Geopolitica
Israele minaccia Hezbollah di «distruzione senza precedenti» e l’Iran di essere «cancellato dalla faccia della Terra»
Hezbollah «commetterà l’errore della sua vita» se entrerà nella guerra tra Israele e Hamas, ha detto domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle truppe di stanza vicino al confine libanese. Netanyahu ha avvertito che il Libano sarebbe stato «devastato» in risposta.
«Se Hezbollah decide di entrare in guerra, desidererà ardentemente la Seconda Guerra del Libano», ha detto Netanyahu, riferendosi al conflitto del 2006 in cui Israele invase il Libano meridionale e colpì Beirut con attacchi aerei in risposta ai raid di Hezbollah in Israele. Nel conflitto durato un mese furono uccisi circa 165 israeliani e più di 1.000 libanesi.
«Commetterà l’errore della sua vita», ha continuato Netanyahu, secondo una trascrizione vista dai media israeliani. «Lo colpiremo con una forza inimmaginabile e il significato per esso e per il Paese del Libano sarà devastante».
Le forze israeliane e quelle di Hezbollah si sono impegnate in scambi di razzi e artiglieria da quando è scoppiato il conflitto con Hamas, due settimane fa. Sebbene il gruppo paramilitare libanese abbia inviato droni e numerosi infiltrati oltre confine, non si è verificata alcuna incursione su larga scala e Israele ha finora evitato di aprire un secondo fronte nel nord.
La milizia libanese ha tuttavia intensificato i suoi attacchi negli ultimi giorni, lanciando dozzine di razzi contro basi militari israeliane e uccidendo un soldato israeliano in un attacco missilistico venerdì. Le forze israeliane hanno risposto con bombardamenti di artiglieria e attacchi di droni. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato sabato che Hezbollah «ha deciso di partecipare ai combattimenti» e che pagherà «un prezzo alto» per farlo.
Al Gallant si è aggiunta la voce del ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat, che ieri ha detto domenica che le forze israeliane «eliminerebbero» Hezbollah e prenderebbero di mira l’Iran se i militanti palestinesi aprissero un «fronte settentrionale».
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«Il piano dell’Iran è attaccare Israele su tutti i fronti. Se scopriamo che intendono prendere di mira Israele, non ci limiteremo a reagire su quei fronti, ma arriveremo alla testa del serpente, che è l’Iran», ha detto Barkat al quotidiano britannico Mail on Sunday, aggiungendo che «gli ayatollah in Iran non dormiranno bene la notte» se si muoveranno contro Israele.
Barkat ha avvertito che il Libano e il gruppo militante filo-palestinese Hezbollah «pagheranno un prezzo pesante, simile a quello che pagherà Hamas».
Se necessario, Israele andrebbe «a caccia dei capi dell’Iran», ha detto il ministro. «Israele ha un messaggio molto chiaro ai nostri nemici. Stiamo dicendo loro: guardate cosa sta succedendo a Gaza: riceverete lo stesso trattamento se ci attaccate. Vi cancelleremo dalla faccia della Terra».
Venerdì il New York Times ha riportato che, dietro le quinte, tuttavia, gli Stati Uniti stanno mettendo in guardia Israele dal farsi trascinare in una guerra su due fronti. Secondo le fonti del giornale neoeboraceno, i funzionari americani vedono Gallant come un falco le cui azioni rischiano di trascinare Israele in una guerra che faticherebbe a vincere.
Inoltre, con gli Stati Uniti che sostengono Israele e l’Iran che sostiene Hezbollah, una guerra del genere potrebbe facilmente degenerare in un conflitto più ampio e distruttivo, dicono le fonti.
Hezbollah è attualmente «nel cuore della battaglia» tra Israele e Hamas, ha detto domenica il vice leader del gruppo, Naim Qassem. Qassem ha spiegato che l’obiettivo di Hezbollah in questo momento è «indebolire il nemico israeliano e fargli sapere che siamo pronti» per una possibile grande escalation.
Decine di migliaia di israeliani sono stati evacuati dagli insediamenti vicino al confine libanese. Da sabato mattina ai residenti di 14 comunità è stato ordinato di partire per alloggi temporanei, mentre altri 28 insediamenti sono stati svuotati la settimana scorsa.
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Immagine di Israel Defense Forces via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Netanyahu esclude la creazione di uno Stato palestinese
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Geopolitica
La Danimarca taglia gli aiuti all’Ucraina per la corruzione. Mosca: i crimini di Kiev alla Corte Internazionale
La Danimarca prevede di dimezzare gli aiuti militari all’Ucraina nel 2026, con un taglio ampiamente descritto dai media come massiccio: quasi il 50% rispetto a quanto erogato dal 2022.
Secondo la Danish Broadcasting Corporation, la nazione nordica si è distinta per il suo impegno spropositato nelle fasi iniziali del conflitto, ma ora il governo di Copenaghen intende che altri Stati assumano una quota maggiore del peso finanziario.
Il ministro della Difesa Troels Lund Poulsen ha comunicato al Parlamento che l’esecutivo stanzierà 9,4 miliardi di corone danesi (circa 1,29 miliardi di euro) a sostegno di Kiev nel 2026. Si tratta di una contrazione netta rispetto ai 16,5 miliardi di corone (circa 2,23 miliardi di euro) concessi nel 2025 e ai quasi 19 miliardi di corone del 2024.
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I giornali danesi attribuiscono questa decisione in parte all’esaurimento delle risorse del Fondo per l’Ucraina, creato nel 2023 con ampio consenso bipartisan tra i partner europei. In totale, dal lancio dell’invasione russa nel febbraio 2022, la Danimarca ha riversato su Kiev l’impressionante somma di quasi 9,43 miliardi di euro in assistenza militare. Ha inoltre donato caccia F-16 e accolto corsi di formazione per piloti ucraini.
Simon Kollerup, componente del Comitato Difesa danese, ha commentato che «è naturale che stiamo assistendo a una stabilizzazione del livello di sostegno fornito».
«Abbiamo deciso di essere uno dei Paesi che hanno preso l’iniziativa all’inizio della guerra, fornendo un sostegno su larga scala. Ritengo inoltre che sia giusto affermare che questo sostegno supera di gran lunga quanto effettivamente richiesto dalle dimensioni del nostro Paese. Pertanto, trovo del tutto naturale che il sostegno stia diminuendo», ha proseguito Kollerup.
Questo sviluppo coincide con il ridimensionamento del massiccio supporto statunitense all’Ucraina, mentre l’amministrazione Trump privilegia la cessione di armi all’Europa affinché quest’ultima le rivenda o le trasferisca a Kiev.
La decisione danese di tagliare drasticamente gli aiuti giunge in un frangente delicato per il governo di Volodymyr Zelens’kyj, invischiato in uno scandalo di corruzione che lambisce direttamente l’ufficio presidenziale (con i suoi stretti collaboratori rimossi e sottoposti a indagini), spingendo forse alcuni membri dell’UE a svegliarsi e a cessare di agire con accondiscendenza.
Anche il New York Times ha recentemente ammesso in un pezzo che «l’amministrazione del presidente Volodymyr Zelens’kyj ha riempito i consigli di amministrazione di fedelissimi, ha lasciato posti vuoti o ne ha bloccato la costituzione. I leader di Kiev hanno persino riscritto gli statuti aziendali per limitare la supervisione, mantenendo il controllo del governo e consentendo che centinaia di milioni di dollari venissero spesi senza che estranei potessero curiosare».
Nel frattempo pesanti accuse a Kiev arrivano dalla Russia ben oltre la questione della corruzione. Il 5 dicembre il ministero degli Esteri russo ha diffuso un comunicato in cui annuncia che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha accolto le contro-domande presentate dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, riconoscendo che Kiev viola la Convenzione sul Genocidio del 1948.
«Tutte le obiezioni sollevate da Kiev in merito alla presunta inammissibilità delle contro-richieste della Russia sono state respinte integralmente e le osservazioni della Federazione Russa sono state accolte integralmente dalla Corte», si legge nella nota.
La dichiarazione prosegue ricordando che «La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, emessa il 5 dicembre, segna uno sviluppo logico dopo i vani tentativi dell’Ucraina di ritenere la Russia responsabile dell’avvio dell’operazione militare speciale. Questo contenzioso era stato avviato dal regime di Kiev e dai suoi sponsor occidentali già nel febbraio 2022. All’epoca, Kiev, sostenuta da 33 stati allineati all’Occidente, presentò un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia sostenendo che la Russia aveva violato la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.»
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Si aggiunge che «Il 18 novembre 2024, la parte russa ha presentato alla Corte un consistente corpus di prove, di oltre 10.000 pagine, che comprova la perpetrazione di un genocidio da parte del criminale regime di Kiev ai danni della popolazione russa e russofona del Donbass. Il materiale probatorio includeva la documentazione di oltre 140 episodi di deliberati attacchi contro civili nel Donbass, corroborati dalle testimonianze di oltre 300 testimoni e vittime, nonché da analisi e indagini di esperti».
Il testo accusa poi Kiev di aver compiuto «omicidi di massa, torture, bombardamenti indiscriminati» e di aver condotto «in tutta l’Ucraina una politica di cancellazione forzata dell’identità etnica russa, vietando la lingua e la cultura russa, perseguitando la Chiesa ortodossa russofona, glorificando al contempo i collaboratori del Terzo Reich e cancellando la memoria della Vittoria sul nazismo».
In conclusione, il ministero russo sottolinea che «affermando oggi l’ammissibilità legale delle rivendicazioni russe, la Corte Internazionale di Giustizia ha segnalato la sua disponibilità a valutare l’intera portata dei crimini commessi dal regime di Kiev e dai suoi complici».
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Immagine di EPP Group via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Geopolitica
Zakharova: l’UE che odia la Russia «è caduta nella follia politica». Il comandante NATO: l’alleanza può «creare dilemmi» a Mosca
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