Cina
India e Cina dicono di aver raggiunto un accordo sul confine conteso

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Si tratta di una notizia che ricalca precedenti annunci e potrebbe portare a un vertice bilaterale tra Narendra Modi e Xi Jinping a margine del vertice Brics in corso a Kazan, in Russia, e a cui prendono parte per la prima volta anche Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti. I negoziati tra Delhi e Pechino degli ultimi quattro anni si erano conclusi in un nulla di fatto e per gli esperti si è lungi dal risolvere le dispute nei rapporti diplomatici.
L’India e la Cina hanno annunciato di aver raggiunto un accordo sul pattugliamento nella regione contesa del Ladakh, dove a giugno 2020 gli eserciti dei due Paesi si sono scontrati provocando la morte di 20 soldati indiani e quattro cinesi.
A comunicarlo, ieri, è stato il ministero degli Esteri indiano, che ha diffuso la notizia poco prima dell’arrivo del primo ministro indiano Narendra Modi a Kazan, in Russia, dove, da oggi fino al 24 ottobre, si terrà il vertice dei Brics, il gruppo di Paesi creato nel 2009 e inizialmente composto da Brasile, Russia, India, Cina e a cui poi si è aggiunto anche il Sudafrica.
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Negli ultimi quattro anni le tensioni tra India e Cina lungo la frontiera (chiamata Line of Actual Control, linea di controllo effettivo o LAC), di 3mila chilometri, hanno spinto i due Paesi a spostare le rispettive truppe per evitare ulteriori scontri, riducendo le attività di pattugliamento. In base all’accordo, Delhi e Pechino seguiranno un programma concordato di perlustrazione delle aree contese.
Commentando la notizia ai media locali, il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar ha detto: «siamo tornati alla situazione del 2020 e possiamo dire che il processo di disimpegno dalla Cina è stato completato» e ha aggiunto che servono «pace e tranquillità» per il progredire delle relazioni bilaterali. Tuttavia, il capo di stato maggiore dell’esercito indiano, il generale Upendra Dwivedi, parlando a una conferenza organizzata dal centro studi United Service Institution of India, ha sottolineato che l’India e la Cina stanno cercando di «ripristinare la fiducia» ma saranno poi necessarie ulteriori fasi di de-escalation.
È probabile che l’annuncio dell’accordo preluda a un incontro bilaterale a margine del vertice Brics tra Modi e il presidente cinese di Xi Jinping, anche se, secondo gli esperti, le questioni tra Cina e India sono ben lungi dall’essere risolte. L’accordo è un «passo verso la normalità», ma «non ancora un vero e proprio riassetto», ha affermato Farwa Aamer, direttrice delle Iniziative per l’Asia meridionale presso il think tank Asia Society.
Un eventuale dialogo tra Modi e Xi sarebbe più che altro un successo più per il presidente russo Vladimir Putin, che ospita l’evento. Anche lo scorso anno, alla riunione Brics di Johannesburg, Modi e Xi avevano detto di essersi parlati e di aver concordato di impegnarsi a ridurre la tensione lungo la Line of Actual Control. E a settembre il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, e il consigliere per la sicurezza nazionale indiano, Ajit Doval, avevano discusso della disputa a San Pietroburgo, durante un incontro sulla sicurezza tra funzionari di alto livello dei Paesi Brics.
Negli ultimi quattro anni, tra autorità cinesi e indiane, si sono svolti oltre 30 round di negoziati sulla frontiera che si sono conclusi in un nulla di fatto.
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L’intento di Putin è offrire una piattaforma di cooperazione ai Paesi che potrebbero avere interesse ad allontanarsi dall’Occidente. Al vertice di Kazan manca il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (pare per essersi ferito durante un incidente domestico), ma prenderanno parte per la prima volta anche i «nuovi» BRICS (i Paesi che hanno aderito a gennaio di quest’anno): Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti.
Ci sarà anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e i capi di Stato o di governo di nazioni che sono state invitate a unirsi al gruppo: Bielorussia (alleata della Russia), Kazakistan (che però nei giorni scorsi ha detto di non voler ancora presentare una domanda di adesione) e Turchia (che fa parte anche della Nato e sembra interessata a sviluppare rapporti economici con Mosca e Pechino).
Si tratta di Paesi che compongono il cosiddetto «Sud globale». Anche dentro ai BRICS, non tutti sono pronti ad accettare le ambizioni della Cina che mira a porsi come guida di questo movimento. Modi, in particolare, mantiene aperto il canale anche con gli Stati Uniti e gli altri Paesi del G7, ai cui vertici partecipa ormai regolarmente.
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Immagine di Ssandrathomas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
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Cina
L’UE potrebbe diventare una «provincia della Cina»: parla il leader industriale tedesco

L’eccessiva dipendenza dell’Unione Europea dalle materie prime cinesi potrebbe ridurre l’industria del blocco al punto tale da farla diventare «una provincia della Cina», ha avvertito un alto dirigente industriale tedesco.
Mercoledì Stefan Scherer, CEO del produttore di batterie per veicoli elettrici AMG Lithium, ha dichiarato al quotidiano britannico Guardian che senza protezioni temporanee, il blocco rischia di rimanere ulteriormente indietro nelle tecnologie chiave.
Attualmente la Cina raffina circa il 60% del litio mondiale e domina la produzione mondiale di componenti per batterie, il che le conferisce un’influenza sproporzionata sulle catene di approvvigionamento critiche.
«L’Europa deve diventare indipendente dalla Cina», ha dichiarato Scherer al giornale presso la sede aziendale a Bitterfeld-Wolfen, in Germania.
Nonostante le promesse della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di ridurre la dipendenza e aumentare la produzione interna, Scherer ha affermato che il mercato continua a essere inondato di importazioni cinesi più economiche, dall’acciaio a intere unità di batterie.
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Senza misure decisive da parte di Bruxelles, ha sostenuto, la base industriale dell’UE continuerà a erodersi. «Forse sarebbe meglio candidarsi per diventare una provincia della Cina», ha detto. «È un’idea interessante, se ci si pensa bene. Siamo davvero a un punto di svolta e non ha nulla a che fare con la guerra in Ucraina, è un cambiamento radicale nelle relazioni globali».
La Von der Leyen ha riconosciuto i rischi di un’eccessiva dipendenza da Pechino e ha spinto per una «riduzione del rischio» piuttosto che per un disaccoppiamento completo. Ha anche accusato la Cina di utilizzare tattiche distorsive del mercato che minacciano di deindustrializzare alcune parti d’Europa – un’affermazione fermamente respinta dai funzionari cinesi.
Scherer ha inoltre sottolineato il rischio rappresentato dal peggioramento delle relazioni commerciali tra UE e USA, mettendo in guardia da ulteriori tensioni per l’industria automobilistica tedesca in difficoltà.
Bruxelles e Washington rimangono bloccate nei colloqui in vista della scadenza del 9 luglio, dopo la quale gli Stati Uniti potrebbero imporre una tariffa del 50% su tutte le importazioni dall’UE. I funzionari europei stanno cercando di attenuare la proposta di imposta di base del 10% e di ottenere concessioni, tra cui la riduzione del 25% dell’imposta sulle auto e del 50% del dazio su acciaio e alluminio.
L’istituto economico tedesco ha stimato che la Germania potrebbe perdere fino a 200 miliardi di euro entro il 2028 se i dazi venissero pienamente applicati.
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Cina
AI, la guerra fredda USA-Cina per il controllo della società futura

.@pmarca to @jaltma: U.S.-China AI Race Mirrors Cold War with Soviet Union
“There is a two-horse race. This is shaping up to be the equivalent of what the Cold War was against the Soviet Union in the last century. It is shaping up to be like that. China does have ambitions to… pic.twitter.com/Q6ik8WSZLR — Josh Caplan (@joshdcaplan) June 15, 2025
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