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Droni

India, attacco con droni riaccende le violenze nel Manipur

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Sono almeno due i morti e 10 i feriti nell’ultima aggressione. Il conflitto tra le comunità Kuki e Meitei è scoppiato oltre un anno fa e continua a non trovare soluzione. Le tensioni stavano montando da settimane e secondo gli esperti la presenza di combattenti dal vicino Myanmar rischia di complicare ulteriormente la situazione.

 

È di almeno due morti e 10 feriti il bilancio delle vittime dopo un attacco armato avvenuto ieri nello Stato indiano del Manipur, da oltre un anno scosso da violenze interetniche. È la prima volta, però, che i ribelli, per lanciare esplosivi contro le forze di sicurezza, utilizzano droni: «un attacco senza precedenti» e una «significativa escalation» di violenza, ha commentato la polizia locale.

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Gli scontri tra i gruppi etnici Kuki – detti anche Zo, in prevalenza cristiani che abitano nelle aree collinari – e Meitei – a maggioranza indù, concentrati negli apparati di governo e di polizia – sono scoppiati a maggio dell’anno scorso a causa di tensioni legate alla distribuzione di terreni e all’accesso ai lavori pubblici, che l’India in parte riserva alle popolazioni indigene.

 

Secondo quanto dichiarato il mese scorso dal chief minister N. Biren Singh (appartenente al Bharatiya Janata Party, lo stesso partito al potere a livello nazionale) all’Assemblea statale, dall’inizio del conflitto sono morte almeno 226 persone e quasi 60mila sono sfollate.

 

L’attacco con droni si è verificato domenica primo settembre verso le due di pomeriggio al confine tra il villaggio di Koutruk, a maggioranza Meitei, nel distretto di Imphal West, e quello di Kangkopki, abitato perlopiù da Kuki. Delle due persone uccise è stata identificata solo una donna di 31 anni, Ngangbam Surbala Devi, la cui figlia, invece, è rimasta ferita.

 

La polizia del Manipur presume che l’attacco sia stato condotto da combattenti di etnia Kuki e non esclude il coinvolgimento di «professionisti altamente qualificati, probabilmente con competenze tecniche e supporto». Il direttore generale della polizia, Rajiv Singh, ha imposto la «massima allerta», soprattutto nelle «aree periferiche», mentre il dipartimento dell’Interno dello Stato nordorientale ha definito l’attacco un «atto di terrore nei confronti degli abitanti disarmati del villaggio» e «un tentativo di ostacolare gli sforzi intrapresi dal governo statale per stabilire la pace».

 

Alcune organizzazioni Meitei hanno parlato di un «grave crimine di guerra» e chiesto un’azione immediata da parte del governo statale.

 

L’aumento delle tensioni è iniziato il 7 agosto, quando la Kuki Students’ Organisation ha diffuso stralci di un audio in possesso della Commissione di inchiesta nazionale sulle violenze nel Manipur istituita dal ministero dell’Interno indiano, come ricostruito dal sito The Wire. Nel file si sente una voce – presumibilmente appartenente al chief minister Singh – ammettere di aver alimentato le violenze, anziché sedarle. Il governo del Manipur (secondo cui la registrazione è stata «manipolata») avrebbe permesso l’utilizzo di bombe contro villaggi tribali e chiuso un occhio sui furti di armi dalle stazioni di polizia locali.

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Il 31 agosto, un giorno prima dell’attacco con droni, alcuni rappresentanti della comunità Kuki hanno organizzato manifestazioni in tutto il Manipur per chiedere un proprio Stato. Una richiesta inaccettabile per i Meitei, ma un obiettivo che alcuni gruppi ribelli hanno fatto proprio, anche a costo di raggiungerlo con la violenza.

 

Il governo indiano, guidato dal primo ministro Narendra Modi è stato accusato da più parti di aver ignorato il conflitto e di non aver fatto abbastanza per fermare la spirale di violenza. I colloqui tra le parti non hanno portato da nessuna parte e diversi abitanti, sia Meitei che Kuki, hanno raccontato di essersi sentiti costretti a imbracciare le armi nell’ultimo anno per difendersi.

 

Secondo l’analista Praveen Donthi dell’International Crisis Group, in Manipur sono rientrati dal vicino Myanmar (dove da oltre tre anni è in corso un conflitto civile) gruppi di combattenti di etnia Meitei che erano stati messi fuorilegge e che oggi sono accusati dalla popolazione locale di estorcere denaro.

 

«I gruppi di ribelli Meitei con sede in Myanmar, che erano al loro punto più debole prima del maggio dello scorso anno, hanno visto una rinascita, probabilmente al di là delle loro più rosee aspettative, a causa dell’attuale conflitto in Manipur», ha commentato l’esperta. «I gruppi di insorti e le tendenze separatiste sono ogni giorno sempre più forti», rischiando di trasformare i contrasti in un conflitto regionale.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Droga

I cartelli della droga imparano la guerra con i droni in Ucraina

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Il sessanta per cento dello «tsunami bianco» di cocaina che sta inondando Europa e Stati Uniti proviene dalla Colombia. Lo riporta EIRN.   Sempre alla ricerca delle tecnologie e delle tecniche più moderne, le bande di narcotrafficanti messicane e colombiane stanno inviando combattenti in Ucraina «per apprendere le tattiche dei droni con visuale in prima persona (FPV) e utilizzare tali conoscenze in modi nuovi e mortali in patria», scrive il sito web danese Dagens il 27 agosto.   La Colombia è probabilmente diventata il maggiore esportatore di mercenari. «Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, la Legione Internazionale di Difesa Territoriale ucraina ha aperto le sue porte a volontari provenienti da tutto il mondo, tra cui decine, se non centinaia, di ex militari colombiani», scrive Radio France International. «Un evento che ha evidenziato questo fenomeno è stato l’arresto di due colombiani, di ritorno dall’Ucraina durante uno scalo a Caracas, in Venezuela, nel 2024».   I mercenari sono stati inviati a Mosca, dove sono stati imprigionati. «Giovani ex soldati ed ex ufficiali, non vendetevi. Combattete per la vostra patria, non morite in guerre straniere», ha insistito il presidente colombiano Gustavo Petro il 17 agosto 2025, su X. Il Petro stava rispondendo a un messaggio del premier sudanese Kamil Idris, indirizzato ai colombiani, che chiedeva la fine dei mercenari colombiani in Darfur e, più in generale, in Sudan.

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In Messico, potenti cartelli della droga si sono rivolti a questi veterani per rafforzare le proprie forze. Ex soldati colombiani (sia narcotrafficanti che anti-narcotrafficanti) vengono reclutati per addestrare i «sicarios», sviluppare tattiche di commando e rafforzare la sicurezza dei leader dei cartelli.   Tra gli episodi più oscuri che hanno coinvolto i mercenari colombiani c’è stato l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, avvenuto il 7 luglio 2021 nella sua residenza di Port-au-Prince. L’inchiesta ha rapidamente rivelato il coinvolgimento diretto di un commando composto principalmente da ex soldati colombiani, reclutati tramite società di sicurezza private e assunti come personale di sicurezza.   E ora, membri dei cartelli della droga messicani e dei gruppi di guerriglia colombiani si stanno unendo alla Legione Internazionale ucraina per padroneggiare la guerra in prima linea con i droni.   L’Ucraina è diventata un banco di prova globale per droni, offrendo agli agenti del cartello un’esperienza pratica con attacchi a basso costo e ad alto impatto.   Il cartello di Jalisco Nuova Generazione sta già impiegando droni armati di granate contro rivali e forze governative in Messico. La Colombia ha registrato 115 attacchi con droni collegati al cartello nel 2024, incluso uno che ha abbattuto un elicottero della polizia e ucciso 12 persone.   I dissidenti delle FARC e la fazione EMC stanno utilizzando sempre più droni nel conflitto interno colombiano, soprattutto dove i colloqui di pace sono falliti. Inoltre, nelle regioni messicane con una forte presenza di cartelli come Sinaloa e Chihuahua, i droni vengono ora utilizzati per imboscate, sorveglianza e persino sganciare bombe.   Persino i funzionari ucraini avvertono che i combattenti stranieri stanno imparando a «uccidere con un drone da 400 dollari», per poi esportare questa conoscenza a livello globale.   Non è la prima volta che viene detto che l’uso di droni come strumenti militari nel teatro di guerra ucraino sta praticando un cambio di paradigma che rimodellerà con probabilità i conflitti di tutto il XXI secolo.  
Come riportato da Renovatio 21, un mese fa Londra ha annunziato la produzione congiunta di droni con l’Ucraina; Zelens’kyj una quindicina di giorni fa ha parlato di un possibile grande accordo con gli USA per i droni nel suo Paese. Poche settimane prima, il presidente russo Vladimir Putin aveva affermato che la Russia stava approntando una branca separata dell’esercito dedicata ai droni.

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Come riportato da Renovatio 21, Putin durante una riunione della Commissione militare-industriale del Paese sullo sviluppo di sistemi aerei senza pilota dello scorso settembre aveva annunciato che nel 2024 l’esercito russo avrebbe ricevuto dieci volte più droni rispetto all’anno precedente – una produzione praticamente decuplicata.   Mesi fa Kiev ha condotto su tutto il territorio russo – compreso l’estremo oriente siberiano – l’operazione «tela di ragno», con la quale, tramite piccoli droni remotati, ha attaccato aeroporti e colpito bombardieri.  
Come riportato da Renovatio 21, i narcocartelli da mesi hanno iniziato a condurre operazioni con droni armati contro le forze americane delle frontiere.  
Come riportato da Renovatio 21, l’uso dei droni per il trasporto della droga è estremamente comune oramai, con oltre 9.000 incursioni di droni dei narcos messicani nello spazio aereo statunitense.   I cartelli della droga costituiscono il quinto più grande datore di lavoro in America Latina.   I cartelli messicani, che vengono da un periodo di sanguinari conflitti interni, sono stati pionieri dell’uso di droni commerciali per sganciare bombe sulle bande rivali.

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Droni

Drone ucraino abbattuto vicino a una centrale nucleare

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Un drone kamikaze ucraino è stato abbattuto nei pressi di una centrale elettrica nella regione russa di Kursk, parte della quale era sotto occupazione ucraina da diversi mesi.

 

Secondo la direzione dell’impianto, nelle prime ore di domenica il drone abbattuto ha danneggiato parte della rete elettrica e innescato un piccolo incendio.

 

Nell’agosto 2024, le forze ucraine hanno attraversato il territorio russo riconosciuto a livello internazionale, avanzando nella regione di Kursk nel tentativo di interrompere le offensive russe altrove e rafforzare la propria posizione nei colloqui di pace.

 

 

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Conquistarono rapidamente decine di villaggi, compresa la città di confine di Sudzha, situata circa 60 chilometri a ovest dell’impianto. Le truppe russe ripresero il pieno controllo della regione entro la fine di aprile.

 

L’Ucraina ha ripetutamente preso di mira le infrastrutture energetiche russe, tra cui raffinerie di petrolio, impianti di gas e componenti della rete elettrica. All’inizio di questa settimana, le sue forze hanno colpito l’oleodotto Druzhba, che fornisce petrolio all’Unione Europea. L’attacco ha suscitato aspre critiche da parte di Ungheria e Slovacchia.

 

Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa un drone attacca la centrale atomica di Chernobyl mentre Zelens’kyj incontra il vicepresidente USA Vance a Monaco.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Ucraina ha colpito varie volte con droni kamikaze la «città atomica» russa di Kurchatov, nell’oblast’ di Kursk, scatenando la reazione di Mosca che accusa Kiev di «terrorismo nucleare».

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Immagine di Dmitriy 92 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

 

 

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Arte

L’Ungheria celebra un millennio di cristianesimo con una croce gigante fatta di droni nel cielo

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L’Ungheria ha celebrato la sua eredità cristiana nel giorno di Santo Stefano con fuochi d’artificio e una croce gigante formata nel cielo dai droni. Lo riporta LifeSite.   Il 20 agosto, l’Ungheria ha celebrato la sua festa nazionale, la festa di Santo Stefano I, il primo re d’Ungheria. Durante i festeggiamenti, droni luminosi hanno formato una croce gigante sopra il Danubio, vicino al palazzo del Parlamento.   Il ministro degli Affari Esteri e del Commercio Peter Szijjarto ha condiviso un’immagine della croce galleggiante con la didascalia «Altri mille anni», in riferimento al fatto che l’Ungheria è una nazione cristiana da un millennio.   Lo spettacolo prevedeva anche fuochi d’artificio, una banda musicale e una processione con le reliquie di Santo Stefano.  

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«Nel giorno di Santo Stefano celebriamo il nostro millenario Stato cristiano ungherese, fondamento della nostra nazione, pilastro dell’Europa cristiana», ha scritto il premier Vittorio Orban su X. «Orgogliosi di portare avanti questa eredità di fede, forza e indipendenza».   Durante il suo primo mandato da primo ministro (1998-2002), l’Orban ha avuto un ruolo chiave nello spostamento della corona di Santo Stefano da un museo al centro del palazzo del Parlamento, un atto simbolico che ha sottolineato l’importanza del patrimonio cristiano dell’Ungheria.   «Oggi, 20 agosto, festa di Santo Stefano: celebrazioni in tutto il mondo, ovunque si trovino gli ungheresi», ha affermato l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, Sua Altezza Imperiale arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena.   «Celebriamo oltre 1.000 anni di nazione cristiana» ha scritto SAR.   Le immagini dello spettacolo a Budapest sono impressionanti, monumentali in un senso epico e moderno al contempo.           L’Ungheria ha organizzato uno spettacolo di luci simile il giorno di Santo Stefano degli anni passati, quando i droni hanno pure formato una gigantesca croce fluttuante e una gigantesca corona.       Durante il regime sovietico, la festa di Santo Stefano fu soppressa. Il regime comunista scelse deliberatamente il 20 agosto 1949 come giorno per ratificare la nuova costituzione stalinista, in un apparente tentativo di sostituire la festa e promuovere il comunismo ateo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1989, i 40 anni di occupazione comunista dell’Ungheria terminarono e la festa di Santo Stefano divenne la nuova festa nazionale ungherese.   Re Santo Stefano I fu un fervente cattolico e il primo re cristiano d’Ungheria. Papa Silvestro II lo incoronò nell’anno 1000. Morì il giorno dell’Assunzione del 1038 e, sul letto di morte, dedicò il paese a Maria. Lui e suo figlio Emerico furono canonizzati da Papa San Gregorio VII nel 1083.

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