Cina
Intelligenza artificiale, Pechino esplora la «guerra cognitiva»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel dibattito sugli utilizzi delle nuove frontiere della tecnologia la dimensione militare sta assumendo sempre più peso. I furti di dati personali come arma per creare un contesto favorevole in caso di conflitto. Mentre l’esercito cinese studia la possibilità di tecnologie indossabili per «guidare» le decisioni dei propri soldati.
Il tema dell’Intelligenza Artificiale è emerso con forza in questi giorni al Forum sulla Belt and Road Initiative, l’evento voluto dal presidente cinese Xi Jinping per celebrare i dieci anni della «nuova via della seta».
Il Forum è stata l’occasione per criticare aspramente il blocco voluto dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden all’esportazione di tecnologia avanzata nella Repubblica popolare cinese. E per manifestare – al contrario – il parere favorevole di Pechino all’istituzione di un organismo Onu per il governo globale delle applicazioni dell’intelligenza artificiale.
La questione non è solo economica ma ha anche un ormai molto evidente risvolto militare: l’Esercito popolare di liberazione cinese (PLA) è infatti sempre più concentrato sulla «guerra intelligente», sviluppando nuovi sistemi militari che si basano sull’intelligenza artificiale e che alcuni esperti chiamano ormai la «guerra cognitiva». Il termine si riferisce a operazioni basate su tecniche e tecnologie volte a influenzare le opinioni (i bias) dei propri avversari in modo da plasmare anche le loro decisioni, creando così un ambiente strategicamente favorevole.
«In Cina è in corso un dibattito attivo sulla guerra cognitiva e su come il suo sviluppo potrebbe attrarre molto i politici cinesi, in particolare nel contribuire a ottenere la vittoria a Taiwan senza l’uso di armi convenzionali», commentava qualche mese fa al sito Japan Times Koichiro Takagi, esperto di tecnologia informatica militare e membro del think tank Hudson Institute con sede a Washington.
Del resto quanto sia diventata importante l’Intelligenza Artificiale per la sicurezza nazionale e le ambizioni militari della Cina fuori dai suoi confini è stato sottolineato dallo stesso Xi Jinping: a inizio ottobre, sottolineando l’impegno di Pechino per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie all’avanguardia, ha espressamente associato il campo militare con quello civile.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Anche l’esercito statunitense sta lavorando per integrare l’intelligenza artificiale con l’elaborazione delle informazioni e le armi senza pilota. Tuttavia, la guerra cognitiva aprirebbe una nuova frontiera non solo nel modo di fare la guerra, che un sistema politico come quello della Repubblica Popolare Cinese, caratterizzato da un rigido controllo dell’informazione, renderebbe ancora più pericoloso: «La guerra cognitiva potrebbe dipanarsi anche tramite deep fake, ovvero la manipolazione accurata di video e immagini dell’opinione pubblica a Taiwan», aggiunge Takagi. E perché questo accada, secondo l’analista, la Cina non solo dovrebbe sviluppare le necessarie capacità di ingegneria informatica, ma anche accumulare una grande quantità di informazioni personali dettagliate.
Takagi, che ha studiato Intelligenza Artificiale e data mining (estrazione dei dati), ritiene che la Cina abbia già raccolto un’enorme quantità di dati su funzionari governativi e comuni cittadini statunitensi attraverso diversi e capillari attacchi informatici.
Nel 2015, l’Office of Personnel Management degli Stati Uniti, l’agenzia che gestisce la forza lavoro civile del governo, ha scoperto che alcuni dei loro file personali erano stati violati, inclusi milioni di moduli contenenti informazioni personali raccolte nei controlli dei precedenti di persone che richiedevano nulla osta di sicurezza del governo, insieme a registrazioni delle impronte digitali di milioni di persone. Sebbene non sia stata trovata alcuna prova definitiva sull’origine degli autori degli attacchi, le agenzie di Washington ritengono che l’hacking sia stato opera di cellule che lavoravano per il governo cinese.
Non si è trattato di un incidente isolato. Cinque anni dopo, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato accuse contro quelli che ha descritto come quattro «hacker cinesi sostenuti dall’esercito» in relazione a un attacco informatico del 2017 contro Equifax, un’agenzia di reporting del credito al consumo. L’intrusione ha portato al più grande furto conosciuto di informazioni di identificazione personale.
Nel frattempo nello scorso mese di agosto l’esercito cinese ha detto di essere al lavoro a una tecnologia indossabile e un «sistema di supporto psicologico attraverso l’AI» per migliorare le performance dei propri soldati in situazioni di combattimento reali: «le persone sono sempre il fattore decisivo nell’esito di una guerra, e il funzionamento efficace delle persone dipende dal sostegno di una buona situazione psicologica e di una qualità psicologica stabile», aggiunge l’analista.
C’è dunque anche tutto questo dietro alle restrizioni di Washington alla vendita alla Cina di chip avanzati per l’intelligenza artificiale e il supercalcolo: «queste restrizioni potrebbero essere molto efficaci, poiché sarà estremamente difficile per la Cina replicare nel breve termine i semiconduttori di fascia alta sviluppati sia negli Stati Uniti che a Taiwan», conclude Takagi.
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen, la China Rare Earth Resources and Technology ha riferito che l’industria sta affrontando una «fase cruciale» a livello mondiale. La Cina continua a essere leader nell’estrazione e lavorazione dei minerali, ma le difficoltà dell’economia nazionale e la volontà degli altri Paesi di creare nuove catene di approvvigionamento stanno generando ricavi nettamente minori.
Nonostante gli sforzi da parte del governo cinese di dominare a livello mondiale il settore strategico delle terre rare, i ricavi e i profitti delle aziende che si occupano di estrazione e lavorazione di questi minerali essenziali per il mondo digitale hanno registrato una contrazione. Il conglomerato China Rare Earth Resources and Technology, di proprietà statale, ha comunicato un calo del fatturato del 5,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre l’utile netto è crollato del 45,7%.
I dati relativi al primo trimestre del 2024 sono ancora più gravi: il fatturato è sceso dell’81,9%, portando a una perdita netta di 288,76 milioni di yuan (meno di 40 milioni di dollari), contro un utile netto di 108,97 milioni di yuan nello stesso periodo dell’anno precedente. Anche altre aziende cinesi hanno riportato riduzioni del fatturato tra il 60% e il 79%, in linea con il generale rallentamento dell’economia nazionale.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen della settimana scorsa, la China Rare Earth Resources and Technology ha spiegato che il settore sta affrontando una «fase cruciale» caratterizzata da rapidi sviluppi e adattamenti strutturali su scala globale che hanno determinato un’erosione dei guadagni. In altre parole, nonostante la Cina resti di gran lunga il primo estrattore mondiale di terre rare, altri Paesi hanno cercato di costruire catene di approvvigionamento alternative.
Per alcuni tipi di minerali, nuove catene di approvvigionamento «sono già state create», ha proseguito il comunicato della China Rare Earth Resources and Technology, che ha affermato di aver attuato «aggiustamenti nella strategia di vendita», senza fornire ulteriori dettagli. Inoltre, un numero crescente di aziende cinesi ha importato minerali estratti all’estero (soprattutto dal Myanmar) a causa delle difficoltà economiche interne, e in particolare di un calo della domanda. Una situazione che non vede miglioramenti e potrebbe portare al «rischio» di un ulteriore calo di prezzi, ha sottolineato ancora la società.
I dati ufficiali delle dogane cinesi confermano tali affermazioni, secondo il Nikkei Asia: le importazioni di alcune terre rare sono aumentate di circa il 60% ed è stato rivisto il limite di estrazione delle terre rare, stabilito a livello nazionale, per consentire un aumento della produzione interna del 21%.
Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali fondamentali per la produzione di una serie di tecnologie, che vanno dalle batterie delle auto elettriche alle turbine delle pale eoliche ai pannelli solari. Secondo i dati dell’US Geological Survey (USGS), le riserve mondiali di terre rare ammontano a 110 milioni di tonnellate, di cui il 40% si trovano in territorio cinese. Seguono poi, per estensione di giacimenti, il Myanmar, la Russia, l’India e l’Australia.
I dati dell’USGS mostrano anche che nel 2023 la Cina è stata responsabile dell’estrazione di 240mila tonnellate di terre rare, pari a circa due terzi della produzione globale. Gli Stati Uniti si sono piazzati al secondo posto, seguiti dal Myanmar, ed entrambi lo scorso anno hanno triplicato la produzione.
Negli ultimi anni la Cina è diventata leader del settore migliorando le proprie capacità di estrazione e lavorazione, ma anche ottenendo il controllo di diversi giacimenti in altre zone del mondo. Un’indagine della BBC ha individuato almeno 62 progetti destinati all’estrazione di litio, cobalto nichel o manganese (minerali necessari per la realizzazione di tecnologie verdi) in cui le aziende cinesi hanno una partecipazione.
La regolamentazione del settore a livello nazionale è iniziata nel 2010 e nel corso gli anni, a seguito di una serie di fusioni, sono state create quattro società principali, tra cui il gruppo China Rare Earth, controllato direttamente dal Consiglio di Stato cinese.
Anche il mese scorso il presidente Xi Jinping, durante una visita nell’Hunan una delle maggiori regioni produttrici, ha ribadito la necessità di «migliorare ulteriormente» lo sviluppo dell’utilizzo delle terre rare per generare una «crescita di alta qualità» e di fornire un «alto livello di sicurezza» alla nazione.
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
La Cina accusata di aver sequenziato il DNA tibetano e uiguro per rifornire il mercato dei trapianti di organi
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
-
Vaccini2 settimane fa
Lanciati i vaccini RNA monodose contro COVID e influenza per i bambini. I critici: «livelli di follia senza precedenti»
-
Droni2 settimane fa
I droni israeliani attirano i palestinesi con audio di bambini che piangono e poi gli sparano
-
Salute1 settimana fa
I malori della 17ª settimana 2024
-
Spirito1 settimana fa
Sacrifici animali fermati sul Monte del Tempio di Gerusalemme
-
Pensiero2 settimane fa
«Preghiera» pagana a Zeus ed Apollo recitata durante cerimonia di accensione della torcia olimpica. Quanti sacrifici umani verranno fatti, poi, con l’aborto-doping?
-
Ospedale1 settimana fa
«Sapevo che stavano uccidendo le persone»: un informatore afferma che i protocolli ospedalieri COVID hanno portato alla morte dei pazienti
-
Epidemie2 settimane fa
La Casa Bianca di Biden firma un nuovo piano di sorveglianza pandemica finanziato da Gates
-
Pensiero7 giorni fa
I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo