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Israele ed Emirati firmano gli Accordi di Abramo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire con traduzione di Rachele Marmetti. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Il trattato Israele-Emirati scombussola la retorica sul Medio Oriente e rende possibile una pace arabo-israeliana. Interrompe l’inesorabile erosione dei territori arabi da parte di Israele e stabilisce relazioni diplomatiche tra Israele e il leader del mondo arabo. Se si è disposti a esaminare senza pregiudizi una situazione ove paura, violenza e odio provocano manifeste ingiustizie non si può non prendere atto che l’iniziativa del presidente Donald Trump sblocca un conflitto esasperato, che perdura da 27 anni. È stata immediatamente presentata la candidatura di Trump al premio Nobel per la pace.

La situazione in Medio Oriente è bloccata dagli Accordi di Oslo, firmati da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel 1993

 

La situazione in Medio Oriente è bloccata dagli Accordi di Oslo, firmati da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel 1993. L’intesa è stata successivamente completata con l’Accordo di Gerico-Gaza, che riconosce alcune prerogative all’Autorità Palestinese, nonché con gli accordi di Wadi Arava, che hanno sancito la pace fra Israele e Giordania.

 

All’epoca il governo israeliano intendeva separarsi definitivamente dai palestinesi; era perciò pronto a creare uno pseudo-Stato palestinese, privato però di parecchie prerogative di sovranità, in particolare di un esercito proprio e finanze indipendenti. Il laburista Rabin aveva già sperimentato i bantustan in Sudafrica, quando Israele era consigliere del regime dell’apartheid. Un altro esperimento, condotto dal generale Efraín Ríos Montt, era avvenuto in Guatemala, nei confronti d’una tribù maya.

 

Arafat accettò gli accordi di Oslo per far fallire il processo della Conferenza di Madrid (1991): i presidenti George W. Bush e Mikhail Gorbaciov, sostenuti dei dirigenti arabi, cercavano d’imporre a Israele la pace, estromettendo Arafat dalla scena internazionale.

 

Il laburista Rabin aveva già sperimentato i bantustan in Sudafrica, quando Israele era consigliere del regime dell’apartheid. Un altro esperimento, condotto dal generale Efraín Ríos Montt, era avvenuto in Guatemala, nei confronti d’una tribù maya

Ciononostante, molti commentatori sostengono che gli Accordi di Oslo potevano sfociare nella pace.

 

In ogni caso, a 27 anni dagli Accordi di Oslo, niente di positivo ha lenito le sofferenze del popolo palestinese, ma lo Stato d’Israele si è progressivamente trasformato al proprio interno. Oggi il Paese è diviso in due fazioni antagoniste; lo dimostra il suo governo, l’unico al mondo ad avere contemporaneamente due primi ministri. Da un lato i partigiani del colonialismo britannico, schierati nelle fila del primo primo ministro, Benjamin Netanyahu. Dall’altro i fautori di una normalizzazione del Paese, schierati con il secondo primo ministro, Benny Gantz (1).

 

Questo sistema bicefalo riflette l’incompatibilità di queste due visioni. I due campi si paralizzano a vicenda. Soltanto il tempo metterà fine al progetto coloniale del Grande Israele, che si estende dalle rive del Nilo alle rive dell’Eufrate, retaggio di un’epoca ormai superata.

 

Dagli attentati dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno messo in atto la strategia Rumsfeld/Cebrowski, per adattare l’esercito USA ai bisogni di una nuova forma di capitalismo, basato non più sulla produzione di beni e servizi, ma sull’ingegneria finanziaria. A tal fine hanno iniziato una «guerra senza fine» per distruggere le strutture statali dell’intero Medio Oriente Allargato

Dagli attentati dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno messo in atto la strategia Rumsfeld/Cebrowski, per adattare l’esercito USA ai bisogni di una nuova forma di capitalismo, basato non più sulla produzione di beni e servizi, ma sull’ingegneria finanziaria. A tal fine hanno iniziato una «guerra senza fine» per distruggere le strutture statali dell’intero Medio Oriente Allargato, senza fare distinzioni fra amici e nemici. Afghanistan, poi Iraq, Libia, Siria e Yemen sono teatro di guerre che si è fatto credere sarebbero durate poche settimane, ma sono invece di durata indefinita, senza alcuna prospettiva.

 

Facendosi eleggere presidente, Trump aveva promesso di mettere fine alle «guerre senza fine» e di riportare a casa i soldati americani. In questa prospettiva ha dato carta bianca al proprio consigliere speciale, nonché genero, Jared Kushner. Il fatto di essere sostenuto da cristiani sionisti e che Kushner sia ebreo ortodosso ha indotto numerosi commentatori a presentarli come amici di Israele.

 

Sebbene abbiano un interesse elettorale a lasciarlo credere, questa non è affatto la loro modalità d’approccio al Medio Oriente.

 

Intendono difendere gli interessi del popolo degli Stati Uniti − non quelli degli israeliani − sostituendo la guerra con relazioni commerciali, secondo il modello del presidente Andrew Jackson (1829-1837). Costui riuscì a impedire la sparizione degli indiani − che da generale aveva combattuto − sebbene soltanto i Cherokee avessero firmato l’accordo da lui proposto. I Cherokee sono oggi diventati la più importante tribù amerinda, nonostante il tristemente famoso «sentiero delle lacrime».

 

Facendosi eleggere presidente, Trump aveva promesso di mettere fine alle «guerre senza fine» e di riportare a casa i soldati americani. In questa prospettiva ha dato carta bianca al proprio consigliere speciale, nonché genero, Jared Kushner

Per tre anni Jared Kushner ha percorso in lungo e in largo la regione. Ha potuto constatare di persona quanto si siano affermati paura e odio. Da 75 anni Israele persiste a violare ogni risoluzione delle Nazioni Unite che lo riguardano e a proseguire la lenta e inesorabile erosione del territorio arabo. Il negoziatore Kushner non ha potuto che trarne una conclusione: il diritto internazionale è impotente perché, dopo il piano di divisione della Palestina del 1947, nessuno − a parte l’importante eccezione di Bush padre e di Gorbaciov − ha voluto applicarlo davvero. Per l’inazione della comunità internazionale la sua applicazione oggi aggiungerebbe ingiustizia a ingiustizia.

 

Kushner ha lavorato a numerose ipotesi (2), fra cui l’unificazione del popolo palestinese attorno alla Giordania, nonché l’annessione di Gaza all’Egitto.

 

A giugno 2019, durante la conferenza in Bahrein di presentazione dell’«accordo del secolo», espose proposte per lo sviluppo economico dei territori palestinesi. Piuttosto che negoziare, meglio era quantificare il beneficio che ciascun protagonista avrebbe tratto dalla pace. Kushner è infine riuscito a far firmare il 13 settembre 2020 un accordo segreto tra Emirati Arabi Uniti e Israele, ufficializzato due giorni dopo, ossia il 15 settembre, in versione edulcorata (3).

Kushner è infine riuscito a far firmare il 13 settembre 2020 un accordo segreto tra Emirati Arabi Uniti e Israele, ufficializzato due giorni dopo, ossia il 15 settembre, in versione edulcorata

 

La parte segreta dell’accordo è, come sempre, la più importante: Israele è stato costretto a rinunciare per iscritto ai progetti di annessione (compresi i territori «offerti» da Trump con la proposta dell’«accordo del secolo») e a consentire a Dubai Ports World (detto DP World) di riprendersi il porto di Haifa, da cui i cinesi sono stati da poco estromessi.

 

L’accordo è sulla lunghezza d’onda delle idee del secondo primo ministro israeliano, Gantz, ma rappresenta un disastro per la fazione del primo primo ministro, Netanyahu.

 

L’accordo è sulla lunghezza d’onda delle idee del secondo primo ministro israeliano, Gantz, ma rappresenta un disastro per la fazione del primo primo ministro, Netanyahu

Non avendo letto la parte segreta dell’accordo, ignoro se vi sia chiaramente espressa la rinuncia all’annessione delle Alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele dal 1967, e dell’area delle Fattorie di Shebaa, territorio libanese occupato dal 1982. Ignoro anche se sia prevista una compensazione per il porto di Beirut, dal momento che la sua ricostruzione recherebbe pregiudizio sia a Israele sia agli investimenti degli Emirati a Haifa. Tuttavia, il presidente libanese, Michel Aoun, ha già pubblicamente accennato a un progetto immobiliare in luogo del porto di Beirut.

 

Per renderlo accettabile a tutte le parti, il trattato è stato chiamato Accordi di Abramo, dal nome del padre comune di giudaismo e islam. La paternità dell’intesa, con grande piacere di Gantz, è stata attribuita alla «mano tesa» (sic) di Netanyahu, sebbene egli ne sia l’avversario più duro. Il Bahrein si è associato all’accordo.

 

Quest’ultimo fatto mira a mettere in risalto il nuovo ruolo regionale attribuito da Washington agli Emirati, al posto dell’Arabia Saudita. Come già avevamo annunciato, gli interessi USA nel mondo arabo sono ora rappresentati da Abu Dhabi, non più da Riad [4]. Gli altri Stati arabi sono stati invitati a seguire l’esempio del Bahrein.

 

Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, non ha trovato parole sufficientemente dure per condannare il «tradimento» degli Emirati.

… Mettere in risalto il nuovo ruolo regionale attribuito da Washington agli Emirati, al posto dell’Arabia Saudita

 

Lo stesso ha fatto chi continua a opporsi alla pace (gli ayatollah iraniani) e chi ancora è attaccato agli Accordi di Oslo e alla soluzione dei due Stati. Infatti, ufficializzando le relazioni diplomatiche tra Israele e il nuovo leader arabo, gli Emirati, gli Accordi di Abramo voltano pagina rispetto a quelli di Oslo. La palma dell’ipocrisia spetta all’Unione Europea, che continua a difendere nella teoria il diritto internazionale e a violarlo nella pratica.

 

Se il presidente Trump fosse rieletto e Kushner potesse proseguire la propria azione, gli accordi tra Israele ed Emirati resterebbero nella storia come il momento in cui israeliani e arabi hanno ritrovato il diritto di parlarsi di nuovo, come fu per l’abbattimento del Muro di Berlino, che rappresenta il momento in cui i tedeschi dell’Est hanno riconquistato il diritto di comunicare con i propri parenti dell’Ovest. Se invece Joe Biden venisse eletto, il rosicchiamento dei territori arabi da parte di Israele e la «guerra senza fine» riprenderebbero in tutta la regione.

La palma dell’ipocrisia spetta all’Unione Europea, che continua a difendere nella teoria il diritto internazionale e a violarlo nella pratica

 

Le relazioni tra Israele ed Emirati si erano stabilizzate già da molto tempo, senza un trattato di pace, dal momento che c’è mai stata guerra dichiarata tra i due Paesi.

 

Gli Emirati acquistano armi dallo Stato ebraico segretamente da una decina d’anni (5). Con il tempo, questo commercio si è intensificato, in particolare nel campo delle intercettazioni telefoniche e della sorveglianza internet.

 

Inoltre, è già operativa un’ambasciata israeliana, sotto copertura di una delegazione presso un oscuro organismo dell’ONU con sede negli Emirati. Gli Accordi di Abramo rimettono pertanto in causa il discorso dominante arabo-israeliano e stravolgono le relazioni interne dell’intera regione.

Se invece Joe Biden venisse eletto, il rosicchiamento dei territori arabi da parte di Israele e la «guerra senza fine» riprenderebbero in tutta la regione

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) «La decolonizzazione d’Israele è iniziata», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 maggio 2020.

(2) «Jared Kushner riordina il Medio Oriente», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 19 dicembre 2017, «Jared Kushner e il “diritto alla felicità” dei palestinesi», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 giugno 2018.

(3) «Abraham Accords Peace Agreement»Voltaire Network, 15 September 2020. «Le président Donald J. Trump œuvre en faveur de la paix et de la stabilité au Moyen-Orient», États-Unis (White House), Réseau Voltaire, 15 septembre 2020.

(4) «La prima guerra della NATO-MO rovescia l’ordine regionale», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 marzo 2020.

(5) «Algeria, Egitto, Emirati Arabi, Marocco e Pakistan hanno acquistato armi da Israele»Rete Voltaire, 12 giugno 2013.

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

Fonte: «Israele ed Emirati firmano gli Accordi di Abramo», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15  settembre 2020

 

 

 

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Partita l’operazione dell’esercito israeliano a Rafah. Video atroci emergono dalla zona

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L’esercito di Israele hanno lanciato un’operazione antiterrorismo mirata nella parte orientale della città di Rafah, a Gaza, hanno detto martedì le Forze di difesa israeliane (IDF).

 

Le truppe dell’IDF hanno preso il controllo operativo del lato di Gaza del valico di frontiera di Rafah, l’unico punto di passaggio tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Sia le truppe di terra dell’IDF che gli aerei da combattimento dell’IAF hanno effettuato attacchi su obiettivi di Hamas nell’area di Rafah come parte dell’operazione.

 

«Nella notte, le truppe di terra dell’IDF hanno iniziato una precisa operazione antiterrorismo basata sull’intelligence dell’IDF e dell’ISA per eliminare i terroristi di Hamas e smantellare le infrastrutture terroristiche di Hamas in aree specifiche della parte orientale di Rafah» ha scritto l’IDF su Telegram.

 


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Prima di iniziare l’operazione, l’IDF aveva esortato i residenti nell’area orientale di Rafah a evacuare temporaneamente nell’area umanitaria di Al-Mawasi. Il luogo in questione è stato ampliato per ospitare più tende, ospedali da campo, tende e rifornito con ulteriori scorte di acqua, cibo e forniture mediche, scrive il sito governativo russo Sputnik.

 

Tutte le spedizioni di aiuti umanitari a Gaza dall’Egitto attraverso il valico di Rafah sono state sospese, ha riferito il quotidiano israeliano Haaretz .

 

Oltre un milione di civili palestinesi hanno cercato rifugio a Rafah, e rapporti indicano che quasi 100.000 persone potrebbero trovarsi nella zona in cui le forze di difesa israeliane hanno sollecitato l’evacuazione. Il governo dello Stato Ebraico è stata ripetutamente avvertito che un’operazione di terra scatenerebbe una catastrofe umanitaria a Rafah.

 

Nel frattempo, immagini semplicemente atroci stanno emergendo dalla zona degli attacchi.

 


Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva dichiarato domenica che le truppe israeliane si stavano preparando per un’offensiva di terra contro la città di Rafah, nel sud di Gaza, dopo aver accusato Hamas di respingere le proposte israeliane di cessate il fuoco.

 

«Vediamo segnali che Hamas non intende attuare alcun piano. Ciò rende chiaro che nel prossimo futuro inizieranno azioni intensive a Rafah e in altre zone della Striscia di Gaza», aveva detto Gallant alle truppe israeliane secondo il giornale Israel Hayom.

 

Ieri l’ufficio stampa del governo ha annunciato che il gabinetto di guerra israeliano ha deciso all’unanimità di continuare l’operazione a Rafah per fare pressione su Hamas sulla questione del rilascio degli ostaggi.

 

L’operazione a Rafah arriva dopo che il movimento palestinese Hamas ha accettato di rilasciare 33 ostaggi israeliani in cambio di un certo numero di prigionieri palestinesi come parte della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco, secondo un documento ottenuto da Sputnik.

 

Sabato la delegazione di Hamas era arrivata al Cairo per negoziare, attraverso i mediatori egiziani, un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio dei prigionieri.

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Il presidente dell’ufficio politico del movimento palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, ha informato il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e Abbas Kamel, capo dell’intelligence egiziana, dell’accettazione di una proposta per raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, ha detto Hamas  lunedì.

 

Tuttavia, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la proposta di Hamas è «lontana dalle richieste essenziali di Israele», ma invierà i negoziatori a colloqui «per esaurire il potenziale per arrivare ad un accordo».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» ha dichiarato il ministro sionista il ministro sionista a seguito di un incontro chiesto ed ottenuto con il premier, avvenuto peraltro dopo un mostruoso incidente d’auto che ha coinvolto in Ben Gvir.

 

«Penso che il primo ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero», ha detto il ministro.

 

Il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Hamas accetta l’accordo di cessate il fuoco

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Hamas ha accettato la proposta di cessate il fuoco avanzata dai mediatori egiziani e del Qatar, ha detto lunedì ad Al Jazeera un portavoce del gruppo. L’annuncio è arrivato poco dopo che Israele ha ordinato l’evacuazione della città di Rafah in vista di un assalto pianificato da tempo.   Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha avuto telefonate con il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il ministro dell’Intelligence egiziano Abbas Kamel, informandoli «dell’approvazione da parte del movimento Hamas della loro proposta riguardante l’accordo di cessate il fuoco», ha detto il gruppo in una dichiarazione ad Al Jazeera.   I dettagli della proposta non sono ancora stati resi pubblici. Hamas ha precedentemente chiesto che qualsiasi cessate il fuoco fosse permanente e includesse il ritiro di tutte le truppe israeliane dall’enclave palestinese assediata. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rifiutato di fornire queste garanzie, avvertendo la scorsa settimana che Israele non permetterà ad Hamas di rimanere al potere a Gaza e invaderà Rafah con o senza un accordo di cessate il fuoco.

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Netanyahu, tuttavia, ha affermato che Israele è pronto per una pausa temporanea nei combattimenti per consentire lo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi.   Il primo ministro israeliano minaccia da diversi mesi di lanciare un’invasione di terra di Rafah, una città nel sud di Gaza che attualmente ospita circa 1,4 milioni di palestinesi sfollati da altre parti del territorio. Nonostante la condanna di Stati Uniti, Unione Europea e decine di altri Paesi, lunedì l’esercito israeliano ha ordinato ai civili di lasciare Rafah, avvertendo che di lì a poco avrebbe colpito la città con «forza estrema», scrive RT.   Non è chiaro se la minaccia di invasione abbia influenzato la decisione di Hamas di accettare la proposta di cessate il fuoco. Nonostante l’insistenza di Netanyahu nell’entrare a Rafah, altri funzionari israeliani hanno suggerito che Hamas potrebbe evitare un’invasione accettando la tregua temporanea di Israele.   Non è inoltre chiaro se l’accordo proposto da Egitto e Qatar abbia il sostegno di Israele. Un anonimo funzionario israeliano ha detto a Reuters che Hamas ha accettato una versione «ammorbidita» dell’offerta iniziale dello Stato degli ebrei, che includeva conclusioni «di vasta portata» che Israele non avrebbe sostenuto.   Secondo le autorità sanitarie palestinesi, il bilancio delle vittime della ritorsione israeliana nell’enclave si avvicina a 35.000 persone uccise dalle forze israeliane.   Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non entrasse a Rafah.   «Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» ha dichiarato il ministro sionista il ministro sionista a seguito di un incontro chiesto ed ottenuto con il premier, avvenuto peraltro dopo un mostruoso incidente d’auto che ha coinvolto in Ben Gvir.   «Penso che il primo ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero», ha detto il ministro.   Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.   Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».   Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.   Come gli accordi con Hamas si concilino con l’estremismo giudaico al governo non è dato sapere, ma lo scopriremo a breve.

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Zelens’kyj: gli ucraini sono il popolo eletto di Dio. Mosca: «overdose di droga»

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha proclamato che Dio è un «alleato» dell’Ucraina nel conflitto con la Russia.  Mentre i cristiani ortodossi celebravano la Pasqua domenica, Zelens’kyj ha rilasciato un video discorso dalla cattedrale di Santa Sofia a Kiev, in cui accusava la Russia di «infrangere tutti i comandamenti». Lo riporta il sito governativo russo RT.

 

«Il mondo lo vede, Dio lo sa», ha detto. «E noi crediamo che Dio abbia sulla spalla un gallone con la bandiera ucraina. Quindi, con un simile alleato, la vita vincerà sicuramente sulla morte».

 

L’appello di Zelens’kyj ai cristiani è arrivato mentre il Parlamento ucraino esamina la legislazione che chiuderebbe la più grande chiesa cristiana del Paese, la Chiesa ortodossa ucraina (UOC). Mentre la legge è in parlamento da mesi, il governo di Zelens’kyj si è mosso per limitare l’attività della Chiesa dall’inizio del conflitto nel 2022.

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A stretto giro è arrivata anche la risposta di Mosca, che ha preso in giro ancora una volta il presidente ucraino.

 

Il presidente ucraino Zelens’kyj ha apparentemente perso il contatto con la realtà, ha suggerito la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha ridicolizzato la dichiarazione, suggerendo che fosse il risultato di una «overdose di droga».

 

«Un gallone sulla manica di Dio è la stessa storia dei rituali degli antichi ucraini eseguiti da loro da qualche parte in Mesopotamia nel momento in cui scoprirono l’America», ha detto la portavoce, riferendosi apparentemente ad alcuni meme circolanti su internet che si fanno beffe delle narrazioni di Kiev sulle origini della nazione.

 

Le dichiarazioni di Zelenskyj sono arrivate nel contesto della continua ritirata dell’esercito ucraino nel Donbass, nel mezzo dell’offensiva russa in corso. Domenica scorsa, il ministero della Difesa russo ha confermato che le forze di Mosca avevano preso il controllo del villaggio di Ocheretino, nel nord della Repubblica popolare di Donetsk, un importante centro logistico per le truppe di Kiev.

 

Secondo l’agenzia di stampa TASS, il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU) ha aperto dozzine di procedimenti penali contro i sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina, ha sanzionato i religiosi e ha privato della cittadinanza ucraina almeno 19 vescovi. Le proprietà della chiesa sono state sequestrate e i monaci sono stati sfrattati dal monastero della Lavra di Kiev, il più importante sito ortodosso in Ucraina.

 

La Chiesa ortodossa ucraina (UOC) ha profondi legami storici con la Chiesa ortodossa russa (ROC), alla quale tuttavia la prima ha rinunciato dopo che la Russia ha lanciato la sua operazione militare in Ucraina nel febbraio 2022.

 

Nonostante abbia dichiarato l’autonomia dalla Chiesa ortodossa russa (ROC), lo Zelens’kyj ha accusato la Chiesa ortodossa ucraina di agire come un «agente di Mosca», e ha promosso la Chiesa Ortodossa dell’Ucraina (OCU) creata dal governo in sua sostituzione. Organizzazione non canonica, l’OCU è stata istituita dal governo del presidente Petro Poroshenko dopo il colpo di Stato di Maidan del 2014, sostenuto dagli Stati Uniti.

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All’inizio di quest’anno, un gruppo di avvocati ha scritto al primo ministro britannico Rishi Sunak, avvertendolo che la messa al bando della UOC potrebbe causare «gravi danni agli ucraini ortodossi» e avere «terribili conseguenze per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e il suo posto nel mondo occidentale».

 

Come riportato da Renovatio 21, Zelens’kyj a inizio anno aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti dellaUOC. Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.

 

Il regime di Kiev si è spinto a vietare le preghiere in russo.

 

Il regime Zelens’kyj da mesi sostiene la repressione religiosa, annunciando nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.

 

La repressione dalla chiesa ortodossa potrebbe essersi spostata a quella cattolica: come riporta Renovatio 21, un sacerdote greco-cattolico (cioè in comunione con il papa, ma di rito bizantino) della diocesi della città dell’Ucraina occidentale Uzhgorod è stato costretto a scusarsi dopo un’omelia in cui invocava il Signore per avere la pace tra il popolo russo e quello ucraino.

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Il credere che Dio sia schierato con il proprio Paese accomuna molte realtà nazionali coinvolte in qualche modo nella situazione. Gli americani hanno talvolta addotto il pensiero di essere «il Paese di Dio», e di qui quello che si chiama l’eccezionalismo americano, che se volete è il motivo per cui nessuno degli indagati americani per crimini commessi in Italia, dal Cermis a Meredith Kercher passando per gli stupri dei soldati USA nelle basi sul nostro territorio, passa il tempo qui in prigione.

 

Poi c’è Israele, che è una nazione messianica per definizione, lo Stato del popolo eletto, dove peraltro lo Zelens’kyj ha comperato casa per i genitori – il presidente ha notorie origini ebraiche – e dove andava a trovare spesse volte il suo mentore, l’oligarca ebreo-ucraino (con ulteriore passaporto cipriota) Igor Kolomojskij, ora caduto in disgrazia.

 

Nonostante il governo della Stella di David abbia talvolta rimbalzato lo Zelens’kyj, Israele è apertis verbis un modello di riferimento per Kiev, come Paese difeso e foraggiato ad oltranza dagli USA. Al contempo, come Paese monoetnico, è stato definito ideale anche dal battaglione Azov, i cui membri vi hanno compiuto viaggi «diplomatici».

 

Infine, un altro Paese, nel recente passato, anche quello amante di mostrine con rune e svastiche, diceva «Gott mit uns», «Dio è con noi». Di chi si tratterà mai? Chiedere a Giustino Trudeau, o a Marco Zuckerberg.

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