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Persecuzioni

India, nuovo rapporto schiacciante sulla persecuzione dei cristiani

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Secondo un rapporto pubblicato il 4 novembre 2025 dall’ONG United Christian Forum (UCF), gli attacchi contro i cristiani in India sono aumentati di oltre il 500% in un decennio. Questa escalation, che continua dall’inizio del 2025 in un contesto di quasi totale blackout mediatico, con 549 casi segnalati tra gennaio e settembre, illustra la persecuzione sistematica condotta in nome dell’ideologia indù promossa dal Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi, al potere dal 2014.

 

Per un Paese che si dichiara una democrazia basata sulla diversità religiosa, il rapporto del 4 novembre è un duro colpo: i cristiani indiani stanno affrontando un’ondata di violenza senza precedenti. Il numero di incidenti registrati è balzato da 139 nel 2014 a 834 nel 2024. In totale, durante questo periodo sono stati registrati 4.595 atti di violenza, che hanno colpito individui, famiglie, comunità e istituzioni. E coloro che scelgono di parlare rappresentano solo la punta dell’iceberg.

 

I leader religiosi e laici delle comunità cristiane non usano mezzi termini: questa violenza si è intensificata ed è diventata sistematica da quando l’attuale primo ministro, Narendra Modi, è salito al potere, il cui governo è accusato di chiudere un occhio sugli abusi degli estremisti indù. AC Michael, coordinatore nazionale dello United Christian Forum (UCF), una ONG fondata nel 2014 per difendere i diritti dei cristiani, denuncia una «crescita esponenziale e senza precedenti della violenza».

 

«Questi attacchi colpiscono l’intero Paese, ma solo 39 indagini di polizia sono state aperte sui 549 casi di quest’anno, il che rappresenta un tasso di impunità del 93%», ha aggiunto. Con solo il 2,3% della popolazione indiana – circa 32 milioni di persone su 1,4 miliardi – i cristiani costituiscono una minoranza vulnerabile, spesso presa di mira per la loro fede in un contesto di crescente nazionalismo indù.

 

Per comprendere questa impennata, dobbiamo tornare al 2014, anno in cui il BJP vinse le elezioni generali sotto la bandiera dell’hindutva, un’ideologia che promuove l’induismo come unica identità nazionale. Dodici dei ventotto stati indiani, per lo più governati dal BJP, adottarono leggi anti-conversione, ufficialmente intese a prevenire le “conversioni forzate”. In realtà, queste leggi vengono utilizzate per vessare i cristiani e altre minoranze.

 

Ad esempio, in Jharkhand, una legge del 2017 punisce le conversioni forzate con una multa di 50.000 rupie (circa 550 euro) e una pena detentiva fino a tre anni. Chiunque desideri convertirsi deve notificarlo alle autorità locali, specificando le ragioni e il luogo in cui si verifica; in caso contrario, rischia un procedimento penale. Le pene sono inasprite per i minori, le donne, i membri di tribù indigene o coloro che appartengono a caste inferiori (i Dalit).

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Queste leggi servono da pretesto per accuse infondate di «tattiche subdole» di proselitismo cristiano. I nazionalisti indù, raggruppati attorno al Rashtriya Swayamsevak Sangh – RSS, l’ala ideologica e dottrinale del BJP – organizzano regolarmente incursioni nei villaggi per cerimonie di «riconversione» forzata all’induismo, il «Ghar Wapsi» o ritorno a casa: un programma davvero notevole.

 

Geograficamente, la violenza è concentrata in cinque stati, che rappresentano quasi il 77% degli incidenti registrati: Uttar Pradesh con 1.317 attacchi, seguito da Chhattisgarh (926), Tamil Nadu (322), Karnataka (321) e Madhya Pradesh (319). In queste regioni, spesso rurali e segnate dalla povertà, i cristiani – per lo più Dalit, spesso convertiti per sfuggire al sistema delle caste – diventano capri espiatori.

 

Nell’Uttar Pradesh, ad esempio, personalità religiose sono state arrestate per «offesa al sentimento religioso» dopo sermoni ritenuti provocatori. Nel Chhattisgarh, interi villaggi sono assediati dalle milizie indù, costringendo le famiglie ad abiurare la propria fede sotto la minaccia di essere bruciate sul rogo o espulse.

 

Le conseguenze sono devastanti. Oltre alle aggressioni fisiche – percosse, incendi di chiese e stupri di gruppo – questi attacchi minano il tessuto sociale e comunitario. I bambini cristiani vengono esclusi dalle scuole, gli ospedali missionari vengono chiusi e gli aiuti governativi vengono negati ai Dalit cristiani, considerati come coloro che hanno «abbandonato» la loro casta d’origine.

 

Di fronte a questa crescente ondata di violenza, le comunità cristiane si stanno mobilitando. Il 29 novembre si è tenuta a Nuova Delhi una grande marcia, con partecipanti provenienti da tutto il Paese. Questa manifestazione mirava non solo a protestare contro la persecuzione in corso, ma anche a denunciare l’esclusione dei Dalit cristiani dai programmi di aiuti governativi e le crescenti minacce ai diritti dei cristiani indigeni.

 

«Stiamo marciando per la nostra dignità e libertà di culto, sancite dalla Costituzione indiana», ha affermato AC Michael, chiedendo una riforma delle leggi anti-conversione e una reale applicazione della giustizia.

 

Questa mobilitazione giunge mentre l’India, quinta economia mondiale, aspira a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma come può, sostengono i cristiani, un Paese che tollera una tale persecuzione religiosa rivendicare una qualche autorità morale ? Questo trascura il fatto che l’economia e la geopolitica operano secondo principi sconosciuti alla ragione guidata dallo Spirito Santo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Prime Minister’s Office, Government of India via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine ingrandita

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Famosa suora croata accoltellata: possibile attacco a sfondo religioso

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Una suora di 34 anni è stata gravemente ferita a coltellate nel quartiere Malešnica di Zagabria, in Croazia. L’aggressione, avvenuta il 28 novembre, è al centro di un’indagine penale della polizia che non esclude la matrice religiosa.   La vittima, Suor Marija Tatjana Zrno delle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, è stata colpita più volte all’addome con un oggetto appuntito. Rientrata per pochi istanti in convento, è stata poi immediatamente trasportata al Centro Ospedaliero Universitario delle Suore della Carità, dove i medici l’hanno sottoposta a cure e accertamenti. Le sue condizioni sono serie ma stabili: non è più in pericolo di vita.   Secondo fonti giornalistiche e informazioni circolate immediatamente dopo l’attacco, l’aggressore sarebbe un migrante che avrebbe urlato un inevitabile «Allahu akbar» durante l’aggressione. Il giornalista croato Marin Vlahović, primo a dare la notizia, ha parlato di una fonte attendibile secondo cui l’uomo avrebbe pronunciato slogan di natura religiosa.

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La polizia, pur confermando di aver aperto un fascicolo per lesioni gravi, non ha ancora reso pubblico il movente, limitandosi a dichiarare che sta «verificando tutte le circostanze». Fonti citate dall’agenzia cattolica IKA riferiscono però che gli inquirenti stanno valutando con attenzione eventuali «elementi di motivazione religiosa o ideologica».   Suor Marija Tatjana, originaria di Šujica (Bosnia ed Erzegovina) e residente nel convento di via Frankopanska a Zagabria, è molto conosciuta e amata in Croazia.   Insegna religione in una scuola elementare ed è divenuta celebre per la sua passione per il calcio, vissuta con gioia e senza mai nasconderla sotto l’abito religioso. Conduttrice su Laudato TV di programmi dedicati allo sport, è una grande tifosa del centrocampista Luka Modrić (che ha sempre difeso per la sua fede ostentata) e durante i Mondiali ha promosso l’iniziativa «Rosario per il Fuoco», coinvolgendo migliaia di persone – compresa la nonna di Ivan Perišić – in preghiera per la nazionale croata.   In un’intervista rilasciata in passato aveva spiegato: «Per essere un buon calciatore bisogna allenarsi ogni giorno; lo stesso vale per la vita spirituale: senza costanza nella preghiera si diventa tiepidi».   I media cattolici croati hanno lanciato un appello alla preghiera per la sua completa guarigione, mentre le indagini proseguono per fare piena luce sull’accaduto.

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Difensore dei diritti umani nigeriano: il cardinale Parolin sta «incoraggiando» gli attacchi dei musulmani contro i cristiani

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Il presidente del consiglio direttivo di un’importante organizzazione nigeriana per i diritti umani ha accusato duramente il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di fornire «copertura diplomatica» ai terroristi islamici e di incoraggiare nuovi massacri di cristiani in Nigeria, sminuendo apertamente il carattere religioso del genocidio in corso nel Paese.

 

In un’intervista rilasciata la scorsa settimana a Crux e pubblicata il 27 novembre, Emeka Umeagbalasi, presidente della International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety), ha definito «devastanti» le parole di Parolin, che a ottobre aveva descritto la violenza contro i cristiani nigeriani come un semplice «conflitto sociale» e non come persecuzione religiosa, nel corso di un evento in Vaticano dedicato al Rapporto 2025 sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).

 

«Quando il Segretario di Stato vaticano presenta la crisi come un “conflitto sociale” invece che come persecuzione religiosa, demoralizza i cattolici e gli altri cristiani nel mondo che guardano alla Chiesa come guida e sostegno», ha dichiarato Umeagbalasi. «Questa impostazione diplomatica attenua la gravità della situazione e offre copertura a chi compie la violenza».

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L’attivista ha aggiunto che minimizzare la dimensione religiosa del conflitto non solo indebolisce l’autorità morale storica della Chiesa cattolica, ma «incoraggia gli islamisti a proseguire questi attacchi feroci». «La Chiesa è sempre stata un faro di speranza e di autorità morale. Quando i suoi alti rappresentanti sembrano contraddire o attenuare dichiarazioni chiare sulla persecuzione, ciò indebolisce la posizione della Chiesa e incoraggia chi vuole continuare la violenza», ha sottolineato.

 

Umeagbalasi ha anche respinto l’argomentazione di Parolin secondo cui in Nigeria vengono uccisi anche musulmani: «È vero che muoiono musulmani, ma questo non cancella la natura mirata della persecuzione contro i cristiani. Le statistiche indicano che circa sette vittime su dieci per motivi religiosi sono cristiane. I musulmani uccisi lo sono generalmente da altri musulmani in Stati a maggioranza islamica come Zamfara, Sokoto o Katsina, e non certo da “jihadisti cristiani”».

 

Il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha inserito la Nigeria tra i 24 Paesi peggiori al mondo per persecuzione religiosa, sottolineando la combinazione di «governo autoritario ed estremismo religioso» e il ruolo della criminalità organizzata. La Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha nuovamente chiesto che Abuja venga designata «Paese di particolare preoccupazione», denunciando l’impunità di cui godono gli aggressori.

 

Le parole di Parolin hanno già suscitato dure reazioni anche all’interno della Chiesa. L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico in Nigeria (1992-1998), le ha definite «vergognose» e sintomo di «tradimento» verso i cattolici perseguitati.

 

«No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» ha scritto il prelato lombardo.

 

Secondo Umeagbalasi, la posizione del Segretario di Stato vaticano finisce per «rispecchiare pericolosamente la narrazione del governo nigeriano», che da anni nega che i cristiani siano presi di mira specificamente per la loro fede, nonostante l’intensificarsi degli attacchi jihadisti dopo l’introduzione della sharia in dodici Stati del nord nel 1999 e l’ascesa di Boko Haram nel 2009.

 

Come riportato da Renovatio 21, contrariamente al cardinale Parolin, il presidente americano Donaldo Trump ritiene che in Nigeria sia in atto una persecuzione anticristiana, che potrebbe risolvere con un’azione militare. L’ambasciatore americano all’ONU Mike Waltz ha dichiarato che la persecuzione dei cristriani nigeriani costituisce un «genocidio».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Il Quebecco propone di vietare la preghiera pubblica e di inasprire le leggi contro i simboli religiosi

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Il governo del Quebecco ha introdotto un progetto di legge innovativo che, in caso di approvazione, proibirà la preghiera in pubblico e i sussidi alle scuole confessionali, intensificando altresì i divieti sull’esibizione di emblemi religiosi in contesti pubblici. Lo riporta LifeSite.   La provincia ha di recente nominato Jean-François Roberge come ministro della Laicità. Il 27 novembre, Roberge ha sottoposto all’Assemblea Nazionale il disegno di legge 9, intitolato «Legge sul potenziamento della laicità in Quebecco». Gli oppositori lo hanno bollato come un assalto alle prerogative religiose dei residenti. Tuttavia, il Quebeccoha preannunciato l’impiego della clausola di non obstante per preservarne la vigenza, neutralizzando potenziali impugnative giudiziarie.   Sei anni or sono, la regione aveva emanato una norma che impediva a docenti, magistrati, poliziotti e altri incaricati pubblici di sfoggiare simboli religiosi. Roberge, tuttavia, ha confidato ai cronisti che l’aggiornamento normativo si impone poiché la società è «evoluta».

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«I quebecchesi hanno compiuto passi avanti dal 2019, rendendo imprescindibile il consolidamento del nostro paradigma laico», ha argomentato, specificando che il testo sarà «audace, ma temperato».   Ad agosto il Quebecco aveva ventilato il bando della preghiera negli spazi aperti; comunità musulmane avevano preso a recitare nelle vie e nei giardini della provincia.   Nei primi mesi del 2025, il divieto sui cosiddetti emblemi religiosi è stato esteso all’intero corpo docente, precludendo l’uso di crocifissi o croci a chiunque operi in ambito scolastico.   Il nuovo provvedimento interdirà pure l’indosso di hijab e turbanti per il personale di scuole, asili e atenei. Potrebbe altresì precludere agli educatori la portatura di monili con croce, pure in istituti cattolici, e proscrivere l’apparizione di qualsivoglia segno confessionale nelle missive emesse da enti pubblici. Vieterebbe inoltre l’allestimento di stanze per la preghiera in sedi statali.   Il premier provinciale François Legault appoggia con fermezza l’iniziativa, dichiarando all’inizio di novembre che nella sua giurisdizione aleggia una minaccia da parte di «islamisti estremisti».   All’inizio del 2025 l’arcivescovo cattolico di Montréal, Christian Lépine, ha stigmatizzato il divieto di preghiera abbozzato dal Quebecco, equiparandolo a un’interdizione del pensiero.   «La preghiera, nella sua essenza più pura, è un moto interiore», ha scritto. «Rappresenta un’intenzione rivolta a Dio, che è benevolenza, una manifestazione nel creato, un mezzo per anelare la serenità. D’altronde, talune recenti iniziative per proscrivere la preghiera collettiva destano gravi interrogativi sul rispetto delle libertà basilari in una democrazia».   Come riportato da Renovatio 21, pochi mesi fa il Quebecco ha proposto una legge per sancire un apparente «diritto» all’aborto nella bozza di costituzione della provincia canadese.   La provincia ha registrato un aumento del 17% dei decessi per eutanasia nel 2023 rispetto al 2022, con il programma che ha causato la morte di 5.686 persone. Questa cifra elevata rappresenta un impressionante 7,3% di tutti i decessi nella provincia, collocando il Québec in cima alla lista a livello mondiale. Di conseguenza, si è avuto anche il rivoltante record per la predazione degli organi, con la triplicazione dei trapianti da vittime di eutanasia.   Come riportato da Renovatio 21, ad agosto l’Ordine dei medici del Quebecco ha dichiarato che l’eutanasia è un «trattamento appropriato» per i bambini nati con gravi problemi di salute. L’eutanasia per i neonati era stata sostenuta dai medici quebecchesi ancora tre anni fa, mentre è discussa apertamente l’eliminazione eutanatica dei malati di demenza.

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Il Quebecco provincia della Necrocultura aveva dato il meglio di sé durante la pandemia, proponendo una tassa per i non vaccinati (come gli islamici per i dhimmi, i non credenti) e proibendo i negozi di alcolici ai non punturati.   Gli effetti del fondamentalismo necroculturale furono pienamente visibili persino alla TV quebecchese, dove si videro dei bambini dire che contro i non vaccinati bisognava «chiamare la polizia» e «togliere loro ogni cosa».     Ad un canale TV del Quebec era apparso qualche giorno prima anche il premier Justin Trudeau, che aveva enigmaticamente definito i non vaccinati come «misogini» e «razzisti», per poi arrivare a chiedersi se era il caso di «tollerare queste persone».  

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