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La Beata Vergine Maria è nostra Vita: omelia dell’Immacolata di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò per la festa dell’Immacolata.

 

 

SALVE, REGINA

Omelia nell’Immacolata Concezione della Beatissima e Semprevergine Maria

 

Salve, Regina. Con queste parole inizia una delle preghiere più dense di dottrina e di spiritualità, e allo stesso tempo più care al popolo cristiano. È il saluto semplice, composto, reverente, di una schiera infinita di anime che da ogni parte del mondo – e dalle pene purificatrici del Purgatorio – si leva alla Augusta Vergine Madre, Nostra Signora, che onoriamo quale Regina in virtù della Sua divina Maternità, dei meriti della Corredenzione e degli specialissimi privilegi di cui, in vista dell’Incarnazione, Ella è stata insignita dalla Santissima Trinità.

 

A quelle voci si uniscono quelle delle Gerarchie angeliche e dei Santi, che dalla loro dimora di gloria celebrano Colei che, sopra tutte le creature, è stata scelta per essere il Tabernacolo dell’Altissimo, l’Arca dell’Eterna Alleanza in cui è custodita la pienezza della Legge, il Pane della Vita, lo scettro del nuovo Aronne, l’olio dell’Unzione regale e sacerdotale.

 

Maria Santissima è anche Regina Crucis: la Sua Regalità, sul modello della Signoria di Cristo, è stata conquistata nella co-Passione e coronata nella Corredenzione, perché non vi può essere la gloria della vittoria senza prima salire il Calvario. Chi non riconosce Maria Santissima come Regina e Signora, non riconosce Gesù Cristo come Re, né può sperare di aver parte al banchetto del Sovrano chi non onora Sua Madre. 

 

Mater misericordiæ. La Vergine Santissima è Madre della divina Misericordia incarnata; Madre di Colui che per misericordia il Padre ha voluto come nostro Redentore. Ella è Madre di misericordia perché Suo Figlio, Nostro Signore, L’ha voluta come Corredentrice e Mediatrice di tutte le Grazie. Alla Sua misericordiosa intercessione si affidano non solo i fedeli – che La invocano come Auxilium Christianorum – ma anche la Santa Chiesa, che La venera come propria Madre e Regina.

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In questa terribile eclissi che oscura la Sposa dell’Agnello e le sostituisce una contraffazione ereticale, invochiamo Colei che da sola ha sbaragliato tutte le eresie nel mondo intero – quæ sola cunctas hæreses interemisti in universo mundo, recita la Liturgia – perché ci dia forza e perseveranza, affretti il trionfo della Chiesa di Cristo e distrugga i piani infernali dell’Avversario e dei suoi servi, interni ed esterni.

 

La crisi che travaglia il corpo ecclesiale potrà essere sanata solo quando la Gerarchia tornerà ai piedi della Madre di misericordia e della Regina Crucis.

 

Vita, dulcedo, et spes nostra: salve. La Beata Vergine Maria è nostra Vita: per mezzo di Lei il Figlio di Dio ha assunto la nostra natura umana, incarnandoSi nel Suo seno virginale e sedendo sul Trono immacolato della Sua Santissima Concezione, miracolo sublime della Augustissima Trinità.

 

Ella è nostra dolcezza, perché in Lei troviamo al sommo grado l’esempio di quelle virtù che la nostra umanità corrotta dal peccato originale mai potrà eguagliare, prime fra tutte il Suo essere Madre di Dio, Madre di Cristo e Madre nostra in Lui. Il Suo amore di Madre, assieme alla Sua intemerata purezza virginale e alla Sua umiltà, rendono la Vergine Santissima la più odiata e temuta tra le creature da Satana, capace solo di dare morte al corpo e all’anima proprio perché incapace per orgoglio di amare Dio e di conformarsi alla Sua volontà.

 

Con il Suo calcagno la Virgo Potens schiaccerà il capo dell’antico Serpente, così come Nostro Signore sterminerà l’Anticristo e la maledetta stirpe di Satana. L’apparente trionfo dei malvagi e il tradimento della Gerarchia conciliare e sinodale non devono privarci della pace interiore che ci viene dal consacrarci alla spes nostra

 

Ad te clamamus, exsules filii Hevæ. Ad te suspiramus, gementes et flentes, in hac lacrimarum valle. Siamo figli dell’ira, nati nel peccato a causa della colpa dei nostri Progenitori, partoriti nel dolore per essere inclini al male, per soffrire, per morire, in quanto schiavi del mondo, della carne e del diavolo. Ma se a causa di una donna è caduto Adamo e con lui l’intera umanità; a causa della Donna dal capo coronato di stelle, nuova Eva, è venuto nel mondo il nuovo Adamo, Gesù Cristo, a redimerci mediante la propria Passione e Morte.

 

Per questo, nel Salve Regina, siamo certi che riconoscendoci exsules filii Hevæ – figli di Eva cacciati dalla loro patria – possiamo confidare che Maria Santissima, Janua cœli, dischiuderà le porte della Gerusalemme celeste anche a noi, Suoi figli nell’ordine della Grazia.

 

A Lei dunque si levano i nostri sospiri, i nostri lamenti strazianti, i nostri pianti: perché siamo in una valle che è di lacrime a causa della lontananza dalla Patria celeste, nella quale si compie ogni nostro anelito, ogni nostro desiderio in Dio. Guai a noi, semmai dovessimo considerare il nostro terreno peregrinare non come una fase provvisoria di passaggio verso l’eternità, ma come nostra meta: perché in quell’istante non ci riconosceremmo più exsules, vanificando la Redenzione del nostro Salvatore Gesù Cristo e la Corredenzione della Vergine Madre.

 

Guai a noi se non ci riconoscessimo filii Hevæ, perché se non vi fosse alcuna colpa da espiare, nessuna offesa da riparare, non vi sarebbe nemmeno bisogno di un Redentore che ci riscatti, né di una Madre che dia alla luce l’Emmanuele.

 

In un mondo venduto al Maligno che celebra la morte dell’anima e del corpo; in una chiesa contraffatta che segue il mondo nella sua dance macabre verso l’abisso, teniamo Maria Santissima come nostra stella, e invochiamo da Lei la Grazia della perseveranza finale. 

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Eja, ergo, Advocata nostra: illos tuos misericordes oculos ad nos converte. La Vergine Santissima è nostra Avvocata presso il Trono del Figlio, così come il Figlio (1Gv 2, 2) e lo Spirito Santo (Gv 14, 16) sono nostri divini Avvocati presso il Trono del Padre. È Lei, onnipotente per Grazia, che intercede in nostra difesa. E come il Padre ci rimette le colpe per i meriti infiniti del Suo Figlio, così il Cuore Sacratissimo del Figlio non rimane indurito dinanzi alla perorazione del Cuore Immacolato della Madre in nostro favore.

 

E perché la nostra speranza non sia delusa, ci basta che Ella volga a noi il suo sguardo, quegli occhi di misericordia – misericordes oculos – occhi misericordiosi e desiderosi di dare misericordia. Non la falsa misericordia di chi nega la colpa e la necessità della conversione e della riparazione; non l’ipocrita simulacro di mercenari traditori e bugiardi, ma la vera Misericordia, che si fonda nella Giustizia e nella Carità. 

 

Et Jesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exsilium ostende. Il nostro doloroso esilio in questa terra di mezzo si concluderà con il passaggio nell’eternità, quando il tempo della Misericordia si esaurirà e sarà il tempo della Giustizia. Sarà in virtù della nostra devozione a Maria Santissima durante la nostra vita terrena che potremo alzare il nostro sguardo verso il Rex tremendæ majestatis, perché sui piatti della bilancia con cui l’Arcangelo San Michele pesa le anime vi saranno da una parte le nostre colpe, ma dall’altra il nostro amore per la Vergine Madre e Regina, e la Sua potente intercessione.

 

Mater mea, fiducia mea! Non la fiducia illusoria di chi si crede salvo e pensa che Dio ci ami per come siamo, ma la speranza teologale che ci dà la certezza dell’aiuto divino nell’affrontare le prove e nel rialzarci quando cadiamo. Non la fiducia di chi sfida lo Spirito Santo e impugna la Verità rivelata, ma il filiale abbandono all’abbraccio della Mater misericordiæ, che ci presenterà dinanzi al Trono della Maestà divina protetti dal Suo manto.

 

A Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Pontefice, rinnoviamo la nostra professione di Fede, perché nell’eclissi temporanea della Sua gloria, ci rendiamo degni di assistere al Suo trionfo finale.

 

O clemens. O pia. O dulcis Virgo Maria. Tu, clemente: incline al perdono e che punisci con mitezza. Tu, pia: pietosa, fedele, devota. Tu, dolce Vergine Maria: dolce come il Tuo abbraccio nel quale si spegnerà la nostra vita terrena, dolce come l’esserTi accanto nella gloria della Santissima Trinità, dolce come il canto che la Santa Chiesa intona in Tuo onore, qui in terra e in cielo.

 

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

8 Dicembre 2024

 

In Conceptione Immaculatæ Beatæ Mariæ Virginis. 

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Immagine di Bartolomé Esteban Murillo (1617–1682), Immacolata concezione (circa 1962), Museo delle Belle Arti, Siviglia.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Papa Leone si rifiuta di pregare nella moschea di Costantinopoli ma omaggia l’anticristiano Ataturk

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Papa Leone XIV ha declinato di recitare una preghiera all’interno della Moschea Blu di Costantinopoli, infrangendo un protocollo recente e destando, a quanto pare, sconcerto tra gli apparati vaticani.   Nel corso del suo primo periplo estero significativo in Turchia, per celebrare il 1700º anniversario del Concilio di Nicea, al Pontefice è stato proposto un giro della celebre moschea eretta nel XVII secolo.   L’imam della moschea e il mufti costantinopolitano lo hanno accompagnato attraverso l’imponente struttura, capace di accogliere fino a 10.000 fedeli.

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Leone XIV si è sfilato le calzature all’ingresso, come da consuetudine, e ha percorso l’interno calzando calzini bianchi. Ciononostante, quando l’imam Askin Musa Tunca gli ha domandato se volesse dedicarsi a un momento di raccoglimento silenzioso, il papa ha replicato di preferire una mera visita al tempio.   Con tale scelta, Leone ha segnato una frattura rispetto ai suoi due predecessori: Benedetto XVI si era immerso in un silenzio meditativo durante la sua tappa del 2006, mentre Francesco aveva elevato una «preghiera fervida» nel 2014, invitando il mufti a unirsi a lui e definendosi «pellegrino».   La Santa Sede ha manifestato sorpresa per la determinazione del pontefice, che potrebbe aver eluso l’etichetta protocollare. Tre ore dopo la visita, il Vaticano ha diramato un bollettino in cui si attestava che la preghiera era avvenuta; il testo, verosimilmente redatto in anticipo, è stato in seguito revocato, con l’ufficio stampa che ha attribuito la diffusione a un errore.   La Sala Stampa vaticana ha precisato che Leone ha compiuto il sopralluogo alla moschea «in uno spirito di contemplazione e di accoglienza, con riverenza profonda per il sito e per la fede di chi vi si raduna in orazione».   La Moschea Blu – nota formalmente come moschea del Sultano Ahmed, dal nome del sovrano ottomano regnante dal 1603 al 1617 – sorge a ridosso della rinomata Basilica di Santa Sofia, recentemente riconvertita in moschea in sprezzo all’opposizione delle autorità cristiane.   Tuttavia, diversamente dai suoi predecessori, Leone ha optato per non includere l’antica chiesa bizantina nel suo itinerario. Santa Sofia, originariamente cattedrale imperiale, fu mutata in moschea dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 sotto l’egida ottomana musulmana. Trasformata in museo nel 1934 per volere dell’Ataturko, è stata reintegrata come moschea nel 2020 dal presidente Recep Tayyip Erdogan, malgrado le obiezioni della comunità cristiana.   Come riportato da Renovatio 21, oltre che Santa Sofia e Chora (dove sono stati coperti affreschi e mosaici cristiani), anche la cattedrale turca di Ani è divenuta una moschea.   Tuttavia, un tremendo segno anticristiano è stato dato comunque.   Nel corso della missione turca, Leone ha pure reso omaggio al Mausoleo di Mustafa Kemal Ataturk ad Ankara, fondatore della Turchia moderna. L’Ataturko è celebrato per aver capitanato il risorgimento nazionalista turco e per le sue riforme laicizzanti: è altresì noto che i suoi Giovani Turchi (CUP) avessero affiliazioni massoniche, con diramazioni che arrivano dritte nell’Italia giolittiana.

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Nessuno sembra aver detto al Prevost che l’Ataturko è da alcuni ritenuto tra i responsabile della pulizia etnica e dello sradicamento di decine di migliaia di cristiani greci, armeni e assiri dall’Anatolia in esito alla Grande Guerra.   Alcune fonti, specialmente quelle armene e di studiosi del genocidio, accusano Ataturk di aver «completato» o «consumato» il genocidio contro i cristiani attraverso azioni militari e politiche post-1918. Durante la campagna in Cilicia (1919-1921), le forze nazionaliste attaccarono posizioni francesi, portando a massacri di armeni a Marash (gennaio 1920, migliaia di morti) e alla distruzione di Hajen (ottobre 1920, città bruciata e popolazione decimata).   La guerra contro la Repubblica d’Armenia (1920), con l’annessione di territori come Kars e l’espulsione di armeni, causò pesanti perdite civili. L’ingresso a Smirne nel settembre 1922, seguito da un incendio che distrusse i quartieri cristiani (armeni e greci), portò all’espulsione di centinaia di migliaia di persone e a massacri. Questo evento è visto come parte della pulizia etnica finale. Queste azioni, secondo queste prospettive, continuarono la politica di eliminazione delle minoranze cristiane per creare uno stato turco omogeneo, con Atatürk che amnistiò ex-membri del CUP e riorganizzò unità ottomane. Politiche successive come lo scambio di popolazioni con la Grecia (Trattato di Losanna, 1923) e la turchificazione forzata (cambi di nomi, confische di proprietà) contribuirono all’eradicazione delle comunità cristiane residue.  

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La scommessa di Leone XIV

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Nell’ultimo mese, Leone XIV ha annunciato la sua intenzione di visitare, come il suo predecessore, l’isola di Lampedusa, porta d’accesso per l’immigrazione clandestina in Italia. Ha autorizzato la pubblicazione di un libro-intervista con la giornalista Elise Ann Allen e ha risposto alle domande di un reporter di EWTN News nei giardini di Castel Gandolfo.

 

In queste due interviste, le sue dichiarazioni rivelano una stretta continuità con il pontificato precedente, se non nella forma, almeno nella sostanza. Riaffiorano infatti diversi temi di Papa Francesco: immigrazione, sinodalità, dialogo interreligioso… È comprensibile che molte delle speranze sollevate al momento della sua elezione si stiano gradualmente trasformando in dubbio, persino in preoccupazione.

 

Uno dei motivi di speranza è stato il nome che ha scelto: Leone XIV, nella tradizione di Leone XIII. Certamente, papa Pravost ha conservato poco di questo pontefice in termini di antiliberalismo, lotta antimassonica o ripristino degli studi tomistici; piuttosto, ha rivendicato una discendenza dalla Rerum novarum e dalla dottrina sociale della Chiesa, ma una dottrina sociale interpretata alla luce del Vaticano II.

 

Ecco cosa spiegava il 17 maggio 2025, nove giorni dopo la sua elezione, in una riunione della Fondazione Centesimus Annus: «la dottrina sociale della Chiesa, con la sua prospettiva antropologica, mira a favorire un accesso autentico alle questioni sociali: non pretende di possedere una verità assoluta, né nell’analisi dei problemi né nella loro risoluzione. […] L’obiettivo è imparare ad affrontare i problemi, che sono sempre diversi, perché ogni generazione è nuova, con nuove sfide, nuovi sogni e nuovi interrogativi».

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E per chiarire, nello spirito della libertà religiosa conciliare, continua: «l’indottrinamento è immorale; ostacola il giudizio critico, viola la sacra libertà del rispetto della coscienza – anche erronea – e si chiude a nuove riflessioni perché rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee di fronte a nuovi problemi».

 

La preoccupazione essenziale di Leone XIV, uomo di conciliazione, è l’unità e la pace, ma a quale prezzo? Nel suo desiderio di mitigare le «polarizzazioni», egli concepisce la dottrina sociale della Chiesa come un dialogo sinodale, capace di allentare le tensioni nel mondo e nella Chiesa, perché «non pretende di possedere una verità assoluta».

 

In definitiva, il Papa intende rileggere Leone XIII alla luce del Vaticano II: dottrina sociale a rischio di sinodalità. È una scommessa che ha l’aria di una sfida. Una sfida alla logica, una sfida al semplice buon senso.

 

Potremmo dirci, per rassicurarci, che è meno pericoloso sfidare il principio logico di non contraddizione che la legge fisica di gravità. Eppure il risultato è lo stesso: un ritorno brutale alla realtà, con un atterraggio spesso doloroso.

 

Don Alain Lorans

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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«Rimarrà solo la Chiesa Trionfante su Satana»: omelia di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica questa omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò nella Prima Domenica di Avvento    

Qui legit intelligat

Omelia nella Prima Domenica di Avvento

 

Terra vestra deserta; civitates vestræ succensæ igni: regionem vestram coram vobis alieni devorant, et desolabitur sicut in vastitate hostili.

Il vostro paese è desolato, le vostre città consumate dal fuoco, i vostri campi li divorano gli stranieri, sotto i vostri occhi; tutto è devastato, come per un sovvertimento di barbari.

Is 1, 7

  Intervenendo all’Assemblea Generale della CEI ad Assisi (1), il card. Matteo Zuppi ha detto che «la Cristianità è finita», e che questo fatto dev’essere considerato positivamente, come un’occasione, un καιρός.   Non vi sfuggirà l’uso del lessico globalista, secondo il quale ogni crisi indotta dal Sistema è anche un’opportunità: la cosiddetta pandemia COVID, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica, l’islamizzazione delle nazioni occidentali. Zuppi – uno dei principali esponenti della chiesa sinodale – si guarda bene però dal riconoscere che la distruzione dell’edificio cattolico e la cancellazione della presenza cattolica nella società siano l’effetto logico e necessario dell’azione eversiva del Concilio Vaticano II e dei suoi sviluppi remoti e recenti, ostinatamente imposta dalla Gerarchia stessa.   D’altra parte, nel momento in cui viene spodestato Cristo Re e Pontefice sostituendolo con la volontà della base – prima la collegialità, oggi la sinodalità – non poteva che accadere nella Chiesa Cattolica ciò che duecento anni prima era accaduto nella cosa pubblica.

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L’austera liturgia dell’Avvento inizia nel cuore della notte, quando al Primo Notturno del Mattutino risuonano le tre Lezioni con l’oracolo di Isaia. Otto secoli prima della Venuta del Salvatore, il Signore rimprovera per bocca del Profeta l’infedeltà del Suo popolo: «Guai alla nazione peccatrice, popolo carico d’iniquità, razza di malvagi, figli corrotti!» (Is 1, 4)   Quelle parole severe, pronunciate per i nostri padri in vista della prima Venuta di Cristo, sono ancora più valide per noi, testimoni di quella Incarnazione che ci apprestiamo a celebrare alla fine del sacro tempo dell’Avvento; ma parimenti in attesa della seconda Venuta di Cristo Giudice, questa volta, nella gloria. È il tema del Vangelo di oggi: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli…» (Lc 21, 25) E come si è chiuso l’anno liturgico domenica scorsa con un richiamo alla fine dei tempi, così inizia questo nuovo anno con la prima Domenica d’Avvento: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino».   Noi ci troviamo tra due eventi epocali: la prima Venuta di Cristo nell’umiltà della condizione umana e nell’oscuramento della Sua divinità per compiere l’opera della Redenzione; e la seconda Venuta di Cristo come Rex tremendæ majestatis, che verrà a giudicare il mondo per ignem, attraverso il fuoco della Sua Giustizia.    È tra questi due fatti storici che la Chiesa Militante porta a termine la propria missione santificatrice: il primo, già compiuto; il secondo, ancora da compiersi e da decifrare, come nella parabola del fico, ab arbore fici discite parabolam (Mt 24, 32). Prima dell’Incarnazione vigeva l’Antica Legge, dopo la resurrezione dei morti e il Giudizio universale si avranno i nuovi cieli e la nuova terra (Ap 21, 1), e rimarrà solo la Chiesa Trionfante: trionfante su Satana definitivamente sconfitto, e sull’Anticristo che verrà ucciso dall’Arcangelo San Michele. La storia della Salvezza si compie tra queste due date storiche, separate da duemila anni di battaglie dagli esiti alterni tra Dio e Satana. Duemila anni grondanti del sangue innocente dei Martiri, versato dalle stesse mani assassine che sotto l’Antica Legge uccisero e lapidarono i Profeti che il Signore mandava al Suo popolo (Lc 13, 34).   La testimonianza della fedeltà a Dio chiede il passaggio attraverso il certamen, il combattimento della Croce. Questa verità – teologica perché essenziale al piano trinitario della Redenzione – si esplicita nel Sacrificio perfetto del Capo del Corpo Mistico; e si perpetua misticamente – e talora realmente col Martirio – nell’oblazione delle membra di quel Corpo.   Prima ad immolarSi, in un modo possibile solo alla Immacolata Madre di Dio, fu la Vergine Santissima, Regina Crucis, che per questo onoriamo come nostra Corredentrice e – in virtù di quella oblazione – nostra Mediatrice di tutte le Grazie presso la Maestà divina. Il passaggio dalla Vecchia alla Nuova ed Eterna Alleanza è bagnato dal sangue di tante vite, prima e dopo il supremo Lavacro del Golgota da parte del Verbo Incarnato. Un sangue versato per mano di figli corrotti, presenti allora come oggi sotto le volte del Tempio di Dio. 

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Quando nel libro di Ezechiele leggiamo la visione delle abominazioni di Israele (2) – con le stanze segrete del tempio di Gerusalemme usate dai settanta anziani della casa d’Israele per celebrare culti infernali, e il luogo più sacro tra vestibolo e altare adibito all’adorazione del sole (3) – sorge spontaneo il parallelo con le abominazioni cui abbiamo assistito negli ultimi decenni: dall’adorazione del Buddha sul tabernacolo della chiesa di Santa Chiara ad Assisi, all’epoca del pantheon di Giovanni Paolo II, all’intronizzazione dell’immondo idolo della Pachamama nella Basilica Vaticana. È difficile non riconoscere in questa mescolanza di culti cananei e babilonesi, praticata da una parte del popolo di Israele, un rimando al culto della Madre Terra, alla «conversione» green, agli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030.    Ma se queste abominazioni condussero gli Ebrei dell’Antica Legge all’esilio, quale punizione aspetta coloro che le compiono sotto la Nuova Legge? Se il Signore era offeso per le contaminazioni dei riti pagani nella liturgia del Tempio volute dalla gerarchia sacerdotale ebraica (4), come non potrebbe Egli essere maggiormente offeso da analoghe e peggiori contaminazioni introdotte nella liturgia dalla Gerarchia della chiesa conciliare e sinodale? «Quomodo facta est meretrix civitas fidelis?» (Is 1, 21) Come ha fatto la città fedele a diventare una meretrice? – si chiede il Profeta Isaia.   «Il vostro paese è desolato, le vostre città sono consumate dal fuoco, i vostri campi li divorano gli stranieri, sotto i vostri occhi; tutto è devastato, come per un sovvertimento di barbari» (ibid., 7). Non è questo che noi vediamo nelle nostre nazioni, ribelli ai Comandamenti di Dio e alla Sua santa Legge? Non ci sembra forse che la Gerarchia della Chiesa – la civitas fidelis – si prostituisca al nuovo culto del sole, anziché riconoscere in Cristo il Sol Justitiæ che tutti illumina con la divina Verità? Perché questo vile asservimento alle istanze dei nemici di Dio, della Chiesa e dell’umanità?    Quando nel silenzio della Notte Santa il Verbo Eterno del Padre ha visto la luce nella carne dell’Emmanuele, le antiche Profezie messianiche sono apparse nella loro evidenza, mostrando nell’Uomo-Dio il compimento delle Scritture. Fu una rivelazione. Fu la Rivelazione. Ma un’altra rivelazione – nel senso proprio del termine greco ἀποκάλυψις, che vuol dire togliere il velo – si avrà alla fine dei tempi, quando non sarà la realtà a mutare, ma il nostro modo di guardarla, senza quegli impedimenti che velavano il nostro sguardo. Anche allora vedremo compiersi la Scrittura: il tradimento dell’Autorità civile e religiosa, l’apostasia della Gerarchia ecclesiastica, la dissoluzione del corpo sociale in guerre, carestie, pestilenze, cataclismi. E come vi fu chi, nonostante l’evidenza, negò che Cristo fosse il Desideratus cunctis gentibus, il Desiderato di tutti i popoli; così vi è e vi sarà chi, dinanzi agli eventi predetti dal Profeta Daniele e da San Giovanni Apostolo, parlerà – come il card. Zuppi – di καιρός ostinandosi a credere e a farci credere che la crisi sia un bene, e che quindi non occorra alcuna restaurazione dell’ordine divino da parte dell’unico detentore dell’Autorità, Cristo Re e Pontefice.   Negare infatti il male, oltre a costituire una forma di cooperazione ad esso, comporta anche la negazione della necessità del trionfo del Bene, e finisce per essere una forma di complicità con il male stesso, una sorta di rassegnazione indotta, un pericoloso disfattismo, un fatalismo che impedisce al singolo e alla società di svegliarsi, di reagire, di contrastare l’azione del nemico. E questo vale tanto per la Chiesa quanto per la società civile, perché la Signoria di Cristo è negata e osteggiata in entrambi gli ambiti, e proprio dai vertici di quelle istituzioni che traggono la propria legittimità dall’essere vicari della somma Autorità del Verbo Incarnato.   L’Avvento è una palestra spirituale in preparazione al Santissimo Natale di Colui che nascendo secundum carnem in vista della Redenzione ha ricapitolato in Sé tutte le cose, sanando nell’ordine della Grazia il vulnus inferto dal χάος di Satana. Questa palestra spirituale deve costituire per noi anche un addestramento al combattimento della buona battaglia quotidiana – quella contro il mondo, la carne e il diavolo – e della battaglia epocale degli ultimi tempi, quando l’Anticristo usurperà ogni autorità terrena al fine di instaurare il suo regno infernale.

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Se sapremo comprendere l’ineluttabilità del trionfo di Nostro Signore Gesù Cristo, preparato con l’Incarnazione e conseguito sul Golgota nell’obbedienza al Padre, saremo in grado di leggere sub specie æternitatis anche gli eventi presenti e futuri, conservando la pace del cuore nelle tribolazioni e nelle prove più ardue. Ecco perché, nel festeggiare spiritualmente la Nascita del Salvatore con una vera conversione interiore e facendo crescere in noi la vita della Grazia, ci prepariamo anche a seguire il nostro Re e Signore sulla via della Croce, trono dal quale Egli regna su tutti noi con la porpora del Suo preziosissimo Sangue.   Questa militia è il vero καιρός, la sola opportunità che ci consentirà di prendere parte alla vittoria finale se sapremo schierarci sotto le insegne di Cristo Re e di Maria Regina. Hora est jam nos de somno surgere (Rom 13, 11), come ci esorta l’Apostolo nell’Epistola. Non dimentichiamo che la divina Provvidenza ha stabilito che sarà Lei, la Correndetrice, la Regina Crucis, a schiacciare il capo dell’antico Serpente.    Ascoltiamo con queste disposizioni d’animo l’oracolo di Ezechiele:    «Così dice il Signore Dio: Vi raccoglierò in mezzo alle genti e vi radunerò dalle terre in cui siete stati dispersi e a voi darò il paese d’Israele. Essi vi entreranno e vi elimineranno tutti i suoi idoli e tutti i suoi abomini. Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Ma su coloro che seguono con il cuore i loro idoli e le loro nefandezze farò ricadere le loro opere, dice il Signore Dio» (Ez 11, 17-21).   E così sia.    + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   30 Novembre MMXXV Dominica I Adventus   NOTE 1 – Cfr. https://www.chiesacattolica.it/card-zuppi-il-dono-di-una-strada-per-costruire-comunita/ 2 – Questa visione viene interpretata dai Padri della Chiesa sia in senso letterale (come condanna dell’idolatria storica di Israele) sia in senso allegorico (come condanna dell’eresia e dell’apostasia nella Chiesa o nell’anima). San Gerolamo identifica le abominazioni con le pratiche pagane infiltrate nel tempio.  3 – Mi disse: «Figlio dell’uomo, sfonda la parete». Sfondai la parete, ed ecco apparve una porta. Mi disse: «Entra e osserva gli abomini malvagi che commettono costoro». Io entrai e vidi ogni sorta di rettili e di animali abominevoli e tutti gli idoli del popolo d’Israele raffigurati intorno alle pareti e settanta anziani della casa d’Israele, fra i quali Iazanià figlio di Safàn, in piedi, davanti ad essi, ciascuno con il turibolo in mano, mentre il profumo saliva in nubi d’incenso. Mi disse: «Hai visto, figlio dell’uomo, quello che fanno gli anziani del popolo d’Israele nelle tenebre, ciascuno nella stanza recondita del proprio idolo? Vanno dicendo: Il Signore non ci vede… il Signore ha abbandonato il paese…». […] Mi condusse nell’atrio interno del tempio; ed ecco all’ingresso del tempio, fra il vestibolo e l’altare, circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio e la faccia a oriente che, prostrati, adoravano il sole (Ez 8, 8-12 e 16). Settanta anziani che adorano gli idoli: ossia i settanta membri che compongono il Sinedrio. Venticinque uomini che si prostrano al sole: i capi dei ventiquattro ordini levitici (1 Cr 24, 18 e 19), con il Sommo Sacerdote, «i principi del santuario» (Is 43, 28), in rappresentanza dell’intero sacerdozio, come i settanta anziani rappresentavano il popolo. 4 – Il capo dei sacerdoti ebbe un ruolo di primo piano nel «contaminare la casa del Signore» (2 Cr 36, 14) con i culti solari persiani.

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Immagine: Beato Angelico (1395-1455), Il Giudizio Universale (1450), Gemäldegalerie, Berlino. Immagine di Dosseman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 
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