Geopolitica
La Brexit fagocitata dai mondialisti?
Il 13 novembre il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson ha scaricato il suo consigliere capo Dominic Cummings, di fatto la persona responsabile della vittoria del referendum del 2016 per la Gran Bretagna per lasciare l’UE – la Brexit.
Cummings, che è stato ritratto dall’attore Benedict Cumberbatch nel film HBO Brexit: The Uncivil War, era divenuto per Johnson anche un chiave nell’orientamento scientifico e infrastrutturale di Johnson all’inizio della sua amministrazione.
Si dice che il licenziamento di Cummings abbia seguito il suo tentativo di nominare Lee Cain – persona vicina a Cummings – come capo dello staff del Primo Ministro, ma si dice che la fidanzata di Johnson, Carrie Symonds, abbia bloccato lo sforzo.
Cummings in questi anni è stato sotto costante attacco da parte dei media e di ambo i maggiori partiti del Parlamento britannico.
Originariamente lo stratega doveva lasciare all’inizio del nuovo anno, ma le cose ovviamente sono cambiate. Sir Edward Lister, il principale consigliere strategico di Johnson, diventerà capo del personale ad interim fino a quando non ci sarà una nomina permanente, ha detto l’ufficio del primo ministro, secondo il Guardian. Cummings econtinuerà a lavorare per 10 Downing Street fino a metà dicembre, lavorando da casa per sei settimane.
L’amministrazione Johnson sta affrontando una scadenza per un accordo con l’UE sulla Brexit alla fine dell’anno, e c’è ancora molto da fare se sperano di evitare una rottura «no-deal», «senza accordo».
Il padre di Carrie Symonds, la compagna di Johnson, è stato il co-fondatore di The Independent e giornalista finanziario per The Economist. Attualmente è direttore esecutivo della Larry Ellison Foundation. Il suo capo, Larry Ellison è il co-fondatore, presidente esecutivo e Chief Technology Officer di Oracle Corporation, e l’undicesimo uomo più ricco del mondo
Si dice che il licenziamento di Cummings abbia seguito il suo tentativo di nominare Lee Cain – persona vicina a Cummings – come capo dello staff del Primo Ministro, ma si dice che la fidanzata di Johnson, Carrie Symonds, abbia bloccato lo sforzo.
Il padre di Carrie Symonds, Mathew Symonds, è stato il co-fondatore di The Independent e giornalista finanziario per The Economist. Attualmente è direttore esecutivo della Larry Ellison Foundation. Il suo capo, Larry Ellison è il co-fondatore, presidente esecutivo e Chief Technology Officer di Oracle Corporation, e l’undicesimo uomo più ricco del mondo.
Nel 2018 Symonds è stata responsabile delle comunicazioni del Partito Conservatore, che ha lasciato per lavorare alle pubbliche relazioni per la fondazione ambientalista internazionale Oceana, creata dal Rockefeller Brothers Fund, Pew Charitable Trusts e altri.
Oceana, che ha raccolto 57 milioni di dollari lo scorso anno, è una delle principali organizzazioni non profit di «difesa degli oceani», con una campagna contro la plastica.
C’è da considerare, in questi mesi, la brusca svolta effettuata da Boris Johnson e da tutta la società del Regno Unito, entrata in un nuovo lockdown persino prima dell’Italia.
C’è da considerare, in questi mesi, la brusca svolta effettuata da Boris Johnson e da tutta la società del Regno Unito, entrata in un nuovo lockdown persino prima dell’Italia.
Dapprima, il premier aveva affrontato gagliardamente la pandemia, annunciando ai cittadini che a differenza degli altri Paesi non vi sarebbe stato alcun lockdown. Fece un annuncio shock: «preparatevi a perdere i vostri cari». A prima vista una sparata utilitarista – Londra è la patria filosofica e morale dell’utilitarismo sociale che tollera la morte di una minoranza a favore della felicità della maggioranza – la frase in realtà, forse grazie agli studi classici di Boris, evocava anche idee antiche di responsabilità e di tragedia catartica.
Sappiamo come è andata a finire: Johnson, e con lui l’intero Regno, furono «normalizzati». Furono sottomessi al COVID.
Il premier, a seguito di un tampone, si ammalò gravemente e fu portato in terapia intensiva. Alla politica «svedese» di rifiuto della clausura, venne sostituito un lockdown draconiano che non fa che peggiorare ogni mese, con passaporti vaccinali e minacce di retate in casa per chi fa festicciole.
La cloche del controllo sulla pandemia passò a Neil Ferguson, uomo dell’Imperial College e dei programmi di Bill Gates
La cloche del controllo sulla pandemia passò a Neil Ferguson, uomo dell’Imperial College e dei programmi di Bill Gates – leggete quanto scriveva Renovatio 21 qualche mese fa – che propose modelli rivelatisi sballati totalmente, ma al momento impressionanti davvero: si parlava di mezzo milione di vittime della pandemia.
Come noto, il Ferguson fu beccato con la patta calata: letteralmente, e in clausura. Venne pizzicato mentre violava il lockdown per andare a trovare l’amante, sposata anche lei e dipendente della nota ONG Aavaz, no profit recipiente dei finanziamenti di George Soros.
Ora la Gran Bretagna sarà il primo Paese a testare il vaccino – e forse a renderlo obbligatorio – nonostante comincino i campanelli di allarme rispetto, ad esempio, ai rischi sulla fertilità delle donne.
Ora la Gran Bretagna sarà il primo Paese a testare il vaccino – e forse a renderlo obbligatorio – nonostante comincino i campanelli di allarme rispetto, ad esempio, ai rischi sulla fertilità delle donne.
Il mondialismo si è mangiato completamente la Brexit?
Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).
A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.
L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.
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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.
«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».
Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.
L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.
Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.
In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».
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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».
Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».
Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.
Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.
Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030
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Geopolitica
Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia
Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.
A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.
L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.
Massive explosion on the Cambodian side of the Cambodia Thailand border from an F-16 airstrike from Thailand
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— WW3 Monitor (@WW3_Monitor) December 8, 2025
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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.
«Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.
La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.
Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.
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