Economia
Islam, pandemia e la fine del miracolo economico del sultano Erdogan
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Il Paese ha interrotto la vigorosa crescita economica dell’ultimo decennio. E appare destinato a una fase recessiva. Studi del sindacato confederale confermano che la soglia della povertà è di almeno 3,5 volte superiore al salario minimo. L’interventismo in politica estera per mascherare la crisi interna.
Caratterizzata da una crescita economia vigorosa a partire dagli anni duemila, la Turchia registra oggi una pesante battuta di arresto che rischia di minare il prestigio del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Caratterizzata da una crescita economia vigorosa a partire dagli anni duemila, la Turchia registra oggi una pesante battuta di arresto che rischia di minare il prestigio del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Il «sultano» ha cavalcato a lungo i buoni risultati sia da Primo Ministro, nel 2003, poi come capo dello Stato dal 2014.
Tuttavia, l’alto tasso di inflazione, disoccupazione e una politica finanziaria disastrosa nell’ultimo biennio hanno oscurato i successi, tanto da dover ripiegare sul fattore religioso e una politica a colpi di nazionalismo e islam per mascherare la profonda crisi.
L’alto tasso di inflazione, disoccupazione e una politica finanziaria disastrosa nell’ultimo biennio hanno oscurato i successi, tanto da dover ripiegare sul fattore religioso e una politica a colpi di nazionalismo e islam per mascherare la profonda crisi
Gli ultimi dati forniti dal sindacato confederato turco (TÜRK-İŞ) e relativi allo «Studio sulla linea della fame e della povertà» confermano la portata della crisi. Secondo il rapporto, per avere una dieta bilanciata e sufficiente al fabbisogno (oltre la soglia della fame), una famiglia di quattro persone deve spendere in media 320 dollari al mese (2,516 lire turche). Se aggiungiamo anche le spese per l’abbigliamento e la casa (affitto, tasse, corrente, acqua potabile, etc), insieme a trasporti, educazione, sanità, il fabbisogno schizza ad almeno 1030 dollari (8197 lire turche).
Considerando che il salario minimo in Turchia è di 2324 lire, la soglia della povertà è di almeno 3,5 volte superiore a quanto garantito dallo Stato. E a questo si aggiunge il problema relativo all’inflazione che ha determinato una impennata nei prezzi: il denaro minimo necessario per una famiglia di quattro persone che vive ad Ankara per il “cibo” è aumentata dell’1,39% in un mese. Il dato allagato agli ultimi 11 mesi mostra un aumento del 16,37%, che sale al 19,68% prendendo in esame l’ultimo bimestre. La crescita media annuale si attesta attorno al 14,57%.
Sindacalisti ed esperti concordano sugli effetti della pandemia di Covid-19 per l’economia del Paese, che hanno colpito con maggiore forza le classi medio-basse e basse della società le quali oggi devono affrontare difficoltà crescenti.
Dai salari insufficienti all’inflazione, la disoccupazione sono tutti elementi che aggravano ogni giorno di più la situazione e finiscono per offuscare l’immagine vincente nell’ultimo decennio del presidente Erdogan
Dai salari insufficienti all’inflazione, la disoccupazione sono tutti elementi che aggravano ogni giorno di più la situazione e finiscono per offuscare l’immagine vincente nell’ultimo decennio del presidente Erdogan, che per troppo tempo ha ostentato sicurezza – e indifferenza – di fronte a una crisi crescente. Il tutto mentre a dipendenti, salariati e pensionati è sempre più difficile chiedere di compiere ulteriori sacrifici.
Interpellato da L’Orient-Le Jour (LOJ) Soner Cagaptay, esperto di Turchia al Washington Institute, sottolinea che la longevità del potere di Erdogan è stata lungo ascrivibile ai suoi successi economici. «Ha strappato – spiega – molte persone alla povertà, questa è una delle ragioni del successo attorno a lui. Dal 2002 al 2016 il Pil è raddoppiato e il Paese ha registrato una crescita media del 5,5% su scala annuale, attirando molti investitori».
Poi è arrivata la crisi, che le politiche del genero del presidente Berat Albayrak non hanno saputo arginare. Anzi, per molti esperti ed analisti egli, assieme al direttore della Banca centrale, è fra i maggiori responsabili dei dissesti dell’ultimo biennio, tanto da costringere Erdogan a rimpiazzarli, in tutta fretta, nell’ultimo periodo mentre il Paese è entrato ufficialmente in recessione.
«Non gli basta più il sostegno occasionale di altri partiti per controllare il Paese, ma deve contare su una minoranza per continuare a opprimere la maggioranza. Una svolta»
«Questa – avverte Cagaptay – è la ragione della sconfitta elettorale a Istanbul e Ankara e in altre grandi città alle ultime amministrative».
L’interventismo in politica estera, l’uso strumentale dell’islam e i cambi al vertice dell’economia sembrano, almeno per il momento, aver sortito effetti e la popolarità di Erdogan appare salda. Tuttavia, in molti concordano sul fatto che la sua carriera politica stia vivendo un passaggio cruciale e, conclude Cagaptay, «non gli basta più il sostegno occasionale di altri partiti per controllare il Paese, ma deve contare su una minoranza per continuare a opprimere la maggioranza. Una svolta».
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Immagine di strassenstriche.net via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
Economia
La Spagna è uno dei principali importatori di gas russo
La Spagna ha intensificato gli acquisti di gas naturale russo nel 2023, con le importazioni che dovrebbero raggiungere il massimo storico entro la fine dell’anno, ha riferito venerdì il quotidiano El Mundo, citando i dati dell’operatore della rete di gas del Paese Enagas.
Secondo il rapporto, quest’anno la Spagna ha finora acquistato l’equivalente di 60.770 gigawatt di gas naturale liquefatto (GNL) dalla Russia, con un aumento del 43% rispetto allo stesso periodo del 2022.
Da gennaio a ottobre, la Russia è stata il terzo maggiore esportatore di GNL verso la Spagna, fornendo il 18,1% delle importazioni complessive di gas del paese, superata solo dall’Algeria (28,8%) e dagli Stati Uniti (20,1%). Dal 2018, quando il gas russo rappresentava solo il 2,4% delle importazioni di gas della Spagna, la dipendenza del Paese dall’energia russa è aumentata di sei volte.
Il GNL russo non è soggetto alle sanzioni imposte dall’UE a Mosca dallo scorso anno in risposta al conflitto in Ucraina, nonostante i ripetuti appelli di alcuni funzionari dell’UE a vietarne l’importazione. La Spagna ha sei impianti di rigassificazione ed è uno dei principali porti di ingresso per le navi metaniere nel blocco.
Oltre alla Spagna, Francia e Belgio sono stati tra i paesi che quest’anno hanno incrementato i loro acquisti di GNL russo, come mostrano i dati di localizzazione delle navi.
Secondo un precedente rapporto del Financial Times, l’UE ha rivenduto più di un quinto delle sue importazioni di GNL russo, tramite trasbordo nei suoi porti, a paesi come Cina, Giappone e Bangladesh.
Nel frattempo, le sanzioni hanno visto la maggior parte delle importazioni di gasdotto dalla Russia nell’UE bloccate dallo scorso anno. Hanno cominciato a diminuire a causa della distruzione dei gasdotti Nord Stream e del rifiuto di alcuni Stati membri dell’UE di pagare il carburante in rubli.
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Immagine di Andrew Rees via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic
Economia
Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero
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Alimentazione
La sinistra tedesca vuole un tetto massimo per il prezzo del kebab
Die Linke, il partito della sinistra tedesca ha proposto allo Stato di sovvenzionare i kebab con quasi 4 miliardi di euro all’anno. Negli ultimi anni l’inflazione e l’aumento dei costi energetici hanno quasi raddoppiato il prezzo dello popolare panino turco. Sono i grandi temi della sinistra moderna.
In un documento politico visionato dal tabloid tedesco Bild e riportato domenica, Die Linke ha proposto di limitare il prezzo di un doner kebab a 4,90 euro o 2,50 euro per studenti, giovani e persone a basso reddito. Con un costo medio di un kebabbo pari a 7,90 euro, il resto del conto sarà a carico del governo, si legge nel documento.
«Un limite di prezzo per il kebab aiuta i consumatori e i proprietari dei negozi di kebab. Se lo Stato aggiungesse tre euro per ogni kebab, il prezzo massimo del kebab costerebbe quasi quattro miliardi», scrive il partito sul giornale, spiegando che ogni anno in Germania si consumano circa 1,3 miliardi di kebabbi.
«Quando i giovani chiedono: Olaf, riduci il kebab, non è uno scherzo su Internet, ma un serio grido d’aiuto», ha detto alla Bild la dirigente del partito di sinistra Kathi Gebel, riferendosi al cancelliere tedesco Olaf Scholz. «Lo Stato deve intervenire affinché il cibo non diventi un bene di lusso».
Introdotto in Germania dagli immigrati turchi negli anni ’70, il doner kebab è diventato in pratica la forma di fast food preferito dalla nazione già teutonica, tracimando anche nel resto d’Europa, come in Italia, dove più che turchi i kebabbari sono nordafricani o talvolta pakistani.
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Tuttavia, mentre Die Linke descrive il panino con l’agnello carico di salsa come un alimento base quotidiano per alcune famiglie, la maggior parte dei medici e dei nutrizionisti ne consiglierebbe il consumo solo come spuntino occasionale.
Uno studio scozzese del 2009 ha rilevato che il doner kebab medio conteneva il 98% dell’assunzione giornaliera raccomandata di sale di un adulto e il 150% dell’assunzione raccomandata di grassi saturi, scrive RT.
Per anni in Germania il prezzo di un doner kebab si è aggirato intorno ai 4 euro. Tuttavia, l’aumento dei costi energetici e l’inflazione che hanno seguito la decisione di Scholz di mettere l’embargo sui combustibili fossili russi hanno costretto i venditori ad aumentare i prezzi.
«Siamo stati costretti ad aumentare i prezzi a causa dell’esplosione dei prezzi degli affitti, dell’energia e dei prodotti alimentari», ha detto al giornale britannico Guardian un gestore di uno stand di kebabbi a Berlino. «La gente ci parla continuamente di “Donerflazione”, come se li stessimo prendendo in giro, ma è completamente fuori dal nostro controllo».
Molti tedeschi accusano lo Scholz di averli privati della kebbaberia a buon mercato, una catastrofe che li spinge verso prospettive di pacifismo sul fronte russo. «Pago otto euro per un doner», ha urlato un manifestante a Scholz nel 2022, prima di implorare il cancelliere di «parlare con Putin, vorrei pagare quattro euro per un doner, per favore».
«È sorprendente che ovunque vada, soprattutto tra i giovani, mi venga chiesto se non dovrebbe esserci un limite di prezzo per il doner», ha osservato lo Scholzo in un recente video su Instagram. Tuttavia, il cancelliere ha escluso una simile mossa, elogiando invece il «buon lavoro della Banca Centrale Europea» nel presumibilmente tenere l’inflazione sotto controllo.
Kebabbari, kebabbani e kebabbati non sono gli unici tedeschi a soffrire sotto Scholz. Il mese scorso, il più grande produttore di acciaio tedesco, Thyssenkrupp, ha annunciato «una sostanziale riduzione della produzione» nel suo stabilimento di Duisburg, licenziando 13.000 dipendenti. L’azienda ha attribuito il calo di produttività agli «alti costi energetici e alle rigide norme sulla riduzione delle emissioni».
Meno di una settimana dopo l’annuncio dei tagli da parte della Thyssenkrupp, il Fondo monetario internazionale ha rivisto le prospettive di crescita economica della Germania dallo 0,5% allo 0,2% quest’anno. Secondo i dati, nel 2024 la Germania dovrebbe registrare la crescita più debole tra tutti gli stati appartenenti al gruppo G7 dei paesi industrializzati.
Riguardo al kebab, da decenni circola tra i giovani tedeschi la leggenda metropolitana secondo la quale in un singolo panino kebap sarebbe stata rivenuta una quantità di sperma da uomini differenti, a indicazione, secondo il significato certamente xenofobo della storia, del disprezzo degli immigrati per i cittadini tedeschi.
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