo della Webb, quando «Wild Bill» venne nominato a capo della COI, nacque una forte tensione con l’altra faccia della medaglia del controllo americano, Hoover e i suoi alleati. Questa lotta intestina portò Donovan a utilizzare i suoi contatti con la malavita, come Meyer Lansky, per colpire Hoover. Donovan lo ricattò grazie a delle foto recuperate da Lansky mentre si trovava in atteggiamenti intimi con l’FBI deputy director Clyde Tolson. 

 

La Webb descrive l’OSS come un associazione vista spesso e volentieri come un club. Nonostante nelle sue fila operassero un elevato numero di ufficiali militari provenienti da varie agenzie governative, il comando era saldamente in mano ai figli delle più facoltose famiglie americane. I migliori ruoli degli uffici di Londra, Madrid, Parigi o Ginevra erano tenuti dai rampolli dei Mellon, dei Morgan, dei Du Pont o dei Vanderbilt. 

 

Una volta terminata la guerra, negli Stati Uniti, una rete di spie comuniste sembrava operare indisturbata. Hoover, nel pieno di questa fobia rossa, cercava un colpo sensazionale per guadagnarsi il merito nei confronti del presidente Truman e depennare l’OSS dalla lista dei suoi nemici. L’agente William King Harvey, considerato il migliore da Hoover, aveva raccolto ventisette nomi dalle interrogazioni con Elizabeth Bentley, che aveva confessato di essere un corriere sovietico. Secondo la Bentley, tutti loro lavoravano per il governo e ben 5 facevano parte dell’OSS. 

 

Hoover, intravedendo il colpo gobbo contro Dulles e Donovan inviò un messaggio segreto e personale al presidente Truman. Nonostante appena un anno prima avesse assolutamente negato ogni possibilità che vi potesse essere una rete comunista nel suolo americano, non resistette e si giocò tutto sulla questione dei rossi.

 

Harvey lavorò incessantemente sul caso per i successivi due anni senza riuscire a cavarne fuori una singola prova che potesse convincere un giudice a formulare un arresto. 

 

La fiducia di Truman versò Hoover terminò in quel momento assieme a qualsiasi possibilità di diventare il nuovo gestore dei futuri servizi segreti americani. A quel punto Truman prese tempo e decise di lasciare la futura nascita dell’apparato nelle mani del dipartimento di stato e dei militari. Fu in questo momento che la figura di Allen Dulles fece capolino nella storia.

 

Come racconta Douglas Waller in Disciples, Allen Dulles coltivava il sogno di diventare segretario di Stato proprio come suo nonno e suo zio. Entrò a far parte del Council on Foreign Relations (CFR), scrivendo pezzi per il suo giornale Foreign Affairs. Frequentava il circolo chiamato amichevolmente dai suoi habitué «The Room», un appartamento dove si incontravano per una chiacchiera informale i finanzieri di New York di ritorno dai loro viaggi in giro per il mondo. Venne assunto dal Dipartimento di Stato nel 1927 come consulente legale, situazione che sarebbe impossibile oggi per via del palese conflitto di interessi con il suo lavoro. 

 

Dulles non voleva lasciare il futuro dei servizi in mano al Congresso o al presidente e decise di crearne uno privato. Voleva creare la struttura e al momento opportuno presentarla al presidente che a quel punto l’avrebbe riconosciuta come fatto compiuto e assorbita all’interno degli apparati statali. Utilizzando il CFR come sua base aveva organizzato un strategia in tre parti, formare un agenzia privata e nascosta, piazzare nel governo suoi uomini fedeli alla causa, plasmare l’opinione pubblica attraverso il potere che esercitava sui media. Non soddisfatto concorse a esasperare il terrore dell’avanzamento dei sovietici in Europa e in Cina. 

 

Truman soverchiato dalla situazione non vide altra soluzione che agire in fretta e furia e si adagiò comodamente nel solco creato da Dulles. Secondo Trento nel suo The Secret History of the CIA, la combinazione tra la spinta della propaganda organizzata da Dulles e la reale situazione mondiale accelerò l’approvazione della struttura da parte del presidente.

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Nel gennaio 1946 Truman creò temporaneamente la CIG Central Intelligence Group, che non avendo il permesso di portare avanti operazioni coperte però non aveva ancora ereditato il grosso dell’OSS. Fu Dulles che con la sua organizzazione ereditò il controllo del segmento nascosto. 

 

Nel 1947 Truman con il National Security Act diede vita alla CIA (Central Intelligence Agency) e al NSC (National Security Council). Micheal H. Hunt nella sua opera The American Ascendancy descrive l’obiettivo della nascita del NSC come corpo centrale di coordinamento sotto il controllo del presidente dedito alla formulazione della politica nazionale e al supporto delle decisioni presidenziali. 

 

Il presidente non volendo partecipare pubblicamente alle operazioni clandestine, adottò in toto lo schema proposto da Dulles, dando la possibilità di operare con istituzioni private di carità e fondazioni. Dulles divenne inizialmente l’uomo ombra dei servizi americani per poi assurgere a direttore della CIA nel 1953 sotto Eisenhower.

 

Di fatto fu l’uomo che gestì i servizi segreti americani dal dopoguerra in avanti fino all’arrivo di JFK e del disastro della Baia dei Porci nel 1961 dove venne costretto a rassegnare le dimissioni.

 

Marco Dolcetta Capuzzo

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Immagine: Il capo dell’FBI Edgar J. Hoover consegna i diplomi ai diplomati della National Police Academy. Washington, 2 aprile 1938.

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La CIA ha cercato di reclutare Winston Churchill

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Negli anni Cinquanta la CIA tentò di coinvolgere l’ex primo ministro britannico Winston Churchill, figura di spicco durante la Seconda Guerra Mondiale, per trasmettere messaggi di propaganda attraverso Radio Liberty, un’emittente finanziata dall’agenzia, con l’obiettivo di indebolire l’Unione Sovietica. Lo riporta il giornale britannico Telegraph.   Durante il culmine della Guerra Fredda, Radio Liberty, sostenuta dalla CIA, colpiva l’URSS con trasmissioni propagandistiche, mentre la sua controparte, Radio Free Europe, si concentrava sugli alleati di Mosca. Entrambe le emittenti erano segretamente controllate e finanziate dall’agenzia di intelligence statunitense fino al 1972, per poi fondersi in RFE/RL nel 1976.   Nel 1958, i responsabili di Radio Liberty proposero di sfruttare il «revisionismo» che stava emergendo in Unione Sovietica, capitalizzando le divisioni ideologiche nel marxismo-leninismo per destabilizzare il regime, come indicato sabato dal Telegraph, che cita documenti CIA declassificati.   Secondo i documenti, la CIA puntava a utilizzare i «pensatori revisionisti», che si opponevano a un blocco sovietico compatto, promuovendo invece stati comunisti indipendenti.

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Churchill, all’epoca 83enne e ritirato dalla politica attiva, fu una delle figure di spicco considerate per condurre queste trasmissioni, scrive il Telegraph. Sebbene fosse un convinto anticomunista, come dimostrato dal suo celebre discorso sulla «cortina di ferro» a Fulton nel 1946, non vi sono prove che abbia accettato l’offerta, secondo il rapporto.   I programmi avevano l’obiettivo di «stimolare il pensiero eterodosso» e «minare la fiducia nel marxismo, suggerendo che i suoi principi fondamentali, il suo metodo storico e le sue previsioni fossero errati», secondo una nota informativa della CIA citata dal giornale.   Churchill aveva un rapporto personale con l’allora direttore della CIA, Alan Dulles. Tuttavia, nella primavera del 1958, quando gli fu proposto di partecipare a un programma di propaganda, declinò l’invito a visitare Washington per motivi di salute, come riportato dal Telegraph.   Più recentemente, RFE/RL ha continuato a ricevere finanziamenti da Washington attraverso l’Agenzia statunitense per i media globali (USAGM), fino ai tagli di bilancio imposti dal presidente Donald Trump, nell’ambito del suo programma di riduzione della spesa pubblica.   Il mese scorso, l’USAGM ha annunciato il licenziamento di oltre 500 dipendenti, dopo centinaia di tagli nei mesi precedenti.

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