Guerra cibernetica
La ciberguerra russa in Ucraina: gli USA se la immaginano così
Poche idee restano fissate nella mente americana – e per estensione, dei «democratici» filoamericani di tutto l’Occidente – di quella degli hacker russi.
Che pure, certamente, esistono e possono essere in grado di portare attacchi notevoli.
Ora, con l’escalation ucraina in corso, la questione degli attacchi cibernetici russi sta riprendendo velocemente quota.
«La scorsa settimana, gli hacker hanno deturpato dozzine di siti web governativi in Ucraina, un atto tecnicamente semplice ma che attira l’attenzione che ha generato l’attenzione della stampa globale» scrive la Technolgy Review, organi di divulgazione del Massachusetts Institute of Technology (MIT). «Più silenziosamente, hanno anche inserito malware distruttivo all’interno delle agenzie governative ucraine, un’operazione scoperta per la prima volta dai ricercatori di Microsoft. Non è ancora chiaro chi sia il responsabile, ma la Russia è il principale sospettato».
La Russia ha negato il coinvolgimento e nessun collegamento definitivo punta a Mosca. La guerra cibernetica funziona così: non puoi mai essere sicuro di chi ti abbia attaccato, e non avrai mai prove a sufficienza per dimostrarlo.
La rivista del politecnico bostoniano scrive che «gli esperti di sicurezza informatica temono che queste offensive di hacking possano diffondersi a livello globale, minacciando l’Europa, gli Stati Uniti e oltre». L’articolo non menziona il primo grande caso in cui una ciberarma scappò di mano e fece danni immani su tutto il pianeta: si tratta dei virus Stuxnet, creato in origine da USA e Israele per bloccare (con un certo successo) le centrifughe del programma atomico iraniano all’interno della cosiddetta Operazione «Olympic Games».
Dimentichi di Stuxnet, gli specialisti americani citano «due attacchi informatici del 2017, NotPetya e WannaCry, che sono entrambi sfuggiti al controllo dei loro obiettivi iniziali, si sono diffusi rapidamente su Internet e hanno avuto un impatto sul mondo intero per un costo di miliardi di dollari».
«I parallelismi sono chiari: NotPetya è stato un attacco informatico russo contro l’Ucraina durante un periodo di alta tensione» assicura TR. La testata è sicura che NotPetya (2017) sia stato «ordinato da Mosca» e che esso sia stato «inizialmente diretto contro società private ucraine prima di riversarsi e distruggere sistemi in tutto il mondo». «NotPetya si mascherava da ransomware, ma in realtà era un pezzo di codice puramente distruttivo e altamente virale (…) notPetya ha reso inabili i porti marittimi e ha lasciato diverse grandi multinazionali e agenzie governative incapaci di funzionare. Quasi tutti coloro che hanno fatto affari con l’Ucraina sono stati colpiti perché i russi hanno segretamente avvelenato il software utilizzato da tutti coloro che pagano le tasse o fanno affari nel Paese (…) La Casa Bianca ha affermato che l’attacco ha causato danni globali per oltre 10 miliardi di dollari e lo ha ritenuto “l’attacco informatico più distruttivo e costoso della storia”».
La situazione in realtà questa volta sta degenerando perfino in modo perfino peggiore: il presidente Joe Biden ha dichiarato durante una conferenza stampa del 19 gennaio che gli Stati Uniti potrebbero rispondere ai futuri attacchi informatici russi contro l’Ucraina con le proprie capacità informatiche, aumentando ulteriormente lo spettro della diffusione del conflitto. Non è più un danno economico: è una salto di paradigma di geopolitica militare.
Biden sta dicendo in pratica che qualora Kiev fosse attaccata informaticamente, le armi cibernetiche che risponderebbero sarebbero quelle a disposizione degli USA: in pratica, è come se l’Ucraina fosse già membro della NATO, a dispetto dei ridicoli proclami americani di non essere loro a volercela
Biden sta dicendo in pratica che qualora Kiev fosse attaccata informaticamente, le armi cibernetiche che risponderebbero sarebbero quelle a disposizione degli USA: in pratica, è come se l’Ucraina fosse già membro della NATO, a dispetto dei ridicoli proclami americani di non essere loro a volercela.
Nel documentario HBO dedicato alle guerre cibernetiche The Perfect Weapon lo specialista del New York Times David Sanger racconta che l’Ucraina è la «piastra di Petri» di Mosca: è lo spazio dove testare ogni nuova arma informatica e pure di ingegneria sociale, racconta nel film.
La scorsa settimana gli ucraini sarebbero quindi stati colpiti da un malware distruttivo ora noto come WhisperGate, che pure avrebbe finto di essere un ransomware come NotPetya, mentre in realtà mirava a distruggere i dati chiave che rendevano le macchine inutilizzabili. A differenza di NotPetya, dicono gli esperti, WhisperGate è meno sofisticato e non è progettato per diffondersi rapidamente allo stesso modo.
«Nessuno comprende appieno cosa c’è nella matematica di Mosca in questa situazione in rapida evoluzione. La leadership americana ora prevede che la Russia invaderà l’Ucraina. Ma la Russia ha dimostrato più volte che, quando si tratta di cyber, ha una cassetta degli attrezzi ampia e variegata» ammette sconsolato l’house organ del MIT. «Sono anche in grado di sviluppare e implementare alcune delle operazioni informatiche più complesse e aggressive al mondo».
E ricordiamo tutti certi spettacolari punti messi a segno dai cosiddetti «hacker russi»: la telefonata del 2014, in piena «rivoluzione Maidan» a Kiev, tra la diplomatica USA Victoria Nuland e il suo ambasciatore in Ucraina Geoofrey Pyatt. «Fuck the EU» disse la Nuland, mentre soppesavano il sostegno internazionale nella scelta di un nuovo premier per il Paese: «vaffanculo all’Unione Europea». La telefonata trapelata ebbe impatti devastanti, ma l’agenda USA contro la Russia proseguì nella tracotanza – o per usare il termine yiddish tanto usato in America, «chuzpah» –più sfrenata.
Joe Biden, va ricordato, con l’Ucraina ha interessi specifici, che passano per gli affari d’oro del figlio drogato, perverso e corrotto Hunter Biden messo nel CdA di un colosso del gas locale. Biden stesso, in un incontro pubblico, si vantò di aver fatto pressioni forti sull’allora presidente ucraino Poroshenko per far chiudere l’inchiesta di un magistrato che toccava suo figlio Hunter. L’attuale presidente ammise la grave storia quando andò al Council for Foreign Relations – Casa Rockefeller – e raccontò l’episodio come fosse una barzelletta, un aneddotto simpatico di un viaggio all’estero quando era vicepresidente sotto Obama.
In pratica, Biden senior confessò spudoratamente di aver forzato il potere ucraino a salvare la sua famiglia. L’allora presidente ucraino Petro Poroshenko e il premier Arsenij Yatseniuk (che pure erano riconosciuti, entrambi, come asset americani) non volevano licenziare il giudice che indagava sugli affari di Biden jr. Papà Biden gli disse che avevano dato delle garanzie in merito, che sul piatto c’erano i billions, i miliardi.
«Non sei il presidente, non ha l’autorità» per chiedere una cosa del genere, dissero all’unisono premier e presidente ucraini a Biden.
«Chiamate pure il Presidente», rispose il vecchio del Delaware. Il pubblico in sala all’evento CFR ride, i moderatori annuiscono. «Chiamatelo, io non vi darò i miliardi di dollari. Tra sei ore parto. Se il magistrato non è licenziato, non avrete i soldi. Quel figlio di puttana è stato licenziato». Risate della sala.
Il video Wall Street Journal ce lo ha ancora sul sito – per il momento.
L’élite ucraina filo-occidentale ama Biden al punto da averli dato origini ucraine che sanno di favola.
Ora, la guerra alla Russia, il sogno mostruosamente proibito dei neocon (che sono in larga parte figli o nipoti di profughi dei territori russi che si trasmettono geneticamente l’odio per lo zar), si può realizzare. E nell’hybris più oscena, sono proprio i politici americani a parlare apertamente dell’uso di armi atomiche.
In effetti crediamo che Putin, uno stratega che di conflitti più o meno dichiarati ne ha vinti parecchi (Cecenia, Ossezia, Crimea, Siria…), con probabilità, prima di ricorrere all’atomo (magari trasportato da un missile ipersonico Tsirkon, ora pronto), cercherà di sistemare le cose con un attacco al mondo virtuale.
Come andrà a finire questa guerra invisibile, nessuno lo sa – neanche Putin.
Soprattutto non lo sa Biden.
Guerra cibernetica
Paesi NATO valutano la guerra cibernetica contro Mosca
Stati europei dell’Alleanza Atlantica stanno esaminando l’opportunità di lanciare azioni cibernetiche offensive coordinate contro Mosca, come indicato da due alti esponenti governativi dell’UE e tre addetti diplomatici. Lo riporta Politico.
La testata ha precisato che le cancellerie d’Occidente stanno ponderando soluzioni cibernetiche e di altra natura come replica ai supposti «assalti ibridi» perpetrati dal Cremlino.
La titolare della diplomazia lettone Baiba Braze ha confidato a Politico che la NATO è chiamata a «mostrarsi più incisiva nell’offensiva cibernetica» e a sincronizzare con maggiore efficacia i propri apparati di Intelligence. «Non sono le dichiarazioni a trasmettere un monito, bensì le azioni concrete», ha puntualizzato.
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Sul finire del 2024, l’Alleanza Atlantica aveva annunciato l’avvio di un innovativo polo unificato per la difesa cibernetica all’interno della propria sede belga, previsto in funzione entro il 2028. S
I partner della NATO avevano in precedenza attribuito alla Russia l’infiltrazione di server istituzionali, l’interferenza sui segnali GPS di velivoli e l’intrusione di droni nei loro cieli territoriali. Il governo russo ha rigettato le imputazioni come belliciste, qualificando invece le restrizioni e gli apporti occidentali a Kiev come «aggressione ibrida».
A giudizio di RED Security, nel corso di quest’anno gli strike informatici contro la Federazione Russa sono cresciuti del 46%. Tra gli episodi di spicco, a luglio ha avuto luogo la violazione del database dell’Aeroflot, l’aviolinea nazionale russa, attribuita da due collettivi pro-ucraini.
Come riportato da Renovatio 21, nelle ore successive all’attacco contro la compagnia aerea di bandiera russa, il Roskomnadzor ha bloccato lo strumento di misurazione delle prestazioni di Internet Speedtest, gestito dalla società statunitense Ookla, citando minacce all’infrastruttura digitale nazionale.
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Guerra cibernetica
Internet down in tutto il mondo a causa del crash del sistema di Cloudfare
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Guerra cibernetica
Orban: gli ucraini sono dietro il furto dei dati personali dei cittadini dell’UE
Dietro il furto e la fuga di dati personali di 200.000 ungheresi ci sono individui ucraini e un partito di opposizione ungherese, ha dichiarato il premier magiaro Vittorio Orban, definendo la situazione un «grave rischio per la sicurezza nazionale» che richiede un’immediata indagine statale.
Le accuse, formulate in una dichiarazione video di lunedì, seguono le notizie diffuse dai media ungheresi secondo cui un database con i nomi, gli indirizzi e i recapiti degli utenti che avevano scaricato l’app di organizzazione Vilag del partito Tisza è stato brevemente pubblicato online alla fine della scorsa settimana.
Il partito pro-UE e il suo leader Peter Magyar rappresentano la principale opposizione al governo Orban, che accusa l’UE di interferire nella politica interna del Paese.
«Un grave scandalo ha scosso la vita pubblica ungherese. I dati personali di 200.000 nostri connazionali sono stati pubblicati online senza il loro consenso», ha dichiarato Orban. «In base alle informazioni attuali, questi dati sono stati raccolti dal partito Tisza».
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Il primo ministro di Budapesto ha affermato che un’analisi del database ha dimostrato che «anche individui ucraini erano coinvolti nella gestione dei dati» e ha ordinato ai funzionari della sicurezza nazionale di condurre l’indagine.
Sia il partito Tisza che il suo leader hanno negato qualsiasi coinvolgimento ucraino nello sviluppo dell’app. Magyar ha affermato domenica – senza fornire prove – che l’app del partito era stata presa di mira da «hacker internazionali… che sono ovviamente supportati dai servizi segreti russi».
Tuttavia, un articolo del quotidiano ungherese Magyar Nemzet ha ipotizzato che i dati trapelati provenissero dalla piattaforma Vilag, osservando che le prime voci corrispondevano ad account di sviluppatori e tester, alcuni con identificativi dello stato ucraino.
Orban, un critico convinto del sostegno militare occidentale all’Ucraina, ha ripetutamente affermato che l’UE e Kiev stanno cospirando per influenzare la politica ungherese e portare al potere il partito Tisza, sostenuto da Bruxelles, nelle elezioni del 2026.
Affermazioni simili sono state riprese all’inizio di quest’anno dal Servizio di Intelligence estero russo (SVR), secondo cui la Commissione Europea stava «studiando scenari di cambio di regime» in Ungheria.
Bruxelles intende portare Magyar al potere nelle elezioni parlamentari del 2026, «se non prima», ha affermato l’SVR, aggiungendo che Bruxelles starebbe impiegando significative «risorse amministrative, mediatiche e di lobbying», mentre i servizi segreti ucraini farebbero il «lavoro sporco».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro magiaro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.
A inizio ottobre Orban ha ribadio apertis verbis che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.
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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Orban ha avviato una petizione contro il cosiddetto «piano di guerra» dell’UE, avvertendo che il sostegno continuo all’Ucraina sta spingendo il blocco verso un confronto diretto con la Russia.
Il primo ministro ad agosto aveva accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di aver minacciato gli ungheresi aggiungendo che l’Ucraina non può entrare nell’Unione Europea con la forza attraverso estorsioni, attentati e intimidazioni. In estate gli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba («Amicizia») di questo mese hanno ripetutamente interrotto i flussi verso Ungheria e Slovacchia, suscitando rabbia in entrambi i Paesi dell’UE.
Durante un’intervista a Tucker Carlson nell’agosto 2023, il premier ungherese Vittorio Orban aveva dichiarato significativamente che Ungheria e Serbia erano pronte ad entrare in guerra contro chiunque facesse saltare il loro gasdotto.
Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse settimane è stata data alle fiamme nella zona di confine una chiesa cattolica ungherese, sui cui muri è stato scritto in ucraino «coltello agli ungheresi».
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